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PIETRO QUINTO

L’onerosità del ricorso straordinario: il prezzo per la giurisdizionalizzazione

 

 


 

 

Sommario
1. Premessa.
2. La «prudenza» del Codice del processo amministrativo, la sentenza delle SS.UU. della Cassazione e la decisione del Consiglio di Stato.
3. Le ulteriori dispute sull’inquadramento dell’istituto.
4. La legge 15 luglio 2011 n. 111: un riscontro definitivo ed una contraddizione.
5. L’opportunità di una integrazione del primo decreto correttivo al c.p.a..
6. Un impegno nel 180° della istituzione del Consiglio di Stato.


1. Premessa
E’ forse una fortunata coincidenza che, nello stesso anno in cui si celebra il 150° dell’Unità d’Italia ed il 180° anniversario dell’istituzione del Consiglio di Stato, si possa ritenere concluso nel quadro di «sistema giustizia» il processo evolutivo di un istituto: il ricorso straordinario al Capo dello Stato, sorto nel Regno di Sardegna all’epoca della monarchia assoluta (successivamente recepito nella legislazione dello Stato unitario), che, proprio attraverso la successiva creazione del Consiglio di Stato (Regio Editto 18 agosto 1831 di Carlo Alberto) chiamato ad esprimere pareri su ricorsi in materie giuridiche, acquisiva vera e propria veste giustiziale. Fu la legge del Regno di Sardegna 30 ottobre 1859, n. 3707 a dare la prima regolamentazione all’istituto, prevedendo il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in ordine al ricorso straordinario al Re, differenziandolo dal ricorso al Re in via gerarchica. Con la legge del 20 marzo 1865, n. 2248, all. D, sul Consiglio di Stato, fu riprodotta la legge del 1859, aggiungendovi l’obbligo di sentire il Consiglio dei Ministri ove si intendesse adottare un provvedimento difforme dal parere reso dal Consiglio di Stato.
Da quell’epoca la vicenda del ricorso straordinario ha attraversato, nella sua evoluzione storica, trasformazione e qualificazione, tutta la storia d’Italia. E’ sopravvissuto a qualsiasi tentativo di soppressione, espressa o implicita. Ha superato indenne l’avvento della Costituzione repubblicana ed il mutato regime costituzionale (1). Ha subito la crisi degli anni ’50, con le prime pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che disconoscevano il giudizio di ottemperanza alla mancata esecuzione delle decisioni straordinarie. Ha ricevuto nuova linfa con la riforma di cui al decreto legislativo 1199 del 1971. E’ tornato a «nuova vita», in un contesto giuridico ultranazionale, dapprima per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia, e, quindi, con l’entrata in vigore della legge n. 69 del 2009, che ha adeguato l’istituto alle disposizioni della CEDU e alle regole fondanti lo Stato di diritto.
Tutto ciò peraltro non è servito a sopire le contrastanti interpretazioni ed i diversi orientamenti della dottrina e della giurisprudenza - a tutti i livelli – sulla natura formale e sostanziale dell’istituto, e, soprattutto, sulla sua giurisdizionalizzazione.
Ed è per questo che, in ripetuti interventi alla vigilia dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo (2), auspicavo che il redigendo Codice, pur nei limiti della delega riferita al processo innanzi al TAR ed al Consiglio di Stato, ma comprensiva degli adeguamenti di natura giurisprudenziale e finalizzata ad una effettività di giustizia secondo i principi del diritto europeo, fornisse una «parola chiarificatrice» sul destino del ricorso straordinario al Capo dello Stato, anche in relazione ai principi sanciti dagli artt. 6 e 13 della CEDU.
In effetti, il c.p.a. ha solo in parte soddisfatto quella esigenza di chiarificazione, non citando espressamente il ricorso straordinario nell’ambito della disciplina del giudizio di ottemperanza previsto dall’art. 112. Va ricordato però che sulla bozza del codice il Senato aveva segnalato la «necessità di inserire tra le decisioni da ottemperare con il rimedio disciplinato dalla disposizione anche le decisioni straordinarie del Presidente della Repubblica rese in regime dell’alternatività».
Il Governo recepì tale osservazione, indicando nella Relazione che il rimedio dell’ottemperanza fosse necessario per dare attuazione agli artt. 6 e 13 della CEDU che richiedono effettività di tutela «per le decisioni la cui cogenza è equiparata a quella delle sentenze del Consiglio di Stato irrevocabili». Il testo vigente dell’art. 112 nella sua formulazione letterale non ha però chiarito in quale fattispecie far rientrare l’ottemperanza delle decisioni sul ricorso straordinario.
Il c.p.a. si è occupato altresì del ricorso straordinario all’art. 48 sulla trasposizione al TAR del ricorso straordinario a seguito di opposizione, adoperando la medesima espressione dell’art. 16, comma 2, sulla traslatio iudicii e rimarcando che in sede straordinaria si svolge un «giudizio». Ha poi innovato la disciplina della trasposizione attuando la parità delle parti ed ammettendo che la richiesta possa essere formulata anche dell’amministrazione e non soltanto dal controinteressato, in coerenza con l’avvenuta soppressione del potere del Governo di disattendere il parere del Consiglio di Stato, che costituisce, dunque, il momento decisorio nel ricorso straordinario.

