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n. 10-2013 - © copyright

 

MICHELA CATRICALA'

Trasparenza, tutela della riservatezza e forme di Stato

 

 


 

 

 

Introduzione

Nella storia della legislazione giuspubblicistica italiana sulla trasparenza dell’azione amministrativa e sulla tutela del riserbo si registra una linea tendenziale di non semplice interpretazione. A volte infatti sembrano prevalere le ragioni della riservatezza e del segreto, a volte quelle a favore della pubblicità dei dati di cui sia in possesso la pubblica amministrazione. Un approfondimento di studio sulla nostra esperienza, anche in chiave di confronto con ordinamenti giuridici comparabili, può darci il senso dell’evoluzione già da tempo in atto, non ancora consolidata, in un quadro che sembra delineato da specifiche discipline di settore ma che attiene a una questione di carattere generale coinvolgente il rapporto giuridico-istituzionale tra Stato e cittadino.
La presenza negli ordinamenti giuridici statali di limitazioni alla conoscibilità indiscriminata di taluni dati o informazioni è pressoché costante, sin dal sorgere dello Stato modernamente inteso[1].
Mentre l’esistenza di un nucleo di disciplina relativa ai “segreti” si è subito manifestata e non è mai venuta meno, della tutela della “riservatezza” e delle situazioni che vi sono connesse gli ordinamenti hanno iniziato a farsi carico soltanto in un secondo momento.
Per quanto riguarda l’esperienza italiana in particolare, la protezione della dimensione riservata dell’individuo si colloca senza dubbio tra i temi che solo negli ultimi decenni hanno riscosso una crescente attenzione in giurisprudenza e in dottrina, non lasciando indifferente neppure il legislatore.
Tale diffuso interesse è stato, peraltro, anticipato da alcune voci critiche che, sulla scorta del confronto con altri ordinamenti ritenuti sotto questo riguardo più avanzati, avevano già lamentato una certa “arretratezza” del sistema italiano di garanzie in materia. Si era giunti a rilevare e stigmatizzare, in particolare, la lacunosità che avrebbe caratterizzato le stesse previsioni costituzionali in tema di diritti che, almeno espressamente, avrebbero omesso di fornire adeguata protezione a talune esigenze primarie, tra cui – appunto – quella del singolo alla riservatezza[2].
Nonostante ciò, non si può seriamente negare che l’esigenza de qua, se pure all’inizio trascurata o non adeguatamente considerata a livello ordinamentale, abbia in seguito conquistato spazi progressivamente maggiori sia nella concreta conformazione del sistema giuridico, sia – più in generale – nel discorso pubblico[3].
E ciò si è verificato non soltanto in relazione al discorso pubblico giuridico: la riservatezza e le questioni che essa implica, infatti, sono divenute una sorta di verbum commune sul piano sociale in senso lato. Sia sufficiente rilevare, al riguardo, che perfino il Pontefice Benedetto XVI ritenne di inserire un breve riferimento alla privacy in una delle ultime allocuzioni, immediatamente precedente al decorrere degli effetti del suo atto di rinuncia al pontificato[4].
L’introduzione sul piano normativo di una esplicita e strutturata regolazione a protezione della riservatezza, accanto a quella dei segreti già presente, dà modo all’interprete di elaborare una riflessione dal carattere più ampio e sistematico. Le problematiche attinenti alla garanzia della privacy, così come quelle relative al mantenimento dei segreti, infatti, intersecano inevitabilmente altri profili, assai delicati, che chiamano in causa taluni aspetti strutturali della complessiva configurazione dello Stato-ordinamento.
Ciò che emerge, anzitutto, è la necessità di indagare l’an, ed eventualmente il quomodo, relativi alla possibilità di distinguere sul piano delle norme di diritto positivo la conformazione della riservatezza da quella del segreto, stante il dato che entrambe le figure giuridiche sembrano convergere verso una stessa finalità di fondo: il sottrarre determinate notizie o informazioni alla pubblica divulgazione e circolazione, sia pure nella considerazione che il segreto rappresenta l’interesse contrario alla conoscenza di una notizia anche da parte di una sola persona, tutela certamente più intensa di quella concessa alla riservatezza[5].
Le ragioni che si pongono alla base della tutela della riservatezza, così come del segreto, devono altresì confrontarsi con le esigenze antitetiche derivanti dalla esistenza e dalla rilevanza di “interessi generali o pubblici”, che richiedono, o talvolta impongono, di ricercare e diffondere notizie che si riferiscono a soggetti operanti nell’ambito della realtà sociale”[6].
È, però, molto importante rilevare come la protezione della privacy e del segreto debba trovare un’armonica composizione con spinte che sorgano dalla garanzia accordata dall’ordinamento anche a interessi privati eventualmente contrari.
È quanto accade, in particolare, se interessi di tal genere vengano garantiti, come avviene nella Costituzione italiana, attraverso la generale attribuzione del diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero; ossia, attraverso la previsione di un diritto che – come ritenuto dalla migliore dottrina – ha carattere strettamente individualistico, essendone al titolare assicurato il godimento per “l’appagamento egoistico dei suoi bisogni e desideri individuali”[7].
Si discute di un profilo particolarmente delicato soprattutto per quanto attiene alla riservatezza, poiché in tale caso il punto di equilibrio tra quest’ultima e la libertà di manifestare il proprio pensiero non può essere desunto nemmeno richiamando una generica prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato, essendo spesso privata la natura di entrambe le posizioni giuridiche coinvolte e, in ipotesi, confliggenti.
Infine, una ricostruzione della disciplina della riservatezza che voglia almeno tentare di essere sistematica non può non interrogarsi sul ruolo della Pubblica Amministrazione in questo ambito. Non può sfuggire la rilevanza di questo aspetto da almeno due punti di vista. Anzitutto, infatti, possono verificarsi situazioni in cui la tutela del diritto alla riservatezza si ponga come un “ostacolo” all’interno di un rapporto bilaterale tra il privato che ne è portatore e l’Amministrazione. In simili casi, si tratta di individuare gli strumenti e le forme che permettano di perseguire l’interesse pubblico di volta in volta rimesso all’attività dell’Amministrazione, sacrificando nella misura minore possibile la pretesa del privato di tenere riservati dati, notizie, informazioni che lo riguardano.
Esistono, tuttavia, ulteriori ipotesi in cui l’Amministrazione non è soltanto parte di un rapporto bilaterale del privato con il pubblico, ma si pone come perno di rapporti trilaterali, o addirittura multilaterali, che vedono l’incrociarsi del diritto alla riservatezza di una parte privata con un opposto diritto o interesse, egualmente protetti, di cui è intestataria un’altra parte, anch’essa privata.
In casi di questo genere – un cui esempio paradigmatico è rappresentato dal conflitto che può insorgere tra le esigenze della privacy e quelle sottese al diritto di accesso agli atti amministrativi – la modulazione del diritto alla riservatezza del soggetto privato con il suo minor sacrificio possibile, non può essere operata dall’Amministrazione solamente tenendo conto dell’interesse pubblico. Anche l’attività amministrativa (come quella del legislatore) deve necessariamente inglobare la valutazione della rilevanza di ulteriori interessi privati, contraddittori rispetto alla stessa riservatezza, egualmente e specificamente coinvolti nell’attività di rilevanza pubblica e fatti valere in concreto. In situazioni siffatte non sembra del tutto inesatto configurare la posizione della P.A. come “giustiziale” dal momento che essa viene “chiamata a cercare le modalità idonee a conciliare e comporre le contrapposte esigenze o a individuare l’interesse prevalente con conseguente sacrificio di uno dei due diritti di competizione”[8].
Dalle sommarie notazioni che precedono, dunque, è possibile evincere che l’inserimento del diritto alla riservatezza nel contesto normativo, che va ad affiancarsi alle ipotesi di difesa della segretezza, coinvolge aspetti e profili che, come si è appena accennato, appaiono strutturali rispetto alla conformazione dello Stato-ordinamento e quindi, in definitiva, alla stessa forma di Stato.
Il diritto in questione, infatti, da un lato estende l’area di “ciò che non può essere divulgato” (ossia quell’area in precedenza tradizionalmente rimessa in via esclusiva, come si è detto, alla disciplina dei segreti); dall’altro lato, pone nuovi e ulteriori limiti sia alle facoltà dei soggetti privati portatori di interessi contrapposti, sia all’operare dei pubblici poteri, e in specie dell’Amministrazione. Almeno in questo senso, pertanto, può essere condiviso l’autorevole rilievo secondo cui la tutela della privacy appare idonea a influenzare e attraversare “l’intero arco delle libertà individuali”[9].


