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n. 9-2011 - © copyright

 

LUIGI D'ANGELO

Dubbi sulla nuova e “stringata” tutela risarcitoria degli interessi legittimi prevista dal c.p.a.


(nota a T.A.R. Sicilia, Sez. I, Palermo, ordinanza 7 settembre 2011 n. 628 )

La suggestiva ordinanza in commento dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 5, D.Lgs 2 luglio 2010 n. 104[1] (c.p.a.) per violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, nella parte in cui prevede un termine di decadenza di 120 giorni per la proposizione dell’azione risarcitoria nei confronti della P.A. decorrente dal giudicato di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo.

La disposizione codicistica sospettata di incostituzionalità risulta peraltro espressamente richiamata dall’art. 112, comma 4, c.p.a.[2] in materia di domanda di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo proposta (per la prima volta) in sede di ottemperanza.

Eslcusa, anche alla luce della normativa transitoria di cui al Codice, l’opzione esegetica per la quale il termine decadenziale previsto dal quinto comma dell’art. 30 c.p.a. trova applicazione soltanto per i giudicati di annullamento formatisi successivamente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo[3], il Collegio argomenta la questione di costituzionalità sulla scorta, tra l’altro, di due fondamentali ragioni.

In primo luogo ritiene irragionevole prevedere - in virtù dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici coinvolgenti la P.A.[4] - un brevissimo termine decadenziale in luogo dell’ordinario termine di prescrizione quinquennale per l’azione di risarcimento extracontrattuale degli interessi legittimi o comunque di un minor termine di prescrizione[5]: si reputa che l’esigenza di certezza e stabilizzazione dei “rapporti amministrativi” (sottesa alla nuova previsione di un breve termine di decadenziale) non sembra affatto sussistere a fronte di un giudicato di annullamento che, per definizione, stabilizza un assetto di interessi diverso da quello voluto dalla P.A. procedente (stante l’annullamento dell’atto impugnato) e, dunque, risultando rilevare in concreto la domanda risarcitoria “solo sul piano della reintegrazione patrimoniale dello spostamento di ricchezza conseguente all’illecito”. Non così, invece, nel caso di azione risarcitoria autonoma ex art. 30, comma 3, c.p.a.[6] dove, in effetti, v’è un rapporto amministrativo regolamentato da un provvedimento divenuto inoppugnabile con la conseguenza che consentire nei più ampi termini di prescrizione - in luogo dell’introdotto termine di decadenza di 120 giorni - iniziative risarcitorie attenterebbe alla stabilità del rapporto (quantomeno dal punto di vista “patrimoniale”).

In secondo luogo si sottolinea come la previsione normativa censurata operando una sovrapposizione tra tutela caducatoria e risarcitoria quanto alle condizioni di accesso - poiché, appunto, entrambe azionabili entro stringenti termini di decadenza -, viene a determinare l’azzeramento del carattere della complementarietà (per come esplicitato anche dalla Corte Costituzionale) del rimedio risarcitorio rispetto a quello demolitorio, riducendosi detta complementarietà “ad una astratta petizione di principio, risolvendosi in concreto la tutela dell’interesse legittimo nella sola possibilità di contestare entro un breve termine di decadenza la legittimità del provvedimento”, ciò con palese dimidiazione del principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale.

Quanto alla prima argomentazione la stessa risulta ad una prima lettura convincente: le esigenze di stabilizzazione dei rapporti in cui è parte la P.A. e che hanno indotto il legislatore ad introdurre un breve termine decadenziale per l’esercizio dell’azione di condanna al risarcimento degli interessi legittimi non sembrano affatto sussistere nell’ipotesi di cui all’art. 30, comma 5, c.p.a. laddove, appunto, l’esistenza di un giudicato di annullamento non può che “azzerare” la fonte del rapporto amministrativo portato alla cognizione del giudice amministrativo. Se dunque non si tratta di preservare l’avvenuta attuazione di un pubblico interesse per come disposta dal provvedimento amministrativo impugnato (e poi annullato), viene meno anche l’esigenza di sottrarre la P.A. a richieste risarcitorie negli ordinari termini di prescrizione.

