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TAR BASILICATA - Sentenza 4 febbraio 2000 n. 69 - Pres. Perricone, Est. Pennetti - Nolè (Avv. Finati) c. Comune di Venosa (n.c.).

Pubblico impiego - Trasferimento - Procedura di mobilità - Impugnativa - Omessa impugnazione del nulla osta al trasferimento - Irrilevanza.

Pubblico impiego - Trasferimento - Procedura di mobilità - Impugnativa -  Presentazione di domanda di trasferimento - E' sufficiente a radicare l'impugnativa.

Pubblico impiego - Trasferimento - Procedura di mobilità - Senza prendere in considerazione la domanda presentata da altro dipendente - Illegittimità.

E' ammissibile un ricorso con il quale è stato impugnato un provvedimento di mobilità, nel caso in cui non sia stata anche impugnata la delibera con la quale è stato concesso il nulla osta da parte dell’ente ai sensi dell’art. 6 comma 20 del d.p.r. n. 268/87 (accordo sindacale per il comparto degli enti locali per il triennio 1985/87), atteso che l’intesa fra gli enti - di cui il nulla osta della amministrazione è espressione - costituisce una mera attività preparatoria, a rilevanza solo infraprocedimentale, del provvedimento finale.

Nel caso in cui sia stato impugnato un provvedimento con il quale si dispone il trasferimento di un dipendente, per radicare l’interesse all’impugnazione è sufficiente che il dipendente che si ritiene leso abbia previamente e formalmente chiesto all’amministrazione "dominus" del posto l’accoglimento della sua istanza di trasferimento, ciò bastando a gravare la p.a. dell’obbligo di esercitare la propria discrezionalità in modo imparziale e secondo legalità anche indipendentemente dall’esistenza d’una predeterminazione d’una disciplina di dettaglio dell’attività (1).

La possibilità di impugnare col ricorso incidentale anche provvedimenti diversi da quello impugnato in via principale ma con esso legati è subordinata alla condizione che dalla loro rimozione conseguano effetti sulla valutazione di ammissibilità, di procedibilità o di fondatezza della domanda principale (2).

E’ illegittimo un provvedimento di trasferimento a seguito di mobilità disposto ai sensi dell’art. 6 comma 20 del d.p.r. n. 268/87, senza prendere in considerazione la istanza di trasferimento presentata in precedenza da altro dipendente avente medesimo profilo professionale.

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(1) Ha aggiunto il TAR che "nella specie inoltre esiste sicuramente un interesse strumentale del ricorrente all’impugnativa "de qua" a restituire al posto in questione i requisiti di vacanza e disponibilità che già da soli costituiscono -in una alla propria richiesta- la base di sostegno del proprio interesse pretensivo al raggiungimento del posto medesimo ovviamente nell’osservanza della normativa prevista in tema di mobilità".

(2) Cons.Stato, Sez. VI, 9 giugno 1993 n. 411.

 

 

N. 69 Reg.Sent.

Anno 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA BASILICATA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Nolè Giuseppe rappresentato e difeso dall'Avv. Roberta Finati e con la stessa elettivamente domiciliato in Potenza preso il di lei studio sito in Potenza alla via Livorno n.131,

CONTRO

Il Comune di Venosa in persona del legale rappresentante p.t., n.c.

e nei confronti

di Marcosano Vincenzo, controinteressato e ricorrente in via incidentale, rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetano Maria Porretti e con lo stesso elettivamente domiciliato in Potenza alla Piazza Vittorio Emanuele n.10;

della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica e dell’A.R.A.N. in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Potenza presso cui "ope legis" domiciliano (limitatamente al ricorso incidentale);

della Provincia di Varese, in persona del legale rappresentante p.t., n.c.,

per l'annullamento

della deliberazione della Giunta Comunale di Venosa n.425 del 6/8/97 con la quale è stata accettata la domanda di trasferimento per mobilità mediante la procedura dell’art. 6, comma 20, del d.p.r. 268/87, dalla Provincia di Varese al Comune di Venosa, dell’ing. Marcosano Vincenzo;

di tutti gli atti, connessi presupposti e conseguenti, comunque lesivi dell’interesse del ricorrente;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni statali e del controinteressato;

