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VITTORIO CAPUZZA

Il provvedimento di condanna irrevocabile e la decadenza dell’attestazione SOA per falsità: delimitazioni concettuali ed effetti per la risoluzione del contratto d’appalto pubblico.


Sommario: Premessa. 1. L’art. 38, lett. c) del Codice e le gare ad evidenza pubblica. Cenni. 2. La fase dell’esecuzione. L’art. 135 D. Lgs. 163/2006. 3. L’ipotesi della decadenza dell’attestazione SOA per fatti diversi dalla falsità: effetti sui contratti in esecuzione. 4. L’ipotesi della decadenza dell’attestazione SOA per falsità: conseguenze per le future gare ad evidenza pubblica ed effetti sui contratti in esecuzione. 4.1. Rilevanza obiettiva del falso nella dichiarazione o nella documentazione per l’ottenimento del’attestazione di qualificazione. 4.2. Decadenza della SOA per falso: effetti e conseguenze sui requisiti generali. 4.3. La gradualità della colpevolezza. La novella del Decreto sviluppo. Conseguenze: verifica ex officio della colpa grave o dolo da parte dell’Autorità ai fini della sanzione interdittiva annuale per il riottenimento dell’attestazione. 4.4. segue: delimitazione del concetto di colpa grave. 4.5. Conclusione in relazione al comma 1-bis dell’art. 135 del Codice. Obbligo di risoluzione del contratto.

 

Premessa.

 

Si parte da una evidente summa divisio: l’art. 38, comma 1, lett. c) del D. Lgs. 163/2006 disciplina le conseguenze del provvedimento penale di condanna rispetto alla gara ad evidenza pubblica; l’art. 135, D. Lgs. 163/2006, invece, ha come ambito oggettivo la fase della esecuzione del contratto, dettando anche appositi effetti del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale di condanna. Analogo discorso vale circa la decadenza dell’attestazione di qualificazione, per la quale vigono paralleli regimi normativi nelle due fasi di gara e di esecuzione.

In tale cornice operano, altresì, diverse linee ermeneutiche.

Più in generale, nella materia dei contratti pubblici spesso è possibile scorgere appena un volto della disciplina: la probabilità, in taluni casi, rischia di prendere il posto della certezza; e solo chi vive gli appalti pubblici come operatore o semplicemente come studioso conosce il grado di certezza normativa di cui abbisogna la materia.

Si vedrà, allora, anche in questo tema, che l’interpretazione del diritto può diventare un “contrappunto” alla littera legis, che, a sua volta, presenta già un limite quando forma il quadro di riferimento dall’insieme dei frammenti, ognuno dei quali segna un precetto e comporta degli effetti nel sistema.

 

1. L’art. 38, lett. c) del Codice e le gare ad evidenza pubblica. Cenni.

 

La attuale formulazione della lett. c) dell’art. 38 del Codice, modificato dal d.l. n. 70 del 13.5.2011 (c.d. Decreto sviluppo), convertito in Legge 12 luglio 2011, n. 106, stabilisce che non possono partecipare alle gare d’appalto e di concessione, né stipulare i relativi contratti e subappalti i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale. E’comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18.

Va precisato che nella lett. c) dell’art. 38 Codice si distinguono due categorie di reati:

a) Innanzitutto, le tipologie di fattispecie criminose (partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio), individuate e definite dall’art. 45 della direttiva Ce n. 2004/18 e non dal codice penale italiano, che sono comunque causa di esclusione precludendo quindi una valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante. La ragione di questa tecnica si spiega in considerazione della circostanza che alle gare comunitarie partecipano anche operatori non italiani, sicché il tipo di reati va individuato non solo con riferimento all’ordinamento italiano.

b) Si fa poi riferimento a “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”.

Si tratta di una categoria non definita compiutamente, in cui si lascia alla stazione appaltante un margine di apprezzamento sia sulla incidenza del reato sulla moralità professionale, sia sull’offensività per lo Stato o per la Comunità, sia sulla gravità del fatto. Il rinvio generico ai reati, in astratto consente di far riferimento sia ai delitti che alle contravvenzioni, sia a reati dolosi che colposi.

Nell’ultima Determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la n. 1 del 2010, viene ribadita la discrezionalità valutativa dell’amministrazione: essa deve essere ispirata ai parametri dell’agire amministrativo e dell’interesse pubblico, esplicitati in idonea ed adeguata motivazione. In particolare, l’Autorità stabilisce che:

 

a) in ordine alla incidenza sulla moralità “la valutazione va effettuata non in astratto, con riguardo al mero titolo del reato, ma tenendo conto della peculiarità del caso concreto, del peso specifico dei reati ascritti e della prestazione che la ditta dovrà espletare se risulterà aggiudicataria. (…). In ogni caso, la stazione appaltante è chiamata ad effettuare una concreta valutazione dell’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario, mediante una accurata indagine sul singolo fatto, avendo riguardo al tipo di rapporto che deve essere instaurato, (…), nonché dare contezza, attraverso congrua motivazione, di avere effettuato la suddetta disamina”;

b) in ordine alla gravità del reato si tratta di un elemento ulteriore che deve essere valutato. La gravità rientra nell’ambito dell’attività di ponderazione “circostanziata e selettiva che la stessa è chiamata a svolgere a fronte della singola, concreta, fattispecie di reato, prendendo in esame tutti gli elementi che possono incidere negativamente sul vincolo fiduciario quali, ad esempio, l’elemento psicologico, l’epoca e la circostanza del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive, il bene leso dal comportamento delittuoso, in relazione anche all’oggetto ed alle caratteristiche dell’appalto”.

Peraltro, trattandosi di classificazioni che da un lato incidono gravemente sul diritto di partecipare alle gare pubbliche e dall’altro sono di derivazione penalistica, esse sono di strettissima interpretazione.

Aderendo al dato letterale della norma, si può affermare che pure in relazione ai reati di frode - di cui parla l’art. 135 del Codice -, si avrebbe un’automatica esclusione dell’impresa concorrente che abbia al suo interno i soggetti individuati dalla stessa lett. c) dell’art. 38, condannati per ciò definitivamente con sentenza passata in giudicato.

Ciò si ricaverebbe, anche a contrario, dalle numerose sentenze che hanno riguardato i reati incidenti sulla moralità professionale delle imprese: “Nel merito va osservato che la gravità e incidenza sulla moralità professionale dell'imprenditore dei reati diversi da quelli specificamente indicati dall'art. 45, prg. 2, direttiva 2004/18/Ce e comportanti l'esclusione dalla partecipazione a gare pubbliche, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, deve essere accertata dalla stazione appaltante con la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato (...). (per tutti, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 6694 del 14 settembre 2010).

