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n. 8-2012 - © copyright

 

MAURIZIO CAMPAGNA

Pubblico e privato in sanità nella proposta di modifica del d.lgs. n. 502 del 1992 (A.C. 4269)*

 

 


 

 

1. Il contesto
L’audizione di oggi rappresenta il segno tangibile del cambiamento dei tempi. Dopo l’ultima grande riforma organica della sanità italiana, la c.d. riforma-ter o riforma Bindi (d.lgs. n. 229 del 1999), l’ambito materiale «tutela della salute» era come scomparso dall’orizzonte del circuito parlamentare e, quindi, dal dibattito politico: le scelte in materia sono state progressivamente sempre più confinate nella dialettica angusta tra esecutivi nel cosiddetto «sistema delle conferenze»[2], traduzione a dire il vero un po’ sbiadita di un principio, quello della leale collaborazione che dovrebbe, invece, saldamente presiedere ai rapporti tra Stato e regioni e indirizzarne il corso; principio che, tuttavia, per ragioni culturali e giuridiche (penso in particolar modo alla giurisprudenza della Corte costituzionale) sembra essersi piuttosto trasformato nel principio della fedele collaborazione delle regioni alle scelte dello Stato.
Oggi siamo qui, nel seno di un organo del Parlamento e il dibattito è tornato finalmente ad essere politico. All’ordine del giorno c’è la discussione sui contenuti di una proposta di legge che non rappresenta certamente una riforma organica del Servizio sanitario ma, tuttavia, tocca alcuni elementi molto qualificanti il sistema e la sua organizzazione. È una discussione che parte dai principi per tradurli, aggiornandoli e migliorandoli, in una serie di disposizioni tecniche. Essa va affrontata in sede parlamentare, con le garanzie proprie di un dibattito franco e aperto che non soffra delle limitazioni temporali e «spaziali» che sono state imposte, nell’ultimo tratto di storia della politica sanitaria, dall’obiettivo precipuo della revisione della spesa, troppo spesso ottenuta per la via del suo razionamento e non della sua razionalizzazione.
Al centro della proposta di legge oggetto di questa audizione vi è la compresenza difficile, sul piano giuridico, ma anche e soprattutto culturale, di pubblico e privato nel settore della tutela della salute. Ma il cambiamento dei tempi e l’atteso slancio ritrovato della politica sanitaria non dovrebbero essere rappresentati dalla sola circostanza che, come si è detto, siamo qui e ora impegnati a parlare di confini e proporzioni tra pubblico e privato[3], vale a dire di scelte e di valori alla base del funzionamento concreto dell’intero sistema. La soluzione di continuità con il passato dovrebbe, infatti, essere rappresentata soprattutto dall’abbandono delle barricate ideologiche che da sempre hanno viziato il dibattito intorno a queste due polarità. Il tempo buio della crisi detta l’agenda politica: occorre ripensare il welfare. Occorre farlo subito. Occorre farlo bene. Ma liberi da gabbie ideologiche. Per queste ragioni, è opportuno porre fine all’ostracismo del privato nel settore sanitario e procedere alla sua riabilitazione razionale con solide fondamenta giuridiche ed economiche nel sistema di produzione del valore salute. È il tempo di abbandonare definitivamente la logica della aspra contrapposizione tra pubblico e privato a favore della ricerca della cooperazione possibile tra queste due anime al fine di ottenere il beneficio di un nuovo welfare sostenibile.
Alla base di questa proposta di legge, vi è un’opzione fondamentale, una scelta politica che, a partire dal 1978, non è mai stata sconfessata, ma anzi confermata e, per quanto possibile, aggiornata: la presenza di produttori privati nel servizio sanitario organizzato, regolato e controllato dai poteri pubblici per garantire il diritto alla tutela della salute. I livelli essenziali delle prestazioni, infatti, sono garantiti dalle regioni avvalendosi non solo delle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli IRCCS, ma anche dei soggetti accreditati ai sensi dell’art. 8-quater (così l’art. 8-bis del d.lgs. n. 502 del 1992). Questa presenza ne trascina inevitabilmente con sé un’altra: quella di interessi economici privati e imprenditoriali. Del resto, per quanto nel 1978, con la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Ssn, sia stata compiuta una scelta forte per un servizio sanitario universale e gratuito, spingendosi così ben oltre il contenuto programmatico dell’art. 32 della Costituzione, i principi della universalità e della gratuità delle prestazioni non hanno mai coinciso con la necessaria soggettività pubblica dei produttori. Giova qui ricordare che, nel novero dei soggetti accreditati, dovrebbero rientrare non solo i produttori privati, ma anche quelli pubblici. È ormai pacifico identificare, invece, i produttori soggetti all’obbligo e ai vincoli dell’accreditamento con i soli soggetti privati dal momento che, evidentemente, quelli pubblici sono accreditati tout court. In questo modo, tuttavia, il favor nei confronti di questi ultimi, a dire il vero ammissibile solo entro certi limiti, se ragionevoli, si è trasformato, nel tempo, in un’eccessiva acquiescenza nei confronti dei risultati negativi della classe dirigente pubblica: di fatto, si è impedito ai cittadini il controllo sull’utilizzo efficiente delle risorse e sul trade-off costo-efficacia, e si è reso inoffensivo il sistema della sanzione politica[4].