Visto il ricorso incidentale proposto dal Marcosano;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi gli avvocati come da verbale alla pubblica udienza del 24 novembre 1999 - relatore il magistrato Pennetti -;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

Il ricorrente, ingegnere dipendente del Comune di Pietragalla dell’8° livello, inserito nei ruoli soprannumerari "ex lege" n.730/86, premette che in data 28/12/94 chiese al Comune di Venosa l’inserimento nei ruoli organici sul posto di ruolo vacante ivi esistente quale ingegnere dell’ufficio tecnico, anche sulla base del consenso nel frattempo accordato dal Comune di titolarità al trasferimento.

Rimasta senza esito l’istanza, si reiterava la stessa ai sensi dell’art. 35 d. lg.vo n.29/93 e dell’art. 27 bis del C.C.N.L. per il personale dipendente degli enti locali.

Successivamente il Comune di Venosa, con delibera n.925 del 26/11/96, dava atto della vacanza in organico di alcuni posti fra cui quello "de quo" ma decideva di procedere alla stipula degli accordi di mobilità solo per due posti dell’ufficio tributi.

Successivamente il Comune di Pietragalla comunicava, in data 20/1/97, al Comune di Venosa la sua disponibilità a porre in essere i predetti accordi di mobilità.

Un ultimo sollecito, stante l’inerzia del Comune di Venosa, veniva inoltrato dal ricorrente, sempre per la stipula dei predetti accordi di mobilità.

Senonchè, improvvisamente quest’ultimo ente adottava il provvedimento impugnato col quale, senza considerare le domande del ricorrente, senza formulare graduatorie e ignorando gli accordi di mobilità, sulla base dell’art. 8 del d.p.r. n.268/87, accoglieva la domanda di trasferimento del comtrointeressato, proveniente dalla Provincia di Varese, coprendo il posto in questione.

Si deducono pertanto i seguenti motivi:

1) Erronea applicazione dell’art. 6, comma 20 del d.p.r. 268/87, violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del D.Lgs. 29/93, dell’art. 27 bis C.C.N.L. per gli enti locali, del D.P.C.M. 16/9/94; eccesso di potere per errore nei presupposti di diritto, violazione e falsa applicazione del giusto procedimento di legge. Incompetenza assoluta.

Si sostiene che, col provvedimento impugnato, si è completamente disattesa la normativa vigente che prevede una procedura ben definita di mobilità incentrata su criteri e modalità dettate dal Presidente del Consiglio dei Ministri e su un ordine di priorità del personale nonché sul regolamernto n.716 del 16/9/94 che ha disciplinato la mobilità volontaria e d’ufficio in modo da garantire la trasparenza delle operazioni atteso chè è stata disposta la formazione di graduatorie, una per gli esuberi e una per i dipendenti non collocati indisponibilità, da redigersi secondo precisi criteri.

La norma contrattuale applicata dal Comune di Venosa sarebbe stata infatti abrogata da detto D.P.C.M. che comunque, all’art. 20, prevede la validità della normativa vigente alla data di entrata in vigore di detto regolamento solo fino al 28/2/95. Pure l’art. 74 del D.Lg.vo del resto prevede l’abrogazione delle norme con esso incompatibili.

L’unica altra procedura applicabile -aggiunge il ricorrente- è quella di cui al comma 8° dell’art. 35 del D.Lg.vo n.29/93 e di cui all’art. 27 bis del C.C.N.L. Enti Locali relativa ai cd. accordi di mobilità, richiesta dal ricorrente e non seguita dal Comune resistente;

2) violazione e falsa applicazione comma 15 art. 6 legge 15/5/97 n.127 che ha inserito l’art. 16 bis alla legge 19/3/93 n.68.

In base alla normativa in rubrica, premesso che il ricorrente è in esubero ex lege n.730/86, occorreva dare precedenza alla sua istanza in virtù della priorità accordata alla provincia in cui si verifica l’esubero;

3) violazione e falsa applicazione art. 3 l.n.241/90, eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione. Eccesso di potere per disparità di trattamento e sviamento di potere.