 

2. La fase dell’esecuzione. L’art. 135 D. Lgs. 163/2006.

 

L’art. 135 del D. Lgs. 163/2006 riprende il testo dell’abrogato art. 118 d.p.r. n. 554/1999, con non poche e sostanziali differenze operate man mano dal legislatore con gli interventi correttivi al Codice. Il disposto normativo sancisce una facoltà di risoluzione in capo alla Committenza anche nell’ipotesi in cui vengano accertati reati di frode commessi dall’esecutore nei confronti dell’amministrazione appaltante. [1]

La sostanziale novità è circoscritta ai doveri del Responsabile del procedimento, il quale, a differenza della previsione abrogata nel d.p.r. n. 554/99, ha l’obbligo di proposta (non v’è pertanto l’obbligo di risoluzione da parte dell’amministrazione); infatti, dopo l’intervento del D. Lgs. 31 luglio 2007, n. 113 (II Correttivo) è stabilito che il RUP “propone alla stazione appaltante la risoluzione del contratto” e non più: “valuta l’opportunità” di proporre l’eventuale risoluzione del contratto.

A ben vedere, dunque, la stazione appaltante conserva il pieno grado di facoltà nello stabilire la sorte del contratto in essere quando si verifichi l’ipotesi di passaggio in giudicato di un provvedimento di condanna per frode commesso dall’esecutore.[2]

E’, invece, azzerata la discrezionalità della Committenza circa lo scioglimento del contratto nel caso in cui si determini la decadenza dell’attestazione di qualificazione dell’esecutore per aver egli prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, risultante dal casellario informatico. Lo stabilisce in modo inequivocabile il comma 1-bis dell’art. 135 del Codice. Quindi, la portata caducante e automatica della norma sul contratto in essere è limitata all’ipotesi di decadenza causata dalla produzione di false documentazioni o dichiarazioni mendaci; nelle restanti ipotesi, a sèguito dell’obbligatoria proposta del RUP, la stazione appaltante conserva la discrezionalità della scelta di mantenere ovvero risolvere quel singolo contratto, ovviamente motivandone le conclusioni alla luce di diversi parametri, primo fra tutti lo stato e il grado delle lavorazioni fino a quale momento eseguite.

Ma il punto, sebbene chiaro a livello positivo, presenta della “zone grigie” in chiave ermeneutica; infatti, a fronte della suddetta facoltà riconosciuta dal legislatore ex art. 135, comma 1 del Codice, alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa hanno individuato in tali ipotesi un effetto caducatorio automatico, estensibile nella portata oggettiva anche a tutti contratti di appalto in essere con la medesima Committenza. Si tratta, in altra sostanza, di una lettura estensiva dell’art. 38 del Codice, visto come disposizione non limitata alla fase della gara ad evidenza pubblica.

Come si è visto, in fase di gara nulla quaestio circa l’effetto escludente dalla procedura al verificarsi di una delle situazioni indicate dall’art. 38; di recente, il TAR Bari, Puglia, sez. I, 5 aprile 2011, n. 546 ha ribadito che “la pendenza della procedura di concordato preventivo costituisce ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. a) d. lgs. n. 163/2006 motivo di esclusione automatica dalla gara d'appalto e quindi anche causa di esclusione in via successiva laddove tale procedura concorsuale venga avviata, come nel caso di specie, in una fase posteriore”. Anche il Consiglio di Stato, Ad. Plen., 15 aprile 2010, n. 2155 sul punto ha affermato che “i requisiti generali per un appalto pubblico (identificati dall'art. 75 d.P.R. 554/99, oggi dall'art. 38 d.lg. 12 aprile 2006 n. 163) devono essere posseduti dai concorrenti durante la gara e permanere fino alla stipulazione del contratto”.

Ma se questo è chiaro per la fase della gara, genera molti dubbi l’estensione di tale automatismo nella fase dell’esecuzione del contratto sia perché esiste una particolare fattispecie astratta (l’art. 135 del Codice, appunto) che disciplina tali aspetti, sia alla luce del principio secondo il quale l’ambito di operatività dell’art. 38 è quello della gara, atteso che “la ratio della normativa di cui all’art. 38 risiede nella esigenza di verificare la affidabilità complessivamente considerata dell'operatore economico che andrà a contrattare con la p.a. per evitare, a tutela del buon andamento dell'azione amministrativa, che quest'ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale” (T.A.R. Genova Liguria, sez. II 21 aprile 2011, n. 660).

Nella linea minoritaria della giurisprudenza, che postula, invece, la caducazione obbligatoria a causa del passaggio in giudicato del provvedimento di condanna, non solo del contratto de quo ma anche degli altri sussistenti sino a quel momento con la medesima Committenza, è da evidenziare la sentenza del TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 novembre 2008, n. 10059 che, sebbene riguardi il subappalto, sviluppa talune argomentazioni a favore della discutibile linea ermeneutica a favore della caducazione. In particolare, i giudici forzano la portata dell’art. 38 del Codice, non limitandolo cioè alla sfera della gara e quindi nell’alveo prodromico a quello della diversa fase dell’esecuzione delle prestazioni contrattuali; il TAR Lazio ha perciò sostenuto che “Se la finalità della norma di cui all’art. 75 d.P.R. 554/1999 [i.e. art. 38 del Codice] è quella di precludere a determinati soggetti - che, per il venire in essere di una delle situazioni tipizzate dalla norma, sono ritenuti non idonei - l’esecuzione di lavori pubblici, è indubbio che la fattispecie deve trovare applicazione anche nei confronti del subappaltatore precludendo allo stesso la possibilità di stipulare contratti sia di appalto che di subappalto con una pubblica amministrazione o stazione appaltante (…) Di talché, una volta che l’amministrazione ha valutato, ragionevolmente, il venire in essere di una delle fattispecie previste dall’art. 75, co. 1, del d.P.R. 554/1999, la revoca si è presentata sostanzialmente come atto dovuto non solo con riferimento al subappalto relativo al subcomprensorio n. 4, in relazione al quale si è verificata la grave negligenza, ma anche con riferimento all’altro subappalto, atteso che la incapacità di cui all’art. 75 d.P.R. 554/1999 non ha carattere particolare e propaga i propri effetti almeno alle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara, così come ora può evincersi dalla lett. f) dall’art. 38 d.lg. 163/2006”.

