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TAR ABRUZZO-L’AQUILA – Sentenza 17 gennaio 2002 n. 7 - Pres.ff. Speca, Est. Rasola – D.R. e M.A. c. Regione Abruzzo e nei c. di R.S., ed altri

1. Elezioni - Giudizio elettorale - Procedimento - Costituzione in giudizio della parti resistenti - Possibilità che essa avvenga fino alla prima udienza di discussione - Sussiste - Possibilità, nel caso di costituzione all’udienza, di depositare memorie - Non sussiste.

2. Elezioni - Giudizio elettorale - Procedimento - Legittimazione passiva - Nel caso di impugnativa avverso atto di proclamazione degli eletti - Spetta solo all’Amministrazione a cui si riferiscono i risultati - Ufficio elettorale centrale regionale e ufficio circoscrizionale - Non sono legittimati passivi.

3. Elezioni - Giudizio elettorale - Procedimento - Legittimazione passiva - Nel caso di impugnativa dell’ammissione delle liste o della esclusione di una lista o di un candidato - Ufficio elettorale centrale regionale e ufficio circoscrizionale - Sono legittimati passivi.

4. Elezioni - Giudizio elettorale - Procedimento - Notifica del ricorso ad uno solo dei controinteressati - Sufficienza.

5. Elezioni - Giudizio elettorale - Procedimento - Potere del G.A. di pronunciarsi incidenter tantum su questioni relative alla ineleggibilità e incandidabilità - Sussiste.

6. Giustizia amministrativa - Intervento in giudizio - Ad adiuvandum - Proposto da colui che aveva legittimazione ad impugnare il provvedimento - Inammissibilità - Deduzione da parte dell’interveniente di motivi diversi e nuovi che ampliano il thema decidendum - Inammissibilità.

7. Elezioni - Ineleggibilità ed incandidabilità - Incandidabilità ex art. 15.1 della L. 19.3.1990, n. 55, integrata dalla L. 18.1.1992, n. 16 - - Costituisce una nuova incapacità giuridica speciale - Ratio - Individuazione.

8. Elezioni - Ineleggibilità ed incandidabilità - Incandidabilità ex art. 15.1 della L. 19.3.1990, n. 55, integrata dalla L. 18.1.1992, n. 16 - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza.

9. Elezioni - Ineleggibilità ed incandidabilità - Incandidabilità ex art. 15.1 della L. 19.3.1990, n. 55, integrata dalla L. 18.1.1992, n. 16 - Partecipazione alle elezioni regionali di un soggetto incandidabile -Conseguenze - Nel caso in cui il soggetto incandidabile sia stato eletto nel c.d. listino - Comporta anche l’illegittimità dell’intera competizione elettorale.

10. Elezioni - Ineleggibilità ed incandidabilità - Incandidabilità ex art. 15.1 della L. 19.3.1990, n. 55, integrata dalla L. 18.1.1992, n. 16 - Partecipazione alle elezioni regionali di un soggetto incandidabile - Istituto della surroga previsto dall’art. 16 della L. 108/1968 - Inapplicabilità - Ragioni.

1. Nelle controversie in materia elettorale davanti al T.A.R., la costituzione in giudizio può avvenire fino alla prima udienza di discussione, ma al solo fine di discutere oralmente la causa, vale a dire senza facoltà di presentare memorie scritte o controdeduzioni (1); in dette controversie, infatti, il termine perentorio di cui all’art. 83/11, 3° comma, T.U. 16.5.1960, n. 570 e successive modificazioni, è fissato al fine della presentazione da parte dei controinteressati di deduzioni scritte, ma non impedisce agli stessi di costituirsi allo scopo di svolgere difese orali (2).

2. Nei giudizi elettorali avverso l’atto di proclamazione degli eletti, unica legittimata passiva è l’Amministrazione interessata, la quale si appropria degli effetti conseguenti alla consultazione elettorale, mentre non è considerato legittimato passivo né l’Ufficio elettorale centrale regionale, né quello circoscrizionale, trattandosi di organi straordinari e temporanei, che si sciolgono subito dopo la proclamazione degli eletti, con ciò esaurendo la propria funzione, per cui si è ritenuto che non sono portatori di un interesse qualificato alla conservazione degli atti impugnati (3).

3. Di legittimazione processuale degli uffici cui è demandata l’ammissione delle liste può e deve parlarsi solo nel caso di immediata impugnativa dell’atto di ammissione, ovvero nello specifico caso della esclusione di una lista o di un candidato, che, come noto, va immediatamente impugnata con ricorso da notificare a detti uffici (presso l’Avvocatura dello Stato) che sono ancora costituiti (4).

4. Per l’ammissibilità del ricorso elettorale è sufficiente che il contraddittorio sia stato validamente costituito nei confronti di almeno uno dei controinteressati (5).

5. Se è innegabile che la materia inerente lo status di elettorato passivo di un candidato appartiene alla cognizione dell’A.G.O., deve tuttavia ammettersi che il Giudice amministrativo possa conoscere, incidenter tantum, a prescindere da ogni richiesta delle parti, anche delle questioni relative allo status di ineleggibilità od incandidabilità (6).

5. Il soggetto che ha titolo per ricorrere contro un atto amministrativo non è legittimato a proporre intervento ad adiuvandum nel giudizio promosso da altri (7). L’atto di intervento ad adiuvandum è, altresì, inammissibile nel caso in cui si sia ampliato l’oggetto del giudizio come delineato dai ricorrenti. L’interventore ad adiuvandum, infatti, non è legittimato ad ampliare il thema decidendum fissato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, ma può solo meglio illustrarne le ragioni (8).

6. La sanzione dell’incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali per coloro che hanno riportato condanna definitiva per determinati gravi reati, tra cui alcuni delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione - prevista dall’art. 15.1 della L. 19.3.1990, n. 55, integrata dalla L. 18.1.1992, n. 16 - è configurabile quale nuova incapacità giuridica speciale (9) ed ha la finalità di sanzionare l’indegnità derivante dalla condanna penale e di inibire che soggetti moralmente censurabili e per i quali sono venuti meno i requisiti della onorabilità e correttezza che devono caratterizzare la personalità di chi aspira a svolgere pubbliche e delicate funzioni elettive possano accedere alle relative cariche; tant’è che l’eventuale elezione o nomina di chi si trovi nelle suindicate condizioni è sanzionata con la "nullità" e non con la semplice "annullabilità", ex art. 15.4 L. n. 55/1990.

8. E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15.1 della L. 19.3.1990, n. 55, integrata dalla L. 18.1.1992, n. 16, dato che il divieto di candidabilità dalla stessa previsto deve ritenersi misura adeguata e proporzionata, disposta nell’esercizio di una discrezionalità legislativa ragionevole, anche tenendo conto del limite temporale stabilito a detta situazione soggettiva dell’art. 15.4 sexies L. n. 55/1990 (10).

9. Se è nulla, per espresso disposto normativo, la elezione di un soggetto privo del diritto di elettorato passivo, nullo deve ritenersi anche l’atto che consente la candidatura di un incandidabile; ciò comporta, quale ulteriore conseguenza, l’invalidità dell’intero procedimento elettorale, qualora il candidato sia collocato al primo posto del c.d. listino che costituisce un unicum inscindibile con il candidato Presidente di riferimento (11).

Se infatti può ammettersi che la sanzione di nullità dell’intervenuta elezione dell’incandidabile possa non influenzare la validità delle operazioni elettorali nel caso in cui l’incandidabilità riguardi un candidato alla carica di consigliere, a tale conclusione non può pervenirsi nel caso in cui l’incandidabile sia stato inserito nel c.d. listino regionale, per la duplice funzione di stretto collegamento delle liste della coalizione e del listino con il candidato Presidente, il che legittima l’applicazione alla fattispecie della giurisprudenza relativa al caso di aspirante alla carica di Sindaco che sia incandidabile (12).

10. La nullità delle elezioni derivante dalla partecipazione di un soggetto incandidabile non è sanabile con la surroga di cui all’art. 16 della L. 108/1968, atteso che tale surroga, che pur riguarda un seggio che rimanga vacante per qualsiasi causa, è applicabile solo nel caso in cui il consigliere da surrogare sia stato eletto, in quanto eleggibile e in quanto impedito poi ex lege o per fatti naturali ed esercitare la funzione, ma non quando sia necessario sostituire un candidato privo del diritto di elettorato passivo.

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27.8.1976, n. 1151; C.G.A., 19.2.1998, n. 58.

(2) C.G.A., 20.11.1991, n. 460.

(3) Cons. Stato, Ad. Plen. 31.7.1996, n. 16; Cons. Stato, Sez. V, 13.5.1995, n. 763; 20.12.1996, n. 1582; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 22.1.2000, n. 280; C.G.A.,14.3.2000, n. 90.

(4) Cfr. T.A.R. Marche, 25.6.2001, n. 869.

(5) T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, sent. nn. 283 e 284/11.3.1999; Cons. Stato, Sez. V, 30.6.1995, n. 965; Cons. Stato, Sez. V, 25.2.1997, n. 197.

Ha rilevato in proposito il TAR Abruzzo che, ai sensi degli artt. 8 della L. 6.12.1971, n. 1034 e 28 del R.D. 26.6.1924, n. 1054, rientra nei poteri del Giudice amministrativo di conoscere, incidenter tantum, di questioni relative a diritti soggettivi la cui risoluzione valuti che sia pregiudizialmente necessaria per la decisione della questione controversa, con esclusione della risoluzione dell’incidente di falso e delle questioni di stato e di capacità dei privati individui, che restano di esclusiva competenza dell’A.G.O..

