 |
|
 |
 |
n. 9-2011 - © copyright |
PIETRO QUINTO
|
|
L’onerosità del ricorso
straordinario: il prezzo per la giurisdizionalizzazione
Sommario
1. Premessa.
2. La «prudenza» del
Codice del processo amministrativo, la sentenza delle SS.UU. della
Cassazione e la decisione del Consiglio di Stato.
3. Le ulteriori
dispute sull’inquadramento dell’istituto.
4. La legge 15 luglio
2011 n. 111: un riscontro definitivo ed una contraddizione.
5.
L’opportunità di una integrazione del primo decreto correttivo al
c.p.a..
6. Un impegno nel 180° della istituzione del Consiglio di
Stato.
1. Premessa
E’ forse una fortunata
coincidenza che, nello stesso anno in cui si celebra il 150°
dell’Unità d’Italia ed il 180° anniversario dell’istituzione del
Consiglio di Stato, si possa ritenere concluso nel quadro di
«sistema giustizia» il processo evolutivo di un istituto: il ricorso
straordinario al Capo dello Stato, sorto nel Regno di Sardegna
all’epoca della monarchia assoluta (successivamente recepito nella
legislazione dello Stato unitario), che, proprio attraverso la
successiva creazione del Consiglio di Stato (Regio Editto 18 agosto
1831 di Carlo Alberto) chiamato ad esprimere pareri su ricorsi in
materie giuridiche, acquisiva vera e propria veste giustiziale. Fu
la legge del Regno di Sardegna 30 ottobre 1859, n. 3707 a dare la
prima regolamentazione all’istituto, prevedendo il parere
obbligatorio del Consiglio di Stato in ordine al ricorso
straordinario al Re, differenziandolo dal ricorso al Re in via
gerarchica. Con la legge del 20 marzo 1865, n. 2248, all. D, sul
Consiglio di Stato, fu riprodotta la legge del 1859, aggiungendovi
l’obbligo di sentire il Consiglio dei Ministri ove si intendesse
adottare un provvedimento difforme dal parere reso dal Consiglio di
Stato.
Da quell’epoca la vicenda del ricorso straordinario ha
attraversato, nella sua evoluzione storica, trasformazione e
qualificazione, tutta la storia d’Italia. E’ sopravvissuto a
qualsiasi tentativo di soppressione, espressa o implicita. Ha
superato indenne l’avvento della Costituzione repubblicana ed il
mutato regime costituzionale (1). Ha subito la crisi degli anni ’50,
con le prime pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
che disconoscevano il giudizio di ottemperanza alla mancata
esecuzione delle decisioni straordinarie. Ha ricevuto nuova linfa
con la riforma di cui al decreto legislativo 1199 del 1971. E’
tornato a «nuova vita», in un contesto giuridico ultranazionale,
dapprima per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia,
e, quindi, con l’entrata in vigore della legge n. 69 del 2009, che
ha adeguato l’istituto alle disposizioni della CEDU e alle regole
fondanti lo Stato di diritto.
Tutto ciò peraltro non è servito a
sopire le contrastanti interpretazioni ed i diversi orientamenti
della dottrina e della giurisprudenza - a tutti i livelli – sulla
natura formale e sostanziale dell’istituto, e, soprattutto, sulla
sua giurisdizionalizzazione.
Ed è per questo che, in ripetuti
interventi alla vigilia dell’entrata in vigore del Codice del
processo amministrativo (2), auspicavo che il redigendo Codice, pur
nei limiti della delega riferita al processo innanzi al TAR ed al
Consiglio di Stato, ma comprensiva degli adeguamenti di natura
giurisprudenziale e finalizzata ad una effettività di giustizia
secondo i principi del diritto europeo, fornisse una «parola
chiarificatrice» sul destino del ricorso straordinario al Capo dello
Stato, anche in relazione ai principi sanciti dagli artt. 6 e 13
della CEDU.