Non mancano, d’altra parte, pronunce giurisprudenziali che, pur non affrontando la questione di una tale ampiezza oggettiva della norma contenuta nell’art. 38, indirettamente però ne ancorano gli effetti caducatori in sede di esecuzione alla necessità che la stazione appaltante valuti concretamente l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto d’aggiudicazione.[3]

Certo è che lascia perplessi il fatto che la sentenza del TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 novembre 2008, n. 10059 non abbia minimamente considerato la sussistenza della norma contenuta nell’art. 135 del Codice, la quale detta la disciplina speciale operante in tali situazioni nella fase di esecuzione, spazzando via ogni tentativo di estensione ermeneutica di ipotesi tassative fissate dal legislatore prima della stipula del contratto.

Pertanto:

 

a) ove l’amministrazione stipulasse un contratto in assenza di uno solo dei requisiti generali stabiliti dall’art. 38 Codice, quel contratto presenterebbe seri profili di nullità in forza della norma imperativa contenuta nel comma 1 dell’art, 38 (“e non possono stipulare i relativi contratti”);[4] e, si badi, nullità del contratto per violazione della norma imperativa, non già nullità ex lege n. 241/90 o annullabilità del provvedimento di aggiudicazione; in altri termini, dichiarazione di nullità del contratto senza la pregiudizialità amministrativa, invece riconosciuta nell’art. 121, comma 1 del c.p.a. per le altre ipotesi legate all’inefficacia del contratto.

b) Nell’ipotesi in cui la variazione dei requisiti generali avvenga in fase di esecuzione, opera per le ipotesi contenute in esso l’art. 135 del Codice, la cui portata circa la facoltà o l’obbligo di risoluzione del contratto ha diviso la dottrina e la giurisprudenza, come s’è già visto.

 

In ogni caso, come si dirà a breve, indipendentemente dalla gara e/o dall’esecuzione del contratto, il quadro normativo di riferimento forma un sistema binario: da un lato è vigente l’obbligo di verifica del permanere dei requisiti da parte della SOA e, d’altro lato, sussiste il dovere di segnalazione dell’impresa all’Autorità per la vigilanza per la variazione di un solo requisito generale. L’eventuale modifica del requisito generale risulterà ex se idonea a comportare la perdita dell’attestazione di qualificazione, determinando come effetto domino conseguenze sui contratti in corso, che per alcune pronunce verrebbero necessariamente risolti.

Vediamone più approfonditamente le linee argomentative.

 

3. L’ipotesi della decadenza dell’attestazione SOA per fatti diversi dalla falsità: effetti sui contratti in esecuzione.

 


 

Nell’art. 70 del d.p.r. n. 207/2011 il Legislatore ha inserito una novità rispetto al precedente art. 12 d.p.r. n. 34/2000. In particolare, l’art. 70, comma 1, lett. f), introduce per le SOA, accanto al confermato obbligo di verifica circa la veridicità e la sostanza delle dichiarazioni, delle certificazioni e delle documentazioni, anche l’obbligo di verificare il permanere dei requisiti di cui all’art. 78 reg. in capo ai soggetti che richiedono l’attestazione.

 

Il comma 7 del medesimo art. 70 completa la panoramica: le SOA comunicano all’Autorità, entro il termine di dieci giorni, l’avvio del procedimento di accertamento del possesso dei requisiti nei confronti delle imprese nonché il relativo esito, ai sensi dell’articolo 40, comma 9-ter, del Codice. Da qui, la dichiarazione della decadenza dell’attestazione di qualificazione dell’impresa nell’ipotesi in cui la SOA accerti la mancanza di uno del requisiti dell’art. 78 (i.e. art. 38 del Codice).

 


 

Ora, va pur considerato che dal lato dell’operatore economico vige il preciso obbligo di comunicazione all’Osservatorio le variazioni di cui all’art. 8, comma 5 reg. e cioè di segnalare qualsiasi variazione a lui riguardante circa i requisiti ex art. 78. L’art. 74 comma 6, del nuovo regolamento aggiunge la sanzione pecuniaria (fino a 25.822 euro) per la mancata comunicazione. La disposizione è stata oggetto da parte dell’Autorità di una recente Determinazione, la n. 3 del 6 aprile 2011 - Chiarimenti in ordine all’applicazione delle sanzioni alle imprese previste dall’articolo 74 del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207.[5]

 


 

Al di là dei ragionevoli dubbi che sollevi nel panorama giuridico l’obbligo di “autodenuncia” disposto, fuori da una procedura ad evidenza pubblica, in capo ad ogni impresa al variare di una situazione che determini la variazione di un requisito generale, occorre domandarsi che effetto abbia la perdita del requisito generale (fra i quali rientra, ovviamente, un provvedimento di condanna irrevocabile per reati gravi che incidano sulla moralità professionale), “denunciata” all’Osservatorio a prescindere dalla partecipazione ad una gara. La conclusione, alla luce della lett. f) dell’art. 70 del regolamento in cui è affermato il dovere di verifica della SOA del permanere dei requisiti ex art. 78 in capo alla società attestata, non può che consistere nella dichiarazione di decadenza della attestazione rilasciata.

 

Forse ancor più forte è la considerazione per la quale l’eventuale provvedimento di esclusione da una gara ad evidenza pubblica per la mancanza del possesso dei requisiti ex art. 38 Codice da parte del concorrente si trasformerebbe, rebus sic stantibus, anche nell’applicazione da parte dell’Autorità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 74 comma 6 del d.p.r. n. 207/11 per non aver l’impresa comunicato quella variazione, oltre che determinare la consequenziale decadenza dell’attestazione ad opera della SOA in forza del disposto di cui all’art. 70, lett. f) del regolamento.

 


 

Quali conseguenze, a sua volta, potrà avere la decadenza dell’attestazione di qualificazione per i contratti in essere, già stipulati da quell’impresa?

 

Occorre distinguere, a questo punto, due diverse situazione: la decadenza dell’attestazione SOA disposta per false dichiarazioni o presentazioni di certificazioni false (la risoluzione del contratto è obbligatoria perché lo dispone l’art. 135 del Codice, comma 1-bis), ovvero la decadenza disposta per le ipotesi diverse dalla falso (dichiarato o presentato), come quella appena descritta.

 

Rimaniamo nell’ipotesi di decadenza dell’attestazione SOA per fatti diversi dal falso, e quindi fuori dall’obbligo di risoluzione contrattuale fissato all’uopo dal comma 1-bis dell’art. 135 Codice, del quale si dirà più avanti.