2. La «prudenza» del Codice del processo amministrativo e la sentenza delle SS.UU. della Cassazione.
La «prudenza» del c.p.a. nell’affrontare la vexata quaestio non ha risolto le dispute interpretative, sicchè si è reso necessario all’inizio del corrente anno l’autorevole intervento delle Sezioni Unite della Cassazione e dello stesso Consiglio di Stato, che, in perfetta sintonia (3) hanno affermato l’esperibilità del ricorso d’ottemperanza per le decisioni sul ricorso straordinario sul presupposto riconosciuto della assimilazione di quella decisione ad una decisione giurisdizionale.
Le Sezioni Unite, con circa 130 decisioni, non solo hanno affermato la «regula iuris» che il giudizio d’ottemperanza è ammissibile anche sulla decisione che abbia accolto il ricorso straordinario (4), ma hanno altresì dedotto che, per effetto del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, la decisione sul ricorso straordinario al Capo dello Stato «si colloca nella ipotesi prevista alla lettera b) dell’art. 112, comma 2, e il ricorso per l’ottemperanza si propone ai sensi dell’art. 113, comma 1 dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica il giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta».
La sentenza delle Sezioni Unite si conclude con un’altra affermazione di principio, che conferma il carattere interpretativo/ricognitivo della evoluzione legislativa dell’istituto, e che assume una notevole rilevanza pratica: «i profili di novità tratti dalla legislazione sono di immediata operatività a prescindere dall’epoca di proposizione del ricorso straordinario».
Dopo pochi mesi dalla sentenza delle Sezioni Unite, il Consiglio di Stato, (5) accogliendo un ricorso in ottemperanza, ha espresso piena adesione al dictum della Corte di Cassazione, ricostruendo l’evoluzione normativa dell’istituto, ed affermando come non sia più dubitabile che il petitum proposto in sede di ricorso straordinario sia perfettamente equiparabile (e produca lo stesso effetto) ad una «domanda giudiziale». Con la conseguenza che «costituirebbe inammissibile antinomia, ed aporia, un principio che negasse la possibilità di esperire il rito dell’ottemperanza per ottenere che l’amministrazione si conformi a detto decisum».
Il Consiglio di Stato ha sottolineato che una diversa interpretazione circa l’azionabilità con il giudizio di ottemperanza delle decisioni sul ricorso straordinario colliderebbe con tutte le disposizioni legislative succedutesi nel tempo e consacrate nella interpolazione dell’art. 13 del D.P.R. n. 1199 del 1971, attraverso l’art. 69 della legge n. 69 del 2009. Ciò comporterebbe - ha concluso il Consiglio di Stato - il presupposto per la erosione e scomparsa dell’istituto, contrariamente alla ribadita permanente operatività del medesimo».