La trasparenza negli ordinamenti di altri Paesi


Fermo restando, per quanto su affermato, che il campo dell’indagine è molto più vasto, includendo ogni normativa presente nell’ordinamento sulla tutela del riserbo, dal segreto di Stato a quello confessionale passando per il segreto istruttorio, il segreto professionale, il riserbo domestico e altre fattispecie, un test di prova per capire quale relazione esista tra livello di partecipazione democratica all’attività dello Stato e tutela della riservatezza può limitarsi alla disciplina dell’accesso agli atti e ai documenti della pubblica amministrazione, in particolare a quelli contenenti dati personali.
Sul tema è utile una breve rassegna di diritto comparato.
La dottrina sovente cita la disciplina svedese in tema di accesso agli atti amministrativi come antica dimostrazione di civiltà giuridica: nel 1776 in Svezia venne introdotta la legge sulla libertà di stampa (Tryckfrihetsförordningen), la quale “consentiva a chiunque di consultare, nonché di stampare e di pubblicare, i documenti detenuti dal governo statale”, sicché “la pubblica amministrazione era tenuta a soddisfare le richieste di accesso ai documenti”[10]. Tale legge è tuttora considerata parte del corpus costituzionale dello Stato.
Per effetto di quell’atto normativo, nel sistema svedese chiunque è considerato abilitato a chiedere l’accesso ad un documento ufficiale amministrativo (ossia qualunque documento redatto, conservato o ricevuto dall’Amministrazione), senza la necessità di dichiarare quale sia lo specifico interesse, e dunque senza una fornire una motivazione determinata, al punto tale che non è ritenuto necessario per il richiedente neppure fornire prova della propria identità personale[11].
Ciò non toglie che anche nell’ordinamento della Svezia sussistano limitazioni all’accessibilità amministrativa, in una serie di ipotesi tassativamente previste, in vista della protezione di interessi considerati superiori (quale, ad esempio, la sicurezza nazionale o l’attività di repressione dei reati); tali ipotesi sono contemplate dalla Sekretesslag (“legge sul segreto”), entrata in vigore nel 1981 successivamente modificata.
Diversa è la complessiva situazione normativa nel sistema spagnolo, in cui pure il diritto di accesso amministrativo è contemplato al livello costituzionale, benché la sua disciplina di dettaglio sia rimessa ad un intervento legislativo[12]. Il legislatore spagnolo ha dato seguito alla previsione costituzionale soltanto con la l. n. 30/1992 (Ley de Régimen Jurìdico de las Administraciones Publicas y del Procedimiento Administrativo Comùn).
Inoltre, la configurazione legislativa così operata del diritto di accesso risulta essere piuttosto restrittiva: viene ad esempio stabilita la possibilità di esercitare il diritto soltanto in quei casi in cui il richiedente sia titolare di un interesse specifico all’accesso, allo scopo di intraprendere azioni di tutela di altri diritti di cui è titolare.
La legge del 1992 è stata successivamente oggetto di integrazioni e modifiche, in particolare ad opera della l. n. 4/1999, la quale espressamente qualifica il principio di trasparenza amministrativa quale principio-cardine nella disciplina dei rapporti tra Amministrazione ed amministrati.
Tuttavia – è stato rilevato – “la normativa spagnola, nonostante il riconoscimento costituzionale del diritto di accesso e nonostante le numerose modifiche alla disciplina originaria, nell’applicazione concreta non sembra dimostrare un grado di accessibilità maggiore rispetto all’esperienza degli altri paesi dell’Europa continentale”[13], ad esempio della Francia.
In quest’ultimo Paese, infatti, la più significativa fonte che ha disciplinato il diritto di accesso è rappresentata dalla l. n. 753 del 1978, successivamente oggetto di modificazioni, in particolare ad opera della l. n. 322 del 2000. Anche nella disciplina francese l’esercizio del diritto è assicurato a tutti, in relazione a qualunque atto definitivo adottato dall’amministrazione (quindi con esclusione degli atti preparatori) e con la previsione, altresì, di una serie di documenti che, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 753/1978, “ne sont pas communicables”, anche in ragione di esigenze di tutela di aspetti connessi alla vita privata di altri soggetti.
Tuttavia, la dottrina tende a mettere in luce come il modello francese di accessibilità, a differenza di quello statunitense, sarebbe da considerare non particolarmente evoluto. In particolare, si evidenzia ad esempio che, mentre in altri sistemi (ad esempio quello nordamericano) oggetto dell’accesso è l’informazione in possesso dell’Amministrazione, nell’impianto francese il diritto può essere indirizzato esclusivamente nei riguardi del documento[14].
Più in generale, viene sottolineato che l’impostazione francese risentirebbe di un carattere “autoritario”, di natura sistematica, nella disciplina dei rapporti tra soggetto pubblico e soggetto privato, sicché “l’impressione generale è di una normativa che, combattendo contro una giurisprudenza spesso restia a favorire la trasparenza dell’attività amministrativa, sembra essere stata elaborata più nella prospettiva di tutelare il potere pubblico che non in quella di garanzia del cittadino”[15].
Nel Regno Unito “la disciplina legislativa di tutela dei dati personali ha preceduto quella dell’accesso”[16], la quale ultima può dirsi introdotta nel sistema soltanto con il Freedom of Information Act del 2000[17], peraltro entrato in vigore nella sua integralità soltanto a partire dal 2005.
Il FOIA britannico attribuisce ai cittadini il diritto di accesso, inteso come il diritto di chiunque, indipendentemente dalla cittadinanza, di chiedere al Foreing and Commonwealth Office o ad altri organi pubblici, le informazioni che siano dagli stessi detenute; aspetto rilevante della disciplina è, altresì, “che non occorre motivare la richiesta, per cui si dice che essa è purpose blind”[18].
Tuttavia, la parte II dell’atto normativo prevede diverse exemptions, ossia una serie di ipotesi in cui l’accesso possa essere negato dall’autorità richiesta; come è stato sottolineato, si tratta di un novero di ipotesi particolarmente esteso e ad ampio spettro[19].
Ciò dovrebbe pertanto indurre alla cautela nell’indicare il modello britannico quale sistema in cui la full disclosure abbia raggiunto una delle forme di maggiore ampiezza. Al riguardo in dottrina si è anzi rilevato come “nel sistema britannico non sia stato ancora riconosciuto il diritto di accesso e il correlato obbligo di divulgazione per l’amministrazione come principio generale, permanendo ancora l’applicazione della regola del segreto”[20].
L’esperienza degli Stati Uniti d’America è non di rado tuttora indicata anche in Italia come modello cui validamente ispirarsi[21]. In tale ordinamento, infatti, è stato introdotto nel 1966 il Freedom of Information Act (FOIA)[22], per effetto del quale il principio accolto nel sistema è quello della c.d. disclosure, vale a dire dell’obbligo da parte di ogni federal agency di mettere a disposizione dei cittadini qualunque documento o informazione sia nella sua disponibilità[23].
Ciò non significa, peraltro, che il sistema statunitense sia caratterizzato da una full disclosure priva di limiti[24]: al contrario, il FOIA contempla una serie di exemptions, ossia di casi in cui l’obbligo di garantire l’accessibilità è da ritenersi non operante per le agenzie federali[25]; a ciò si aggiunga che il legislatore, con l’avallo della Corte Suprema, è intervenuto a partire dal 2001 ad ampliare la portata di tali casi attraverso le nuove normative finalizzate al contrasto al terrorismo[26].