 

Una linea interpretativa sostiene la possibilità della caducazione dei contratti in corso quale conseguenza della decadenza dell’attestazione di qualificazione.

 

In particolare, l’Autorità nella Determinazione n. 19/2002 ha elaborato i “Criteri che le stazioni appaltanti debbono seguire nei casi di annullamento dell’attestazione di qualificazione o di ridimensionamento delle categorie e/o classifiche di qualificazione nonché nel caso di applicazione dell’art. 75, comma 1, lettera h), del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554”. Nel chiarire quegli effetti generati dall’annullamento dell’attestazione o il ridimensionamento delle categorie e/o classifiche di qualificazione, intervenuti dopo la stipula del contratto, l’Autorità ha osservato che: “Quanto ai casi di (…) annullamento dell’attestazione SOA o venire in evidenza di una delle condizioni di cui all’articolo 75, comma 1, del d.P.R. 554/1999 dopo la stipula del contratto ed eventualmente a lavori in corso, occorre ugualmente distinguere l’ipotesi in cui i fatti riguardino l’impresa aggiudicataria oppure un’altra impresa.

 

Nel primo caso [fatti riguardanti l’aggiudicatario], la stazione appaltante procederà all’annullamento dell’aggiudicazione ed a risolvere il contratto con l’impresa aggiudicataria (in giurisprudenza si ritiene che si debba parlare piuttosto che di risoluzione del contratto di nullità del medesimo, vedi T.A.R. Campania-Napoli, sez. I, 29-5-2002, n. 3177). Ciò in quanto l’annullamento dell’attestazione SOA, fa venir meno un presupposto essenziale per la stipula del contratto medesimo e per la esecuzione dei lavori (articolo 75, comma 1, del d.P.R. 554/1999 e articolo 1, comma 2, del d.P.R. 34/2000). Si dovrà, quindi, procedere alla rinnovazione della procedura di gara senza che sia possibile il subentro del secondo classificato, stabilito in caso di risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’aggiudicatario (ove la stazione appaltante lo abbia previsto nel bando), in quanto l’annullamento dell’attestazione SOA non è assimilabile ad una normale risoluzione del contratto per inadempimento. L’annullamento dell’attestazione SOA fa si che la gara deve ritenersi aggiudicata ad un soggetto sprovvisto dei necessari requisiti di partecipazione mentre la risoluzione per inadempimento si fonda sul successivo comportamento dell’impresa aggiudicataria in fase esecutiva (…)”.

 

Tale interpretazione sull’intensità degli effetti nascenti dalla decadenza dell’attestazione di qualificazione SOA, presenta il suo volto severo e innovativo rispetto al dato letterale della normativa in materia presente tanto nella fonte primaria quanto nella fonte secondaria; eppure, anche in giurisprudenza è stato affermato, forse quale conseguenza del principio già elaborato dall’Autorità nella Determinazione citata, che: “La perdita in corso d'opera della qualificazione è evento sopravvenuto nella fase di esecuzione del contratto d'appalto ed inerisce alla stessa; in altri termini, la detta perdita comporta - come anche osservato dall'attenta difesa erariale e pur con le condivisibili dovute cautele connesse alla trasposizione in ambito pubblicistico di istituti propri del diritto civile - una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione, che attiene ontologicamente all'adempimento del contratto, e quindi alla fase della esecuzione, e non già alla procedura di affidamento.” (Consiglio di Stato, sez, IV, sentenza n. 6638/2006).

 


 

Una prima conclusione.

 

Da quanto ora esaminato, riportando questa analisi al suo tema principale e cioè restringendo l’esame alle ipotesi di provvedimenti di condanna ex art. 135 Codice divenuti irrevocabili in fase esecutiva dell’appalto pubblico, non appare impensabile che, in concreto, si possano verificare dei provvedimenti risolutori da parte anche di altre stazioni appaltanti, diverse da quelle nei confronti delle quali siano stati commessi i reati di cui all’art. 135 del D. Lgs. 163/2006. Infatti, il venir meno per tali ragioni dei requisiti generali, e dunque giungendo alla decadenza dall’attestazione di qualificazione, potrebbe portare qualsiasi altra amministrazione committente con la medesima impresa alla risoluzione come atto dovuto di ogni singolo contratto in eventuale esecuzione fino al momento della decadenza.

 

D’altra parte, però, a rafforzamento della tesi contraria alla caducazione dei contratti per decadenza della qualificazione, non và neanche sottovalutato che l’art. 91 d.p.r. n.207/2010 sia l’unica disposizione del Regolamento in cui il legislatore abbia offerto elementi per valutare gli effetti della decadenza dell’attestazione sugli appalti in corso di esecuzione; infatti, il comma 2 stabilisce che durante l’esecuzione dei lavori, le stazioni appaltanti verificano, attraverso il casellario informatico, che non sia intervenuta nei confronti dell’esecutore e del subappaltatore la decadenza dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci. Ove sia intervenuta la decadenza dell’attestazione dell’esecutore, si procede ai sensi dell’art. 135, comma 1-bis, del Codice; ove sia intervenuta la decadenza dell’attestazione del subappaltatore, la stazione appaltante pronuncia la decadenza dell’autorizzazione di cui all’art. 118, comma 8, del Codice, dandone contestuale segnalazione all’Osservatorio per l’inserimento nel casellario informatico.

 

La norma appare pienamente coerente con quanto già disciplinato nell’art. 135, comma 1 –bis del Codice, infatti per le stazioni appaltanti ( diversamente dalle SOA) è statuito il preciso obbligo di verifica della sola decadenza generata dalla falsa documentazione o dalle dichiarazioni mendaci dell’esecutore, annotate nel casellario informatico.

 


 

4. L’ipotesi della decadenza dell’attestazione SOA per falsità: conseguenze per le future gare ad evidenza pubblica ed effetti sui contratti in esecuzione.

 


 

Il quadro giuridico legato alla decadenza dell’attestazione di qualificazione per falsità dichiarata o presentata, pur mantenendo legame logico con l’analisi sin qui compiuta, apre un altro scenario di diversa e innovativa portata.

 

Il d.m. Infrastrutture n. 272/2007 aveva già avviato la fase delle verifiche sulle attestazioni rilasciate dalle SOA fino all’entrata in vigore del Codice degli appalti pubblici. Diverse imprese sono state destinatarie di provvedimenti di decadenza dell’attestazione, temporibus illis rilasciata, per la presenza riscontrata di certificazioni (rilasciate sia dal committente pubblico, come da quello privato) non veritiere. La questione interpretativa più spinosa ha riguardato la possibilità per l’impresa destinataria della decadenza della attestazioni di potersi o meno riattestare per continuare la propria attività in rapporto al settore pubblicistico degli appalti.