Ora, secondo lo stesso TAR, le questioni attinenti all’elettorato passivo non rientrano tra quelle relative allo stato delle persone la cui cognizione è preclusa, anche in via incidentale, al giudice amministrativo, essendo tali questioni circoscritte solo allo stato di cittadinanza e di famiglia.

(6) Cfr. T.A.R. Molise, 22.7.1999, n. 424; Cons. Stato, Sez. V., 13.9.1999, n. 1052; T.A.R. Puglia, Bari, I Sez., 3.11.1999, n. 1484; Cons. Stato, Sez. V, 15.6.2000, n. 3338; T.A.R. Valle d’Aosta, 18.2.2000 n. 27; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, n. 701/2001.

(7) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV sez., 25.3.1997, n. 505; IV sez., 17.7.2000, n. 3928.

(8) T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 13.6.2000, n. 2063; T.A.R. Basilicata, 18.10.2000, n. 611.

(9) C.G.A., sent. n. 113/2000.

(10) Cfr. Corte Cost., sent. 15 maggio 2001, n. 132, in questa rivista, n. 5/2001, pag. http://www.giustamm.it/corte/ccost_2001-132.htm, secondo cui in particolare l’istituto della "incandidabilità", che priva di radice il soggetto dell’elettorato passivo, non è riconducibile all’istituto delle pene, principali ed accessorie, tra cui, in particolare, la sospensione condizionale della pena, posto che il divieto di cui all’art. 15 cit. riguarda una fattispecie in cui viene meno un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate, stabilito, nell’esercizio della sua discrezionalità, dal legislatore al quale l’art. 51, primo comma, della Costituzione demanda appunto il compito di fissare i requisiti in base ai quali i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.

(11) Ha osservato in proposito il TAR Abruzzo che nel nuovo sistema elettorale previsto per le Regioni, la lista regionale si presenta inscindibilmente composta dal candidato presidente e dai candidati consiglieri sulla base di un unico programma politico; tra il candidato presidente e la lista regionale v’è un rapporto di assoluta integrazione, tanto che la presentazione della lista regionale costituisce una fattispecie unitaria, di cui sono elementi essenziali l’indicazione del candidato presidente e l’elenco degli eleggibili con il sistema maggioritario, che svolgono attivamente la funzione di ricercare consensi in ambito regionale, posto che l’elettore, allorché voti espressamente la lista regionale, con l’unico voto espresso per il presidente, manifesta il proprio consenso anche per la lista regionale.

(12) C.G.A., 14.3.2000, n. 113; Cons. Stato, Sez. V, 15.6.2000, n. 3338; 13.9.1999, n. 1052.

Alla stregua del suesposti principi nella specie TAR Abruzzo:

a) innanzitutto ha dichiarato incidenter tantum la inammissibilità della candidatura di un soggetto, privo del diritto di elettorato passivo, alla competizione elettorale svoltasi il 16 aprile 2000 per il rinnovo del Consiglio regionale d’Abruzzo (essendo stato il soggetto in questione condannato con sentenza della Corte d’Appello, divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il delitto di cui agli artt. 81 e 479 c.p. - falso ideologico, commesso nel 1992, quando era Presidente della Giunta regionale abruzzese, delitto che rientra nell’ambito di quelli commessi con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione);

b) ha annullato la competizione elettorale, in considerazione del fatto che il predetto soggetto incandidabile aveva ad essa partecipato ed era risultato eletto nel c.d. listino regionale; nè, secondo il TAR, poteva condividersi l’assunto che la nullità delle elezioni del soggetto incandidabile non inficiava l’intero procedimento elettorale, essendo sanabile con la surroga di cui all’art. 16 della L. 108/1968.

Appare ragionevole ritenere infatti, secondo il Tar Abruzzo, che la surroga prevista dall’art. 16 della L. 108/1968, che pur parla di seggio che rimanga vacante per qualsiasi causa, sia possibile ove il consigliere da surrogare sia stato eletto, in quanto eleggibile e in quanto impedito poi ex lege o per fatti naturali ed esercitare la funzione, ma non quando occorre sostituire un candidato privo del diritto di elettorato passivo.

Documenti correlati:

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 15 maggio 2001 n. 132.

CORTE DI APPELLO DI L'AQUILA - Ordinanza 12 settembre 2000; v. in proposito il commento di R. COLAGRANDE, Ineleggibilità da sentenza penale di condanna e sospensione condizionale della pena all'esame della Corte costituzionale.

TAR MOLISE – Sentenza 7 marzo 2001 n. 58; v. in proposito il commento di R. D’ADDONA
Una dimenticanza del legislatore: l’annullamento delle elezioni del Consiglio regionale.

 

 

F A T T O

1 – I ricorrenti, che sono stati candidati nelle elezioni del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale della Regione Abruzzo, svoltesi il giorno 16 aprile 2000, e quindi nella loro qualità di elettori, documentata dai certificati in atti, impugnano con il ricorso proposto gli atti in epigrafe, premettendo che la consultazione tenuta vedeva vincitrice la lista regionale n. 1 "Per l’Abruzzo" con voti 382.353, mentre la lista antagonista "Abruzzo Democratico" conseguiva 378.739 voti, con una differenza di 3.614 voti.

Espongono i ricorrenti che, in base a tali dati, l’Ufficio centrale regionale, in data 29 aprile 2000, proclamava eletto Presidente della Giunta regionale della Regione Abruzzo il candidato capolista della lista regionale n. 1, On. Giovanni Pace, e quindi i sette candidati della lista regionale (c.d. listino), tra cui il Signor Rocco Salini, indicato al primo posto del listino stesso.

Gli Uffici centrali circoscrizionali, dal canto loro, procedevano alla proclamazione degli eletti su base provinciale e, in particolare, quello di Teramo proclama eletto, tra l’altro, per quanto di interesse, il Signor Rocco Salini che aveva ottenuto il maggior numero di voti nella lista di Forza Italia (voti n. 12.972) che aveva conseguito una votazione complessiva superiore al quoziente elettorale, pari alla cifra di 20.814.

Gli esponenti precisano che in data 29.5.2000 hanno adito l’A.G.O. per sentir dichiarare l’incandidabilità del Salini, in quanto sfornito dei requisiti soggettivi di cui all’art. 15 della L. 19.3.1990, n. 55 e successive modifiche per essere stato lo stesso condannato con sentenza definitiva alla pena di anni uno e mesi quattro per il reato di falso ideologico continuato (art. 479 c.p.).

Aggiungono i ricorrenti che siffatta iniziativa giudiziaria potrebbe determinare la sospensione del presente ricorso, stante il suo carattere pregiudiziale.

Avverso gli atti impugnati i ricorrenti deducono due motivi di ricorso.

2 – Con il primo motivo lamentano che l’Ufficio centrale circoscrizionale di Teramo e l’Ufficio centrale regionale avrebbero omesso di cancellare dalla lista il candidato Salini per difetto delle condizioni previste dal comma 1 dell’art. 15 della L. 55/1990, non svolgendo al riguardo alcuna indagine istruttoria, in violazione dell’art. 10 della L. 108/1968.

Ciò avrebbe inficiato il procedimento elettorale,dovendosi ritenere certa l’ineleggibilità (rectius l’incandidabilità) del predetto candidato, anche alla luce del parere 25.11.1993, n. 126 reso dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, da cui, peraltro, i predetti Uffici centrali si sono discostati senza motivazione.

Insufficiente, in proposito, doveva essere considerata la dichiarazione resa dal Salini circa il possesso dei requisiti prescritti.

Il denunciato grave difetto d’istruttoria avrebbe determinato l’invalidità dell’intero procedimento elettorale.

3 – Con il secondo motivo dedotto i ricorrenti evidenziano che l’illegittima partecipazione del Salini alla competizione elettorale sarebbe causa di invalidità della consultazione, in quanto sono nulli i voti conseguiti dalla lista regionale e da quella provinciale in cui il Salini si è presentato.

Ciò perché il predetto risulta candidato sia nella lista regionale che in quella circoscrizionale, circostanza questa che ha un indubbio effetto invalidante diretto sia della lista regionale che di quella circoscrizionale.

La partecipazione di persona non candidabile inquinerebbe la complessiva espressione di voto reso dal corpo elettorale.

Il Salini è stato infatti il primo del c.d. listino che, oltre a costituire un "unicum" inscindibile con il relativo candidato Presidente, fa da "trade d’union" tra le diverse aree politiche della coalizione con la figura del Presidente, donde la necessità dell’annullamento e della ripetizione delle predette operazioni o, in via subordinata, della correzione dei risultati elettorali.

4 – Si è costituito in giudizio il Dott. Rocco Salini che pregiudizialmente eccepisce l’inammissibilità del ricorso, notificato il 9.6.2000, senza il rispetto del termine di 15 giorni tra la data della notifica e la data dell’udienza di discussione fissata per il 21.6.2000.

Viene altresì eccepita l’inammissibilità del ricorso per quanto concerne il presupposto della eleggibilità o meno del Salini, il cui accertamento è demandato all’A.G.O., peraltro adita dai ricorrenti, in quanto involge posizioni di diritto soggettivo.

Nel merito replica ai motivi di ricorso, in particolare al primo, sostenendo che, poiché nella specie la proclamazione dei Consiglieri regionali è già avvenuta, l’accertamento della causa di incandidabilità, incidendo su una posizione di diritto soggettivo, va compiuto dall’A.G.O..