In effetti, il c.p.a. ha solo in parte soddisfatto
quella esigenza di chiarificazione, non citando espressamente il
ricorso straordinario nell’ambito della disciplina del giudizio di
ottemperanza previsto dall’art. 112. Va ricordato però che sulla
bozza del codice il Senato aveva segnalato la «necessità di inserire
tra le decisioni da ottemperare con il rimedio disciplinato dalla
disposizione anche le decisioni straordinarie del Presidente della
Repubblica rese in regime dell’alternatività».
Il Governo recepì
tale osservazione, indicando nella Relazione che il rimedio
dell’ottemperanza fosse necessario per dare attuazione agli artt. 6
e 13 della CEDU che richiedono effettività di tutela «per le
decisioni la cui cogenza è equiparata a quella delle sentenze del
Consiglio di Stato irrevocabili». Il testo vigente dell’art. 112
nella sua formulazione letterale non ha però chiarito in quale
fattispecie far rientrare l’ottemperanza delle decisioni sul ricorso
straordinario.
Il c.p.a. si è occupato altresì del ricorso
straordinario all’art. 48 sulla trasposizione al TAR del ricorso
straordinario a seguito di opposizione, adoperando la medesima
espressione dell’art. 16, comma 2, sulla traslatio iudicii e
rimarcando che in sede straordinaria si svolge un «giudizio». Ha poi
innovato la disciplina della trasposizione attuando la parità delle
parti ed ammettendo che la richiesta possa essere formulata anche
dell’amministrazione e non soltanto dal controinteressato, in
coerenza con l’avvenuta soppressione del potere del Governo di
disattendere il parere del Consiglio di Stato, che costituisce,
dunque, il momento decisorio nel ricorso straordinario.
2.
La «prudenza» del Codice del processo amministrativo e la sentenza
delle SS.UU. della Cassazione.
La «prudenza» del c.p.a.
nell’affrontare la vexata quaestio non ha risolto le dispute
interpretative, sicchè si è reso necessario all’inizio del corrente
anno l’autorevole intervento delle Sezioni Unite della Cassazione e
dello stesso Consiglio di Stato, che, in perfetta sintonia (3) hanno
affermato l’esperibilità del ricorso d’ottemperanza per le decisioni
sul ricorso straordinario sul presupposto riconosciuto della
assimilazione di quella decisione ad una decisione
giurisdizionale.
Le Sezioni Unite, con circa 130 decisioni, non
solo hanno affermato la «regula iuris» che il giudizio
d’ottemperanza è ammissibile anche sulla decisione che abbia accolto
il ricorso straordinario (4), ma hanno altresì dedotto che, per
effetto del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato,
la decisione sul ricorso straordinario al Capo dello Stato «si
colloca nella ipotesi prevista alla lettera b) dell’art. 112, comma
2, e il ricorso per l’ottemperanza si propone ai sensi dell’art.
113, comma 1 dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si
identifica il giudice che ha emesso il provvedimento della cui
ottemperanza si tratta».
La sentenza delle Sezioni Unite si
conclude con un’altra affermazione di principio, che conferma il
carattere interpretativo/ricognitivo della evoluzione legislativa
dell’istituto, e che assume una notevole rilevanza pratica: «i
profili di novità tratti dalla legislazione sono di immediata
operatività a prescindere dall’epoca di proposizione del ricorso
straordinario».
Dopo pochi mesi dalla sentenza delle Sezioni
Unite, il Consiglio di Stato, (5) accogliendo un ricorso in
ottemperanza, ha espresso piena adesione al dictum della
Corte di Cassazione, ricostruendo l’evoluzione normativa
dell’istituto, ed affermando come non sia più dubitabile che il petitum proposto in sede di ricorso straordinario sia
perfettamente equiparabile (e produca lo stesso effetto) ad una
«domanda giudiziale». Con la conseguenza che «costituirebbe
inammissibile antinomia, ed aporia, un principio che negasse la
possibilità di esperire il rito dell’ottemperanza per ottenere che
l’amministrazione si conformi a detto decisum».