 

L’Autorità per la vigilanza, pertanto, è intervenuta nella problematica con la Determinazione n. 3 del 3 giugno 2010 “Procedimento per il rilascio del nulla osta a nuova attestazione di qualificazione SOA su istanza dell'impresa cui sia stata dichiarata decaduta l'attestazione a seguito di accertamento di false dichiarazioni; indicazioni interpretative dell'articolo 17, comma 1, lett. m) del D.P.R. 25 gennaio 2000, n.34”.

 

Nella Determinazione vengono affermati, fra gli altri, i seguenti principi:

 

a) la competenza esclusiva dell’Autorità per ogni valutazione in ordine alle procedure di riattivazione dell’attestazione;[6]

 

b) l’Autorità è, dunque, destinataria delle istanze di nuova attestazione e svolge il procedimento in contraddittorio sia con l'impresa interessata sia con la SOA che ha rilasciato l'attestazione poi decaduta;

 

c) ne consegue che alle SOA non viene lasciata alcuna competenza in ordine alle valutazioni sull’imputabilità del falso.

 

L’imputabilità all’impresa della falsità documentale, che preclude, prima del decorso di un anno, il conseguimento di una nuova attestazione, è intesa dall’Autorità nella citata Determinazione in termini di riferibilità soggettiva e oggettiva del fatto all'impresa che ha compiuto l'azione con violazione degli ordinari parametri dei doveri di diligenza.

 

Occorre, allora, entrare nel merito della questione del falso nella documentazione o nella dichiarazioni presentata da un’impresa alla SOA per l’ottenimento della relativa attestazione.

 

4.1. Rilevanza obiettiva del falso nella dichiarazione o nella documentazione per l’ottenimento del’attestazione di qualificazione.

 


 

Di per sé, la presentazione di certificati rilasciati da committenti pubblici o privati significa null’altro che quei requisiti speciali indicati per le lavorazioni de quibus non sarebbero stati maturati e quindi non sono posseduti all’atto della istanza presentata dall’operatore economico. Tale falso assume una sua rilevanza oggettiva, cioè comporta necessariamente la decadenza dell’eventuale attestazione (o delle attestazioni) rilasciata dalla SOA sulla base del documento poi verificato come falso. Il che si risolve, infatti, nella mancanza del requisito speciale richiesto dall’art. 79, comma 5 del d.p.r. n. 207/2010.

 

La rilevanza obiettiva del falso si spiega in ragione del concetto di falsità assunto ormai da secoli dal diritto. Il falso, insegnava Francesco Carnelutti, “è contrario al vero; perciò come vero, è attributo di un giudizio, non di un fatto”;[7] in altra visuale, un fatto è vero o falso “in quanto sia idoneo a determinare un giudizio vero o falso. (..). Un brillante chimico si dice falso perché par vero e così è atto a esser preso per un brillante naturale”. Se il fatto serve dunque a fornire ragioni al giudizio che si va formando, allora, conclude Carnelutti, quel fatto è una prova: “perciò l’attributo di verità o di falsità si trasferisce dai giudizi alle prove”. Inoltre, una prova falsa può far scaturire un falso giudizio: in tal senso, il falso diviene inganno: “inganno non è il falso giudizio, cioè l’errore, ma la attività diretta a generarlo; perciò falso e inganno sono due tappe della strada che mette capo all’errore. (…). Perciò, ancora, il falso può essere o non essere accompagnato dall’inganno”.[8]

 

La falsa dichiarazione e la falsa documentazione presentate ai fini della qualificazione sono classificabili, come le prove, rispettivamente in: falso personale e reale; falso storico testimoniato nella dichiarazione e falso storico suggellato nella prova documentale.[9] Ma se, con riguardo al falso storico documentale, si avesse un falso in contrassegno, -“cioè segno messo per distinguere una cosa da un’altra (Petrocchi)”[10] – allora quel falso avrebbe – come la prova - la natura di falso critico in quanto riguarderebbe la sua funzione non rappresentativa ma indicativa: la differenza sta in ciò “che il fatto rappresentativo costituisce un equivalente sensibile del fatto rappresentato e così lo fa presente in quanto determina sensazioni analoghe mentre il fatto semplicemente indicativo si ricollega al fatto indicato attraverso il raziocinio: se io mostro il ritratto di una persona la rappresento, se ne pronunzio il nome la indico”.[11]

 

4.2. Decadenza della SOA per falso: effetti e conseguenze sui requisiti generali.

 


 

Oltre alla rilevanza obiettiva da cui scaturisce l’obbligo di decadenza dell’attestazione rilasciata su quelle fondamenta a cui mancano le ragioni del vero, quel disconoscimento del certificato potrebbe anche significare che l’impresa, ove le fosse imputato il falso, sia incorsa perciò parallelamente nel falso previsto dall’art. 78, comma 5 del regolamento (che rimanda logicamente all’art. 38 lett. m-bis) del Codice). Quest’ultimo caso comporterebbe, in aggiunta alla decadenza della singola attestazione in corso, anche l’impossibilità per quell’impresa di potersi riattestare prima di un anno. Il regime temporale di un anno è la delimitata sanzione interdittiva finalmente sancita dal comma 5 dell’art. 78 del regolamento, che ha risolto così una spinosa problematica che era sorta in rapporto alla vigenza dell’art. 17 comma 1, lett. m, del d.p.r. 34/2000 (ove si richiedeva solamente e senza indicazioni temporali la: “inesistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione agli appalti e per il conseguimento dell'attestazione di qualificazione”) e sulla quale aveva posto un certo rimedio la Determinazione n. 3/2010.

 

La mancanza, perciò, del requisito generale non solo comporta l’impossibilità di riattestazione per un anno dall’iscrizione nel casellario informatico del dato relativo alla decadenza dell’attestazione per falso (sempre che il falso sia valutato come imputabile all’impresa), ma anche la perdita del requisito generale, con la conseguenza del divieto di continuare ad operare nell’ambito pubblicistico degli appalti di lavori. Decorso il periodo di un anno, quindi, l’impresa, rivolgendosi alla SOA, può ottenere una nuova attestazione.