Il primo motivo sarebbe, in ogni caso, infondato in quanto la condanna definitiva riguardante il Salini è stata pronunciata disponendosi la sospensione condizionale della pena, per cui tale condanna non costituisce causa d’ineleggibilità, atteso che la sospensione si estende anche alle pene accessorie e che la privazione del diritto di eleggibilità, di cui all’art. 15.1, lett. c) della L. 55/90 costituisce un caso di pena accessoria.

Si replica, quindi, al secondo motivo dedotto, sostenendosene l’inammissibilità per genericità, perché non risultano specificate le ragioni per cui la partecipazione alle elezioni di un candidato non ammissibile possa produrre effetto inquinante sull’intera e complessiva espressione del voto e comportare l’annullamento di tutte le operazioni elettorali; si sostiene, per contro, che l’ineleggibilità del Salini può determinare solo la nullità della sua elezione.

Si sono costituiti in giudizio anche gli altri consiglieri indicati in epigrafe, che svolgono quasi tutti eccezioni e argomentazioni simili o analoghe, con qualche sfumatura, a quelle rappresentate dalla difesa del Salini, insistendo, per ragioni di opportunità, sulla sospensione del giudizio amministrativo in attesa che sulla questione si pronuncia in via definitiva l’A.G.O..

Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, che preliminarmente eccepisce l’inammissibilità del ricorso sia per l’omessa notifica all’Ufficio centrale circoscrizionale e regionale, sia perché risulta consegnata una sola copia del ricorso, quando lo stesso è rivolto contro la Regione Abruzzo e contro il Presidente della Giunta regionale; si eccepisce poi che il ricorso dovrebbe essere notificato anche agli assessori esterni, Marco Bacchion e Vito Domenici, essendo stato impugnato l’atto di nomina da parte del Presidente Pace dei componenti della Giunta.

Nel merito la difesa della Regione contesta la fondatezza del ricorso sulla scorta, essenzialmente, di due precedenti giurisprudenziali (T.A.R. Valle d’Aosta, n. 27/2000 e C.S., sez. V, 13.9.1999, n. 1052).

Si aggiunge, infine, senza però una concreta prova documentale, che la Corte d’Appello aquilana, chiamata a pronunciarsi sull’ineleggibilità del Salini, avrebbe dichiarato cessata la materia del contendere per la sopravvenuta elezione del predetto a Senatore.

Con altra memoria del 4.7.2001, infine, la difesa del Salini, dopo aver insistito sulla opportunità di sospendere il presente giudizio in attesa della sentenza della Corte d’Appello e dopo aver rimarcato che i ricorrenti non hanno chiesto al T.A.R. di pronunciarsi incidenter tantum, così come potrebbe, sulla questione della ineleggibilità, prospetta tre eccezioni di incostituzionalità, già prospettate di fronte alla Corte d’Appello, nell’ipotesi che il T.A.R. ritenesse di decidere incidenter tantum la questione anzidetta.

Si sostiene, con la prima eccezione, che la decisione della Corte Costituzionale n. 132/15.5.2001, adita dalla Corte d’Appello dell’Aquila, non consente di ritenere senz’altro ineleggibile il Salini, non avendo la Corte valutato se l’art. 15 L. 55/1990, così come modificato dalla L. 18.1.1992, n. 16, sia tuttora applicabile o se debba ritenersi abrogato dall’art. 274, lett.V) del D.Lvo 18.8.2000, n. 267, il che avrebbe dovuto indurre la Corte Costituzionale a rimettere il giudizio dinanzi alla Corte d’Appello.

La norma, in ogni caso, va letta insieme all’art. 2 della legge costituzionale 22.11.1999, n. 1, che ha rimesso al legislatore regionale il compito di disciplinare il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei candidati alle cariche regionali, sicché, in assenza di detta disciplina, deve ritenersi ancora applicabile l’art. 15 L. 55/90, che risulta tuttavia abrogato dal richiamato art. 274 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che deve ritenersi applicabile anche alle regioni, dovendosi, in caso contrario, sollevare questione di illegittimità costituzionale dell’art. 15.1, lett. c) L. 55/1990 per violazione degli artt. 3, 27 e 51 della Costituzione.

Altra eccezione di costituzionalità della norma è prospettata per violazione degli artt. 3 e 51 della Costituzione, nel rilievo che analoga causa ostativa non sussiste per l’accesso alle cariche elettive statali.

Un’ultima questione, suggerita dalla stessa sentenza 132/2001 della Corte Costituzionale, riguarda l’illegittimità dell’art. 15, sempre per violazione degli artt. 3 e 51 Costituzione, sotto il profilo della sproporzione della sanzione prevista per reati, quali l’abuso d’ufficio e la violazione dei doveri inerenti l’esercizio di una funzione pubblica, che non sarebbero assimilabili ai reati ben più gravi previsti dall’art. 15.1, lett. a) e b).

Si insiste, per il resto, per la inammissibilità e infondatezza del ricorso.

In occasione dell’udienza dell’11 luglio 2001 hanno fatto pervenire memoria difensiva e di costituzione i Consiglieri A. Prospero, A Menna e R. Di Nardo; R. Salini; la Regione Abruzzo; G. Melilla e altri dieci consiglieri; De Matteis, De Siati e Sciarretta.

In particolare con la memoria difensiva di costituzione del Consigliere G. Melilla e di altri dieci consiglieri si sostiene la fondatezza del ricorso, rilevando pregiudizialmente che, allo stato, il T.A.R. non possa evitare di pronunciarsi incidenter tantum sulla questione della incandidabilità del Salini, posto che, essendosi questi dimesso dalla carica di consigliere, l’A.G.O. non potrà che dichiarare cessata la materia del contendere, così come ha già fatto la Corte d’Appello con la sentenza riguardante la delibera di convalida.

Si sostiene, inoltre che, accertata l’incandidabilità, non potranno che dichiararsi nulle le schede recanti un’espressione di preferenza a favore dell’incandidabile, con conseguente correzione del risultato complessivo e di lista.

Da ciò la necessità di acquisire le n. 12.974 schede elettorali recanti le preferenze attribuite al salini nell’ambito della lista proporzionale della circoscrizione di Teramo in modo da individuare il nesso causale tra voti di preferenza e cifra elettorale complessiva conseguita dalla lista elettorale n. 1 al fine di pervenire alla correzione del risultato elettorale conseguito dalla lista n. 1.

In via subordinata, i citati consiglieri chiedono l’annullamento del procedimento elettorale relativo all’ambito circoscrizionale di Teramo per quanto riguarda la quota proporzionale e, per quanto concerne l’intera Regione, con riferimento alla quota maggiorativa, in via ulteriormente gradata, chiedono di disporre l’annullamento in toto delle operazioni elettorali.

Con le memoria prodotte dagli altri consiglieri e dalla Regione Abruzzo in occasione dell’udienza fissata per l’11 luglio 2001 (Prospero A., Menna A., Di Nardo R.) si insiste per l’infondatezza del ricorso.

Ulteriori memorie sono state prodotte in concomitanza dell’udienza del 7.11.2001 dai Consiglieri R. Salini, F. Di Stefano e A. Castiglione, Norante A., D’Orazio B., Pagano N., Prospero A. Menna A e Di Nardo R., nonché dalla Regione Abruzzo; ulteriore memoria è stata prodotta anche dai ricorrenti che, tra l’altro, chiedono che il T.A.R. si pronunci incidenter tantum sulla incandidabilità del Salini.

Nelle memoria dei controinteressati si insiste per l’inammissibilità del ricorso per l’omessa notifica agli Uffici deputati all’ammissione delle liste e alla proclamazione degli eletti, chiedendosi l’estensione del contraddittorio anche gli Assessori esterni (M. Bacchion e V. Domenici) oltre che ai Consiglieri Nicola Sisti e Eugenio Spadano, subentrati in vece dei dimissionari Coletti e Salini, la sospensione del giudizio, l’irritualità della notifica alla Regione Abruzzo, l’inammissibilità della memoria dei consiglieri dell’opposizione in data 11.7.2001, il difetto di giurisdizione in quanto l’oggetto del ricorso non sarebbe costituito dallo svolgimento delle operazioni elettorali, la tardività del ricorso che doveva essere proposto avverso l’atto di ammissione; nel merito si insiste per l’infondatezza del gravame.

Con sentenza di questo T.A.R., assunta nell’indicata udienza del 7.11.2001, è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei riguardi degli Assessori M. Bacchion e V. Domenici, nonché nei riguardi personalmente del Dott. On. G. Pace, stabilendosi il rinvio della causa all’udienza del 9 gennaio 2002.

Dagli atti depositati risulta che l’incombente istruttorio di cui sopra è stato ritualmente adempiuto.

Nell’imminenza dell’odierna udienza ha prodotto memoria il Consigliere Salini, nonché il Presidente On. Giovanni Pace, costituitosi in giudizio.

Con tali memorie si insiste sull’inammissibilità del gravame, sull’inammissibilità della memoria di costituzione del 10.7.2001 dei consiglieri dell’opposizione, nonché sull’infondatezza dell’impugnativa, atteso, tra l’altro, che la nullità della elezione del Salini non può comportare la nullità della consultazione elettorale e che non sarebbe provato che i voti di preferenza avrebbero prodotto un effetto di trascinamento.

Si è costituito in giudizio anche l’Assessore Marco Bacchion, che reitera le eccezioni di inammissibilità già avanzate da altri e gli argomenti difensivi pure da altri prospettati.