Il
Consiglio di Stato ha sottolineato che una diversa interpretazione
circa l’azionabilità con il giudizio di ottemperanza delle decisioni
sul ricorso straordinario colliderebbe con tutte le disposizioni
legislative succedutesi nel tempo e consacrate nella interpolazione
dell’art. 13 del D.P.R. n. 1199 del 1971, attraverso l’art. 69 della
legge n. 69 del 2009. Ciò comporterebbe - ha concluso il Consiglio
di Stato - il presupposto per la erosione e scomparsa dell’istituto,
contrariamente alla ribadita permanente operatività del
medesimo».
3. Le ulteriori dispute
sull’inquadramento dell’istituto
All’indomani dei citati
arresti giurisprudenziali, ritenuti da più parti un definitivo
riconoscimento sulla giurisdizionalizzazione del ricorso
straordinario, sono emerse posizioni critiche (6), che hanno
affermato «non chiara» la partita in ordine alla natura
dell’istituto, ritenendo irrisolte alcune problematiche.
In
particolare, con riferimento all’ottemperanza dei decreti decisori,
la citata dottrina ha ribadito la «dubia quaestio»
dell’inquadramento della fattispecie nella previsione dell’art. 112,
comma 2, lett. b) del c.p.a. che fa riferimento alle «sentenze
esecutive e agli altri provvedimenti esecutivi del giudice
amministrativo», ponendo in discussione le conclusioni delle Sezioni
Unite.
E’ stato osservato – ed anche chi scrive aveva in
precedenza obiettato nella medesima direzione – che, nel silenzio
del c.p.a., il riferimento più appropriato fosse la disposizione di
cui alla lett. d) dell’art. 112, quale fattispecie da utilizzare per
l’estensione dell’ambito di applicazione del giudizio di
ottemperanza ai ricorsi straordinari.
Differenza di non poco
conto, atteso che in tal caso, ai sensi dell’art. 113, 2° comma, la
competenza a decidere il ricorso spetterebbe al TAR «nella cui
circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui
si è chiarita l’ottemperanza».
E’ stata quindi evidenziata una
contraddizione nel ragionamento delle Sezioni Unite: la
qualificazione del decreto decisorio come «provvedimento equiparato
a sentenza», che servirebbe a sostenere la assimilazione ad un
rimedio giurisdizionale del ricorso straordinario, comporterebbe una
conseguenza difficile da seguire: «a decidere sul ricorso di
ottemperanza sarebbe il TAR (TAR Lazio?), ossia un organo che non è
affatto intervenuto nel decidere “il merito” della vicenda e che
sarebbe curioso che di esso decidesse in sede di esecuzione»
(7).
Sicchè, solo per evitare tale aporia le Sezioni Unite
avrebbero utilizzato quale riferimento normativo la lett. b)
dell’art. 112 del codice: “con ciò tuttavia forzando il tenore
letterale della norma, che parla di provvedimenti resi «dal giudice
amministrativo».
A questo rilievo è stato risposto, sempre a
livello dottrinario, e con motivato ripensamento dell’autore di
questa nota, con due diverse impostazioni.
L’indirizzo seguito
dalle Sezioni Unite - è stato affermato - ha inteso privilegiare e
riconoscere la natura di «giudice» al Consiglio di Stato in sede
consultiva. «A ben vedere dal confronto fra le espressioni
utilizzate dalla lettera b) o dalla lettera d) del comma 2 dell’art.
112, emergono due diverse prospettive: la prima valorizza
l’esecutività dei provvedimenti adottati dal giudice amministrativo.