 

Nei casi in cui fosse valutata la non imputabilità del falso ad un’impresa, quest’ultima, proprio perché non vi sarebbe alcuna perdita del possesso dei requisiti generali, potrebbe riottenere il provvedimento di riattestazione a sèguito di una immediata istanza alla SOA, ma – va tenuto ben presente – non potendo presentare il certificato disconosciuto e quindi non possedendo i relativi requisiti speciali da esso ottenibili.

 

4.3. La gradualità della colpevolezza. La novella del Decreto sviluppo. Conseguenze: verifica ex officio della colpa grave o dolo da parte dell’Autorità ai fini della sanzione interdittiva annuale per il riottenimento dell’attestazione.

 


 

Alla luce di quanto sinora esaminato, si può quindi affermare la differenza concettuale che esiste tra l’oggettività del falso - che ricade sulla mancanza di requisiti speciali e a seguito della quale deve senz’altro essere dichiarata la decadenza dell’eventuale attestazione rilasciata sulla base del certificato appunto disconosciuto -, e l’imputabilità del falso, che dispiega i suoi effetti patologici sul possesso dei requisiti generali.

 

E su questa differenza assume una certa rilevanza l’intervento del cd. Decreto sviluppo; in particolare, nell’art. 38, alla lett. m-bis) viene ora compiuto il rinvio all’art. 40, comma 9-quater del Codice, il quale a sua volta ex novo inserisce una importante gradazione della colpevolezza ai fini della iscrizione nel casellario e quindi della conseguente interdizione annuale per l’impresa: il comma 9-quater ora prevede espressamente[12] che in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, ai fini della qualificazione, le SOA ne danno segnalazione all'Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell' esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi dell'art. 38, comma 1, lettera m-bis), per il periodo di un anno, decorso il quale l'iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.[13]

 

Tale precisazione determina almeno due importanti conseguenze. Vediamone i rispettivi tratti.

 

Si consideri che il TAR - Lazio, Sez. III, 8 settembre 2010, n. 32138, proprio in relazione alla decadenza dell’attestazione disposta dall’Autorità con conseguente imputabilità del falso all’impresa stessa, ha affermato che “la perdita del requisito di cui all'art. 17 comma 1, lett. m), d.P.R. n. 34 del 2000, con conseguente decadenza di tutte le attestazioni successivamente conseguite dall'impresa in carenza di detto requisito, postula non solo la produzione in sede di richiesta di rilascio di attestazione di documentazione falsa ma anche la riferibilità soggettiva del fatto all'impresa richiedente a titolo di dolo o colpa, nozione quest'ultima qualificabile in termini di violazione di doveri di diligenza. In sostanza, è richiesto che l'impresa sia consapevole della falsità della documentazione e l'abbia nondimeno utilizzata ovvero sia incorsa in un comportamento negligente nell'accertare la non veridicità della documentazione prodotta. In tale contesto, quindi, non è individuabile alcun automatismo tra il fatto materiale della produzione di documentazione falsa e perdita del menzionato requisito generale, per cui sia la determinazione dell'Autorità che si è basata su tale automatismo sia la conseguente decadenza dalle attestazioni risultano in palese contrasto con il disposto dell'art. 17 comma 1, lett. m) , d.P.R. n. 34 del 2000”.

 

Con tale pronuncia era stato già segnato un allontanamento in sede interpretativa da una sorta di meccanicismo intorno al quale l’Autorità per la vigilanza aveva costruito l’impianto logico-giuridico della Determinazione n. 3 del 2010; infatti, l’Autorità aveva espressamente indicato che “l’impresa che ritenga di non essere responsabile della produzione documentale non veritiera ha la possibilità di tornare ad operare nel settore dei contratti pubblici in un momento anteriore alla scadenza del periodo interdittivo di un anno (…) dimostrando la sua totale estraneità alla accertata alterazione documentale e/o falsa dichiarazione”. Il che, in altre parole, stava a significare che, secondo la Determinazione, il periodo interdittivo annuale sarebbe comunque scattato in presenza di un falso avente rilevanza oggettiva, a prescindere da ogni valutazione mossa ex officio dall’Autorità medesima circa l’imputabilità o meno di quel falso all’impresa. Decaduta l’attestazione SOA a causa della rilevanza oggettiva del falso, per l’Autorità sarebbe stata avviata d’ufficio anche l’annotazione al casellario con la conseguente perdita del requisito generale, tale da determinare il fermo dell’impresa per l’anno successivo all’iscrizione; onde evitare tale conseguenza e per ottenere una riattestazione, l’impresa avrebbe dovuto in quella sede riattestativa petire all’Autorità la verifica della non imputabilità del falso e solo in tal caso, riottenere così infra annum la nuova qualificazione richiesta.

 

Recependo l’orientamento medio-tempore seguito dai giudici, la L. n. 106/2011 con l’inserimento del comma 9-quater all’art. 40 del Codice e della nuova lett. m-bis) all’art. 38 ha fissato l’obbligo per l’Autorità di verificare il quantum della colpevolezza dell’impresa nella produzione o dichiarazione del falso per l’ottenimento dell’attestazione SOA. E solo a seguito di tale verifica esperibile ex officio dall’Autorità scatterà o meno l’interdizione annuale; quindi, a livello giuridico-astratto, cade la necessità della richiesta da parte dell’impresa per la verifica dell’imputabilità del falso (essa, in concreto, comunque richiederà la nuova attestazione e in quella sede anche l’accertamento della non colpevolezza): l’Autorità dovrà esaminare da sé tale sussistenza della colpevolezza almeno gravosa ai fini dell’inserimento nel casellario e del conseguente obbligo interdittivo annuale. Quindi, l’impresa, la cui attestazione SOA sia decaduta per falso:

 

- se voglia riattestarsi, potrà richiedere subito all’Autorità il procedimento per ottenere una nuova SOA e l’Autorità verificherà il grado di imputabilità del falso; se quest’ultimo sarà assente, la qualificazione sarà concessa senza il fermo di un anno;

 

- l’Autorità, pronunciata la decadenza dell’attestazione per rilevanza oggettiva del falso, non potrà, invece, iscrivere contestualmente e per ciò solo l’impresa nel casellario mettendo così in moto l’annuale interdizione, ma dovrà prima verificare l’eventuale sussistenza del dolo o colpa grave dell’impresa nella falsità già dedotta.