Ulteriore memoria difensiva ha depositato uno dei ricorrenti con cui, particolarmente, si evidenzia, tra l’altro, l’illegittimità della lista regionale, in cui il Salini è inserito, lista che costituisce, per come si forma, una fattispecie unitaria ed inscindibile, per cui il corpo elettorale sarebbe stato chiamato ad esprimersi su una lista, di cui il più significativo componente (il Salini) non era candidabile.

All’udienza del 9 gennaio 2002, dopo un ampio dibattimento delle varie questioni, cui hanno preso parte quasi tutti i difensori dei soggetti costituitisi, la causa è stata assegnata in decisione.

D I R I T T O

Il ricorso proposto è volto all’accertamento di un vizio di illegittimità del procedimento elettorale in conseguenza della partecipazione al medesimo di un candidato (Dott. Rocco Salini) che non aveva i requisiti di ammissibilità e, quindi, per l’effetto, è volto, attesa l’asserita incidenza di tale partecipazione, all’annullamento della proclamazione degli eletti e al rinnovo delle elezioni e, in via subordinata, alla correzione, in peius, dei risultati elettorali riguardanti la lista n.1 "Per l’Abruzzo", con ogni ulteriore conseguente effetto.

Sono state prospettate molteplici eccezioni.

1.a. – Tra le diverse eccezioni sollevate, appare opportuno esaminare subito quelle rappresentate in sede di trattazione orale della causa.

Si è sostenuto e richiesto da parte della difesa dei ricorrenti che il Salini fosse estromesso dal giudizio, avendo perso la qualità di parte del medesimo per essersi dimesso dalla carica di Consigliere regionale.

La richiesta va disattesa, in quanto, anche se il predetto non fa più parte dell’Assemblea regionale abruzzese, è innegabile che il medesimo sia tuttora titolare di un interesse quanto meno morale alla decisione del ricorso, soprattutto ove questo Tribunale dovesse decidere, incidenter tantum, della questione della candidabilità o meno alla competizione elettorale svoltasi per il rinnovo del Consiglio regionale abruzzese.

1.b. – Da parte della difesa di coloro che hanno presentato una memoria di costituzione in giudizio in data 10 luglio 2001 (si tratta dei consiglieri regionali di opposizione: Melilla G. ed altri) si è rilevato e chiesto che, se detta memoria dovesse essere ritenuta tardiva, così come eccepito da alcune controparti, siano ritenute tardive quasi tutte le deduzioni e memorie scritte presentate dalla maggior parte dei controinteressati.

Pure detto rilievo può essere disatteso, anche se la memoria di cui sopra presenta problemi diversi dalla tardività che saranno esaminati in seguito.

Si deve, infatti, constatare che quasi tutte le memorie scritte (ad eccezione di quelle prodotte dal Salini e dai consiglieri Fabrizio Di Stefano e Alfredo Castiglione) sono state presentate oltre i termini perentori previsti dall’art. 83/11, 3° comma, del T.U. 16.5.1960, n. 570 e successive modificazioni.

Ciò appare, però, irrilevante.

A prescindere dalla circostanza che il presente ricorso, iscritto una prima volta a ruolo il 21.6.2000, è stato rinviato all’udienza dell’11.10.2000, per essere poi cancellato dal ruolo e reiscritto per l’udienza dell’11 luglio 2001, dopo di che ha subito altri due rinvii, v’è da osservare che le eccezioni e gli argomenti difensivi contenuti negli scritti sono stati tutti, nessuno escluso, trattati e sviluppati nel corso della discussione orale, per cui le memorie in ipotesi tardive possono configurarsi ed essere considerate quali note d’udienza.

Nelle controversie in materia elettorale davanti al T.A.R., la costituzione in giudizio può avvenire fino alla prima udienza di discussione, ma al solo fine di discutere oralmente la causa, vale a dire senza facoltà di presentare memorie scritte o controdeduzioni (cfr. C.S., V sez., 27.8.1976, n. 1151; Csi, 19.2.1998, n. 58).

In tali controversie, il termine perentorio di cui all’art. 83/11, 3° comma, T.U. citato, è fissato al fine della presentazione da parte dei controinteressati di deduzioni scritte, ma non impedisce agli stessi di costituirsi allo scopo di svolgere difese orali (Csi, 20.11.1991, n. 460).

2 – Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità formulate dal consigliere Rocco Salini con la memoria di costituzione.

Superata di fatto risulta l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché notificato senza il rispetto del termine minimo di 15 giorni tra la data della notifica e la data dell’udienza di discussione, termine fissato dall’art. 83/11 del T.U. 16.5.1960, n. 70, quale modificato dalla L. 23.12.1966, n. 1147.

Nella specie, mentre il ricorso risulta tempestivamente depositato nella Segreteria del T.A.R. il 29.5.2000 e mentre con decreto presidenziale del 30.5.2000 risulta fissata l’udienza di discussione dell’impugnativa per la data del 21.6.2000, il ricorso con il pedissequo decreto presidenziale è stato notificato il 9.6.2000 e cioè nel termine di dieci giorni previsto dal ricordato art. 83/11.

L’eccezione risulta superata in fatto, in quanto l’udienza di discussione è stata rinviata, il che ha consentito ogni ulteriore e ampia possibilità di difesa alle parti controinteressate.

In ogni caso l’eccezione è infondata, in quanto il termine perentorio di quindici giorni, previsto dall’art. 83/11.3 citato, entro cui la parte controinteressata deve depositare le proprie controdeduzioni è termine stabilito a pena di decadenza nel senso che tale limite temporale non può essere oltrepassato, ma ciò non esclude che la difesa del controinteressato non possa adeguatamente essere svolta prima di tale termine, così come, nella specie, è avvenuto per essere stata fissata l’udienza di discussione per una data troppo ravvicinata, il che, comunque, non ha fatto venir meno le garanzie del contraddittorio o compromesso oltre ogni ragionevole limite il diritto di difesa.

3 – Con la memoria del 30.10.2001 il Salini muove anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per l’omessa notifica all’Ufficio centrale circoscrizionale e regionale, cui il ricorso andava notificato, in quanto di tali uffici si contesta l’operato, avendo consentito l’uno, per difetto di istruttoria, la partecipazione di soggetto incandidabile, l’altro, la proclamazione, quale eletto, di soggetto inammissibile; l’eccezione, peraltro, è sollevata anche da altri controinteressati, che sostengono aggiuntivamente la tardività del gravame, da proporre contro l’atto di ammissione del candidato in questione.

L’eccezione è infondata.

La prevalente giurisprudenza ha avuto modo di affermare che nei giudizi elettorali, unica legittimata passiva è l’Amministrazione interessata, che si appropria degli effetti conseguenti alla consultazione elettorale, mentre non è considerato legittimato passivo né l’Ufficio elettorale centrale regionale, né quello circoscrizionale, trattandosi di organi straordinari e temporanei, che si sciolgono subito dopo la proclamazione degli eletti, con ciò esaurendo la propria funzione, per cui si è ritenuto che non sono portatori di un interesse qualificato alla conservazione degli atti impugnati (C.S.A.P. 31.7.1996, n. 16; C.S., sez. V, 13.5.1995, n. 763; 20.12.1996, n. 1582; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 22.1.2000, n. 280; Csi 14.3.2000, n. 90).

Nel giudizio elettorale l’atto impugnabile è quello di proclamazione degli eletti, che conclude il procedimento, impugnativa in occasione della quale può essere fatta valere l’invalidità di operazioni antecedenti, nonché di antecedenti determinazioni, quando la lesione da queste ultime derivanti si attualizzi concretamente con l’atto di proclamazione degli eletti, per cui infondata è l’ulteriore eccezione di tardività del gravame (T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, sent. nn. 283 e 284/11.3.1999; C.S., sez. V, 30.6.1995, n. 965; C.S., sez. V, 25.2.1997, n. 197).

Giova precisare che detti principi sono stati ribaditi in un caso del tutto identico a quello in esame, riguardante appunto l’indebita ammissione alla competizione elettorale di un candidato incandidabile (cfr. Csi, 14.3.2000, n. 113).

In tale occasione si è affermato che "non compete la veste di parte necessaria nel giudizio elettorale alla Commissione circondariale, trattandosi di organo straordinario a carattere temporaneo, mentre deve essere riconosciuta tale veste all’ente locale, che si appropria del risultato elettorale e sul quale si riverberano gli effetti dell’annullamento o della conferma dell’atto di proclamazione degli eletti".

Se l’organo è sciolto, non si comprende a chi dovrebbe essere effettuata la notifica; si dice all’Avvocatura dello Stato, ma non si comprende a chi dovrebbe riferire l’Avvocatura.

Di legittimazione processuale degli uffici cui è demandata l’ammissione delle liste può e deve parlarsi sia nel caso di immediata impugnativa dell’atto di ammissione, sia nello specifico caso della esclusione di una lista o di un candidato, che, come noto, va immediatamente impugnata con ricorso da notificare a detti uffici (presso l’Avvocatura dello Stato) che sono ancora costituiti (cfr. T.A.R. Marche, 25.6.2001, n. 869).

In estremo subordine, si tratterebbe di un problema di integrazione del contraddittorio, che il T.A.R. comunque ha ritenuto e ritiene di non disporre, anche per le ragioni esposte al punto 12 che segue.

E’ stato infatti puntualizzato che "il procedimento giurisdizionale elettorale si differenzia, in ordine ai notificatari dell’impugnazione, dal procedimento ordinario.