La seconda valorizza la definitività e dunque il giudicato ponendo a
confronto le sentenze passate in giudicato con i «provvedimenti ad
essa equiparati». In pratica, secondo questa prospettazione, le
Sezioni Unite avrebbero preferito la qualifica dei decreti decisori
come provvedimenti esecutivi, ma non come provvedimenti passati in
giudicato. Con l’ulteriore sottolineatura che la sentenza delle
Sezioni Unite avrebbe continuato a rimarcare la differenza per il
rimedio straordinario e quello giurisdizionale «riconoscendo
l’attribuzione all’organo chiamato a decidere il primo di poteri
decisori analoghi, sebbene formalmente diversi rispetto a quelli della giurisdizione» (8).
L’altra impostazione,
propugnata da chi scrive, è che la collocazione della decisione sul
ricorso straordinario nella ipotesi della lettera b) dell’art. 112,
non solo esprime il riconoscimento delle Sezioni Unite
sull’ammissibilità dell’azione di ottemperanza per il ricorso
straordinario (non citato espressamente nel c.p.a.), ma contiene la
identificazione della natura decisoria del parere vincolante del
Consiglio di Stato. Sicchè è quella decisione, tradotta nel decreto
del Capo dello Stato, che costituisce il «provvedimento del giudice
amministrativo». Ed è a quel giudice, che ha emesso la decisione,
che occorre rivolgersi, ai sensi dell’art. 113, per proporre ricorso
di ottemperanza. «Non si tratta dunque del solo riconoscimento della
effettività di tutela anche nei riguardi del ricorso straordinario,
ma di un ulteriore elemento di valutazione per la natura
giurisdizionale della decisione resa da «un giudice
amministrativo».
4. La legge 15 luglio 2011 n. 111: un
riscontro definitivo ed una contraddizione
L’ampio ed
articolato dibattito sulla portata della sentenza delle Sezioni
Unite e sul percorso motivazionale che ha condotto la Suprema Corte
ad affermare l’esperibilità del ricorso di ottemperanza alle
decisioni del ricorso straordinario ha ricevuto una risposta (invero
inaspettata per la sede scelta: manovra economica) da parte del
legislatore. Ancora una volta, dopo il decisivo intervento
riformatore della legge 69 del 2009, una norma di diritto positivo
ha posto un sigillo anche nominalistico sulla natura del ricorso
straordinario.
Il riferimento è all’art. 33, comma 6, della legge
111 del 2011, che ha espressamente annoverato il ricorso
straordinario tra i rimedi del «sistema giudiziario», quale ricorso
proponibile (in unico grado) al Consiglio di Stato. Ed in virtù di
tale inquadramento il ricorso straordinario, al pari dei ricorsi al
TAR ed al Consiglio di Stato, è sottoposto alla disciplina del
«contributo unificato nel processo civile, amministrativo e
tributario». Ai sensi dell’art. 6 bis, il contributo per il ricorso
straordinario è di euro 600, al pari di quello dovuto per i ricorsi
al TAR ed al Consiglio di Stato, fatta salva la disciplina
derogatoria per alcune materie o riti speciali.
Siffatta
previsione, in disparte il merito della scelta del legislatore,
assume anche in questo caso una funzione ricognitiva e confermativa
della evoluzione legislativa dell’istituto, in coerenza con quanto
affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione circa l’applicabilità
del giudizio di ottemperanza «a prescindere dall’epoca di
proposizione del ricorso straordinario», avuto riguardo «ai profili
di novità tratti dalla legislazione».
Non può però essere
sottaciuta una considerazione: a caro prezzo viene finalmente
acquisito per l’istituto in questione il riconoscimento «di una
condizione comunque sostanzialmente equivalente alla
giurisdizionalità» (Sezioni Unite 2065/2011).
E’ stato
giustamente osservato che, dopo una storia plurisecolare e dopo
tante alterne vicende, le ragioni del permanere del ricorso
straordinario, «sotto il profilo sociologico-economico», sono da
individuarsi nei minori costi dell’opzione per tale istituto
rispetto ai costi molto elevati (ed oggi ancor più elevati) della
tutela giurisdizionale amministrativa e nella possibilità di
utilizzare un termine più lungo per ricorrere.