3. Le ulteriori dispute sull’inquadramento dell’istituto
All’indomani dei citati arresti giurisprudenziali, ritenuti da più parti un definitivo riconoscimento sulla giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario, sono emerse posizioni critiche (6), che hanno affermato «non chiara» la partita in ordine alla natura dell’istituto, ritenendo irrisolte alcune problematiche.
In particolare, con riferimento all’ottemperanza dei decreti decisori, la citata dottrina ha ribadito la «dubia quaestio» dell’inquadramento della fattispecie nella previsione dell’art. 112, comma 2, lett. b) del c.p.a. che fa riferimento alle «sentenze esecutive e agli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo», ponendo in discussione le conclusioni delle Sezioni Unite.
E’ stato osservato – ed anche chi scrive aveva in precedenza obiettato nella medesima direzione – che, nel silenzio del c.p.a., il riferimento più appropriato fosse la disposizione di cui alla lett. d) dell’art. 112, quale fattispecie da utilizzare per l’estensione dell’ambito di applicazione del giudizio di ottemperanza ai ricorsi straordinari.
Differenza di non poco conto, atteso che in tal caso, ai sensi dell’art. 113, 2° comma, la competenza a decidere il ricorso spetterebbe al TAR «nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui si è chiarita l’ottemperanza».
E’ stata quindi evidenziata una contraddizione nel ragionamento delle Sezioni Unite: la qualificazione del decreto decisorio come «provvedimento equiparato a sentenza», che servirebbe a sostenere la assimilazione ad un rimedio giurisdizionale del ricorso straordinario, comporterebbe una conseguenza difficile da seguire: «a decidere sul ricorso di ottemperanza sarebbe il TAR (TAR Lazio?), ossia un organo che non è affatto intervenuto nel decidere “il merito” della vicenda e che sarebbe curioso che di esso decidesse in sede di esecuzione» (7).
Sicchè, solo per evitare tale aporia le Sezioni Unite avrebbero utilizzato quale riferimento normativo la lett. b) dell’art. 112 del codice: “con ciò tuttavia forzando il tenore letterale della norma, che parla di provvedimenti resi «dal giudice amministrativo».
A questo rilievo è stato risposto, sempre a livello dottrinario, e con motivato ripensamento dell’autore di questa nota, con due diverse impostazioni.
L’indirizzo seguito dalle Sezioni Unite - è stato affermato - ha inteso privilegiare e riconoscere la natura di «giudice» al Consiglio di Stato in sede consultiva. «A ben vedere dal confronto fra le espressioni utilizzate dalla lettera b) o dalla lettera d) del comma 2 dell’art. 112, emergono due diverse prospettive: la prima valorizza l’esecutività dei provvedimenti adottati dal giudice amministrativo. La seconda valorizza la definitività e dunque il giudicato ponendo a confronto le sentenze passate in giudicato con i «provvedimenti ad essa equiparati». In pratica, secondo questa prospettazione, le Sezioni Unite avrebbero preferito la qualifica dei decreti decisori come provvedimenti esecutivi, ma non come provvedimenti passati in giudicato. Con l’ulteriore sottolineatura che la sentenza delle Sezioni Unite avrebbe continuato a rimarcare la differenza per il rimedio straordinario e quello giurisdizionale «riconoscendo l’attribuzione all’organo chiamato a decidere il primo di poteri decisori analoghi, sebbene formalmente diversi rispetto a quelli della giurisdizione» (8).
L’altra impostazione, propugnata da chi scrive, è che la collocazione della decisione sul ricorso straordinario nella ipotesi della lettera b) dell’art. 112, non solo esprime il riconoscimento delle Sezioni Unite sull’ammissibilità dell’azione di ottemperanza per il ricorso straordinario (non citato espressamente nel c.p.a.), ma contiene la identificazione della natura decisoria del parere vincolante del Consiglio di Stato. Sicchè è quella decisione, tradotta nel decreto del Capo dello Stato, che costituisce il «provvedimento del giudice amministrativo». Ed è a quel giudice, che ha emesso la decisione, che occorre rivolgersi, ai sensi dell’art. 113, per proporre ricorso di ottemperanza. «Non si tratta dunque del solo riconoscimento della effettività di tutela anche nei riguardi del ricorso straordinario, ma di un ulteriore elemento di valutazione per la natura giurisdizionale della decisione resa da «un giudice amministrativo».