Mentre in quest’ultimo è richiesta la notifica tanto all’organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce (art. 21 legge n. 1034 del 1971),il ricorso elettorale deve essere notificato "alla parte che può avervi interesse" (così testualmente l’art. 83/11 del D.P.R. 570 del 1960, come aggiunto dall’art. 2 della L. 1147 del 1966, le cui norme procedurali sono espressamente richiamate dall’art. 19, ultimo comma, della L. 1034 del 1971).

E’ sufficiente, pertanto, per l’ammissibilità del ricorso, che il contraddittorio sia stato validamente costituito nei confronti di almeno uno dei controinteressati" (cfr. C.S., sez. V, 3.2.1999, n. 116; 31.12.1993, n. 1408; 18.1.1996, n. 72).

Il principio di cui sopra è stato addirittura affermato in un caso di impugnativa di atto di ammissione di liste elettorali, in cui il ricorso era stato notificato solo a due liste (C.D.U. e P.P.I.) partecipanti alla competizione (cfr. C.S., sez. V, n. 116/1999 già citata).

Dell’infondatezza della eccezione, sono consapevoli, d’altro canto, anche i controinteressati che, seguendo un meno recente e minoritario orientamento, l’hanno mossa, quando affermano, in via subordinata, l’inammissibilità della prima censura dedotta, che, ove in ipotesi sussistente (ma così non è), non precluderebbe l’esame della seconda doglianza prospettata relativa alla questione centrale posta, quella della illegittimità del risultato elettorale derivante dalla indebita partecipazione del Salini alla consultazione de qua, stante il nesso evidente esistente tra i due aspetti.

4 – Infondata è anche l’eccezione relativa alla mancata o comunque irregolare evocazione in giudizio della Regione Abruzzo che, quale ente cui vanno imputati i risultati elettorali, è parte necessaria del giudizio.

Al riguardo deve ritenersi che la Regione sia stata ritualmente chiamata in causa in quanto il ricorso è stato notificato al Dott. Pace, nella sua qualità di Presidente eletto (e quindi di legale rappresentante) della Regione Abruzzo, che ha, pertanto, potuto costituirsi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura erariale, costituzione che ha, comunque, sanato ex tunc, l’omessa notifica del ricorso alla Regione Abruzzo, presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato dell’Aquila.

Se ciò non fosse avvenuto, la Regione, in quanto ente che non emana l’atto impugnato, ma ente cui viene imputato il risultato elettorale, avrebbe potuto essere evocata in giudizio anche in un momento successivo alla scadenza del termine previsto per la notifica del ricorso, mediante integrazione del contraddittorio (cfr. C.S., sez. V, 31.12.1998, n. 2002).

Come esposto nelle premesse in fatto, questo T.A.R., con sentenza interlocutoria assunta in occasione dell’udienza del 7.11.2001, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti personalmente del Dott. On. G. Pace, avendo ritenuto che la Regione fosse stata evocata in giudizio ritualmente, nonché nei confronti degli Assessori esterni, M. Bacchion e V. Domenici, in quanto nominati prima della proposizione del ricorso.

Questo Collegio non ha ritenuto e non ritiene di disporre l’integrazione del contraddittorio nei riguardi dei Consiglieri Eugenio Spadano e Nicola Sisti, che hanno sostituito rispettivamente i dimissionari Tommaso Coletti e Rocco Salini, atteso che le parti del processo vanno individuate al momento della proposizione del ricorso, in virtù del principio di cui all’art. 111 c.p.c. e nel rilievo che i consiglieri subentrati potevano proporre, ove lo avessero ritenuto, atto di intervento ad opponendum.

5 – L’inammissibilità del ricorso viene anche dedotta sotto altra angolazione, in quanto si assume, nella memoria dei consiglieri F. Di Stefano e A. Castiglione che i ricorrenti avrebbero chiesto al T.A.R. di pronunziarsi sulla incandidabilità del candidato, Dott. Rocco Salini, mancante di un requisito soggettivo di ammissibilità per cui viene eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

L’eccezione è infondata in punto di fatto in quanto il petitum sostanziale non coincide affatto con la richiesta di accertamento della incandidabilità del Salini, ma con l’annullamento del procedimento elettorale e delle sue risultanze, in quanto inficiati da violazione di legge.

Ciò è ammesso nella memoria del 5 ottobre 2000, dallo stesso Salini, che, in base al tenore del ricorso, riconosce, dopo aver sollevato in una prima memoria la stessa eccezione, che con lo stesso non è stato chiesto al T.A.R. di compiere siffatto accertamento, rimesso dai ricorrenti alla valutazione della competente A.G.O., con l’effetto della eventuale facoltativa sospensione del ricorso, stante l’asserito carattere pregiudiziale di detto accertamento.

6 – A proposito della eccezione di cui al precedente punto 5, v’è da precisare che la stessa sarebbe stata fondata sole ove i ricorrenti avessero chiesto in via principale al T.A.R. di pronunciarsi sulla incandidabilità del Salini, il che – come visto – non è.

Va, tuttavia, aggiunto fin da ora che, se è innegabile che la materia inerente lo status di elettorato passivo di un candidato appartiene alla cognizione dell’A.G.O., pur tuttavia deve rilevarsi che il Giudice amministrativo può conoscere, incidenter tantum, a prescindere da ogni richiesta delle parti, anche delle questioni relative allo status di ineleggibilità (cfr. T.A.R. Molise, 22.7.1999, n. 424; C.S., sez. V., 13.9.1999, n. 1052; T.A.R. Puglia, Bari, I Sez., 3.11.1999, n. 1484; C.S., sez. V, 15.6.2000, n. 3338; T.A.R. Valle d’Aosta, 18.2.2000 n. 27; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, n. 701/2001).

Ai sensi degli artt. 8 L. 6.12.1971, n. 1034 e 28 R.D. 26.6.1924, n. 1054, rientra nei poteri del Giudice amministrativo, infatti, di conoscere, incidenter tantum, di questioni relative a diritti soggettivi la cui risoluzione valuti che sia pregiudizialmente necessaria per la decisione della questione controversa, con esclusione della risoluzione dell’incidente di falso e delle questioni di stato e di capacità dei privati individui, che restano di esclusiva competenza dell’A.G.O..

Orbene, le questioni attinenti all’elettorato passivo non rientrano tra quelle relative allo stato delle persone la cui cognizione è preclusa, anche in via incidentale, al giudice amministrativo, essendo tali questioni circoscritte solo allo stato di cittadinanza e di famiglia (vedi sentenza già citata).

7 – In occasione dell’udienza fissata per l’11 luglio 2001 è stata presentata da parte di alcuni consiglieri eletti nella lista n.2 (G. Melilla e altro dieci consiglieri) una memoria di costituzione, in ordine alla quale sono state sollevate eccezioni di inammissibilità, che vanno esaminate.

L’inammissibilità viene eccepita sotto diversi profili, sia perché tratterebbesi in realtà di atto di intervento ad adiuvandum non notificato, sia perché conterrebbe motivi aggiunti con ampliamento del thema decidendum, sia perché proposto da soggetti che avevano titolo per proporre ricorso in via principale, sia perché tardivamente proposto, ove venga qualificato giuridicamente quale memoria di costituzione.

In proposito, ritiene il Collegio che l’atto in esame sia da qualificarsi quale atto di intervento ad adiuvandum, ancorché proposto da candidati eletti e dunque astrattamente classificabili quali controinteressati, in quanto gli interventori svolgono argomentazioni difensive a sostegno di quelle dei ricorrenti, correggendo peraltro, "il tiro", nel senso di ampliare il thema decidendum prospettando un petitum in parte diverso da quello dell’atto introduttivo del giudizio.

Con l’atto in esame, infatti, gli interventori impugnano l’atto di proclamazione degli eletti con una serie di argomenti diversi da quelli addotti con il ricorso principale, mirando, in primis, alla correzione della cifra elettorale complessiva della lista n.1 e in via subordinata all’annullamento del procedimento elettorale relativo all’ambito circoscrizionale di Teramo per quanto concerne la quota proporzionale e, per quanto riguarda l’intera Regione, con riferimento alla quota "maggioritaria", e solo in via ulteriormente gradata alla caducazione in toto delle operazioni elettorali.

Orbene, una prima ragione di inammissibilità di tale atto risiede nella circostanza della sua omessa notifica a tutte le parti del giudizio, posto che la giurisprudenza ha costantemente ritenuto l’inammissibilità di un atto di intervento in causa contenuto in una semplice memoria non notificata alle parti (cfr. C.S., sez. V, 25.2.1997, n. 199; T.A.R. Marche, 12.5.2000, n. 681).

Altra ragione di inammissibilità dell’atto in questione va individuata nel fatto che gli interventori sono soggetti titolari non di un interesse legittimo derivato o indiretto o non ancora attuale, condizioni queste che legittimano l’intervento in causa, ma sono titolari di un interesse diretto, sicché avevano titolo per ricorrere con autonoma impugnazione, il che non è avvenuto.

Orbene il soggetto che ha titolo per ricorrere contro un atto amministrativo non è legittimato a proporre intervento ad adiuvandum nel giudizio promosso da altri (C.S., IV sez., 25.3.1997, n. 505; IV sez., 17.7.2000, n. 3928).

L’atto di intervento ad adiuvandum è, altresì, inammissibile in quanto, con i motivi proposti, che si configurano quali motivi nuovi e diversi da quelli contenuti nel ricorso, si è sicuramente ampliato l’oggetto del giudizio come delineato dai ricorrenti, ciò che non è consentito quando ci si avvale di tale mezzo processuale.