«In questa
prospettiva, può pertanto ritenersi che il ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica costituisca una «valvola di sfogo» per
una serie di vicende che trovano un sostanziale sbarramento al
ricorso alla tutela giurisdizionale» (9).
Emerge dunque una
contraddizione. Nel momento in cui viene rivitalizzata la funzione
del ricorso straordinario tra i rimedi del sistema giudiziario e si
realizza in termini di diritto positivo la sua definizione nel
sistema giustizia, si snatura una delle peculiarità del predetto
istituto, che, come rilevava la Corte Costituzionale nel 1986, in un
giudizio reso per conflitto di attribuzione, che riconfermava la
competenza dello Stato a decidere i ricorsi straordinari, «i singoli
interessati possono attivare con modica spesa, senza il bisogno
dell’assistenza tecnico-legale e con il beneficio dei termini di
presentazione del ricorso particolarmente ampi».
5.
L’opportunità di una integrazione del primo decreto correttivo al
c.p.a.
Va rimossa un’altra contraddizione.Come altre volte ho
osservato, il Codice non ha voluto affrontare ex professo il tema
del ricorso straordinario sia in relazione alla sua natura
sostanziale all’interno del «sistema giudiziario», sia in relazione
all’inquadramento del giudizio d’ottemperanza sulle decisioni emerse
in sede di ricorso straordinario. Solo entrando «nelle pieghe del
codice», ed a seguito delle interpolazioni operate dalle commissioni
parlamentari e dal Governo, si è pervenuti ad un’interpretazione
sistematica (Sezioni Unite e Consiglio di Stato) della normativa
codicistica, nel senso che l’effettività della tutela ed il rispetto
della CEDU imponevano di riconoscere l’esperibilità
dell’ottemperanza anche per le decisioni del ricorso
straordinario.
Non si può peraltro obiettare che il tema fosse
estraneo alla delega (art. 44), contenuta nello stesso corpo
normativo che, ormai pacificamente, attraverso le modifiche al
decreto legislativo n. 1199 del 1971, ha comportato la
riqualificazione dell’istituto per conformarlo ai principi CEDU. Ed
in effetti, a ben vedere, il c.p.a. ha finito per occuparsi
dell’istituto, ma soprattutto in termini limitativi. Dopo aver
escluso la sua applicabilità in alcune materie, (appalti, giudizi
elettorali, ecc.) caratterizzati dalla specialità del rito innanzi
al G.A., all’art. 7, comma 8, il c.p.a. ha sancito che il ricorso
straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla
giurisdizione amministrativa. Con ciò, in buona sostanza,
riconoscendo la “competenza” del codice di ricomprendere anche il
ricorso straordinario all’interno dell’intervento di riordino
normativo nell’ambito del processo amministrativo, ancorchè la
delega facesse riferimento espresso al processo avanti ai Tribunali
Amministrativi Regionali ed al Consiglio di Stato.
Si è trattato
peraltro di un intervento quanto mai necessario tenuto conto che il
Consiglio di Stato ha preso atto del mutamento della giurisprudenza
delle Sezioni Unite e, a sua volta, (10) ha ritenuto ammissibile il
giudizio di ottemperanza, rilevando che «l’effettività del
parallelismo e dell’alternatività dei due rimedi impone che tale
rimedio appresti un grado di tutela non inferiore a quello
conseguibile agendo giudizialmente».
D’altro canto se l’art. 112
del c.p.a., comma 2, lett. e) si è occupato del giudizio di
ottemperanza avverso i «lodi arbitrali», non si comprende la ragione
dell’omessa espressa considerazione delle decisioni del ricorso
straordinario.
Occorre ricordare che anche il riconoscimento
dell’ottemperanza per i lodi arbitrali è il risultato di un non
semplice percorso, che ha visto la giurisprudenza, soprattutto di
primo grado, divisa tra il ritenere tale rimedio applicabile anche
ai lodi arbitrali esecutivi e non più suscettibili di impugnazione,
ovvero l’escludere categoricamente che tale azione fosse esperibile
nei confronti di provvedimenti non propriamente «giurisdizionali»
(11).