L’accreditamento di strutture produttrici di prestazioni sanitarie costituisce una delle forme di collegamento funzionale di soggetti privati con il Ssn. Ma non è l’unica: la presenza del privato, infatti, è per così dire, multiforme. Si pensi ai medici cosiddetti di famiglia e, più in generale, al sistema delle convenzioni attraverso il quale il Ssn si assicura le prestazioni di liberi professionisti per erogare l’assistenza di base sul territorio. Oppure si pensi alla distribuzione territoriale dei farmaci, anch’essa affidata a privati: le farmacie convenzionate con il Ssn. Titolare di una farmacia convenzionata può tuttavia essere anche ad un ente pubblico, come un Comune, ma in questo caso, la farmacia territoriale rimane un soggetto esterno al Servizio sanitario a questo funzionalmente collegato, mantenendo tuttavia una soggettività autonoma. Indagando la legittimità costituzionale di un sistema per così dire a doppio binario, per cui il diritto a prestazione a tutela della salute poggerebbe su due pilastri, uno pubblico e uno privato, la Corte costituzionale nella sentenza n. 416 del 1995 arriva a conclusioni fondamentali circa la funzionalità della presenza di produttori privati rispetto all’obiettivo generale di buona amministrazione sanitarie: «neppure se collegato al pagamento a prestazione secondo tariffa o a meccanismi di tetto massimo di spesa o di personale, [tale sistema] può costituire violazione dell’art. 97 Cost. […] perché, se correttamente attuato secondo principi di economicità e di mercato e con una responsabile collaborazione e programmazione organizzativa, non crea ostacoli alla erogazione da parte della regione di un servizio sanitario efficiente. Anzi il nuovo sistema […], può contribuire – in una scelta del legislatore statale non irragionevole – a rimuovere o attenuare alcune delle situazioni esistenti di carenza di effettiva e completa copertura sanitaria del cittadino, correlata a ormai croniche situazioni di squilibri finanziari, che rischiano di mettere in crisi la stessa sopravvivenza di un servizio sanitario con un minimo indispensabile di funzionalità» (cfr. n. 6.2. Cons. in diritto).
La proposta di modifica del d.lgs. n. 502 del 1992 qui esaminata tenta di recuperare al Servizio sanitario una sostanziale parità tra strutture pubbliche e strutture private accreditate produttrici di prestazioni, collocandole in una posizione di equiordinazione nei confronti del Ssn, tentando così di conciliare le ragioni di un servizio pubblico, universale e gratuito con le esigenze imprenditoriali di soggetti privati immessi nel sistema. Si riprende, in sostanza, il filo di un dibattito iniziato sul finire degli anni Ottanta e culminato con la riforma Amato-De Lorenzo, la c.d. riforma bis (d.lgs. n. 502 del 1992); riforma che negli anni successivi, è stata radicalmente stravolta nel suo impianto originale[5], in favore della primazia culturale, giuridica e morale della sanità pubblica.
L’obiettivo del miglioramento dell’efficienza del Ssn dovrebbe essere il frutto di numerosi correttivi, alcuni dei quali saranno presi in esame nel prosieguo. Le proposte di modifiche potranno, però, rilasciare completamente i loro effetti benefici sul sistema solo se inserite in quadro generale capace di recepirle: la auspicabile e necessaria parificazione, nei diritti e nei doveri, tra strutture pubbliche e private, potrà essere tale soltanto se riferita ad un soggetto – il Ssn nel suo complesso – che sia terzo. Sembra difficile, infatti, immaginare una perfetta parificazione tra produttori esterni al servizio e produttori che, invece, continuano ad essere integrati nel Ssn stesso, continuano cioè a farne parte. Viene da chiedersi allora quale sia l’ordine temporale giusto degli interventi se cioè la separazione della funzione di acquisto delle prestazioni da quella di produzione delle stesse debba precedere la parificazione tra strutture produttrici pubbliche e private. Oppure, come invece sembra implicito nella proposta in esame, la parificazione rappresenta una tappa obbligata per arrivare ad un sistema vero di quasi mercato nel settore sanitario.