4. La legge 15 luglio 2011 n. 111: un riscontro definitivo ed una contraddizione

L’ampio ed articolato dibattito sulla portata della sentenza delle Sezioni Unite e sul percorso motivazionale che ha condotto la Suprema Corte ad affermare l’esperibilità del ricorso di ottemperanza alle decisioni del ricorso straordinario ha ricevuto una risposta (invero inaspettata per la sede scelta: manovra economica) da parte del legislatore. Ancora una volta, dopo il decisivo intervento riformatore della legge 69 del 2009, una norma di diritto positivo ha posto un sigillo anche nominalistico sulla natura del ricorso straordinario.
Il riferimento è all’art. 33, comma 6, della legge 111 del 2011, che ha espressamente annoverato il ricorso straordinario tra i rimedi del «sistema giudiziario», quale ricorso proponibile (in unico grado) al Consiglio di Stato. Ed in virtù di tale inquadramento il ricorso straordinario, al pari dei ricorsi al TAR ed al Consiglio di Stato, è sottoposto alla disciplina del «contributo unificato nel processo civile, amministrativo e tributario». Ai sensi dell’art. 6 bis, il contributo per il ricorso straordinario è di euro 600, al pari di quello dovuto per i ricorsi al TAR ed al Consiglio di Stato, fatta salva la disciplina derogatoria per alcune materie o riti speciali.
Siffatta previsione, in disparte il merito della scelta del legislatore, assume anche in questo caso una funzione ricognitiva e confermativa della evoluzione legislativa dell’istituto, in coerenza con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione circa l’applicabilità del giudizio di ottemperanza «a prescindere dall’epoca di proposizione del ricorso straordinario», avuto riguardo «ai profili di novità tratti dalla legislazione».
Non può però essere sottaciuta una considerazione: a caro prezzo viene finalmente acquisito per l’istituto in questione il riconoscimento «di una condizione comunque sostanzialmente equivalente alla giurisdizionalità» (Sezioni Unite 2065/2011).
E’ stato giustamente osservato che, dopo una storia plurisecolare e dopo tante alterne vicende, le ragioni del permanere del ricorso straordinario, «sotto il profilo sociologico-economico», sono da individuarsi nei minori costi dell’opzione per tale istituto rispetto ai costi molto elevati (ed oggi ancor più elevati) della tutela giurisdizionale amministrativa e nella possibilità di utilizzare un termine più lungo per ricorrere.
«In questa prospettiva, può pertanto ritenersi che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica costituisca una «valvola di sfogo» per una serie di vicende che trovano un sostanziale sbarramento al ricorso alla tutela giurisdizionale» (9).
Emerge dunque una contraddizione. Nel momento in cui viene rivitalizzata la funzione del ricorso straordinario tra i rimedi del sistema giudiziario e si realizza in termini di diritto positivo la sua definizione nel sistema giustizia, si snatura una delle peculiarità del predetto istituto, che, come rilevava la Corte Costituzionale nel 1986, in un giudizio reso per conflitto di attribuzione, che riconfermava la competenza dello Stato a decidere i ricorsi straordinari, «i singoli interessati possono attivare con modica spesa, senza il bisogno dell’assistenza tecnico-legale e con il beneficio dei termini di presentazione del ricorso particolarmente ampi».