L’esperienza italiana

Nel nostro Paese in passato l’Amministrazione pubblica ha goduto di una generale posizione di supremazia nella gestione degli atti amministrativi e dei dati in essi contenuti e anche la sua organizzazione di tipo gerarchico si basava, essenzialmente, sul segreto[27]. La segretezza, in questo ambito, era espressione di un principio che riguardava tanto l’assetto interno dell’amministrazione, quanto i suoi rapporti con i soggetti terzi[28].
Negli ultimi decenni, invece, a fronte della richiesta crescente di economicità, efficienza e pubblicità dell’azione amministrativa, si afferma il principio di trasparenza, intesa sia come strumento a tutela della collettività, sia come mezzo di garanzia della posizione giuridica dell’interessato al procedimento[29].
Per l’effetto, il segreto amministrativo, «da regola diviene eccezione»[30], con la conseguenza che il suo ambito di operatività non è più collegato alla qualità del soggetto coinvolto (appunto, l’Amministrazione), quanto piuttosto al contenuto delle informazioni che possono essere oggetto di segreto, nella misura in cui la loro divulgazione possa provocare la lesione di determinati interessi[31].
La legge n. 241/1990 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”), segna una tappa decisiva verso una nuova concezione dell’azione amministrativa[32], nella quale si affermano, in linea con la sempre più avvertita necessità di massima circolazione e trasparenza delle informazioni, differenti istituti, quali la figura del responsabile del procedimento, interlocutore diretto nei rapporti tra P.A. e privati, l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, e il diritto di accesso agli atti amministrativi[33].
Quest’ultimo, in particolare, si configura quale principio generale dell’attività amministrativa, volto ad assicurarne l’imparzialità e il buon andamento ex art. 97 Cost.[34].
La legge sul procedimento amministrativo ha contribuito in modo determinante a delineare un nuovo modo di esercizio dei pubblici poteri nello Stato liberaldemocratico.
Dalla concezione autoritativa del rapporto tra pubblica amministrazione e privato cittadino, si passa a una visione delle dinamiche pubblico-privato, in cui i due soggetti tendenzialmente si muovono in maniera paritaria e godono comunque di pari dignità; inoltre, viene dato nuovo valore alla funzionalizzazione dell’azione amministrativa, che trova la sua ragione d’essere nella efficiente soddisfazione delle esigenze del cittadino-utente con cui si relaziona.
In questa nuova visione rientrano sia l’enunciazione dell’obbligo di provvedere della pubblica amministrazione, che garantisce i cittadini dall’inerzia dei pubblici poteri, sia la piena responsabilizzazione dei soggetti che agiscono in nome dell’Amministrazione, garantita dalla individuazione del responsabile del procedimento.
Inoltre, sono stati introdotti istituti volti ad assicurare maggiore efficacia ed efficienza all’azione amministrativa, consentendosi il ricorso a strumenti tratti dal diritto privato e ampliandosi le ipotesi di partecipazione diretta del cittadino alle scelte operate dall’amministrazione.
È l’introduzione del principio di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa a far sì che la segretezza dei documenti non possa più essere intesa in senso soggettivo.
Al riguardo il Consiglio di Stato, occupandosi del rapporto tra accesso e riservatezza, ha più volte avuto modo di affermare che «la segretezza permane non come predicato soggettivo, ma come requisito oggettivo del documento», che, conseguentemente, non può essere considerato segreto per il fatto di appartenere alla pubblica amministrazione, ma per il peculiare tipo di notizie racchiuse in esso[35].
Nel nuovo modus operandi l’amministrazione deve garantire la piena trasparenza del proprio agire, curando l’interesse pubblico in maniera da rendere sempre conoscibile l’iter formativo delle proprie decisioni, anche al fine di salvaguardare gli interessi privati coinvolti.
Al cittadino è riconosciuta ampia possibilità di accedere agli atti in possesso della pubblica amministrazione, al fine di tutelare i propri interessi.
Proprio sulla scorta di queste considerazioni è possibile affermare, pertanto, quanto si è accennato: ossia che il segreto, con l’entrata in vigore dell’atto normativo in parola, ha perso definitivamente la valenza di canone dell’operato della pubblica amministrazione e non occupa più una posizione se non residuale; è possibile invocare la necessità del segreto solo nei casi in cui vi sia l’esigenza reale di tutelare delicati interessi pubblici; esigenza che, tra l’altro, deve essere normativamente considerata prevalente sul diritto di accesso[36].
Conseguentemente, il diritto di accesso ai documenti amministrativi è funzionale ad assicurare esigenze di carattere generale (quali quelle dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione) e costituisce una posizione giuridica soggettiva che gode di una specifica tutela riconosciuta dall’ordinamento.[37] Le ipotesi eccezionali di tutela del segreto proteggono interessi di natura diversa da quelli di generica gestione amministrativa[38].
Quando c’è un controinteressato all’accesso che invoca riservatezza occorre però ribadire che si tratta di due posizioni giuridiche costituzionalmente rilevanti: il diritto di accesso, infatti, trova il proprio fondamento negli artt. 96 e 97 Cost.[39], il diritto alla riservatezza viene considerato, soprattutto dalla giurisprudenza, un diritto inviolabile dell’uomo ex art. 2 Cost. (v. supra, cap. I, par. 2).
I due diritti hanno certamente aree di contatto, dal momento che tra i presupposti richiesti per la loro la tutela si trova l’esigenza di assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’attività amministrativa e quindi la necessità di rendere controllabile l’operato dei soggetti che detengono dati personali nello svolgimento di un’attività correlata al perseguimento di un interesse pubblico. Ma è altrettanto chiaro che i due diritti sono antitetici nel momento in cui uno di essi tutela la trasparenza e la pubblicità dell’azione amministrativa, l’altro si pone a difesa del riserbo e della non divulgazione dei dati attinenti alla sfera personale di un soggetto. Da qui il delicato problema di come conciliare l’interesse pubblico alla trasparenza dell’attività amministrativa e i diritti della personalità correlati alla riservatezza: problema che determina, altresì, l’esigenza per il legislatore di intervenire al fine di trovare un punto di mediazione.
La possibilità riconosciuta agli individui di conoscere gli atti coinvolti nell’esercizio del potere amministrativo ha depauperato anche la sfera privata dei cittadini, ai quali per converso si attribuisce una maggiore tutela della riservatezza.
Gli interventi legislativi che in anni recenti hanno modificato la disciplina del diritto di accesso hanno tentato, per lo più, di contemperare le opposte esigenze di garanzia dell’accesso ai documenti e di tutela del riserbo[40].
In giurisprudenza particolarmente interessante è la sentenza della Corte costituzionale n. 32/2005, ma non meno rilevanti risultano numerose decisioni del giudice amministrativo[41] che hanno tentato di risolvere il problema, in particolare muovendosi nell’ottica di una interpretazione delle norme costituzionalmente orientata.