L’interventore ad adiuvandum non è legittimato ad ampliare il thema decidendum fissato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, ma può solo meglio illustrarne le ragioni (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 13.6.2000, n. 2063; T.A.R. Basilicata, 18.10.2000, n. 611).

8 – Ciò detto, ritiene il Collegio di affrontare e risolvere, in via incidentale, per la evidente rilevanza che essa riveste nel presente giudizio, la questione della incandidabilità o meno del Salini, non essendovi più motivo di attendere la pronuncia della Corte d’Appello aquilana che, verosimilmente, non potrà che essere analoga a quella già intervenuta (sent. n. 461/2000) in ordine alla delibera regionale di convalida degli eletti e che ha dichiarato cessata la materia del contendere per le rassegnate dimissioni del Salini da consigliere regionale; in tal senso è stata avanzata espressa richiesta da parte dei ricorrenti con la memoria del 30.10.2001, depositata in occasione dell’udienza del 7.11.2001.

E’ innegabile, d’altro canto, l’esigenza di definire ormai un contenzioso elettorale che, rinviato su richiesta delle parti per evidenti ragioni di opportunità, è sottoposto ad una disciplina di accelerazione in funzione della certezza relativa alla posizione soggettiva di coloro che devono ritenersi in via definitiva legittimati a ricoprire cariche pubbliche.

La vexata quaestio, peraltro, è stata oggetto di diversi e tutti convergenti pronunciamenti giurisdizionali, che il Collegio ritiene sostanzialmente condivisibili.

Nella specie, invero, va precisato che non ricorre una causa di ineleggibilità che viene in rilievo nel successivo momento della elezione, quale ragione ostativa alla copertura di cariche elettive, ma ricorre quella diversa, peculiare situazione che coincide con la incandidabilità (prevista dall’art. 15.1 della L. 19.3.1990, n. 55, integrata dalla L. 18.1.1992, n. 16) configurabile quale "nuova incapacità giuridica speciale" (Csi 113/2000).

La norma introduce la regola della non candidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali per coloro che hanno riportato condanna definitiva per determinati gravi reati, tra cui alcuni delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

La norma, per quel che qui interessa, inibisce l’accesso al procedimento elettorale a coloro che siano stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti, tra l’altro, commessi con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.

La finalità della norma è quella di sanzionare l’indegorità derivante dalla condanna penale e di inibire che soggetti moralmente censurabili e per i quali sono venuti meno i requisiti della onorabilità e correttezza che devono caratterizzare la personalità di chi aspira a svolgere pubbliche e delicate funzioni elettive possano accedere alle relative cariche, tant’è che l’eventuale elezione o nomina di chi si trovi nelle suindicate condizioni è sanzionata con la "nullità" e non con la semplice "annullabilità", ex art. 15.4 L. n. 55/1990.

Ciò detto, deve dichiararsi incidenter tantum la inammissibilità del Salini, privo del diritto di elettorato passivo, alla competizione elettorale svoltasi il 16 aprile 2000 per il rinnovo del Consiglio regionale d’Abruzzo, essendo egli stato condannato con sentenza della Corte d’Appello di Roma, sez. II, 7.11.1998, n. 6275, in atti, (divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, sez. II, 3.12.1999, n. 6056, in atti, che ha dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato, il ricorso per cassazione) alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il delitto di cui agli artt. 81 e 479 c.p. (falso ideologico), commesso nel 1992, quando era Presidente della Giunta regionale abruzzese, delitto che rientra nell’ambito di quelli commessi con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.

In tal senso, d’altro canto, si è già espressa la sentenza n. 545/2000 del Tribunale dell’Aquila (che si cita ad adiuvandum), che ha dichiarato decaduto dalla carica di consigliere regionale il Salini, come anche la sentenza 753/2000, sempre del Tribunale dell’Aquila, che, disapplicando la deliberazione di convalida della elezione del menzionato consigliere, lo ha dichiarato parimenti decaduto dalla carica.

Si aggiunge che l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 15.1, lett. c, L. 55/1990 e successive modificazioni, sollevata dalla Corte d’Appello aquilana, adita per l’appello proposto avverso la sent. 545/2000, è stata respinta in ragione della non riconducibilità dell’istituto della "incandidabilità", che priva di radice il soggetto dell’elettorato passivo, all’istituto delle pene, principali ed accessorie, tra cui, in particolare, per quel che qui rileva, la sospensione condizionale della pena, posto che il divieto di cui all’art. 15 riguarda una fattispecie in cui viene meno un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate, stabilito, nell’esercizio della sua discrezionalità, dal legislatore al quale l’art. 51, primo comma, della Costituzione demanda appunto il compito di fissare i requisiti in base ai quali i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (cfr. Corte Cost.le 15.5.2001, n. 132).

9 – Alle suesposte conclusioni non ostano le ulteriori eccezioni di incostituzionalità prospettate dal controinteressato dinanzi alla Corte d’Appello e, comunque, anche dinanzi a questo T.A.R. per l’evenienza di decisione incidenter tantum in ordine alla sua incandidabilità.

Le ulteriori eccezioni sollevate non sono ostative, in quanto appaiono tutte manifestamente infondate.

Si sostiene, in primis, che la sentenza della Corte Costituzionale non comporta di per sé la declaratoria di ineleggibilità del Salini, in quanto occorre valutare se l’art. 15 L. n. 55/1990 sia tuttora applicabile alle elezioni dei Consiglieri regionali o se debba ritenersi abrogata anche relativamente a tali elezioni per effetto del disposto dell’art. 274, lett. V), del D.Lvo 18.8.2000, n. 267, che ha abrogato gli artt. 1 e 4.2 L. 18.1.1992, n. 16, modificativa dell’art. 15.1.2.3.4 L. 55/1990 e conseguenzialmente debba dichiararsi la cessazione della materia del contendere.

La questione non sembra fondata per le seguenti ragioni:

a) perché si tratterebbe, ammessa l’asserita abrogazione della causa ostativa, di applicare retroattivamente una norma entrata in vigore successivamente (il D.Lvo 267/2000 è stato pubblicato sul supplemento ordinario n. 162/L alla G.U. – serie generale – n. 227 del 28.9.2000);

b) perché la causa ostativa non risulta affatto abrogata, in quanto prevista dall’art. 58.1, lett. c) del D.Lvo 267/2000, applicabile anche alle Regioni a statuto ordinario, in virtù dell’art. 1.2 del medesimo D.Lvo;

c) perché la definizione delle cause di "incandidabilità" è riservata al legislatore statale e non già a quello regionale, cui l’art. 2 della legge costituzionale 22.11.1999, n. 1 (che ha sostituito l’art. 122 della Costituzione) ha demandato il potere di disciplinare il sistema di elezione e i casi di "ineleggibilità" e di "incompatibilità" (e non già di "incandidabilità") del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale e comunque entro i limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.

L’applicabilità del divieto posto dal richiamato art. 58.1, lett. c) anche alle Regioni destituisce di fondamento la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 15.1, lett. c, L. 55/90, nel testo modificato dall’art. 1 della L. n. 16/1992 per violazione degli artt. 3, 27 e 51 della Costituzione, questione sollevata nel rilievo che l’asserita abrogazione potesse riguardare solo l’ordinamento degli enti locali.

10 – Altra questione riguarda le legittimità costituzionale dell’art. 15.1, lett. c, L. 55/90 per violazione degli artt. 3 e 51 della Costituzione, perché, mentre inibisce l’accesso alla carica di amministratore regionale, non è previsto analogo divieto per l’accesso alle cariche elettive statali.

La questione appare infondata in relazione alla non assimilabilità delle posizioni delle categorie poste a confronto, trattandosi nell’un caso di legislatori e amministratori insieme e nell’altro di soli legislatori.

Nel primo caso si tratta di impedire, fino alla riabilitazione, che amministratori che siano stati definitivamente condannati per abuso d’ufficio o violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione possano reiterare detti illeciti comportamenti in fatti di gestione amministrativa, nel secondo caso non si vede come ciò possa accadere per soggetti che, eletti alle cariche parlamentari e facenti parte di vaste assemblee, sono destinati ad esercitare la sola funzione legislativa.

11 – Ulteriore eccezione di costituzionalità dell’art.15 viene prospettata, sempre per violazione degli artt.3 e 51 della Costituzione, sotto il profilo della sproporzione dell’impedimento all’assunzione di determinate cariche elettive rispetto alla natura e gravità dei reati in essa contemplati.

Riprendendo una riflessione della Corte Costituzionale contenuta nella sentenza 7.5.2001, n. 132, si sostiene che irragionevolmente sarebbero state assimilate, quanto alle conseguenze, ipotesi di reato senz’altro più gravi (quali quelle contemplate alla lett. e) e b) della norma: associazione mafiosa e finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, ecc., peculato, concussione, ecc.) rispetto al delitto commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio.

Anche siffatto dubbio appare palesemente infondato alla luce della giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale che ha ripetutamente affermato che le norme dell’art. 15 della L. 55/1990 perseguono finalità di salvaguardia a tutela, tra l’altro, del principio di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche, finalità queste "di indubbio rilievo costituzionale" (sentenza Corte Costituzionale n. 197/1993), connesse "a valori costituzionali di rilevanza primaria" (sent. Corte Costituzionale 218/1993).