Ed invero, a fronte di numerosi arresti giurisprudenziali
favorevoli, diverse pronunce avevano ritenuto inammissibili i
ricorsi di ottemperanza proposti per ottenere l’esecuzione dei lodi
arbitrali quand’anche divenuti inoppugnabili, sul presupposto che
l’esecuzione in forma coattiva è riservata a quelle decisioni
adottate unicamente da coloro che esercitano la funzione
giurisdizionale. Ed anche dopo la riforma del 2006, parte della
giurisprudenza amministrativa contestava fermamente che la pronuncia
degli arbitri potesse assumere la natura di decisione di merito da
parte di un organo giurisdizionale dello Stato od assimilabile a un
siffatto organo.
Ecco quindi l’importanza della scelta
codicistica, che ha superato il confronto giurisprudenziale dando
certezza all’utilizzo del rimedio dell’ottemperanza nei confronti
dei lodi arbitrali. Ed è anche per questa scelta che i giudici di
Palazzo Spada, con la recente decisione della Sez. V, 28 aprile 2011
n. 2542, hanno evidenziato la positiva evoluzione legislativa, che
ha attribuito al lodo gli effetti della sentenza pronunciata
dall’autorità giudiziaria, e la sua consacrazione ottenuta
dall’equiparazione operata dall’art. 112 comma 1, lett. e) del
Codice del processo amministrativo. La sentenza n. 2542 del 2011 ha
peraltro affermato l’utilizzo del rimedio dell’ottemperanza nei
confronti dei lodi arbitrali anche per il periodo anteriore
all’entrata in vigore del c.p.a..
Alla luce di siffatte
considerazioni, e soprattutto dell’evoluzione giurisprudenziale, che
ha assecondato l’opera di adeguamento legislativo dell’istituto, è
indispensabile – come già sostenuto in precedenti scritti – che il
decreto correttivo del c.p.a. affronta espressamente la questione
dell’esperibilità del giudizio di ottemperanza sulla decisione del
ricorso straordinario, inquadrandolo nell’ambito delle previsioni
dell’art. 112. Tale intervento è imposto dalle incertezze
manifestate nel dibattito dottrinario tutt’ora in corso, ma
soprattutto dal dovere di adeguare il c.p.a., così come entrato in
vigore, alle interpolazioni correttive del legislatore sul progetto
varato dalla commissione, ma, in definitiva, per dare piena
attuazione all’art. 44 della legge n. 69 del 2009. La delega ha sì
fatto riferimento al processo avanti ai tribunali amministrativi e
al Consiglio di Stato, ma rientra necessariamente in siffatta
previsione la circostanza che il «processo» avanti al Consiglio di
Stato è anche il giudizio (così denominato dal legislatore, che
pretende altresì un “contributo unificato”) che si svolge in forma
contenziosa attraverso il ricorso straordinario, e che è definito
con il parere-decisione del Consiglio di Stato. La delega peraltro
ha richiesto che il c.p.a. operi il riassetto del processo «al fine
di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte
Costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con
le norme di procedura civile in quanto espressione di principi
generali e di assicurare la concentrazione delle tutele». Orbene,
allorquando le Sezioni Unite della Cassazione, a proposito del
ricorso straordinario, affermano che «non si frappongono ostacoli di
ordine costituzionale al rimedio del giudizio di ottemperanza»; ed
affermano altresì che i profili di novità tratti dalla legislazione
sono di immediata operatività a prescindere dall’epoca di
proposizione del ricorso straordinario, ovvero di instaurazione del
giudizio di ottemperanza» in ragione della riqualificazione da dare ex tunc all’organo deducente, potendosi ravvisare un
giudicato anche per le decisioni emerse prima della riforma del
2009. Allorquando il Consiglio di Stato ha preso atto del mutamento
della giurisprudenza delle Sezioni Unite e, a sua volta, ha ritenuto
ammissibile il giudizio di ottemperanza, rilevando che