5. L’opportunità di una integrazione del primo decreto correttivo al c.p.a.
Va rimossa un’altra contraddizione.Come altre volte ho osservato, il Codice non ha voluto affrontare ex professo il tema del ricorso straordinario sia in relazione alla sua natura sostanziale all’interno del «sistema giudiziario», sia in relazione all’inquadramento del giudizio d’ottemperanza sulle decisioni emerse in sede di ricorso straordinario. Solo entrando «nelle pieghe del codice», ed a seguito delle interpolazioni operate dalle commissioni parlamentari e dal Governo, si è pervenuti ad un’interpretazione sistematica (Sezioni Unite e Consiglio di Stato) della normativa codicistica, nel senso che l’effettività della tutela ed il rispetto della CEDU imponevano di riconoscere l’esperibilità dell’ottemperanza anche per le decisioni del ricorso straordinario.
Non si può peraltro obiettare che il tema fosse estraneo alla delega (art. 44), contenuta nello stesso corpo normativo che, ormai pacificamente, attraverso le modifiche al decreto legislativo n. 1199 del 1971, ha comportato la riqualificazione dell’istituto per conformarlo ai principi CEDU. Ed in effetti, a ben vedere, il c.p.a. ha finito per occuparsi dell’istituto, ma soprattutto in termini limitativi. Dopo aver escluso la sua applicabilità in alcune materie, (appalti, giudizi elettorali, ecc.) caratterizzati dalla specialità del rito innanzi al G.A., all’art. 7, comma 8, il c.p.a. ha sancito che il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa. Con ciò, in buona sostanza, riconoscendo la “competenza” del codice di ricomprendere anche il ricorso straordinario all’interno dell’intervento di riordino normativo nell’ambito del processo amministrativo, ancorchè la delega facesse riferimento espresso al processo avanti ai Tribunali Amministrativi Regionali ed al Consiglio di Stato.
Si è trattato peraltro di un intervento quanto mai necessario tenuto conto che il Consiglio di Stato ha preso atto del mutamento della giurisprudenza delle Sezioni Unite e, a sua volta, (10) ha ritenuto ammissibile il giudizio di ottemperanza, rilevando che «l’effettività del parallelismo e dell’alternatività dei due rimedi impone che tale rimedio appresti un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo giudizialmente».
D’altro canto se l’art. 112 del c.p.a., comma 2, lett. e) si è occupato del giudizio di ottemperanza avverso i «lodi arbitrali», non si comprende la ragione dell’omessa espressa considerazione delle decisioni del ricorso straordinario.
Occorre ricordare che anche il riconoscimento dell’ottemperanza per i lodi arbitrali è il risultato di un non semplice percorso, che ha visto la giurisprudenza, soprattutto di primo grado, divisa tra il ritenere tale rimedio applicabile anche ai lodi arbitrali esecutivi e non più suscettibili di impugnazione, ovvero l’escludere categoricamente che tale azione fosse esperibile nei confronti di provvedimenti non propriamente «giurisdizionali» (11).
Ed invero, a fronte di numerosi arresti giurisprudenziali favorevoli, diverse pronunce avevano ritenuto inammissibili i ricorsi di ottemperanza proposti per ottenere l’esecuzione dei lodi arbitrali quand’anche divenuti inoppugnabili, sul presupposto che l’esecuzione in forma coattiva è riservata a quelle decisioni adottate unicamente da coloro che esercitano la funzione giurisdizionale. Ed anche dopo la riforma del 2006, parte della giurisprudenza amministrativa contestava fermamente che la pronuncia degli arbitri potesse assumere la natura di decisione di merito da parte di un organo giurisdizionale dello Stato od assimilabile a un siffatto organo.
Ecco quindi l’importanza della scelta codicistica, che ha superato il confronto giurisprudenziale dando certezza all’utilizzo del rimedio dell’ottemperanza nei confronti dei lodi arbitrali. Ed è anche per questa scelta che i giudici di Palazzo Spada, con la recente decisione della Sez. V, 28 aprile 2011 n. 2542, hanno evidenziato la positiva evoluzione legislativa, che ha attribuito al lodo gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria, e la sua consacrazione ottenuta dall’equiparazione operata dall’art. 112 comma 1, lett. e) del Codice del processo amministrativo. La sentenza n. 2542 del 2011 ha peraltro affermato l’utilizzo del rimedio dell’ottemperanza nei confronti dei lodi arbitrali anche per il periodo anteriore all’entrata in vigore del c.p.a..
Alla luce di siffatte considerazioni, e soprattutto dell’evoluzione giurisprudenziale, che ha assecondato l’opera di adeguamento legislativo dell’istituto, è indispensabile – come già sostenuto in precedenti scritti – che il decreto correttivo del c.p.a. affronta espressamente la questione dell’esperibilità del giudizio di ottemperanza sulla decisione del ricorso straordinario, inquadrandolo nell’ambito delle previsioni dell’art. 112. Tale intervento è imposto dalle incertezze manifestate nel dibattito dottrinario tutt’ora in corso, ma soprattutto dal dovere di adeguare il c.p.a., così come entrato in vigore, alle interpolazioni correttive del legislatore sul progetto varato dalla commissione, ma, in definitiva, per dare piena attuazione all’art. 44 della legge n. 69 del 2009. La delega ha sì fatto riferimento al processo avanti ai tribunali amministrativi e al Consiglio di Stato, ma rientra necessariamente in siffatta previsione la circostanza che il «processo» avanti al Consiglio di Stato è anche il giudizio (così denominato dal legislatore, che pretende altresì un “contributo unificato”) che si svolge in forma contenziosa attraverso il ricorso straordinario, e che è definito con il parere-decisione del Consiglio di Stato. La delega peraltro ha richiesto che il c.p.a. operi il riassetto del processo «al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele». Orbene, allorquando le Sezioni Unite della Cassazione, a proposito del ricorso straordinario, affermano che «non si frappongono ostacoli di ordine costituzionale al rimedio del giudizio di ottemperanza»; ed affermano altresì che i profili di novità tratti dalla legislazione sono di immediata operatività a prescindere dall’epoca di proposizione del ricorso straordinario, ovvero di instaurazione del giudizio di ottemperanza» in ragione della riqualificazione da dare ex tunc all’organo deducente, potendosi ravvisare un giudicato anche per le decisioni emerse prima della riforma del 2009. Allorquando il Consiglio di Stato ha preso atto del mutamento della giurisprudenza delle Sezioni Unite e, a sua volta, ha ritenuto ammissibile il giudizio di ottemperanza, rilevando che «l’effettività del parallelismo e dell’alternatività dei due rimedi impone che tale rimedio appresti un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo giudizialmente». Allorquando il Governo ha sostanzialmente modificato il testo dall’art. 112, segnalando nella sua relazione la lacuna del progetto del codice varato dalla Commissione in ordine alla necessità di prevedere il rimedio dell’ottemperanza «per le decisioni la cui cogenza è equiparata a quella della sentenza del Consiglio di Stato irrevocabili». Infine, tenuto conto che il legislatore, imponendo il contributo unificato per il ricorso straordinario al pari del ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato, ha espressamente annoverato quel rimedio alternativo, proponibile in unico grado al Consiglio di Stato, tra i rimedi del «sistema giudiziario», appare quanto mai opportuno che il c.p.a. si adegui alla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, alla volontà del legislatore, ed attui, attraverso una puntuale ricognizione dello strumento del ricorso straordinario la «concentrazione delle tutele», e, come recita l’art. 1, una tutela piena ed effettiva della giurisdizione amministrativa «secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo». Solo per completezza, ed al fine di superare le residue obiezioni di coloro (12) che hanno sostenuto l’impossibilità di ricondurre il ricorso straordinario ad un paradigma costituzionale di riferimento, ritenendo l’art. 100 Cost. non idoneo a legittimare tale istituto come rimedio paragiudiziale, va evidenziato che la riqualificazione dell’istituto (antecedente alla legge del 1889 sulla Sezione Quarta), operata dal legislatore nella vigenza della Corte Costituzionale, ha riconosciuto copertura costituzionale. L’istituto infatti è stato richiamato da una disposizione di rango costituzionale: lo Statuto siciliano, approvato con la legge costituzionale n. 2 del 1948, all’art. 23 rubricato come «organi giurisdizionali» ha attribuito il relativo potere decisorio al Presidente della giunta regionale. E, come affermato dalla Corte Costituzionale (13) un istituto disciplinato da uno statuto regionale, approvato con legge costituzionale, per definizione non può essere di per sé contrastante con la Costituzione. Non va peraltro sottaciuto che la legittimità costituzionale del ricorso straordinario disciplinato dall’art. 23 dello Stato siciliano fu affermata con una formulazione di quella norma statutaria, e della successiva disciplina di attuazione, che non prevedeva un parere vincolante delle Sezioni regionali del Consiglio di Stato. Sicchè, tutt’oggi, si discute se la novella della legge 69/2009 (come sostenuto dalla Corte di Cassazione) operi direttamente sulla normativa di attuazione dello Statuto siciliano ovvero si imponga una modifica adeguatrice dell’art. 23 (14).
Tutto ciò a conferma della urgenza di un intervento chiarificatore e di completamento della disciplina codicistica del processo amministrativo che prenda atto della «assimilazione» del ricorso straordinario a quello giurisprudenziale «pur nella diversità formale del procedimento e dell’atto conclusivo» al fine di assicurare quella «tutela effettiva» che è l’obiettivo di fondo del sistema di giustizia amministrativa.