Difetta, nell’atto impugnato, una valutazione della domanda del ricorrente e una motivazione giustificativa del suo accantonamento e ciò anche a ritenere valida la norma del 1987 applicata.

Il Comune di Venosa non si è costituito.

Si è costituito il controinteressato Marcosano che resiste, deduce l’inammissibilità, l’infondatezza del gravame e propone a sua volta ricorso incidentale con cui si chiede l’annullamento del provvedimento di trasferimento nelle parti in cui esonera il Marcosano dal periodo di prova e si esenta il Comune da ogni responsabilità per l’eventuale accoglimento di ricorsi giurisdizionali nonché per la declaratoria d’illegittimità e la relativa disapplicazione dell’art. 4 del contratto individuale di lavoro a t.i. stipulato fra il controinteressato e il Comune di Venosa laddove dispone la risoluzione del contratto in caso di annullamento degli atti della procedura di reclutamento e, ove occorra e per quanto applicabile, dell’art. 14 n.3 del C.C.N.L. (che detta tale disposizione) e della delibera della giunta provinciale di Varese.

Si deducono al riguardo i seguenti motivi:

1) violazione dei principi generali in materia di attività della p.a., degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione, del principio di tutela dell’affidamento del privato nei confronti della p.a. e del principio di ragionevolezza- eccesso di potere- illogicità ed ingiustizia manifeste- carenza di pubblico interesse- sviamento- violazione dei principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.- violazione dell’art. 6 co. 20 d.p.r. 13/5/87 n.268.

Si censura la parte del provvedimento impugnato in via principale con cui il Comune di Venosa declina qualunque responsabilità per l’accoglimento di eventuali ricorsi giurisdizionali nei confronti di detto atto atteso chè contrasterebbe con i principi generali dell’attività amministrativa, col diritto di difesa e con la tutela dell’affidamento del privato per le possibili sfavorevoli ripercussioni sulla sfera giuridico -patrimoniale del Marcosano;

2) violazione- errata applicazione dell’art. 14- omessa applicazione dell’art. 14 bis C.C.N.L. comparto regioni ed autonomie locali vigente- violazione degli artt. 3, 24, 35, 97 e 113 Costituzione- violazione dell’art. 2 D.Lgs.- n.29/93- eccesso di potere- disparità di trattamento- illogicità ed ingiustizia manifeste- errata valutazione dei presupposti- violazione del principio della tutela dell’affidamento del privato nei confronti della p.a. e del principio di ragionevolezza- violazione dei principii di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.- violazione dell’art. 3 l.n.241/90- motivazione carente, insufficiente, perplessa ed incongrua- violazione dell’art. 6 co. 20 d.p.r n.268/87- illegittimità propria e derivata.

Si censura la clausola di cui al punto 4 del contratto individuale di lavoro siglato dal controinteressato e dal rappresentante legale del Comune di Venosa (che dispone la risoluzione del contratto in caso di annullamento della procedura di reclutamento) atteso chè, se la stessa costituisce applicazione dell’art. 14 del C.C.N.L., è evidente la sua estraneità ad un’ipotesi, come quella di specie, di mobilità e non di prima assunzione. Diversamente, il dipendente verrebbe privato, allorchè opta per la mobilità, di fondamentali garanzie a tutela del suo affidamento. Erroneamente, da questo punto di vista non sarebbe stato riconosciuto al ricorrente incidentale il periodo di prova che gli avrebbe garantito il posto per 6 mesi.

Se così non fosse sarebbe costituzionalmente illegittimo il citato art. 14 e l’art. 2 del d. lg.vo n.23/93 ove consentissero, nell’ambito delle fonti che regolano il rapporto d’impiego pubblico una prevalenza della contrattazione individuale e collettiva sui principi costituzionali in rubrica.

Il Comune di Venosa e la Provincia di Varese non si sono costituite.

Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’A.R.A.N. che deducono il proprio difetto di legittimazione passiva.

Alla pubblica udienza del 24 novembre 1999 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

D I R I T T O

Vanno anzitutto esaminate le eccezioni in rito proposte dal controinteressato nei confronti del ricorso principale.