In sostanza, può ritenersi che i profili più problematici consistono proprio nel rapporto tra accesso e protezione della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle vicende che, di volta in volta, possono divenire oggetto di conoscenza o divulgazione.
L’analisi del rapporto conduce ad analizzare le conseguenze sistematiche che in materia hanno apportato le più recenti introduzioni normative: ci si riferisce, in particolare, al d.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di trattamento dei dati personali)[42], e alla l. n. 15/2005, già citata in nota 108. Questi interventi hanno comportato un riesame degli equilibri fra interesse all’accesso e interesse alla riservatezza del controinteressato, equilibri che in passato, vigente la sola l. n. 241/1990, tendevano al favore per il diritto all’accesso.
In particolare, con la l. n. 15/2005 il legislatore ha riproposto la questione del bilanciamento e ha cercato di razionalizzare i casi di esclusione del diritto di accesso inserendoli in un’unica disposizione.
Le limitazioni sono rivolte all’esigenza di tutelare la segretezza di documenti amministrativi, sia nell’interesse pubblico che nell’interesse di terzi. Pertanto, il regime di esclusione è frutto di scelte e valutazioni effettuate direttamente dal legislatore in relazione a interessi prevalenti. In presenza di quei limiti l’amministrazione è obbligata a dare risposta negativa alla richiesta d’accesso. Le fattispecie legali, previste dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990, così come rivisitate dalla l. n. 15/2005, hanno quindi carattere oggettivo e tassativo.
Il primo comma dell’art. 24, amplia, rispetto alla disciplina precedente, la categoria dei documenti esclusi dall’accesso, tra questi i documenti coperti da segreto di stato, i procedimenti tributari e l’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché i procedimenti selettivi con riferimento ai documenti recanti informazioni psico-attitudinali relative ai terzi.
La stessa legge prescrive al comma 5 del citato art. 24 che quei documenti «sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione» e «a tal fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso».
Sempre l’art. 24, al comma 2, prevede che le singole amministrazioni individuino mediante propri regolamenti «le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso». La disposizione è ribadita dall’art. 23 della l. n. 15/2005: ciascuna amministrazione deve render note, mediante emanazione di propri regolamenti, le categorie degli atti sottratti all’accesso in maniera preventiva.
Con la riforma operata dalla l. n. 15/2005 è stato anche sancito che non sono ammissibili istanze di accesso finalizzate a un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.
Il diritto di accesso, infatti, è uno strumento a tutela degli interesse concreti dei cittadini e non può comportare un controllo generalizzato e indiscriminato dell’operato della pubblica amministrazione, né può trasformarsi in uno strumento di ispezione popolare sull’imparzialità dell’attività amministrativa[43]. Si è anche osservato, in giurisprudenza, che l’accesso non può in nessun caso diventare lo strumento per poter reiterare richieste pretestuose concernenti i documenti del medesimo procedimento[44] e che «nel caso in cui l’istanza di accesso agli atti postuli un’attività valutativa ed elaborativa dei dati in possesso dell’amministrazione, è precluso il suo accoglimento, poiché, in tal caso, l’istanza stessa rileva un fine di generale controllo sull’attività amministrativa che non risponde alle finalità per la quale lo specifico strumento in parola viene azionato, che è solo quella della tutela di un ben specifico interesse»[45]. Inoltre, «deve essere escluso che il diritto d’accesso garantisca un potere esplorativo o di vigilanza, da esercitare attraverso l’acquisizione conoscitiva di atti o documenti, al fine di stabilire se l’attività amministrativa possa ritenersi svolta secondo i canoni di trasparenza e di legalità»[46].
L’intento del legislatore di assicurare la massima trasparenza nell’azione amministrativa a tutela degli interessi del cittadino trova conferma anche nella nuova formulazione del comma 7 dell’art. 24 della l. n. 241/1990, che sicuramente rappresenta la novità più rilevante della nuova normativa. Infatti, il legislatore ha fissato il principio generale secondo cui l’esigenza di curare e difendere i propri interessi giuridici acquista rilievo in tutti i casi possibili di esclusione del diritto di accesso. Le uniche eccezioni previste sono proprio in materia di dati personali, con il rinvio al relativo Codice, d.lgs. n. 196/2003.
A questo punto, diviene particolarmente utile chiarire l’esatta portata della nozione di “accesso” alla luce della novella del 2005.
In primo luogo, il novellato art. 22 della l. n. 241/1990, rubricato «Definizioni e principi in materia di accesso», fornisce una serie di definizioni che hanno apportato modifiche sostanziali alla precedente disciplina.
La disposizione menzionata chiarisce che per controinteressati devono intendersi «tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio all’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza».
Inoltre, la lett. b) dello stesso art. 22 definisce soggetti interessati (o istanti) «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». La norma pone una prima, sostanziale, differenza, rispetto al regime di accesso precedente, ove lo stesso veniva riconosciuto «a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti». Dunque, a giustificare la richiesta di accesso è necessaria, la titolarità di una situazione «tutelata» e non più solo «rilevante»; inoltre, l’interesse all’accesso deve essere «personale», e dunque può avere a oggetto soltanto quegli atti che si riferiscono all’istante, di cui egli intenda avvalersi per la tutela di una propria posizione soggettiva giuridicamente tutelata.
L’interesse all’accesso deve essere «attuale», cioè deve sussistere al momento della presentazione dell’istanza, e «concreto», nel senso che il richiedente deve potersi avvalere del documento di cui si chiede l’accesso, pena, in caso di diniego, la lesione di interessi protetti.
In definitiva, la nuova formulazione dell’art. 22 l. n. 241/1990, richiedendo che l’interesse dell’istante sia sotteso a una situazione soggettiva «tutelata» e non meramente «rilevante», appare più restrittivo rispetto a quanto previsto dall’originaria formulazione della medesima disposizione, sebbene sia stato chiarito in dottrina che la riforma ha, di fatto, recepito l’orientamento giurisprudenziale sul punto[47] su una disciplina definita dalla dottrina tra le più infelici[48].
Frutto del recepimento di principi affermatisi in sede giurisprudenziale[49], è la successiva lett. c) dell’art. 22, ove si definiscono pubbliche amministrazioni «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale», e si considerano, pertanto, suscettibili di ostensione, anche gli atti provenienti da soggetti privati, allorché abbiano avuto incidenza nelle determinazioni amministrative.