Anche il secondo argomento a base dell’ordinanza in nota risulta di non poco momento. Il Collegio evidenzia efficacemente che “se l’attribuzione alla giurisdizione amministrativa della cognizione dell’azione risarcitoria, coerente alla pienezza della tutela in termini ragionevoli, comporta come contropartita l’introduzione di un regime che, derogando al diritto comune, comprime significativamente le condizioni per l’accesso al rimedio, risulta palesemente contraddetta la finalità stessa della previsione dello strumento risarcitorio accanto a quello caducatorio nel sistema di tutela dell’interesse legittimo: in altre parole, viene contraddetta l’esigenza di pienezza ed effettività della tutela”.

Ciò, si ribadisce, tanto più nel caso di azione risarcitoria post giudicato demolitorio laddove la previsione di un termine di decadenza di 120 giorni per la domanda di danni risulta priva di giustificazione alcuna potendo apparire, invero, quale mero “privilegio” per il soggetto pubblico essendo stato il rispettivo operato definitivamente censurato dal giudice amministrativo.

Insomma, se non v’è un assetto di interessi organizzato per il tramite di un provvedimento amministrativo - nel caso di annullamento giurisdizionale definitivo dello stesso - non può esservi alcuna esigenza di stabilizzare una vicenda in cui è coinvolta la P.A. per la cura di un pubblico interesse tale da consigliare la previsione di un termine di decadenza di 120 giorni per l’esercizio dell’azione risarcitoria dei pregiudizi prodotti dall’avvenuta esplicazione di effetti del provvedimento (poi cassato).

Diverso sembra il caso dell’azione di risarcimento autonoma ex art. 30, comma 3, c.p.a., proposta una volta divenuto inoppugnabile l’atto adottato dalla P.A. e causativo del pregiudizio: la più volte citata esigenza di certezza del rapporto amministrativo emerge proprio a fronte della permanenza in vita del provvedimento amministrativo (non più annullabile giudizialmente) talché consentire iniziative risarcitorie nei più ampi termini di prescrizione comporterebbe una destabilizzazione del rapporto giuridico plasmato dall’esercizio di potere amministrativo, ciò dal punto di vista di spostamenti patrimoniali postumi alla composizione pubblicistica “definitiva” degli interessi emersi in concreto.

A questo punto però si pone un interrogativo che porta peraltro a sviluppare un ulteriore argomento: nel caso di eventuale dichiarazione di incostituzionalità della disposizione in argomento ex art. 30, comma 5, c.p.a., potrebbe trovare applicazione il temine di prescrizione quinquennale, decorrente dal giudicato di annullamento, dell’azione da illecito aquilano? [7]

La risposta sembra dover essere negativa.

A ben vedere non pare potersi sostenere che, qualora venga dichiarato incostituzionale il precetto normativo in argomento il privato sarebbe legittimato ad esperire azioni di condanna nei confronti della P.A. entro cinque anni dalla pronunzia definitiva di annullamento dell’atto impugnato.

In realtà, in assenza dell’attuale art. 30, comma 5, c.p.a. che autorizza domande risarcitorie post giudicato di annullamento, non si potrebbe mai ammettere la proponibilità delle stesse nel termine di prescrizione quinquennale o comunque in un diverso termine di prescrizione: non costituendo più oramai il previo annullamento del provvedimento un passaggio obbligato per la domanda risarcitoria (la c.d. pregiudiziale è stata sconfessata proprio dalla possibilità di esperire una azione risarcitoria autonoma senza previo annullamento dell’atto ex art. 30, comma 3, c.p.a.), il termine (di decadenza) per l’esercizio delle azioni di condanna al risarcimento decorre sempre dall’adozione dell’atto e dalla sua conoscenza in capo al privato[8] non avendo la sentenza definitiva di annullamento del provvedimento (come nel caso dell’art. 30, comma 5, c.p.a.) alcuna valenza ai fini di una sorta di “rimessione in termini” riguardo la domanda di danni.