6. Un impegno nel 180° della istituzione del Consiglio di Stato
Nel corso di questi mesi sarà ricordato il 180° anno di vita del Consiglio di Stato. Nelle previste celebrazioni si farà riferimento anche al ruolo svolto dal Consiglio di Stato che, ancor prima della giurisdizionalizzazione della Quarta Sezione, rappresentò un presidio per incidere nel sistema di «giustizia ritenuta» della monarchia assoluta e per assicurare un principio di controllo di legalità sugli atti della pubblica amministrazione.
«Come sottolineato da Bachelet e da Cannada Bartoli, il ricorso straordinario al Capo dello Stato ebbe la massima importanza nel periodo compreso tra il 1865 ed il 1889, per la mancanza di alcun rimedio giurisdizionale contro gli «atti di imperio» per la tutela degli interessi legittimi. Fin da allora, il Consiglio di Stato già formulò pareri sulla illegittimità di atti per difetto di motivazione» (15).
Non è cosa da poco per l’epoca dell’assolutismo e della «rassegnazione» del cittadino, secondo l’espressione «forte e raggelante», pronunciata da Stanislao Mancini nel dibattito parlamentare del 1865 che portò all’approvazione della legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
Ma, anche per questo, il contributo del Consiglio di Stato di quell’epoca e particolarmente nell’ambito del ricorso straordinario al Re, (al quale fece riferimento, sotto la diretta influenza della legge del 1907, il parere reso in Adunanza generale nel 1° aprile 1909 n. 243 come un vero e proprio rimedio giurisdizionale), merita una doverosa sottolineatura.
Muovendo da questa ricostruzione della nascita e dell’evoluzione della gloriosa istituzione risulterà ancor più efficace l’impegno assunto dal Presidente de Lise: l’obiettivo per il futuro del Consiglio di Stato è che il giudice amministrativo non perda «la capacità di cambiare rispondendo alle esigenze dei diversi contesti storici e sapendo cogliere le evoluzioni della società.