Conclusioni

Possiamo quindi affermare che il nostro ordinamento amministrativo sia ormai all’avanguardia nella garanzia della più ampia conoscibilità di dati detenuti dallo Stato. Se è possibile utilizzare la misura dell’accessibilità per valutazioni di carattere più generale possiamo notare come nelle ipotesi in cui l’ordinamento si dà carico di garantire il riserbo – attraverso conseguenti limitazioni alla divulgabilità di dati, notizie e informazioni – nettamente prevalenti risultano i casi nei quali la finalità di tali interventi protettivi consiste nella garanzia del soggetto privato, tanto rispetto agli altri consociati, quanto rispetto alla autorità pubblica. Basti considerare che lo stesso concetto di riservatezza nasce e si sviluppa a livello ordinamentale allo specifico scopo di difendere significativi aspetti della individualità del singolo nei riguardi della società, nelle sue componenti sia pubbliche che private, in cui il medesimo si trova inserito[50].
Nel nostro Paese assumono invece un rilievo decisamente recessivo le ipotesi, tassative e non numerose benché rilevanti, nelle quali il riserbo, nella forma più stringente del segreto, viene imposto in vista del perseguimento di obiettivi di rilevanza pubblicistica (si pensi al segreto di Stato o al segreto istruttorio)[51].
L’esistenza di una dialettica tra “riserbo” e “conoscibilità”, tra “segretezza” e “pubblicità” all’interno degli ordinamenti giuridici statali si può dire caratterizzante lo Stato modernamente inteso, sin dal suo sorgere nella conformazione di Stato assoluto. Ciò che invece appare progressivamente e significativamente mutato, nei passaggi dallo Stato assoluto allo Stato di diritto e alle progressive evoluzioni di quest’ultimo, è la finalità che sottende tanto l’imposizione del riserbo quanto la prescrizione della pubblicità in ordine a determinate informazioni.
In particolare, nelle forme di Stato più rudimentali e carenti dal punto di vista della tutela della posizione del singolo nei riguardi dell’autorità pubblica, le ipotesi di riserbo o di segretezza rilevanti per l’ordinamento sono individuabili esclusivamente sulla base di esigenze pubblicistiche. Nello Stato assoluto, cioè, non solo ogni limitazione alla conoscibilità di informazioni è posta nell’interesse dello Stato – ha natura dunque di segreto di Stato – ma la stessa limitazione può essere tendenzialmente estesa a ogni atto che l’autorità ritenga debba essere sottratto alla pubblica cognizione[52].
Al contrario, nello Stato di diritto – soprattutto nelle sue versioni più recenti, in cui il modello risulta perfezionato dal punto di vista dell’architettura liberal-democratica – per l’azione pubblica “la pubblicità è la regola, il segreto l’eccezione”[53]: una regola di estrema rilevanza anche al fine di salvaguardare il punto di equilibrio nella separazione dei poteri[54].
Del resto, la diversità di ruolo che la segretezza, richiesta in vista del perseguimento dell’interesse pubblico (reale o presunto), assume nello Stato assoluto e nello Stato di diritto può essere agevolmente colta già nelle pagine di due tra i primi eminenti teorici, rispettivamente, dell’una e dell’altra forma di Stato.
Per quanto riguarda l’assolutismo, particolarmente significativo è un passaggio contenuto nel Leviatano di Thomas Hobbes, il quale ritiene preferibile la monarchia assoluta rispetto ad un sistema in cui siano sovrane le assemblee rappresentative anche per la seguente ragione: “un monarca riceve consiglio da chi, quando e dove gi piace; di conseguenza può ascoltare l’opinione di uomini versati nella materia su cui egli delibera di qualsiasi rango e qualità, quanto tempo prima dell’azione, e con quanta segretezza voglia”, mentre non c’è “alcun luogo o tempo in cui un’assemblea, a causa della sua pluralità, possa ricevere consiglio in segreto”[55].
Invece, all’interno di una riflessione che in nuce già si svolge nell’ottica dello Stato di diritto, nello scritto postumo su La scienza delle Costituzioni, Gian Domenico Romagnosi afferma che “tutto prova la necessità e il diritto di un’assoluta pubblicità degli atti dell’amministrazione, della completa libertà, pubblicità e circolazione delle opinioni sulla legislazione ed amministrazione dello Stato”; e aggiunge che “le eccezioni sono poche, e debbono essere sanzionate dalla legge”[56].
Appare dunque chiaro che, sin dall’origine, il superamento dell’assolutismo da parte dello Stato di diritto passa anche attraverso la generale conoscibilità degli atti (e, soprattutto, dei procedimenti e delle informazioni che ne sono alla base) attraverso i quali si manifestano le articolazioni funzionali del pubblico potere; tale conoscibilità rappresenta il principio, mentre le puntuali e limitate restrizioni ad essa si pongono come deroghe[57].
Tuttavia, in subiecta materia, l’evoluzione dello Stato di diritto non si arresta a questo dato, pur essenziale ed ampiamente e diffusamente messo in luce dalla dottrina. Gli esiti più compiuti di tale forma di Stato, infatti, non si limitano alla imposizione ordinamentale di una generale pubblicità dell’agire pubblico, invertendo soltanto da questo punto di vista un assunto fondamentale dello Stato assoluto e configurando le ipotesi di segretezza come eccezioni da interpretare stricto sensu; a ciò deve aggiungersi – sempre in termini di principio – una generale tutela della riservatezza del soggetto privato, per finalità che sono strettamente connesse alla individualità del singolo.
In altri termini, la dialettica tra “riserbo” e “conoscibilità” cui si è sopra accennato, nelle manifestazioni meno imperfette dello Stato di diritto non viene superata mediante l’affermazione di un generalizzato favor per l’incontrastata circolazione di dati, notizie e informazioni: ciò vale, infatti, esclusivamente in relazione al versante degli apparati pubblici. Ma accanto a questo risultato, si pone il riconoscimento del principio opposto per quanto riguarda la posizione del singolo all’interno del sistema giuridico: in questo caso, l’ordinamento esprime, infatti, una tendenziale valutazione di sfavore verso l’indiscriminata circolazione di notizie, dati, informazioni che riguardino il privato, uti singulus considerato.
Deve pertanto ritenersi che gli ordinamenti statali più avanzati non eliminano semplicisticamente la tensione tra riserbo e pubblicità a favore dell’uno o dell’altro polo: semmai, ne capovolgono i termini rispetto alle forme assolutistiche, ponendo a carico degli apparati pubblici la soddisfazione delle esigenze di conoscibilità e, contestualmente, a beneficio dei soggetti privati la garanzia delle loro esigenze di riserbo[58].
In sostanza, come è stato autorevolmente rilevato con riguardo agli impianti statali democratici: “L’apparato della democrazia ha per regola la trasparenza, e il segreto costituisce un’eccezione. I diritti costituzionalmente garantiti al soggetto privato in democrazia hanno per regola la privacy e per eccezione la pubblicità”[59]. Proprio condividendo tale considerazione, dunque, è possibile sostenere che la tutela del diritto alla riservatezza finisce con il riverberarsi sulla stessa configurazione della forma di Stato.
Se il rilievo appena formulato è esatto, è necessario trarne una conseguenza ulteriore: la previsione e il grado di protezione del diritto alla riservatezza all’interno di un dato ordinamento, che si richiami al modello dello Stato di diritto, possono rappresentare un valido “strumento di misurazione” del livello di compiutezza complessiva dell’ordinamento stesso rispetto al modello.
In questa prospettiva, la garanzia giuridica della privacy non si pone soltanto come una delle “voci” di cui si compone, genericamente e indifferentemente, il catalogo dei diritti che un sistema accorda al singolo. In maniera più penetrante, essa assume invece una chiara valenza qualificatoria dell’intero ordinamento, sicché dalla sua presenza – o dalla sua assenza – debbono desumersi significativi elementi di valutazione inerenti al sistema nel suo insieme.
Si vuole intendere che la protezione della riservatezza, al pari della garanzia di altri basilari diritti di libertà, contribuisce in maniera determinante all’affermazione in un ordinamento del principio per cui l’organizzazione ed il funzionamento dei pubblici poteri sono costitutivamente strumentali rispetto alla tutela della persona. Ossia di quel principio che, con riguardo all’ordinamento costituzionale italiano, ha tradizionalmente assunto il nome di “principio personalistico” e trova espressione nell’art. 2 Cost.[60]. Non si vede, infatti, come possa ritenersi posta al centro del sistema la tutela della persona senza che, congiuntamente, si difenda la privacy intesa quale “spazio vitale senza il quale la persona umana non può svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana”[61].
Quanto appena rilevato porta con sé un duplice corollario. Anzitutto, in un ordinamento che a livello costituzionale affermi il suo essere improntato al principio personalistico, non può mancare – a pena di macroscopica incoerenza – la contestuale introduzione di adeguati strumenti di difesa della sfera di riservatezza del singolo[62].
Inoltre, posto che il principio personalistico sia da inserire nel novero dei principi costituzionali che non possono essere espunti dall’ordinamento neppure facendo ricorso al procedimento di revisione costituzionale (come sembra persuasivo ritenere in relazione al sistema italiano[63]), ogni intervento legislativo che miri ad eliminare o a svuotare di contenuto la protezione della riservatezza deve ritenersi costituzionalmente illegittimo. Così come, all’inverso, debbono essere considerati attuativi della Costituzione (rectius: del principio personalistico in essa affermato) quegli interventi normativi che si propongano di rafforzare ed accrescere il grado di difesa della dimensione privata del singolo, tanto più in considerazione degli inediti pericoli che per essa possano derivare dai progressi tecnologici, anche e soprattutto lungo il versante informatico[64].
Non sembra dunque eccessivo affermare, conclusivamente, che i legami tra la garanzia della riservatezza e gli esisti più maturi attualmente raggiunti nella configurazione della forma di Stato siano strettissimi; al punto tale che ogni arretramento sul piano della tutela della privacy appare destinato a tradursi, inevitabilmente, in un indebolimento della struttura garantistica che caratterizza, nel suo complesso, lo Stato di diritto contemporaneo.
Se una sintesi è possibile, con un certo timore, ma avendo a supporto anche le esperienze di ordinamenti notoriamente non autoritari, potrebbe avanzarsi la conclusione che la democrazia di una nazione si misura non solo con riferimento al grado di disclosure che si fa delle notizie e dei dati di cui è in possesso l’apparato statale, ma dalla capacità di contemperamento dell’esigenza di pubblicità con quella altrettanto rilevante di riservatezza dei dati personali del singolo.