Innanzitutto si rileva l’inammissibilità del gravame per omessa impugnazione della deliberazione della Giunta provinciale di Varese n.42 del 30/1/96 di concessione del nulla-osta alla procedura di mobilità da considerarsi quale atto presupposto di quello impugnato.

L’eccezione è infondata.

La norma di cui all’art. 6 comma 20 del d.p.r. n.268/87 (accordo sindacale per il comparto degli enti locali per il triennio 1985/87) dispone che "è consentito il trasferimento del personale tra enti diversi, a domanda del dipendente motivata e documentata e previa intesa delle due amministrazioni".

Il tenore della norma e le regole della logica inducono a ritenere che la mobilità è disposta dall’amministrazione presso cui il dipendente aspira a trasferirsi e che l’intesa fra gli enti - di cui il nulla osta della amministrazione lombarda è espressione - costituisca una mera attività preparatoria, a rilevanza solo infraprocedimentale, del provvedimento finale.

In altri termini, benché sia innegabile che l’intervento della detta "intesa" rappresenti un presupposto vincolante per l’adozione del provvedimento finale, pur tuttavia la stessa - attraverso le sue singole "parti" - non attiene alla fase costitutiva del procedimento con la conseguenza che nella fattispecie si è al di fuori di situazioni pur apparentemente similari come quelle dell’atto complesso o dell’atto di concerto nelle quali invece le due (o più) autorità partecipano tutte alla fase predetta.

Del resto, se si guarda alla concretezza della fattispecie in esame se ne inferisce agevolmente che la Provincia di Varese, col proprio atto, si è limitata a dare il proprio assenso alla "partenza" del Marcosano con l’unica condizione della sostituzione di questi con altra unità di pari qualifica.

Conseguentemente, non rivestendo quest’ultima amministrazione la qualità di parte necessaria del processo deve ritenersi correttamente instaurato, da questo punto di vista, il contraddittorio.

Con un’ulteriore eccezione il controinteressato assume l’insussistenza in capo al Nolè di una situazione giuridica legittimante e di interesse sul presupposto che sarebbe mancato nella specie un procedimento unico di natura concorsuale entro cui si confrontavano le istanze dei due aspiranti che, invece, avrebbero seguito ciascuna percorsi procedimentali distinti e fra loro autonomi. Inoltre, si aggiunge che nella fattispecie mancherebbe in capo al ricorrente -a legittimarlo al gravame- anche un semplice interesse di tipo strumentale.

L’eccezione non è condivisibile.

Ed invero a radicare l’interesse all’impugnazione dell’altrui trasferimento è sufficiente che il dipendente che si ritiene leso abbia previamente e formalmente chiesto all’amministrazione "dominus" del posto l’accoglimento della sua istanza di trasferimento, ciò bastando a gravare la p.a. dell’obbligo di esercitare la propria discrezionalità in modo imparziale e secondo legalità anche indipendentemente dall’esistenza d’una predeterminazione d’una disciplina di dettaglio dell’attività..

Nella specie inoltre esiste sicuramente un interesse strumentale del ricorrente all’impugnativa "de qua" a restituire al posto in questione i requisiti di vacanza e disponibilità che già da soli costituiscono -in una alla propria richiesta- la base di sostegno del proprio interesse pretensivo al raggiungimento del posto medesimo ovviamente nell’osservanza della normativa prevista in tema di mobilità.

Ciò detto occorre subito precisare che il ricorso principale, ad avviso del Collegio, è fondato.

Proprio tale fondatezza tuttavia impone il preventivo esame del ricorso incidentale atteso chè col medesimo si mira a vanificare l’azione promossa dal Nolè.

Preliminarmente però va rigettata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’Avvocatura in relazione alla chiamata in giudizio delle amministrazioni statali rappresentate.

Al riguardo è da ritenere infatti che la circostanza dell’essere l’A.R.A.N. una delle parti sottoscriventi il C.C.N.L. del comparto enti locali (qui impugnato) e la Presidenza del Consiglio dei Ministri l’autorità che autorizza detta sottoscrizione basti a radicare la loro legittimazione processuale.