2. Analisi di alcune modifiche apportate dalla proposta di legge al d.lgs. n. 502 del 1992

2.1. La misura della soglia minima di efficienza
Pervasiva appare l’affermazione che, ai fini della valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno, occorre tener conto del criterio della soglia minima di efficienza avuto riguardo alle peculiarità di ciascuna tipologia organizzativa e delle diverse realtà territoriali in cui insistono (vedi art. 1, c. 1, lett. b) Proposta di legge A.C. 4269). La considerazione delle specificità territoriali ed organizzative al fine di calibrare meglio il criterio della soglia minima di efficienza presuppone la conferma dell’accreditamento non come un atto vincolato, ma come il risultato di una valutazione discrezionale da parte della autorità sanitarie. L’inserimento formale di criteri più stringenti per misurare con maggiore precisione un valore di riferimento consente, dunque, di ancorare la discrezionalità a criteri ben definiti, anche al fine di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione. Quest’ultimo, in campo sanitario, si traduce anche nella corretta programmazione delle attività sanitarie: il criterio della soglia minima di efficienza come parametro per valutare la rispondenza delle strutture al fabbisogno, viene così opportunamente specificato e migliorato. Il concetto di soglia minima di efficienza rappresenta un criterio quantitativo assoluto, vale a dire il valore dell’efficienza di un’unità produttiva virtuale sulla quale misurare gli eventuali scostamenti del livello di produzione realmente raggiunto dalle strutture. La considerazione della tipologia organizzativa di queste ultime e delle realtà territoriali su cui insistono, contribuisce a costruire con precisione questo valore; a valle, invece, comporta maggiori possibilità di controllo: gli scostamenti dalla soglia calcolata, per così dire, in vitro, devono essere motivati e motivabili anche in ragione di variazioni intervenute nell’organizzazione e nel contesto della produzione.
Ancorare la soglia minima di efficienza a parametri formali e specifici inoltre, consente più agevolmente un controllo a posteriori dell’esercizio della discrezionalità con cui sono rilasciati gli accreditamenti istituzionali, non solo dal punto di vista qualitativo, ma anche quantitativo.