 

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[1] Si utilizza l’espressione “Stato modernamente inteso” nel senso in cui è impiegata da V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, I, Padova, 1970, p. 52 e ss., ossia per indicare lo Stato “così come si presenta nell’era moderna”, ossia in “una fase storica relativamente recente, della quale si può assumere convenzionalmente come punto di partenza (beninteso, con larga approssimazione) la pace di Westfalia (1648)”. Con quel trattato infatti si configura un concetto di sovranità dello Stato da far valere anche nei confronti degli altri Stati.
[2] In termini di “insufficienza della Costituzione rispetto ai problemi delle libertà civili” si esprimeva, ad es., A. Barbera, Art. 2, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, Bologna-Roma, 1977, p. 61.
[3] Che il disinteresse dell’ordinamento italiano per la protezione della riservatezza potesse essere considerato o reale o soltanto apparente, a seconda delle prospettive interpretative, è confermato dall’evoluzione giurisprudenziale in materia: evoluzione che si era determinata già prima degli interventi additivi del legislatore e, dunque, a diritto vigente invariato. Sia sufficiente porre a confronto due pronunce della Corte di Cassazione, intervenute a circa un ventennio di distanza: nella sent. n. 4487 del 1956 (in Foro it., 1957, I, p. 9 e ss.) la Corte affermava che “nell’ordinamento giuridico italiano non esiste un diritto alla riservatezza, ma soltanto sono riconosciuti e tutelati, in modi diversi, singoli diritti soggettivi della persona”; nella sent. n. 2129 del 1975 (in Foro it., 1976, I, p. 2895 e ss.), all’opposto, si riteneva che “il nostro ordinamento riconosce il diritto alla riservatezza, che consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile”.
[4] Si tratta del discorso tenuto in occasione dell’ultima Udienza generale, in piazza San Pietro, il 27 febbraio 2013, in cui è contenuto il seguente passaggio: “Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy”; il discorso è reperibile al seguente indirizzo web: http://www.vatican.va/holy_father/benedict/_xvi/audiences/2013/documents/hf_ben-xvi_aud_20130227_it.html.
[5] Peraltro, neppure la figura giuridica del segreto, benché assistita – come accennato – da una più lunga tradizione nell’ordinamento italiano, si è potuta sottrarre, nel corso del tempo, a penetranti riconsiderazioni; con particolare riguardo al ripensamento del “segreto di Stato”, in una prospettiva di diritto comparato, già sul finire degli anni Settanta del secolo scorso veniva messo in luce come esso rappresentasse “un sintomo dell’evoluzione che stanno subendo i rapporti tra Stato e società civile e dell’importanza che in un’ipotesi di corretta struttura democratica riveste il problema dell’informazione dei cittadini”: così R. Gambini Musso, Uno sguardo alla tematica dei rapporti tra segreto di Stato e processo nell’esperienza anglo-americana, in M. Chiavario (a cura di), Segreto di Stato e giustizia penale, Bologna, 1978, p. 115.
[6] In questi termini G. Giacobbe, Riservatezza (diritto alla), in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, p. 1243 e ss.
[7] Come rilevato nelle pagine, oramai classiche, dedicate al tema da C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano, 1958, passim, part. p. 8.
[8] Così A. Ferrucci, Diritto di accesso e riservatezza: osservazioni sulle modifiche alla l. 241/90, 2005, par. 6, in www.giustamm.it; in verità l’A. esprime la notazione riportata soltanto con riguardo alla formulazione del previgente art. 24, comma 2, legge n. 241/1990. Cfr. anche G. Arena, Il segreto amministrativo. Profili teorici, Padova, 1984, p. 70, citando P. Gulphe, Rapport sur le secret professionnel en droit français, in Le secret et le droit. Travaux de l’Association H. Capitant, XXV, Parigi, 1974, p. 116, «è necessario tener presente che ogni segreto può proteggere, in momenti diversi o contemporaneamente, più di un interesse; pertanto è necessario di volta in volta individuare quale sia in quel momento l’interesse protetto in via primaria e, dunque, il soggetto che in quella fase è il vero “maitre du secret”».
[9] Così A. Baldassarre, Privacy e Costituzione, Roma, 1974, p. 472.
[10] Così S. Battini, B. G. Mattarella, A. Sandulli, Il procedimento, in G. Napolitano (a cura di), Diritto amministrativo comparato, Milano, 2007, p. 161, i quali parlano espressamente di “origini scandinave” dell’open governement.
[11] Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi 12.2, Roma, 2009, p. 15.
[12] L’art. 105, lett. b), della Costituzione spagnola del 1978 stabilisce che “la ley regularà […] el acceso de los ciudadanos a los archivos y registros administrativos, salvo en lo que afecte a la seguridad y defensa del Estado, la averiguación de los delitos y la intimidad de las personas”.
[13] Per questa considerazione, cfr. A. Bonomo, La trasparenza amministrativa: riflessioni di diritto comparato, in Annali delle Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, n. 2, Bari, 2008, p. 69.
[14] In questo senso, ad es., E. Carloni, La “casa di vetro” e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Diritto pubblico, 2009, pp. 779 ss., part. pp. 784 ss., il quale evidenzia altresì l’influenza, non valutata positivamente, che il modello francese ha esercitato nei riguardi del legislatore italiano del 1990.
[15] Così A. Bonomo, La trasparenza amministrativa: riflessioni di diritto comparato, cit., p. 67.
[16] Così A. Bonomo, La trasparenza amministrativa: riflessioni di diritto comparato, cit., pp. 55 ss., part. p. 62; la legge britannica in tema di protezione dei dati personali è, invece, anteriore di circa un ventennio: si tratta del Data Protection Act del 1984.
[17] Freedom of Information Act 2000, Chapter 36.
[18] Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi 10.1, Roma, 2006, p. 45.
[19] V. al riguardo N. Turchini, Trasparenza e accesso nell’esperienza inglese, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, pp. 499 ss., part. pp. 520 ss.; l’A. evidenzia, altresì, (p. 524) come l’art. 44 del FOIA britannico preveda che “il duty to confirm or deny così come il dovere di divulgazione siano soggetti a esenzione assoluta laddove il loro adempimento sia proibito dalla legge”, sicché “quella che potrebbe sembrare una semplice formula di chiusura stabilisce in realtà che il FOIA non influisce di per sé sulle precedenti norme che limitavano o negavano il diritto di accesso”.
[20] In questi termini A. Bonomo, La trasparenza amministrativa: riflessioni di diritto comparato, cit., p. 64.
[21] Cfr. ad es. il sito www.foia.it, in cui sono illustrate le proposte portate avanti da Iniziativa per l’adozione di un Freedom of Information Act in Italia, una rete di associazioni e di singoli di cui fanno parte anche eminenti giuristi (tra cui Gregorio Arena, Enzo Cheli, Valerio Onida, Aldo Sandulli). Cfr., ad es., la Relazione di accompagnamento della proposta di legge (A.S. 2045) presentata al Senato della Repubblica il 2 marzo 2010, nel corso della XVI legislatura, dal senatore Pietro Ichino ed altri, in cui si afferma che “un principio di trasparenza totale, ispirato ai principi della full disclosure già da tempo praticata dagli anni ’70 in Svezia e poi negli Stati Uniti d’America e in Gran Bretagna con i Freedom of Information Acts, dovrebbe essere posto a fondamento di tutto il regime delle amministrazioni pubbliche”.
[22] 5 U.S.C. § 552, Public Law 89-487, 80 Stat. 250, più volte modificato dopo la sua prima entrata in vigore.
[23] FOIA (a)2D: “each agency, in accordance with published rules, shall make available for public inspection and copying […] copies of all records, regardless of form or format, which have been released to any person under paragraph (3) and which, because of the nature of their subject matter, the agency determines have become or are likely to become the subject of subsequent requests for substantially the same records”.
[24] Il principio di una full disclosure, in verità, non risulta espressamente affermato nel FOIA. Da questo punto di vista, almeno apparentemente e con riguardo alla mera dichiarazione di principio, il legislatore italiano sembra essere andato oltre la linea raggiunta da quello nordamericano; infatti, sia nella l. n. 15/2009 (art. 4, comma 7), sia nel d.lgs. n. 33/2013 (art. 1, comma 1), si stabilisce che la trasparenza – che i due atti normativi intendono assicurare – è da intendersi come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni.
[25] Le exemptions sono previste nello stesso FOIA, (b) 1-9, a partire dal caso in cui la richiesta di accesso riguardi documenti “specifically authorized under criteria established by an Executive order to be kept secret in the interest of national defense or foreign policy”; sul tema specifico, cfr. G.F. Ferrari, L’accesso ai dati della pubblica amministrazione negli ordinamenti anglosassoni, in G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, Bologna 1991, pp. 117 ss.
[26] Gli atti legislativi più rilevanti, al riguardo, sono il c.d. USA Patriot Act del 2001 (Public Law 107-56, 115 Stat. 272) e l’Homeland Security Act del 2002 (Public Law 107-296, 116 Stat. 2135); per quanto concerne la giurisprudenza della Corte Suprema, v. ad es. la sentenza del 12 gennaio 2004, caso n. 3-472, Center for National Security Studies c. United States Department of Justice, nella quale in sostanza la Corte conferma la legittimità per l’Amministrazione di mantenere segreti i nomi dei prigionieri con imputazione di terrorismo: sulla questione, cfr. M. Tondini, J.P. Pierini, Tavole di legislazione e giurisprudenza comparata sul fenomeno del terrorismo internazionale (luglio 2007), in www.forumcostituzionale.it.