Vero è che la stessa Corte Costituzionale ha sempre pure affermato che gli impedimenti all’esercizio del diritto di elettorato passivo non devono estendersi oltre quanto strettamente indispensabile a garantire l’interesse pubblico cui sono preordinati, poiché "per l’art. 51 Cost. l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità l’eccezione" (sent. Corte Costituzionale 46/1969; n. 141/1996), ma è altresì vero che il ricorrente non dimostra l’insussistenza di altri interessi di rango costituzionale, idonei a giustificare la scelta della incandidabilità per una condanna penale ad oltre sei mesi di reclusione per delitti commessi con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.

Tali interessi di rilievo costituzionale sussistono e sono quelli, già indicati, di cui all’art. 97 della Costituzione, che è norma attinente alle Organizzazioni pubbliche che esercitano funzioni e svolgono servizi nell’interesse della pluralità dei cittadini, a fronte dei quali non può che essere recessiva la posizione soggettiva del singolo, ancorché titolare di un diritto inviolabile, quale quello del diritto di elettorato passivo (cfr. sent. Corte Costituzionale n. 467/1991).

Il divieto di candidabilità deve pertanto ritenersi misura adeguata e proporzionata, disposta nell’esercizio di una discrezionalità legislativa ragionevole, anche tenendo conto del limite temporale stabilito a detta situazione soggettiva dell’art. 15.4 – sexies L. n. 55/1990, il che rende palesemente infondata l’eccezione mossa.

12 – Può quindi esaminarsi il merito del ricorso con cui viene proposta un’azione popolare da parte di due elettori che, candidatisi alle elezioni del Consiglio regionale d’Abruzzo svoltesi il 16 aprile 2000, non sono risultati eletti.

Sotto il profilo dell’interesse, deve ritenersi l’ammissibilità di detta azione popolare proposta da cittadini elettori che contestualmente agiscono in qualità di candidati, atteso che le azioni sono tese ad un unico convergente risultato (cfr. T.A.R. Toscana, II Sez., 23.10.1997, n. 668).

In detta consultazione elettorale il salini si è candidato nella circoscrizione provinciale di Teramo nella lista "Forza Italia" e nella lista regionale collegata al candidato presidente Giovanni Pace, risultando eletto consigliere regionale sia nella circoscrizione provinciale, in cui ha riportato 12.974 voti di preferenza, sia quale candidato del c.d. "listino" collegato al candidato Pace, proclamato Presidente della Giunta Regionale abruzzese il 29 aprile 2000.

Ciò, premesso, va rilevato che l’accertamento incidentale svolto da questo Collegio in ordine alla insussistenza nella specie, del diritto soggettivo del Salini a candidarsi, ai fini della verifica del vizio del procedimento, rende attuale l’esame del primo motivo di ricorso, con cui viene lamentata la violazione dell’art. 15 L. n. 55/1990, l’eccesso di potere per violazione del giusto procedimento elettorale e per difetto di istruttoria, nonché la violazione dell’art. 10 della L. 206/1968.

Sostengono i ricorrenti che l’Ufficio centrale circoscrizionale la omesso di accertare la causa di incandidabilità del Salini, non svolgendo alcuna indagine istruttoria al riguardo, il che ha consentito la partecipazione al procedimento di candidato la cui presenza ha determinato l’invalidità dello stesso.

Orbene, in proposito può rilevarsi che al divieto della candidatura, stabilito dall’art. 15 L. 55/1990, si affianca non solo una sanzione di nullità della elezione, ma, in particolare, soprattutto, una puntuale disciplina del potere istruttorio dell’Ufficio centrale circoscrizionale, in sede di esame ed ammissione alle liste, previsto dall’art. 10 L. n. 108/1968.

La norma, al punto 2 del 1° comma, prescrive che detto Ufficio, entro ventiquattro ore dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle liste dei candidati, "cancella dalle liste i nomi dei candidati a carico dei quali viene accertata la sussistenza di alcuna delle condizioni previste dal comma 1 dell’art. 15 della L. 19.3.1990, n. 55....".

Il sistema che emerge dal complesso delle norme esaminate ha una sua logica in quanto non avrebbe senso sanzionare il divieto di candidatura senza prevedere un effettivo potere di controllo dell’Ufficio elettorale circoscrizionale sulla causa ostativa, potere di controllo che si desume dall’onere che la norma impone all’Ufficio indicato di svolgere accertamenti in concreto circa la mancanza di condizioni impeditive (cfr. C.S., sez. V, 15.6.2001 n. 333).

Nella specie, nessun compito istruttorio è stato svolto dall’Ufficio di cui al citato art.10, che si è limitato a prendere atto dell’autocertificazione del Salini, che ha dichiarato di non trovarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art.15.1 L. 55/1990, quando era notoria la sentenza di condanna definitiva che lo riguardava per aver avuto la relativa vicenda vasta risonanza regionale e nazionale, il che rendeva doveroso per l’Ufficio elettorale circoscrizionale un accertamento non formale, ma sostanziale ed effettivo.

Nulla, più che illegittima, deve ritenersi pertanto la determinazione dell’Ufficio centrale circoscrizionale di ammettere il Salini alla competizione elettorale.

Se, infatti, è nulla, per espresso disposto normativo, la elezione di soggetto privo del diritto di elettorato passivo, nullo deve ritenersi anche l’atto che consente la candidatura di un incandidabile.

Orbene, se la nullità, secondo i principi generali, è rilevabile d’ufficio, in qualsiasi tempo e non è sanabile, ciò costituisce un ulteriore e non secondario argomento ai fini della infondatezza della eccezione di inammissibilità del ricorso per non essere stato notificato all’Ufficio che ha consentito la partecipazione del Salini alle elezioni.

Ciò comporta, come si vedrà, quale ulteriore conseguenza, l’invalidità dell’intero procedimento elettorale, essendo stato il Salini, collocato al primo posto del c.d. listino che costituisce un "unicum" inscindibile con il candidato Presidente di riferimento, così come affermano i ricorrenti.

In linea generale, se può ammettersi che la sanzione di nullità dell’intervenuta elezione dell’incandidabilità possa non influenzare la validità delle operazioni elettorali, ove l’incandidabilità riguardi un candidato alla carica di consigliere, a tale conclusione non può pervenirsi nel peculiare caso di specie per l’inserimento del Salini nel c.d. listino e per la duplice funzione di stretto collegamento delle liste provinciali della coalizione e del listino con il candidato Presidente, il che legittima l’applicazione alla fattispecie della giurisprudenza relativa al caso di aspirante alla carica di Sindaco, che sia incandidabile (Csi 14.3.2000, n. 113; C.S., sez. V, 15.6.2000, n. 3338; 13.9.1999, n. 1052).

Nel nuovo sistema elettorale, infatti, la lista regionale si presenta inscindibilmente composta dal candidato Presidente e dai candidati consiglieri sulla base di un unico programma politico.

Tra il candidato Presidente e la lista regionale v’è un rapporto di assoluta integrazione, tanto che la presentazione della lista regionale costituisce una fattispecie unitaria, di cui sono elementi essenziali l’indicazione del candidato Presidente e l’elenco degli eleggibili con il sistema maggioritario, che svolgono attivamente la funzione di ricercare consensi in ambito regionale, posto che l’elettore, allorché voti espressamente la lista regionale, con l’unico voto espresso per il Presidente manifesta il proprio consenso anche per la lista regionale.

Nel caso di specie, si è votato, direttamente o indirettamente per una lista regionale di cui uno dei componenti, il più rilevante (Salini), non era candidabile, il che comporta l’illegittimità della presentazione dell’intera lista regionale, per essere formata con criteri di unitarietà e inscindibilità, donde pare al Collegio che possa farsi derivare anche la conseguenza che un incandidabile non possa essere pacificamente surrogato.

Appare ragionevole ritenere che la surroga, infatti, prevista dall’art. 16 della L. 108/1968, che pur parla di seggio che rimanga vacante per qualsiasi causa, sia possibile ove il Consigliere da surrogare sia stato eletto, in quanto eleggibile e in quanto impedito poi ex lege o per fatti naturali ed esercitare la funzione, ma non quando occorre sostituire un candidato privo del diritto di elettorato passivo.

Ciò comporta che l’incandidabilità costituisce, nella specie, vizio inquinante delle intere operazioni elettorali, ove l’incandidabile sia indebitamente ammesso alle stesse, partecipandovi con la doppia presenza, per cui non può condividersi l’assunto che la nullità delle elezioni del Salini non infici l’intero procedimento elettorale, essendo sanabile con la surroga di cui all’art. 16 citato; si tratterebbe di sanare, in altri termini, una situazione di nullità, che, come noto, è insanabile.

13 – Va considerata ora anche la posizione del Salini nel sistema proporzionale con le conseguenze che ne derivano.

Il predetto, infatti, risulta eletto sia nella lista regionale (c.d. listino su base maggioritaria), sia nella lista provinciale (lista circoscrizionale su base proporzionale).

La sua partecipazione deve ritenersi determinante, in quanto la cifra elettorale regionale (che risulta dalla somma dei voti validi di ciascuna lista regionale) attribuita alla lista regionale n. 1, avente il contrassegno "Per l’Abruzzo", è stata di poco superiore a quella conseguita dalla lista regionale n. 2 avente il contrassegno "Abruzzo Democratico" (n. 382.353 voti contro 378.739, con uno scarto di 3.614 voti).

Ciò comporta che, avendo il gruppo di liste provinciali collegato alla lista regionale n. 1 conseguito un numero di seggi inferiore al 50% (per l’esattezza il 37,5%) dei 40 seggi assegnati al Consiglio regionale, l’Ufficio centrale regionale ha assegnato alla lista regionale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale regionale il c.d. premio di maggioranza e cioè gli otto seggi di cui alla lista regionale, comprendente anche il seggio spettante al capolista eletto Presidente della Giunta regionale (art. 15, 13° comma, n. 2, 4 e 5 L. 108/1968, come modificato dalla L. 23.2.1995, n. 43).