Orbene, il ricorso ora in esame è anzitutto inammissibile per carenza d’interesse quanto all’impugnativa della clausola, contenuta nella delibera di trasferimento, con cui il Comune di Venosa declina qualsiasi responsabilità derivante dall’accoglimento di eventuali ricorsi giurisdizionali avverso detto provvedimento.

Ed infatti, a parte l’evidente intrinseca infelicità della clausola, non vi è dubbio che la stessa sia "inutiliter data" dal punto di vista della sua idoneità lesiva; in altri termini trattasi d’una formula di mero stile estranea sul piano sostanziale sia all’ambito strutturale e sia a quello funzionale del trasferimento in senso stretto racchiuso nella delibera giuntale n.425/97.

Parimenti inammissibile per carenza d’interesse deve poi essere giudicata l’impugnativa della delibera di trasferimento nella parte in cui si esonera il controinteressato dall’obbligo del periodo di prova purchè abbia superato un analogo periodo presso l’ente di provenienza.

Detta clausola infatti, per il suo evidente carattere favorevole, è sicuramente sprovvista di lesività.

Ma anche la seconda parte dell’impugnativa incidentale deve essere giudicata inammissibile.

La stessa infatti a ben vedere consiste in un’azione di accertamento preventivo del diritto al mantenimento del rapporto di lavoro del tutto autonoma da quella proposta in via principale senza un interesse attuale ad agire e rivolta nei confronti d’un atto, di natura negoziale, successivo rispetto a quello impugnato in via principale laddove la possibilità di gravare, col ricorso incidentale, atti diversi dal predetto riguarda, sostanzialmente, oltre agli altri atti del medesimo procedimento amministrativo, gli atti cd. presupposti.

Del resto, è "ius receptum" (p.e. Cons.St., VI, 9/6/93 n.411) che la possibilità di impugnare col ricorso incidentale anche provvedimenti diversi da quello impugnato in via principale ma con esso legati è subordinata alla condizione che dalla loro rimozione conseguano effetti sulla valutazione di ammissibilità, di procedibilità o di fondatezza della domanda principale.

Ebbene, nel caso di specie, davvero non si vede in che modo l’eventuale accoglimento della domanda incidentale "de qua" (che riguarda la futura esistenza del rapporto di lavoro) potrebbe impedire l’accoglimento della domanda relativa al distinto e presupposto provvedimento di trasferimento una volta che di questo, come nella specie, se ne accerti l’illegittimità.

Si può ora procedere all’esame del merito del gravame principale, a cominciare dal primo motivo che è infondato.

All’epoca di svolgimento della vicenda, era vigente l’art. 35 (procedimento per l’attuazione della mobilità) del decreto legislativo n.29/93 che disponeva che criteri, modalità e procedure per l’attuazione "della mobilità volontaria" e d’ufficio (nonché per la messa in disponibilità), i criteri di coordinamento tra "trasferimenti a domanda" e d’ufficio e fra procedure di mobilità e nuovi accessi venissero disciplinati da un apposito regolamento da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (co.1°).

Si stabiliva, per la copertura dei posti risultanti dalla ricognizione delle vacanze di organico prevista dall’art. 32 del citato D. L.vo, un ordine vincolante di priorità che vedeva in prima posizione l’inquadramento nei ruoli del personale in soprannumero e in seconda battuta il "trasferimento a domanda a posto vacante", con priorità comunque per il personale in esubero (co.2°).

Col successivo comma 5° si stabiliva poi che in attesa dell’emanazione del predetto regolamento sarebbero restate "ferme le disposizioni vigenti in materia di mobilità".

Infine, con l’ultimo comma (8°) si consentiva che la mobilità dei pubblici dipendenti potesse essere realizzata,"ferme restando le norme vigenti in tema di mobilità volontaria e d’ufficio, anche mediante accordi di mobilità tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni sindacali, con il consenso dei singoli lavoratori interessati".