[27] Per una ricostruzione storica cfr. G. Arena, Il segreto amministrativo. Profili storici e sistematici, Padova, 1984, p. 101 e ss..
[28] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2004, p. 410, rileva che, in passato, il problema della tutela della riservatezza «era meno sentito in quanto la non divulgazione dei dati in possesso dell’amministrazione, che costituiva la regola generale dell’agire amministrativo, di fatto impediva la configurazione di una lesione della riservatezza dei terzi in forza di un comportamento del soggetto pubblico». R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. Proc. Amm., ha descritto siffatto sistema come antitetico ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.
[29] G. Arena, La trasparenza dell’azione amministrativa e il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Id., (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, cit., p. 15 e ss..
[30] C. Mucio, Codice della privacy e pubblica amministrazione. Diritto di accesso e riservatezza nella p.a. e negli enti locali, Milano 2005, p. 238 e ss.; nello stesso senso G. Cassano, M. Del Vecchio, Diritto alla riservatezza e accesso ai documenti amministrativi, Milano 2001, p. 36 e ss., rilevano come il principio di trasparenza dell’azione amministrativa consiste nel «rendere visibile a tutti gli interessati il processo decisionale mediante il quale l’amministrazione dispone l’assetto degli interessi e definisce il fine pubblico del caso concreto». Cfr. anche S. Cimini, Accesso ai documenti amministrativi e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, in V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto (a cura di), Il codice del trattamento dei dati personali, Torino, 2007, p. 325 e ss..
[31] Sul punto cfr. F. Caringella, R. Garofoli, M.T. Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 2003, p. 3 e ss.; G. Arena, Il segreto amministrativo. Profili teorici, cit., p. 84. In giurisprudenza si veda, per prima, Cons. St., ad. plen., 4.2.1987, n. 5, in Foro it., 1997, III, p. 199 e ss., con commento di M. Bombardelli; sul tema v. anche A. Sandulli, La riduzione dei limiti all’accesso ai documenti amministrativi, in Giorn. Dir. Amm., 1997, p. 1022 e ss..
[32] Si è osservato, in dottrina, che la l. n. 241/1990 ha attuato una vera e propria «rivoluzione copernicana» nei rapporti tra P.A. e cittadini, edificando nel nostro ordinamento «un nuovo sistema di valori che, ribaltando l’impostazione tradizionale ancorata al segreto amministrativo, eleva il diritto di accesso e la pubblicità a regola dell’azione amministrativa, relegando il segreto a ruolo di eccezione»: S. Cimini, op. ult. cit., p. 326.
[33] Tra gli Autori che hanno approfondito la materia vanno citati: G. Alpa, La normativa sui dati personali. Modelli di lettura e problemi esegetici, in V. Cuffaro, V. Ricciuto, V. Zeno-Zencovich, (a cura di), Trattamento dei dati e tutela della persona, Milano, 1998, p. 21; M. Ambrosoli, La tutela dei dati personali e la responsabilità civile, in Riv. Dir. Priv., 1998, p. 297 e ss.; M. Atelli, Riservatezza (diritto alla) (diritto costituzionale), in Enc. Giur. Treccani, XXVII, aggiornamento, Roma, 2002, spec. p. 2 e ss.; A. Bartolini, Pubblicità delle informazioni e diritto di accesso, in B. Cavallo (a cura di), Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, Torino, 2000, p. 249; T. Bucalo, Implicazione della persona e “privacy” nel rapporto di lavoro. Considerazioni sullo Statuto dei diritti dei lavoratori, in Riv. Giur. Lav., 1976, I, spec. p. 517 e ss.; C. Camardi, Mercato delle informazioni e privacy. Riflessioni generali sulla legge n. 675/1996, in Europa Dir. Priv., 1998, p. 1059 e ss.; S. Cimini, Diritto di accesso e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, in Giust. Civ., 2005, p. 582; G.P. Cirillo, La tutela della privacy nel sistema del nuovo codice sulla protezione dei dati personali, Padova, 2004, p. 63; G.P. Cirillo, Diritto all’accesso e diritto alla riservatezza: un difficile equilibrio mobile, in www.giustizia-amministrativa.it; M. Clarich, Diritto di accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. Proc. Amm., 1996, p. 458; M. Clarich, Trasparenza e protezione dei dati personali nell’azione amministrativa (intervento al Convegno dell’11.2.2004, Roma, Palazzo Spada), in Foro Amm.: TAR, 2004, p. 3890; G. Comandè, Commento all’art. 18 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, in Nuove leggi civ. comm., 1999, p. 478 e ss.; V. Cuffaro, V. Ricciuto, La disciplina del trattamento dei dati personali, Torino, 1997, p. 216 e ss.; A. Ferrucci, Diritto di accesso e riservatezza: osservazioni sulle modifiche alla l. n. 241 del 1990, par. 6, in www.giustamm.it; C. Francomanno, La tutela amministrativa davanti la Commissione per l’accesso, in R. Tomei (a cura di), La nuova disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi. Commento alla legge n. 241 del 1990 e al d.P.R. n. 184 del 2006, Padova, 2007, p. 278 e ss; G. Giacobbe, L’identità personale tra dottrina e giurisprudenza. Diritto sostanziale e strumenti di tutela, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1985, p. 855 e ss.; Lugaresi, Il trattamento dei dati nella pubblica amministrazione, in J. Monducci, G. Sartor (a cura di), Il codice in materia di protezione dei dati personali, Padova, 2004, p. 1 e ss. e p. 242 e ss.; R. Montinaro, Tutela della riservatezza e risarcimento del danno nel nuovo «Codice in materia di protezione dei dati personali», in Giust. Civ., 2004, p. 247 e ss.; M. Occhiena, I diritti di accesso dopo la riforma della l. n. 241 del 1990, in F. Manganaro, A. Romano Tassone (a cura di), I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto d’informazione (Atti del Convegno di Studi di Copanello, 25-26 giugno 2004), Torino, 2005; M. Occhiena, I poteri della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. In particolare, la funzione giustiziale ex lege n. 241/1990 e d.P.R. n. 184/2006, in www.giustamm.it.; R. Panetta, Note critiche in tema di lesione della responsabilità extracontrattuale, tra legge n. 675/96 e d.lgs. n. 196/2003, in Riv. Crit. Dir. Priv., 2003, p. 637 e ss.; gli autori citati da R. Pardolesi, Dalla riservatezza alla protezione dei dati personali: una storia di evoluzione e discontinuità, in R. Pardolesi (a cura di), Diritto alla riservatezza e circolazione dei dati personali, I, Milano, 2003, p. 1 e ss.; M.A. Sandulli, Accesso ai documenti amministrativi, in Enc. Dir., aggiornamento, IV, Milano, 2000, p. 18 e ss.; L. Saporito, Artt. 59 e 60, in S. Sica, P. Stanzione (a cura di), La nuova disciplina della privacy, Torino, 2005, p. 274 e ss.; A. Traversi, Il diritto dell’informatica, Milano, 1985, p. 301; Warren, Brandeis, The right to privacy, in Arward Law Review, 1890, p. 193 e ss.; V. Zeno-Zencovich, I diritti della persona dopo la legge sulla tutela dei dati personali, in Studium iuris, 1997, p. 468 e ss..
[34] R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Aa. VV., La disciplina generale del procedimento amministrativo. Contributi alle iniziative legislative in corso (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 18-20 settembre 1986), Milano, 1989, p. 151; S. Tarullo, Diritto di accesso ai documenti amministrativi e diritto alla riservatezza: un difficile rapporto, in Jus, 1996, p. 232 e ss.; F. caringella, Corso di diritto amministrativo, II, Milano, 2010, p. 1745.
[35] Vedi in particolare Cons. St., ad. pl., 4.2.1997, n. 5.
[36] La versione originaria dell’art. 24 della l. n. 241/1990 escludeva l’accesso «per i documenti coperti da segreto di stato ai sensi dell’art. 12 della legge 24 ottobre 1877, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento».
[37] La giurisprudenza è ancora incerta in ordine alla natura di diritto soggettivo (in questo senso, ad es., Cons. St., 12.4.2005, n. 1679) o di interesse legittimo (così, ad es., Cons. St., 10.2.2009, n. 741) del diritto di accesso. A favore dell’inquadramento nell’ambito dei diritti soggettivi è l’art. 25 della l. n. 241/1990 che prevede un procedimento giurisdizionale che può concludersi con un ordine di esibizione del documento e non solo nel mero annullamento dell’atto di diniego. Sul tema, cfr. S. Fiorenzano, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 11 febbraio 2005, n. 15: nuove regole sostanziali e giustiziali, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, p. 463 e ss..
[38] Vedi tra le altre: Cons. St., n. 5105, 2000; Cons. St., n. 1893, 2001.
[39] Sotto il profilo del fondamento costituzionale del diritto d’accesso, un’altra opinione giurisprudenziale riconduce il diritto all’informazione all’art. 21 della Costituzione, valutando non tanto il diritto a informare (valenza attiva del diritto), quanto il diritto a essere informati (valenza passiva).
[40] Successivamente alla l. n. 241/1990 si segnalano la l. n. 15/2005, la l. n. 69/2009, il d.lgs. n. 150/2009 e il d.lgs. n. 104/2010. Ma già prima del 1990 l’affermazione del diritto di accesso si riscontra sia pure in specifiche normative di settore: art. 56, r.d. n. 444/1942, modificato dal d.P.R. 1988, n. 250/1988 (Regolamento per l’esecuzione della legge sul Consiglio di Stato); gli artt. 9 e 10 della l. n. 765/1967 (in materia urbanistica); l’art. 20 della l. n. 833/1978 (istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale); l’art. 25 della l. n. 816/1985 (relativa allo status di amministratori locali); l’art. 14 della l. n. 349/1986 (istitutiva del Ministero dell’Ambiente). In generale, sugli “antecedenti” della disciplina dell’accesso introdotta nel 1990, cfr. L.A. Mazzarolli, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali, Padova, 1998, p. 6 e ss.; B. Selleri, Il diritto all’informazione in Italia prima delle leggi n. 142 del 1990 e n. 241 del 1990, in G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, cit., p. 95 e ss..