 

4.4. Segue: delimitazione del concetto di colpa grave.

 


 

Un secondo elemento importante che scaturisce dalla novella operata dal Decreto sviluppo, riguarda il concetto di colpa grave che comunque l’Autorità sarà chiamata a verificare. Non ogni omissione significa gravità della colpa: per fare un esempio riguardante la gara ad evidenza pubblica che è di più immediata percezione, si pensi in fase di prequalifica alla mancata allegazione da parte dell’operatore economico del DURC. Diversi sono i riflessi nel caso in cui al momento della presentazione della documentazione il DURC - non allegato - fosse comunque regolare, rispetto all’ipotesi nella quale al momento di scadenza della presentazione dei requisiti fossero presenti nel documento omesso talune gravi irregolarità. La condotta in entrambe le ipotesi è omissiva, ma l’elemento soggettivo è nettamente distinto: nella prima ipotesi, in re ipsa, mancherebbe l’intento ingannevole e, se già sarebbe stato un salto logico far conseguire alla legittima esclusione anche la falsa dichiarazione in gara realizzata mediante la condotta omissiva, con l’odierno vincolo di verificare la gradualità della colpevolezza appare anche un salto giuridico reputare colpa grave la mancata allegazione (comunque dannosa per la sola impresa in quanto di certo esclusa legittimamente dalla gara) di un documento comunque regolare.

 

Attesa l’importanza di tali novelle legislative operate nel Codice all’art. 38 e all’art. 40, occorre allora muovere la presente analisi su un conseguente aspetto.

 

La questione riguarda la delimitazione del concetto di gravità della colpa nell’esaminare la condotta di un’impresa, realizzata attraverso i suoi organi, nell’ottenimento di una attestazione di qualificazione. In altri termini, avendo il legislatore della L. n. 106/11 introdotto come elemento discriminante l’imputabilità almeno per colpa grave del falso dichiarato o presentato, occorre meglio approfondire tale grado di colpevolezza di non facile oggettivazione.

 

La colpa grave è una matrice civilistica; si parte dall’art. 1176 cod. civ., il quale disciplina la cd. diligenza nell'adempimento dell'obbligazione: il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. L’inosservanza di tale criterio deontologico e rispondente al principio della diligentia in abstracto,[14] costituisce la cd. colpa lieve.[15] L’aggettivo di gravità della colpa appare nell’art. 2236 cod. civ., da leggersi in via di complementarietà e non di specialità con l’art. 1176 (Cass. 15 gennaio 2001, n. 499); esso, con riguardo all'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, in cui la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata, introduce il concetto di colpa grave per indicare quando risponda dei danni il prestatore d’opera nel caso in cui la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

 

Alla luce di quanto ora accennato, si può dedurre che la colpa grave consiste in una negligenza, imprudenza, imperizia particolarmente intensa; ma, dal momento che la locuzione “colpa grave” è una specie di norma in bianco, tale requisito va analizzato facendo riferimento alla giurisprudenza, (soprattutto quella contabile)[16] che giunge a pronunce di condanna nei casi di errori inescusabili oppure nei casi di omissioni o ritardi ingiustificati.

 

Dalla giurisprudenza civilistica emerge che si ha colpa grave anche quando l’agente non faccia uso della diligenza, della perizia e della prudenza professionali esigibili in relazione al tipo di servizio pubblico o ufficio rivestito” (Cassazione civile sez. I 25 febbraio 2009, n. 4587). Con riferimento, invece, al criterio adottato in via generale dalla giurisprudenza della Corte dei Conti per la sussistenza della responsabilità amministrativa, lo scenario da cui desumere aspetti che riempiano il concetto di gravità della colpa anche in ambito privatistico sono più numerosi. Ovviamente, in questa sede per leggere la gravità della colpevolezza da parte di un soggetto che rappresenta un’impresa, occorre slegare la colpevolezza dal tenore pubblicistico e confermarne i tratti alla condotta dell’operatore economico; con tale accorgimento, perciò, si può dire che la colpa grave “non sussiste in presenza di una mera violazione di norma, ma va individuata nell'atteggiamento di grave disinteresse nell'espletamento delle proprie funzioni, di negligenza massima e di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti, nonché nell'agire senza le opportune cautele, senza il rispetto delle comuni regole di comportamento e senza osservare quel grado minimo di diligenza che tutti, comprese le persone al di sotto della media sociale, quanto a cautela e diligenza, sono in grado di usare” (C. Conti, reg. Veneto, sez. giurisd., 10 febbraio 1997, n. 71). E ancora: “colpa grave va ravvisata nella sprezzante trascuratezza dei propri doveri, resa ostensiva di un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza, ovvero ad una particolare noncuranza degli interessi dell'ente amministrato, o, ancora, a grossolana superficialità nell'applicazione delle norme di diritto” (C. Conti, sez. III, 16 aprile 1998, n. 114).

 

Dal versante penalistico si possono ottenere altrettanti elementi per inquadrare la gravità della colpa nella condotta di un’impresa. Certi del fatto che “nessuna differenza ontologica si ravvisa la colpa penale e colpa civile”,[17] a proposito della dimensione soggettiva della colpa, sussistono diversi indici per stabilirne la maggior o minore gravità: 1) la colpa cosciente si caratterizza per il quantum di previsione:[18]con la previsione dell’evento da altamente probabile a certo, si ha il conseguente passaggio dalla colpa cosciente al dolo; 2) va considerato il quantum che deve essere richiesto circa l’osservanza delle regole da parte dell’agente, in relazione a specifiche qualità o competenze; 3) l’evitabilità e il quid della divergenza con lo specifico dovere.

 

4.5. Conclusione in relazione al comma 1-bis dell’art. 135 del Codice. Obbligo di risoluzione del contratto.

 


 

Se ai fini partecipativi in gara è fondamentale l’assenza dell’interdizione annuale per il riottenimento dell’attestazione SOA, nella fase dell’esecuzione il Codice pone un vincolo chiaro e stringente: ai fini dell’art. 135, comma 1-bis non rileva l’imputabilità o meno del falso, ma unicamente la rilevanza obiettiva in forza della quale automaticamente l’attestazione di qualificazione ottenuta con quell’atto, certificato o dichiarazione individuati come falsi, sia venuta meno dal mondo del diritto. E così, la risoluzione del contratto d’appalto dovrà sorgere altrettanto obbligatoriamente da parte della Committenza.
____________________________________________
[1] Per frode si intendono, ovviamente, le tipiche ipotesi di frode fiscale, processuale, in pubbliche forniture; ma rientrano nell’ambito concettuale fissato dall’art. 135 del Codice anche quei reati commessi con l’inganno, quali, ad esempio, la truffa, la turbativa d’asta, la corruzione, e altri; sull’argomento cfr. albonetti, degli espositi, manara, Le patologie nei lavori pubblici, Rimini, 2005, pp. 88 e ss.. Sul concetto di frode si rinvia a quanto verrà detto più avanti con riferimento alla teoria del falso di Francesco Carnelutti.