In sostanza, codificata la regola secondo cui l’accertamento di illegittimità/annullamento del provvedimento non funge più da presupposto per l’accoglimento della domanda risarcitoria ed in particolare non rappresenta più un necessario passaggio teso ad accertare un elemento costitutivo dell’illecito della P.A. (l’antigiuridicità/ingiustizia del danno) - potendo oggi detto accertamento essere incidentale come nel caso di azione di risarcimento autonoma -, coerenza impone di ritenere che la sentenza di annullamento non può rilevare ai fini della decorrenza di alcun termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria e ciò poiché detta sentenza (ed il suo passaggio in giudicato) nulla aggiunge alla lesione dell’interesse legittimo già consumata e soprattutto scrutinabile in termini di ingiustizia/antigiuridicità indipendentemente, appunto, dall’annullamento giurisdizionale del provvedimento.

In breve: nell’ipotesi di declaratoria di incostituzionalità della previsione in argomento, il nuovo termine di decadenza di 120 giorni previsto dall’art. 30, comma 3, c.p.a. e decorrente dalla conoscenza del provvedimento “se il danno deriva direttamente da questo”, non potrebbe mai ritenersi “superato” per effetto di una sentenza definitiva di annullamento dell’atto illegittimo perché oramai questa non costituisce più condizione necessaria per coltivare il giudizio risarcitorio essendo dunque la stessa irrilevante ai fini dell’esercizio della tutela risarcitoria ovvero ai fini di una sorta di “rimessione in termini”. Ma allora, in assenza dell’attuale previsione di cui all’art. 30, comma 5, c.p.a., non sarebbero affatto possibili iniziative risarcitorie post giudicato caducatorio dovendosi ritenere già decorso il termine di decadenza per l’attivazione delle stesse.

D’altronde prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, quell’indirizzo pretorio contrario alla pregiudiziale affermava che il giudicato di annullamento, qualora intervenuto dopo il quinquennio dall’adozione del provvedimento impugnato, non produceva alcun effetto, appunto, di “rimessione in termini” per la tutela risarcitoria (oramai prescritta)[9].

La stessa conclusione deve allora necessariamente “mutuarsi” oggi alla luce del vigente quadro normativo dove, tuttavia, l’aver previsto un breve termine di decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria (autonoma) ex art. 30, comma 3, c.p.a., conduce ad affermare che una volta intervenuto il giudicato di annullamento quel termine di decadenza risulta essere sicuramente decorso e dunque, in assenza di una espressa disposizione normativa “autorizzativa” rispetto alla proposizione di domande risarcitorie (appunto, l’art. 30, comma 5, c.p.a.), non sarebbe mai possibile, post giudicato, agire per la tutela di condanna al risarcimento danni.

Argomento quest’ultimo, che, in realtà, sposta la questione di costituzionalità sollevata dalla congruità, coerenza e ragionevolezza del nuovo termine di decadenza ex art. 30, comma 5, c.p.a., alla diversa questione della “specialità” dell’illecito della P.A. (per lesione degli interessi legittimi) laddove uno degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità ovvero l’antigiuridicità/ingiustizia del danno non è più condizionato ex lege come in passato - quanto alla rispettiva esistenza - da un previo annullamento del provvedimento illegittimo.

Insomma, se il danno agli interessi legittimi può qualificarsi come “ingiusto” anche nel caso della permanenza in vita del provvedimento amministrativo illegittimo (come dimostra oggi l’ammissibilità dell’azione di risarcimento autonoma) e senza dunque necessità di eliminare il “titolo” che rende giustificati (iure) gli effetti giuridici provvedimentali che il privato assume come pregiudizievoli, diventa problematico continuare a discorrere di illecito ex art. 2043 c.c. una volta espunta per legge, si ribadisce, l’antigiuridicità dalla fattispecie di responsabilità della P.A.. L’eliminazione legislativa della pregiudiziale di annullamento pone quindi la questione della natura della responsabilità per lesione degli interessi legittimi, con i connessi corollari, dovendosi però forse definitivamente accantonare il modello aquilano a fronte del nuovo quadro normativo
 

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[1] Art. 30, comma 5, c.p.a.: “Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”.