«l’effettività del parallelismo e dell’alternatività dei due rimedi
impone che tale rimedio appresti un grado di tutela non inferiore a
quello conseguibile agendo giudizialmente». Allorquando il Governo
ha sostanzialmente modificato il testo dall’art. 112, segnalando
nella sua relazione la lacuna del progetto del codice varato dalla
Commissione in ordine alla necessità di prevedere il rimedio
dell’ottemperanza «per le decisioni la cui cogenza è equiparata a
quella della sentenza del Consiglio di Stato irrevocabili». Infine,
tenuto conto che il legislatore, imponendo il contributo unificato
per il ricorso straordinario al pari del ricorso giurisdizionale al
Consiglio di Stato, ha espressamente annoverato quel rimedio
alternativo, proponibile in unico grado al Consiglio di Stato, tra i
rimedi del «sistema giudiziario», appare quanto mai opportuno che il
c.p.a. si adegui alla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori,
alla volontà del legislatore, ed attui, attraverso una puntuale
ricognizione dello strumento del ricorso straordinario la
«concentrazione delle tutele», e, come recita l’art. 1, una tutela
piena ed effettiva della giurisdizione amministrativa «secondo i
principi della Costituzione e del diritto europeo». Solo per
completezza, ed al fine di superare le residue obiezioni di coloro
(12) che hanno sostenuto l’impossibilità di ricondurre il ricorso
straordinario ad un paradigma costituzionale di riferimento,
ritenendo l’art. 100 Cost. non idoneo a legittimare tale istituto
come rimedio paragiudiziale, va evidenziato che la riqualificazione
dell’istituto (antecedente alla legge del 1889 sulla Sezione
Quarta), operata dal legislatore nella vigenza della Corte
Costituzionale, ha riconosciuto copertura costituzionale. L’istituto
infatti è stato richiamato da una disposizione di rango
costituzionale: lo Statuto siciliano, approvato con la legge
costituzionale n. 2 del 1948, all’art. 23 rubricato come «organi
giurisdizionali» ha attribuito il relativo potere decisorio al
Presidente della giunta regionale. E, come affermato dalla Corte
Costituzionale (13) un istituto disciplinato da uno statuto
regionale, approvato con legge costituzionale, per definizione non
può essere di per sé contrastante con la Costituzione. Non va
peraltro sottaciuto che la legittimità costituzionale del ricorso
straordinario disciplinato dall’art. 23 dello Stato siciliano fu
affermata con una formulazione di quella norma statutaria, e della
successiva disciplina di attuazione, che non prevedeva un parere
vincolante delle Sezioni regionali del Consiglio di Stato. Sicchè,
tutt’oggi, si discute se la novella della legge 69/2009 (come
sostenuto dalla Corte di Cassazione) operi direttamente sulla
normativa di attuazione dello Statuto siciliano ovvero si imponga
una modifica adeguatrice dell’art. 23 (14).
Tutto ciò a conferma
della urgenza di un intervento chiarificatore e di completamento
della disciplina codicistica del processo amministrativo che prenda
atto della «assimilazione» del ricorso straordinario a quello
giurisprudenziale «pur nella diversità formale del procedimento e
dell’atto conclusivo» al fine di assicurare quella «tutela
effettiva» che è l’obiettivo di fondo del sistema di giustizia
amministrativa.
6. Un impegno nel 180° della istituzione
del Consiglio di Stato
Nel corso di questi mesi sarà
ricordato il 180° anno di vita del Consiglio di Stato. Nelle
previste celebrazioni si farà riferimento anche al ruolo svolto dal
Consiglio di Stato che, ancor prima della giurisdizionalizzazione
della Quarta Sezione, rappresentò un presidio per incidere nel
sistema di «giustizia ritenuta» della monarchia assoluta e per
assicurare un principio di controllo di legalità sugli atti della
pubblica amministrazione.