Per quanto riguarda l’individuazione soggettiva del destinatario del provvedimento di condanna, credo si possa interpretare la norma che parla solo di “appaltatore”, comprendendo, altresì, il direttore tecnico.

[2] A tale ipotesi, la norma in esame affianca altre tre situazioni:

- nell’emanazione di un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una o più misure di prevenzione;

- nel passaggio in giudicato di una sentenza per frode;

- nella violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro.

[3] E’ il caso che ha esaminato e giudicato il T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, sentenza n. 4105/2010: “la resistente (…) ha disposto l’annullamento delle due aggiudicazioni definitive e dell’autorizzazione ad eseguire i lavori in subappalto solamente tendendo conto che la società ricorrente per un periodo temporale di nove mesi non era in possesso della prescritta attestazione, in palese contrasto con la disciplina del richiamato arti 21 nonies della L. n.241/1990, atteso che, come chiarito dal consolidato orientamento giurisprudenziale in merito (ex plurimis CS, sez. VI, n.4812/2009) l’annullamento del provvedimento illegittimo non può essere disposto per la sola esigenza di ristabilire la legalità dell'azione amministrativa, posto che tale interesse, pur rilevante, deve essere comparato con altri interessi posti a tutela della stabilità delle relazioni giuridiche, anche se basate su provvedimenti illegittimi, con la conseguenza che l’annullamento d'ufficio è un provvedimento discrezionale, che può essere disposto quando sussistano ragioni di pubblico interesse all'eliminazione del provvedimento”.

[4] Sul punto mi permetto di rinviare al mio L’art. 38 del Codice degli appalti: la natura del divieto di stipulare, in Rivista Trimestrale degli Appalti, n. 3/2010, pp. 952-965.

[5] pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie Generale – n. 92 del 21 aprile 2011.

[6] Tale assioma in ordine alla competenza contrasta chiaramente con la posizione dei giudici amministrativi emersa in specie nella Decisione del Cons. Stato, sez. V, n. 7646/2010 che, invece, vede competenti anche le SOA ad accertare l’eventuale imputabilità del falso nel procedimento finalizzato alla riattestazione dell’impresa medesima.

[7] F. Carnelutti, Teoria del falso, Padova 1935, p. 3.

[8] F. Carnelutti, Teoria, p. 29.

[9] F. Cordero ridefinisce la dicotomia carneluttiana delle prove storiche (testimonianza, che è narrazione, e documento, che rappresenta) e prove critiche: “Le prove cosiddette storiche non esistono allo stato naturale. Sono prodotti umani, nati da operazioni intese a comunicare qualcosa (…). Conviene, dunque, ridurre la classe carneluttiana delle “prove storiche” alle soli funzioni narrative” (Procedura penale, Milano 2006, pp. 581 e 585). Oltre alle funzioni narrative, Cordero individua le funzioni induttive: “Sul piano sintattico gli argomenti induttivi sono delle implicazioni: innumerevoli esperienze escludono che, dato x, non avvenga y)” (ibidem, pp. 592). Dunque, le due classi delle prove per Cordero sono le funzioni narrative e critiche: “presupponendo che il giudice le valuti: letti i documenti e ascoltati i testimoni, li crede o no; davanti agli indizi, calcola le probabilità. I qualificatori “credibile” e “probabile” implicano questioni aperte: ex ante nessuno sa quanto valga il testimone o conti l’indizio; spetta al valutante stabilirlo e nei due casi lavora diversamente; sulla “fede” concessa o negata al narrante influiscono fattori sub razionali; niente d’alogico negli argomenti induttivi” (ibidem, p. 596).

[10] F. Carnelutti, Teoria, p. 10.

[11] F. Carnelutti, Teoria, p. 10.

[12] recependo quanto aveva già indicato la giurisprudenza amministrativa e tenendo presente quanto già il regolamento ha previsto; sulla falsità dei dati e documenti, il comma 18 dell’art. 79 indica per le SOA la procedura da seguire, che è la seguente:

a) fase di richiesta di attestazione presentata dall’impresa alla SOA.

Importante è notare che le SOA anche nell’ipotesi di certificati lavori ininfluenti per la specifica categoria richiesta non rilasciano l’attestazione di qualificazione ai soggetti che, ai fini della qualificazione, hanno presentato documentazione falsa in relazione ai requisiti di ordine speciale ex art. 79. Dunque, non è richiesta la valutazione in capo alle società d’attestazione circa l’afferenza di quanto presentato rispetto a quanto richiesto. Immediatamente, le SOA ne danno segnalazione all’Autorità che ordina l’iscrizione nel casellario informatico di cui all’art. 8, ai fini dell’interdizione al conseguimento dell’attestazione di qualificazione, per un periodo di un anno, decorso il quale l’iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.

b) Ipotesi in cui la falsità della documentazione sia rilevata in corso di validità dell’attestazione di qualificazione.

In tal caso la falsità acclarata, anche nell’ipotesi di certificati lavori ininfluenti per la specifica categoria richiesta, comporta la pronuncia di decadenza dell’attestazione di qualificazione dell’impresa da parte della SOA che ne dà comunicazione all’Autorità, ovvero da parte dell’Autorità in caso di inerzia della SOA. Conseguentemente, l’Autorità ordina l’iscrizione nel casellario informatico di cui all’articolo 8, ai fini dell’interdizione al conseguimento di una nuova attestazione di qualificazione, per un periodo di un anno, decorso il quale l’iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.

[13] Un parallelo percorso logico, imperniato sull’elemento soggettivo, il legislatore della L. n. 106/11 lo segue per le false dichiarazioni presentate in gara dall’operatore economico: direttamente collegato al comma 1 lett. h) dell’art. 38, il successivo comma 1-ter dispone che in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all’Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1, lettera h), per un periodo di un anno, decorso il quale l’iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.

[14] Di Majo, Obbligazioni, I, in Enc. Giuridica Treccani, pp. 72 ss.

[15] Cian-Trabucchi, Commentario al Codice Civile, Padova, sub art. 1176.

[16] Su tale esigenza di rivestire il concetto di gravità della colpa, cfr. C. Conti, reg. Lombardia, sez. giurisd., 03 luglio 2008, n. 453.

[17] F. Mantovani, Diritto penale, Padova 1992, p. 355.

[18] F. Mantovani, ivi, cfr. per i criteri di graduazione pp. 355-357.

 

(pubblicato il 20.7.2011)

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