[2] Art. 112, comma 4, c.p.a.: “Nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all'articolo 30, comma 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario”.

[3] Osservano i giudici amministrativi che la proposizione della domanda risarcitoria - sia in via autonoma, sia a seguito di annullamento giurisdizionale del provvedimento lesivo - implica l’introduzione di un nuovo processo, sicché la disciplina del termine decadenziale per la proposizione di quest’ultimo esula per definizione dal regime transitorio di cui all’art. 2 delle norme di cui all’Allegato 3 Codice secondo cui “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”.

[4] La Relazione al codice del processo amministrativo afferma che il termine di centoventi giorni si giustificherebbe “sul presupposto che la previsione di termini decadenziali non è estranea alla tutela risarcitoria, vieppiù a fronte di evidenti esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la pubblica amministrazione”.

[5] La pronunzia menziona l’ipotesi normativa - ritenuta strutturalmente identica a quella dell’illecito da atto della pubblica amministrazione - di cui all’art. 1495 c.c. in materia di azione di risarcimento dei danni per vizi della cosa venduta “laddove la denuncia del vizio deve avvenire entro un brevissimo termine di decadenza (correlato all’esigenza di certezza dei traffici), mentre la successiva azione risarcitoria, subordinata alla tempestiva (e pregiudiziale) denuncia, ma di per sé ormai estranea all’esigenza posta alla base del ridetto termine decadenziale, soggiace - coerentemente - al un termine prescrizionale annuale”.

[6][6] La disposizione sull’azione risarcitoria autonoma ha posto fine al dibattito pretorio e dottrinale circa la sussistenza della c.d. pregiudiziale amministrativa ovvero la necessità del previo annullamento dell’atto amministrativo quale presupposto per la condanna al risarcimento dei danni sebbene in dottrina si è notato come il nuovo potere conferito al giudice amministrativo ai sensi del secondo periodo dell’art. 30, comma 3, c.p.a. (“Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”) ha in sostanza (re)introdotto la necessità quantomeno della previa impugnazione del provvedimento causativo del danno; cfr. CIRILLO, Il risarcimento del danno (testo della relazione, riveduta e ampliata, tenuta al convegno a Roma dalla LUSPIO il 13 aprile 2011 sul tema “Il codice del processo amministrativo a sei mesi dalla sua entrata in vigore), in www.giustizia-amministrativa.it. Sull’argomento è d’obbligo il richiamo a Cons. St., Ad. Plen., 23 marzo 2011 n. 3.

[7] Questa parrebbe essere la tesi della pronunzia in nota che dopo aver richiamato i contenuti delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006 quanto al carattere rimediale e complementare della tutela risarcitoria afferma che “La richiamata giurisprudenza costituzionale ha reso, invero, le riportate affermazioni in presenza di una disciplina dell’accesso al rimedio risarcitorio nei confronti della pubblica amministrazione regolata dal diritto comune: dal che discende il quesito circa la perdurante attualità di quelle considerazioni, in punto di conformità allo standard di tutela posto dall’art. 24 della Costituzione, alla luce della disciplina introdotta dal codice del processo amministrativo, e in particolare della disposizione censurata”.

[8] Recita l’art. 30, comma 3, c.p.a.: “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”.

[9] Cass., SS.UU., 8 aprile 2008, n. 9040, secondo cui “la possibilità di agire per il risarcimento del danno ingiusto causato da atto amministrativo illegittimo senza la necessaria pregiudiziale impugnazione dell’atto lesivo, comporta che il termine di prescrizione dell’azione di risarcimento decorre dalla data dell’illecito e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento da parte del giudice amministrativi”; in senso contrario l’orientamento favorevole alla pregiudiziale di annullamento che traeva conseguenze opposte in punto di prescrizione dell’azione risarcitoria decorrente, appunto, dal giudicato di annullamento (cfr., Cons. St., Ad. Plen., 9 febbraio 2006 n. 2).

 

(pubblicato il 29.9.2011)

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