«Come sottolineato da Bachelet e da
Cannada Bartoli, il ricorso straordinario al Capo dello Stato ebbe
la massima importanza nel periodo compreso tra il 1865 ed il 1889,
per la mancanza di alcun rimedio giurisdizionale contro gli «atti di
imperio» per la tutela degli interessi legittimi. Fin da allora, il
Consiglio di Stato già formulò pareri sulla illegittimità di atti
per difetto di motivazione» (15).
Non è cosa da poco per l’epoca
dell’assolutismo e della «rassegnazione» del cittadino, secondo
l’espressione «forte e raggelante», pronunciata da Stanislao Mancini
nel dibattito parlamentare del 1865 che portò all’approvazione della
legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
Ma, anche per
questo, il contributo del Consiglio di Stato di quell’epoca e
particolarmente nell’ambito del ricorso straordinario al Re, (al
quale fece riferimento, sotto la diretta influenza della legge del
1907, il parere reso in Adunanza generale nel 1° aprile 1909 n. 243
come un vero e proprio rimedio giurisdizionale), merita una doverosa
sottolineatura.
Muovendo da questa ricostruzione della nascita e
dell’evoluzione della gloriosa istituzione risulterà ancor più
efficace l’impegno assunto dal Presidente de Lise: l’obiettivo per
il futuro del Consiglio di Stato è che il giudice amministrativo non
perda «la capacità di cambiare rispondendo alle esigenze dei diversi
contesti storici e sapendo cogliere le evoluzioni della
società.
----------
(1) L’Assemblea Costituente,
attraverso gli interventi degli onorevoli Ruini e Tosato affermò
senza contrasti che il ricorso straordinario dovesse sopravvivere al
mutato regime costituzionale.
(2) P. Quinto: «Il preavviso di
ricorso» nella delega comunitaria e nel processo amministrativo»;
«Avvocati e processo amministrativo: speranza, contraddizioni e
qualche ingenuità»; «Il Codice e la giurisdizionalizzazione del
ricorso straordinario».
(3) P. Quinto: «Le Sezioni Unite: la
«giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario e l’azionabilità
del giudizio di ottemperanza»; «Consiglio di Stato e Cassazione,
d’accordo, rilanciano il ricorso straordinario».
(4) Cassazione
Civile, Sezioni Unite, 28 gennaio 2011, n. 2065; 7 febbraio 2011,
numeri da 2818 al 2939; 10 marzo 2011, n. 5684 e 28 aprile 2011, n.
9447.
(5) Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2011, n.
3531.
(6) A. Auletta: «giurisdizionalizzazione del ricorso
straordinario: una partita chiusa?», in Giustamm. 30/6/2011.
(7)
M. Andreis: «ricorso straordinario e azione di ottemperanza», in
Urbanistica e Appalti n. 5/2011.
(8) M. Andreis, cit.
(9)
Viola L.: «Ricorso straordinario e codice del processo», in Foro
Amm. TAR, 2011.
(10) Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2011,
n- 3513.
(11) M.B. Cavallo : «Esperibilità del giudizio di
ottemperanza avverso i lodi arbitrali», in giurisprudenza di merito
n. 7 e 8, 2011, pag. 1756.
(12) F. Freni. Impressioni a margine
delle SS.UU. 28 giugno 2011, n. 2065, in Giustamm. 7/2/2011.
(13)
Corte Costituzionale 27 maggio 1961, n. 8
(14) M. Greco «La
“giurisdizionalizzazione” interrotta del ricorso straordinario in
Sicilia», in «Filodiritto» 22.04.2011.
(15) La citazione si legge
in Codice amministrativo, a cura di Caringella e Tarantino, Ed.
Dike, commento art. 8 e D.P:R. n. 1199/1971.
|
|
(pubblicato il
13.9.2011)
|
|
|
|
 |
|
|
|