2.2. La soppressione della revoca dell’accreditamento della capacità produttiva in eccesso nel caso di superamento del limite di prestazioni a carico del Ssn da parte di un produttore accreditato
La proposta di modifica del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede all’art. 1, c. 1, lett. c) n. 2.3 la soppressione della revoca dell’accreditamento della capacità produttiva in eccesso quale conseguenza diretta dello sforamento del limite di prestazioni – individuato negli accordi contrattuali – che possono essere erogate a carico del Ssn da parte di un produttore accreditato. In sostituzione della revoca, la proposta di legge introduce le regressioni tariffarie, vale a dire la riduzione della remunerazione delle prestazioni non proporzionale, ma progressiva, rispetto alla misura dello sforamento. Tale modifica appare opportuna e coerente con la natura stessa dell’accreditamento istituzionale. La revoca di quest’ultimo, infatti, poteva essere intesa quale misura avente carattere sanzionatorio del tutto disallineata rispetto alle ragioni del suo rilascio. Il modello cosiddetto delle tre «A», Autorizzazione, Accreditamento e Accordi, prevede che, attraverso il rilascio dell’autorizzazione, venga rimosso il vincolo all’esercizio delle attività sanitarie in forza della verifica dell’assenza di rischi per il paziente, per gli operatori e per gli assistiti. L’accreditamento fornisce, invece, garanzie ulteriori in ordine al possesso di determinati requisiti da parte delle strutture pubbliche – in astratto – o private già autorizzate e ai professionisti in relazione alla loro coerenza rispetto alle scelte della programmazione sanitaria regionale, al risultato positivo della verifica dell’attività svolta e dei risultati raggiunti. In coerenza con un sistema siffatto, la eventuale revoca dell’accreditamento dovrebbe conseguire al venir meno di quei requisiti ulteriori che le strutture già autorizzate sono tenute ad avere per collegarsi funzionalmente al Ssn e non già allo sforamento del limite delle prestazioni da quest’ultimo remunerabili. Tale sforamento interessa, infatti, solo l’ultima delle tre «A», vale a dire la «A» di accordi, con i quali si definiscono i volumi e la tipologia di prestazioni che la singola struttura può erogare in nome e per conto del Ssn. In questo senso, appare non solo sufficiente, ma anche coerente con il sistema l’introduzione della regressione tariffaria come misura conseguente al superamento del tetto di prestazioni. Del resto, sebbene l’osservanza del principio di legalità non consenta di considerarla una vera e propria sanzione, è innegabile che la revoca dell’accreditamento si atteggi come una conseguenza dal sapore punitivo nei confronti dei soli soggetti che, nella prassi, sono sottoposti all’intero apparato di prescrizioni previsto dal sistema delle tre «A», e cioè i produttori privati. Con l’introduzione delle regressioni tariffarie, si contribuisce a ristabilire l’equilibrio tra player pubblici e privati, atteso che solo questi ultimi sono stati finora sottoposti rigorosamente all’accreditamento e che quindi la revoca di quest’ultimo poteva nei fatti riguardare solo i competitor privati. È pur vero che, anche in questo caso, per quanto il carattere punitivo della misura sia più blando, il buon funzionamento del sistema presuppone che le regressioni tariffarie siano applicate anche ai soggetti pubblici ma, ancor prima, che anche questi ultimi, siano remunerati a tariffa.

2.3. La previsione di intese con le organizzazioni rappresentative per la predisposizione di schemi tipo di accordi contrattuali (art. 2, c. 1, lett. c), n. 1.2 Proposta di legge A.C. n. 4269)
La previsione dell’intesa con le associazioni maggiormente rappresentative per la predisposizione di schemi tipo di accordi contrattuali risponde ad una logica di formale coinvolgimento dei portatori di interessi nell’intero sistema delle tre «A», in modo particolare a valle della sequenza autorizzazione-accreditamento-accordi, laddove, cioè, una buona regolazione e l’efficacia complessiva del sistema ha forse più bisogno dell’apporto tecnico delle associazioni di categoria. Tale previsione è la più significativa tra quelle di una proposta di legge che comunque, tra gli altri obiettivi principali, ha sicuramente quello della formalizzazione della partecipazione dei portatori di interesse nell’intero processo regolativo. Per apprezzarne la discontinuità con il passato, la norma deve essere letta come un vero e proprio obbligo di intesa che si sostituisce alla previsione di un’audizione solo eventuale. Se da un lato, la proposta di modifica potrebbe centrare l’obiettivo di riduzione del contenzioso a posteriori, dall’altro presenta almeno due profili problematici: innanzitutto non è chiaro quando possa considerarsi maggiormente rappresentativa un’associazione di categoria ai fini della partecipazione al processo regolativo; in secondo luogo, il coinvolgimento obbligatorio di un maggior numero di portatori di interesse potrebbe verosimilmente allungare dall’altro i tempi della contrattazione.