[41] Si segnala la non troppo risalente sentenza del TAR Lazio, 17.1.2005, n. 308 che affronta il rapporto di valore tra il diritto di accesso e la privacy.
[42] Il Codice ha ridisegnato il quadro legislativo relativo alle amministrazioni pubbliche. In particolare, per quanto qui rileva, nella Parte I, Titolo III, capo II (artt. 18-22), si introducono una serie di regole cui tutti i soggetti pubblici, indicati all’art. 22, devono attenersi, nel trattamento dei dati. Ancora, nella Parte II, Titolo IV (artt. 59-74), viene regolato in maniera puntuale il trattamento dei dati in ambito pubblico, compresa la disciplina relativa all’accesso ad atti e informazioni in possesso della P.A..
[43] TAR Campania, 7.12.2004, n. 18532.
[44] TAR Lazio, 8.11.2004, n. 12659.
[45] Cons. St., sez. IV, 9.8.2005, n. 4216.
[46] TAR Sardegna, sez. II, 19.1.2006, n. 29.
[47] Si vedano, a titolo esemplificativo, Cons. St., 29.4.2002, n. 2283, in Foro it., 2002, III, p. 577 e ss.; Cons. St., 13.12.1999, n. 2109, in Foro Amm., 1999, p. 2514 e ss..
[48] A. Romano Tassone, A chi serve il diritto di accesso? (Riflessioni su legittimazione e modalità di esercizio del diritto di accesso nella legge n. 241 del 1990), in Dir. amm., 1995, p. 319, definisce la formula normativa «tra le più infelici, forse, la peggiore possibile».
[49] Ex multis si v. Cons. St., 29.11.2004, n. 7805, in Giust. civ., 2001, I, p. 1413 e ss., e, prima ancora, Cons. St., 4.2.1997, n. 82, in Giur. it., 1997, III, p. 385 e ss..
[50] È pacifico che la protezione della riservatezza vada a soddisfare non già un generico interesse pubblico, quanto “l’esigenza di tutela della sfera privata della persona, mediante l’utilizzazione dello strumento tecnico giuridico del diritto soggettivo”: così, ad es., G. Giacobbe, Riservatezza (diritto alla), Milano, 1989, p. 1243; può aggiungersi che tale diritto soggettivo “attiene alla protezione del cittadino (tendenzialmente anche del non cittadino) in quanto tale, disancorato da contenuti economici e patrimoniali”: in questi termini, G. Pascuzzi, Il trattamento dei dati personali per fini di giustizia civile, in Id. (a cura di), Giustizia civile e diritto di cronaca, Trento, 2003, p. 23.
[51] Si può anzi aggiungere che “nel contesto dello Stato di diritto e, a fortiori, nello Stato costituzionale il segreto di Stato deve trarre fondamento in determinati valori fondamentali, è soggetto al principio di legalità e, quindi, deve essere regolato positivamente e in maniera organica, sia per ridurre la naturale ampiezza delle valutazioni ad esso inerenti, sia per rendere effettivo il principio di separazione dei poteri in vista della garanzia del sistema”: così A. Morrone, Il nomos del segreto di Stato, in G. Illuminati (a cura di), Nuovi profili del segreto di Stato e dell’attività di intelligence, Torino, 2010, p. 12. Più in generale, nello Stato costituzionale l’individuazione delle ipotesi di prescrizione del segreto deve fondarsi su interessi tutelati da specifiche norme costituzionali e non su un generico e non meglio definito “interesse pubblico”: in questo senso, cfr. A. Anzon, Segreto d’ufficio (dir. amm.), in Enc. giur., XXVIII, Roma, 1992, p. 2.
[52] Tale segretezza può perfino essere qualificata come doverosa: “ in base al principio salus rei publicae suprema lex il sovrano per diritto divino o per diritto di natura o per diritto di conquista ha il dovere di tener celati quanto più gli è possibile i suoi disegni”, sicché “nello Stato autocratico il segreto di stato non è l’eccezione ma la regola: le grandi decisioni politiche debbono essere prese al riparo degli sguardi indiscreti di un qualsiasi pubblico”: così N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in Rivista italiana di scienza politica, 1980, p. 190, ripubbl. in Id., Il futuro della democrazia, Torino, 1995, p. 82 e ss..
[53] Cfr. ancora N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, cit., p. 191.
[54] Pone l’accento su quest’ultimo aspetto, ad es., A. Morrone, Il nomos del segreto di Stato, cit., p. 5 e ss., part. p. 7, il quale richiama la considerazione di M. Weber, Parlamento e governo. Per la critica politica della burocrazia e del sistema dei partiti (1918), Tr. It., Bari, 1993, p. 62, secondo cui “la pubblicità dell’amministrazione imposta in forza di un controllo parlamentare effettivo, è il requisito preliminare di ogni fecondo lavoro parlamentare e di ogni educazione politica”.
[55] T. Hobbes, Leviatano (1651), Tr. It., Bari, 1992, p. 157 e ss..
[56] G.D. Romagnosi, La scienza delle Costituzioni, Torino, 1849, p. 30; su questo aspetto del pensiero di Romagnosi, cfr. G. Arena, Il segreto amministrativo. Profili teorici, cit., p. IX e ss..
[57] Principio fatto proprio dall’ordinamento italiano a livello costituzionale, con riguardo tanto alla legislazione, quanto alla giurisdizione e all’amministrazione. Per la legislazione, esso è espresso all’art. 64, comma 2, Cost. ai sensi del quale la regola è quella della pubblicità delle sedute delle Camere. Con riguardo alla giurisdizione, il principio va tratto, anzitutto, dalla prescrizione dell’art. 101, comma 1, Cost. secondo cui la giustizia è amministrata in nome del popolo, e la sua vigenza è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale in diverse pronunce (cfr., ad es., Corte cost., sent. n. 212/1986, in Giur. cost., 1986, p. 344 e ss.). Per quanto attiene all’amministrazione, infine, il principio appare desumibile sul piano costituzionale “dal ruolo complessivamente affidato dalla Costituzione all’amministrazione nel contesto dello stato di diritto” (in questi termini C. Cudia, Trasparenza amministrativa e diritti di informazione del cittadino nei riguardi delle amministrazioni regionali, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, p. 133) e rappresenta una diretta conseguenza del carattere eccezionale del segreto, sicché “tutte le informazioni non protette dal segreto amministrativo devono poter circolare liberamente”: così, G. Arena, Il segreto amministrativo. Profili teorici, cit., p. 239 s..
[58] Quel che si rileva in riferimento allo Stato assoluto vale anche per lo Stato totalitario, nel quale “il privato è eroso e distrutto, l’individuo diventa elemento e strumento dello Stato etico, lo Stato penetra nelle più riposte dimensioni della vita personale”: cfr. U. Scarpelli, La democrazia e il segreto, in Aa.Vv., Il segreto nella realtà giuridica italiana, Padova, 1983, p. 643.
[59] L’osservazione è di P. Barile, Democrazia e segreto, in Quad. cost., 1987, p. 29.
[60] Tale principio, nelle parole di Giuseppe Dossetti durante l’intervento del 9 settembre 1946 nella I Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, istituita in seno all’Assemblea costituente, si fondava sulla “anteriorità della persona” rispetto allo Stato; mentre il 10 settembre 1946 il Presidente della Sottocommissione, U. Tupini, ricordava agli altri membri che” la precedenza della persona umana di fronte allo Stato, il quale deve considerarsi al servizio di quella, fu un punto acquisito nella discussione di ieri”. Sul principio personalistico nella Costituzione italiana la letteratura è amplissima; si v., anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, P. Caretti, I diritti fondamentali, Torino, 2011, p. 136 e ss..
[61] Per riprendere le parole utilizzate dalla Corte costituzionale nella ben nota sent. n. 366/1991, in Giur. cost., 1991, p. 2918.
[62] In questo senso è stato rilevato in dottrina che “se è vero che il diritto alla riservatezza non può essere inserito nel catalogo dei diritti garantiti direttamente dalla Costituzione, non è meno vero che l’àmbito di operatività che di esso è proprio deve essere definito dal legislatore ordinario, il quale ha discrezionalità sul quomodo ma non sull’an, dovendo ritenere che una sfera di tutela della vita privata del soggetto ‘deve’ essere garantita, in quanto espressione (necessaria) della rilevanza costituzionale che la persona ha acquisito nel sistema della Costituzione”: così G. Giacobbe, Riservatezza (diritto alla), cit., p. 1252 s..
[63] Cfr. G. Guzzetta, F.S. Marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, Torino, 2008, p. 646, i quali rilevano che ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’inviolabilità dei diritti in esso prescritta, sono i principi costituzionali, ivi incluso il principio personalistico, “che si desumono dai diritti a essere sottratti a revisione costituzionale (in pejus): con la conseguenza che anche una revisione costituzionale che conservasse il singolo diritto, ma ne restringesse la portata ed il contenuto al punto tale da incidere sul principio che da esso si induce, dovrebbe ritenersi vietata”.
[64] Gli strumenti informatici, potenziando la possibilità di elaborare , classificare e far circolare i dati relativi ad un soggetto, rappresentano un fattore di rischio non trascurare per la riservatezza; un qualunque dato, “considerato a sé, può essere poco o nulla significativo: meglio, poco o nulla dice al di là della specifica questione cui direttamente si riferisce. Nel momento in cui diviene possibile conoscere contemporaneamente e connettere tutta la massa delle informazioni riguardanti una determinata persona, ecco che dall'intreccio delle informazioni emerge un profilo complessivo del soggetto considerato, che ne permette la valutazione da parte di chi dispone del mezzo idoneo a effettuare tali operazioni”: cfr., per questo rilievo, già negli anni Settata del secolo scorso, S. Rodotà, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973, p. 14 e ss..

 

 

(pubblicato il 18.10.2013)

 

 

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