Ora, relativamente alla parte del primo motivo con cui si lamenta la mancata attivazione degli accordi di mobilità da parte del Comune di Venosa, la censura appare inammissibile e comunque infondata

Infatti il ricorrente, dopo aver chiesto in data 13/7/96, sia al sindaco del comune di Pietragalla e sia a quello di Venosa di attivarsi per porre in essere un accordo di mobilità (ex artt. 35 co. 8° cit. e 27 bis nel frattempo aggiunto al c.c.n.l. del 6/7/95), "in previsione della eventuale dichiarazione di eccedenza di personale da parte del Comune di Pietragalla" avrebbe dovuto -attraverso il ricorso agli strumenti consentiti dall’ordinamento- incalzare quest’ultimo ente (neppure evocato nel presente giudizio) onde costringerlo a cessare l’inerzia serbata sull’istanza e a pronunciarsi definitivamente sulla stessa assumendo le iniziative più opportune onde arrivare alla stipula di un accordo con il comune di Venosa e con le OO.SS. ai fini della "cessione" del Nolè a quest’ultima amministrazione.

Ma anche a non voler condividere questa impostazione c’è da rilevare, da un lato, che il ricorrente non ha comunque impugnato la delibera n.925 del 26/11/96 di attivazione della procedura per gli accordi di mobilità solo per due posti di 7° e 6° livello e non anche per quello di ingegnere dell’8° livello della cui vacanza si dava pure atto e, dall’altro, che non viene dimostrata nella fattispecie l’esistenza, presso il Comune di Pietragalla, d’una potenziale situazione d’eccedenza di personale (cfr. art. 27 bis comma 2° cit.) non potendo bastare al riguardo, evidentemente, l’appartenenza del Nolè ai ruoli soprannumerari ad esaurimento di cui alla legge n.730/86.

Va poi rilevata l’infondatezza del motivo in esame nella sua prima parte.

Certo, all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato non solo, come già si è detto, era in vigore la disciplina di legge di cui al citato art. 35 ma anche il regolamento (dalla prima previsto) di "disciplina della mobilità dei dipendenti della pubblica amministrazione", adottato con D.P.C.M. n.716 del 16/9/94 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 27/12/94.

Con lo stesso, all’art. 1 (ambito della disciplina), si precisava di voler regolare criteri, modalità e termini per l’attuazione della mobilità, tra amministrazioni diverse, dei dipendenti collocati in disponibilità ex lege n.537/93 (art. 52 co.3°) nonché "dei trasferimenti volontari, per il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n.29 e successive modificazioni" e di altre categorie nella stessa norma contemplate (cfr. comma1).

Nelle successive norme poi si delineavano e si regolavano gli ingranaggi della complessa attività amministrativa volta a dare alla mobilità valenza di grande riorganizzazione distributiva delle risorse umane all’interno dell’intera pubblica amministrazione.

Di qui la preventiva ricognizione dei posti disponibili (art. 2) e dei dipendenti collocati in disponibilità, la predisposizione da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica del bando di mobilità (art.5) recante l’indicazione dei posti disponibili nonché l’individuazione delle procedure di assegnazione di questi ultimi e cioè, nell’ordine: "a) mediante mobilità volontaria; b) mediante mobilità d’ufficio" (art. 6).

Esplicitamente poi, il successivo art. 7 include, fra gli aspiranti alla "mobilità volontaria" sui posti disponibili pubblicati, dopo i dipendenti delle amministrazioni collocati in disponibilità, i dipendenti delle stesse amministrazioni "non collocati in disponibilità" senza riferimento alcuno alla necessità che gli stessi siano in una situazione di esubero.

Le norme successive regolano le modalità di presentazione della domanda, i criteri per la formazione delle graduatorie per la mobilità volontaria (art.10), gli adempimenti connessi alle graduatorie (art. 11) e la fase attuativa di detti trasferimenti (art. 12).

Ciò detto, avuto riguardo alle difese del controinteressato, il Tribunale deve dare atto che le disposizioni regolamentari in esame non cancellano "sic et simpliciter" le procedure di trasferimento previgenti, quelle -per la precisione- poste in essere con le normative contrattuali (e recepite con d.p.r.) di cui al precedente regime della cd. legge-quadro sul pubblico impiego.