I ricorrenti chiedono che il totale dei voti conseguiti dalla lista regionale e da quella provinciale nella quale risulta eletto il Signor Salini deve considerarsi "tamquam non esset" poiché le condizioni di ineleggibilità del candidato erano preesistenti alla convocazione dei elettorali", aggiungendo che la candidatura del salini sia nella lista regionale che in quella circoscrizionale da "un’indubbia efficacia invalidante diretta sia per quanto riguarda il risultato conseguito dalla lista regionale, sia per quanto riguarda quello conseguito dalla lista circoscrizionale".

Siffatte doglianze non appaiono né generiche, né indeterminate, in relazione ai dati emersi dalle urne e a quello che è il petitum del ricorso, che tende all’annullamento della proclamazione degli eletti e al rinnovo del procedimento elettorale.

Il ricorso, come noto, deve contenere la esposizione sommaria dei fatti, i motivi su cui si fonda con l’indicazione degli articoli di legge o di regolamento che si ritengono violati e le conclusioni (art. 6, n. 3 R.D. 642/1907).

Dette prescrizioni trovano attuazione nel giudizio elettorale, secondo la giurisprudenza, mediante deduzioni sufficientemente precise ad indirizzare l’attività istruttoria del giudice ed indicazioni utili tali da far ritenere l’attendibilità dei fatti denunciati, fermo restando che il requisito della specificità dei motivi deve essere valutato in tali controversie con criteri di elasticità, essendo sufficiente l’indicazione del tipo di vizio e dell’incidenza di questo sul procedimento elettorale, fatta salva l’ulteriore precisazione dei motivi e l’indicazione di vizi nuovi e diversi emersi nel corso del giudizio, che vanno tempestivamente prospettati con motivi aggiunti (cfr. T.A.R. per il Molise, 7.3.2001, n. 58; C.S., V sez., 18.10.1984, n. 760).

Nella specie, il vizio denunciato risulta sufficientemente specificato con la prospettazione della incandidabilità del Salini, donde i ricorrenti fanno derivare la conseguenza, condivisibile, che devono ritenersi "nulli" tutti i voti di preferenza attribuiti al predetto, da considerare come estraneo alla competizione, e conseguentemente (in forza del combinato disposto dell’art.1, ultimo comma, L. 17.2.1968, n. 108 e dell’art. 57, 5° comma, D.P.R. 16.5.1960, n. 570) i voti attribuiti alla lista provinciale di pertinenza del Salini sia nel caso della possibile espressione del solo voto di preferenza (ipotesi questa in cui il voto s’intende esteso anche alla relativa lista in virtù delle norme sopra richiamate), sia nel caso in cui l’elettore abbia votato oltre che la preferenza, anche la lista provinciale; devono inoltre ritenersi "nulli" i voti attribuiti alla lista regionale collegata, sia qualora l’elettore abbia espressamente votato il contrassegno di lista provinciale (art. 2, ultimo periodo, L. 22.2.1995, n. 43), sia qualora abbia votato espressamente la lista regionale collegata, sia qualora abbia espresso il solo voto di preferenza per il Salini.

In tale contesto è impossibile dimostrare se il voto di preferenza sia stato determinato dalla scelta della lista o se, viceversa, proprio la figura dell’incandidabile abbia indotto l’elettore ad accordargli la preferenza, con un effetto di trascinamento sul contestuale voto di lista provinciale e regionale, in conseguenza della presenza del Salini nel c.d. listino (cfr. Csi, 14.3.2000, n. 113).

Non a caso i ricorrenti affermano che il predetto è stato il candidato più votato nella Regione e che nell’ambito della circoscrizione provinciale di Teramo ha conseguito 12.974 voti di preferenza, ben al di sopra delle preferenze conseguite da qualsiasi altro candidato (agli altri sei candidati della lista provinciale di Teramo n.17 "Forza Italia" sono stati attribuiti in complesso 14.880 voti).

Trattasi di affermazioni e di dati non irrilevanti se si tiene conto del collegamento tra la lista provinciale de qua e la lista regionale, il cui capolista (G. Pace) è stato poi eletto Presidente.

Può allora, dunque, prospettarsi non solo il legittimo dubbio che un voto in favore del candidato Presidente possa essere stato espressamente manifestato per la "vis actractiva" del candidato inammissibile (e la sua presenza nel c.d. listino "poteva" costituire il segnale del percorso da compiere per l’elettore che avesse voluto espressamente votare la lista regionale), ma può anche sostenersi che ciò non era necessario in quanto bastava che l’elettore votasse solo la preferenza o per la lista provinciale in cui il Salini era candidato perché di tale voto beneficiasse anche la collegata lista regionale, ex art.2, ultimo periodo, L. n.43/1995.

Se è vero che, nel sistema che emerge dal quadro normativo concernente le elezioni regionali, l’elezione dei componenti del c.d. listino è subordinata al risultato elettorale conseguito dal candidato Presidente, capolista della lista regionale, e che tali componenti sono estranei ad ogni espressione di voto dell’elettore, è altresì vero che il risultato elettorale del Presidente può essere l’effetto, per il meccanismo elettorale esposto, del trascinamento del forte consenso manifestato in favore di un candidato consigliere, la cui incandidabilità non può non riverberare effetti sull’intero procedimento elettorale, generando quell’inquinamento del procedimento elettorale, che deve essere invece improntato a criteri di correttezza, trasparenza, limpidità, tali da non condizionare la sincerità e libertà di scelta dell’elettore (cfr. Csi citata, 14.3.2000, n.113).

Significativo è il dato per cui il raggruppamento di liste provinciali collegato con la lista regionale n.2 aveva eletto 17 consiglieri dei quattro quinti dei consiglieri da nominare con il sistema proporzionale (nella specie n.32 su 40), mentre l’altro raggruppamento, collegato con la lista n.1 e che ne aveva eletto solo 15, proprio in sede di voto maggioritario recupera, sia pure per pochi voti, il "gap" suindicato.

Se il Salini godeva dell’ampia e sicura base di consenso elettorale (fatto registrare anche in precedenti consultazioni), non aveva bisogno di essere inserito nella lista regionale e, se ciò è avvenuto, la finalità non può essere stata che quella di contribuire a "veicolare", suo tramite, consensi verso la lista regionale, anche per neutralizzare quella possibilità, normativamente prevista, del voto disgiunto, nel duplice senso di impedire che l’elettore che lo aveva votato esprimesse il suo consenso per la lista regionale antagonista e, d’altro canto, anche nel senso di favorire o indurre il voto per la lista regionale n.1 da parte dell’elettore che avesse accordato la sua preferenza per il candidato di una lista provinciale non collegata alla lista regionale n.1.

In relazione al quadro complessivo esposto e allo specifico risultato determinatosi, che ha visto la vittoria della lista n,1 con una differenza minima di voti, deve ritenersi in re ipsa la prova dell’inquinamento (non importa in quale misura o dimensione) della consultazione elettorale a seguito delle indebita partecipazione al voto del Salini; che ha avuto, quale effetto, la riduzione delle garanzie specifiche della regolarità del procedimento elettorale (C.S., V Sez., 17.9.1996, n.1141 e 22.1.1987, n.16; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 10.3.1999, n.306).

I ricorrenti non dovevano provare, in altri termini, l’incidenza numerica dell’inquinamento, perché in materia elettorale la giurisprudenza afferma che non si può prevedere come avrebbe votato il corpo elettorale; tuttavia, anche a voler ricercare, nella specie, un elemento probatorio in tal senso, bisogna riconoscere che l’incidenza della partecipazione del Salini risulta dalle preferenze ottenute.

Per le ragioni che precedono il ricorso va accolto, con l’effetto dell’annullamento del procedimento elettorale e, in particolare, dell’atto di proclamazione degli eletti e degli atti conseguenti, donde consegue la necessità della rinnovazione del procedimento stesso.

14 – Ove, peraltro, si fosse, in ipotesi, ritenuta infondata la pretesa principale dedotta, si sarebbe dovuto esaminare il petitum prospettato in via subordinata teso alla correzione dell’esito del voto della lista regionale n.1, con il conseguente annullamento della proclamazione del Presidente nominato, il che avrebbe comportato l’acquisizione delle n.12.974 schede elettorali della lista provinciale n.17 "Forza Italia" della circoscrizione di Teramo, recanti il voto di preferenza espresso in favore del Salini.

Tale richiesta, prospettata in via subordinata, appare tuttavia inammissibile, sia perché ritenuta fondata quella avanzata in via principale, sia perché, nell’ipotesi in cui il Salini non fosse stato ammesso a partecipare alla competizione elettorale, non poteva e non può prevedersi quale sarebbe stato, comunque, il risultato finale della consultazione, per cui ineludibile è la necessità di chiamare nuovamente l’intero corpo elettorale ad esprimersi nell’ambito di un procedimento elettorale emendato dal vizio denunciato.

Le spese di causa possono essere equamente compensate.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo - L’Aquila, accoglie il ricorso specificato in epigrafe e, annulla, pertanto l’atto impugnato di proclamazione degli eletti e gli atti ulteriori indicati in ricorso, con ogni conseguente effetto in ordine alla rinnovazione del procedimento elettorale.

Spese compensate.

Depositata il 17 gennaio 2002.

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