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(1) L’Assemblea Costituente, attraverso gli interventi degli onorevoli Ruini e Tosato affermò senza contrasti che il ricorso straordinario dovesse sopravvivere al mutato regime costituzionale.
(2) P. Quinto: «Il preavviso di ricorso» nella delega comunitaria e nel processo amministrativo»; «Avvocati e processo amministrativo: speranza, contraddizioni e qualche ingenuità»; «Il Codice e la giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario».
(3) P. Quinto: «Le Sezioni Unite: la «giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario e l’azionabilità del giudizio di ottemperanza»; «Consiglio di Stato e Cassazione, d’accordo, rilanciano il ricorso straordinario».
(4) Cassazione Civile, Sezioni Unite, 28 gennaio 2011, n. 2065; 7 febbraio 2011, numeri da 2818 al 2939; 10 marzo 2011, n. 5684 e 28 aprile 2011, n. 9447.
(5) Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2011, n. 3531.
(6) A. Auletta: «giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario: una partita chiusa?», in Giustamm. 30/6/2011.
(7) M. Andreis: «ricorso straordinario e azione di ottemperanza», in Urbanistica e Appalti n. 5/2011.
(8) M. Andreis, cit.
(9) Viola L.: «Ricorso straordinario e codice del processo», in Foro Amm. TAR, 2011.
(10) Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2011, n- 3513.
(11) M.B. Cavallo : «Esperibilità del giudizio di ottemperanza avverso i lodi arbitrali», in giurisprudenza di merito n. 7 e 8, 2011, pag. 1756.
(12) F. Freni. Impressioni a margine delle SS.UU. 28 giugno 2011, n. 2065, in Giustamm. 7/2/2011.
(13) Corte Costituzionale 27 maggio 1961, n. 8
(14) M. Greco «La “giurisdizionalizzazione” interrotta del ricorso straordinario in Sicilia», in «Filodiritto» 22.04.2011.
(15) La citazione si legge in Codice amministrativo, a cura di Caringella e Tarantino, Ed. Dike, commento art. 8 e D.P:R. n. 1199/1971.

 

(pubblicato il 13.9.2011)

 

 

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