3. Breve conclusione
La proposta di modifica del d.lgs. n. 502 del 1992 conferma alcune scelte di fondo di politica sanitaria: la presenza pacifica del (produttore) privato nel settore sanitario e il mantenimento dello schema per cui l’accreditamento è atto discrezionale e non vincolato, sicché manca un vero e proprio diritto all’accreditamento. In questo contesto, la proposta tende a tutelare meglio le prerogative dei soggetti privati, coniugando le loro legittime aspettative di adeguata remunerazione con quelle di salvaguardia dell’universalità e, per quanto oggi possibile, della gratuità del servizio pubblico; ma nello stesso tempo, tenta di ancorare la discrezionalità dei soggetti titolari della funzione di programmazione sanitaria a parametri e misure che siano il più possibile controllabili e valutabili.
Nel suo complesso, la proposta di riforma rappresenta una grande opportunità di approfondimento e dibattito politico intorno alle prospettive del Servizio sanitario. Al momento, però, non è possibile disegnare lo scenario del suo eventuale impatto giuridico-economico: evidentemente, il saldo finale delle modifiche sul sistema sarà il risultato della somma dei saldi parziali regionali, dal momento che la quantità di privati accreditati che sono e saranno presenti in una regione non è ovunque la stessa. La domanda regionale di sanità rappresenta, infatti, il valore sul quale è calibrata l’apertura al privato, ammesso che vi sia una volontà politica in tal senso. E quest’ultima, nello schema del Titolo V della Cost., può legittimamente avere segni diversi da regione a regione. Nei sistemi con pochi soggetti privati accreditati l’impatto della proposta di legge sarà, in tutte le sue componenti, ovviamente più limitato.
L’efficacia di tutte quante le modifiche che si vogliono introdurre dipenderà, comunque, da un postulato teorico, logico e pratico ad un tempo, sottinteso dal legislatore della proposta: la corretta individuazione delle tariffe come vero criterio di remunerazione diverso dal prezzo, ma in grado di assicurare sempre e comunque la copertura dei costi e (quasi sempre) la remunerazione delle attività del privato che è ammesso a produrre nel sistema con finalità lucrative, che non vanno demonizzate, ma armonizzate con le finalità di un servizio pubblico. È possibile tentare di ricomporre ad unità gli opposti, che se non si attraggono, almeno non si respingono, a patto però che la ragion pubblica, non sia più invocata in modo disinvolto come alibi aprioristico o come attenuante di sprechi, sacche di inefficienza o cattivo uso di risorse sempre più limitate.

 

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* Audizione informale sulla proposta di legge C-4269 «Modifiche agli articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502», svoltasi il 29 maggio 2012 (Camera dei Deputati – XII Commissione Affari sociali).
[2] In argomento, sulla Conferenza Stato-regioni, vedi G. Carpani, La Conferenza Stato-regioni. Competenze e modalità di funzionamento dall’istituzione ad oggi, il Mulino, Bologna, 2006; in particolare, sull’attività della Conferenza in materia sanitaria, vedi ancora G. Carpani, Accordi e intese tra Governo e Regioni nella più recente evoluzione del Ssn: spunti ricostruttivi, in R. Balduzzi, a cura di, Trent’anni di Servizio sanitario nazionale. Un confronto interdisciplinare, il Mulino, Bologna, 2009, 35-71.
[3] Vedi sul punto G. Corso, Pubblico e privato nel sistema sanitario, in G. Corso, P. Magistrelli, a cura di, con il coordinamento di G. Fares, Il diritto alla salute tra istituzioni e società civile, Giappichelli, Torino, 2009, 17-33.
[4] Sull’ampiezza e i presupposti del controllo dei cittadini amministrati nei confronti di un’autorità pubblica chiamata a dare concreta attuazione ad un diritto a prestazione finanziariamente condizionato come quello alla tutela della salute, vedi F. Merusi, I servizi pubblici negli anni ’80, in Quaderni Regionali, 1, 1985, 39-57.
[5] Per una ricostruzione storicamente avvertita del quadro normativo di quegli anni, vedi F. Taroni, Politiche sanitarie in Italia. Il futuro del SSN in una prospettiva storica, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2011, 239-258.

 

(pubblicato il 26.7.2012)

 

 

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