Un siffatto spazio di sopravvivenza pare assicurato dal medesimo regolamento, e precisamente dalla "norma transitoria" di cui all’articolo 20 che, al fine di disciplinare la prima applicazione del detto regolamento, prevista per il 1995, fa slittare di qualche mese tutti i termini di cui agli artt. 2 e 3 e stabilisce, al fine di "consentire la mobilità del personale nelle more dell’emanazione del primo bando," che "la normativa vigente alla data di entrata in vigore del presente regolamento è applicabile sino al 28 febbraio 1995".

Ora, a parere del Collegio, la normativa in questione non può che essere quella ordinaria in tema di trasferimenti, anche a domanda, prevista dalla normativa contrattuale, successivamente non abrogata, neppure dall’art. 35 del d. lgs. n.29/93.

Ed infatti il comma quinto di detto articolo recita: "Per quanto non espressamente previsto dal presente capo ed in attesa dell’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 1, restano ferme le disposizioni vigenti in materia di mobilità".

Ebbene tale disposizione, come si rileva dal suo tenore testuale, non impone un termine secco di vigenza alle preesistenti normative contrattuali nella materia "de qua" coincidente con l’adozione del predetto regolamento, ma pare semmai volere dare solo "visibilità" ad un dato immanente al "sistema" e cioè quello dell’ultrattività di dette normative fin tanto chè un nuovo sistema appunto, in sé compiuto e di immediata operatività, non sostituisca quello precedente disciplinante la mobilità dei pubblici dipendenti.

Ciò perché ovviamente non può ritenersi logico che il Legislatore apponga brusche cesure alla vigenza d’un intero settore di disciplina del pubblico impiego -quale è quello dei trasferimenti cd. a domanda- nell’assenza d’un nuovo e diverso regime sostitutivo del precedente capace di soddisfare le esigenze dei pubblici dipendenti aspiranti ad un trasferimento di sede, in questo caso da una ad altra amministrazione locale.

Ebbene, come si ricava proprio dal predetto regolamento, siffatto nuovo sistema di disciplina della mobilità, per essere concretamente operativo, necessita dell’emanazione, da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica, d’un bando annuale da pubblicarsi sulla G.U. della Repubblica recante i posti disponibili presso le varie amministrazioni; in assenza del quale bando, pertanto, il sistema dei trasferimenti delineato dal D.P.C.M. n.716/94 è destinato a restare inoperante.

A siffatto ordine di idee va dunque assoggettata l’esegesi della "norma transitoria" di cui all’art. 20 comma 2° citato che difatti, "per consentire la mobilità del personale nell’emanazione del primo bando", mantiene l’applicabilità della "normativa vigente alla data di entrata in vigore" del regolamento fino "al 28/2/95".

Come si vede, la norma fa espresso riferimento non già a un primo bando di mobilità in senso assoluto, indipendente cioè dal tempo della sua adozione bensì proprio a quello che, secondo lo scadenzario previsto nel regolamento medesimo, avrebbe dovuto essere adottato nell’aprile del 1995 e che invece, a quanto consta al Collegio, non è mai intervenuto.

Poiché la disposizione in parola risulta interamente basata sul presupposto dell’emanazione del primo bando già nel corso del 1995 ne consegue che la stessa non può precludere -fin tanto chè quest’ultimo atto non venga emanato (e fino all’adozione dell’impugnato trasferimento ciò non risulta essere avvenuto)- l’ordinaria vigenza delle disposizioni contrattuali precedenti al decreto sulla "privatizzazione" del pubblico impiego da questo non abrogate.

Deve dunque concludersi, sotto questo profilo, per la vigenza e la conseguente applicabilità, nella fattispecie, dell’art. 20 del d.p.r n.268/87.

Va poi giudicato infondato anche il secondo motivo che si basa su una norma di legge riguardante il personale in eccesso (rispetto alle piante organiche rideterminate) presso gli enti locali dissestati e per il quale si prevede il prioritario espletamento della mobilità nell’ambito della medesima provincia e regione.

Ed infatti, a parte il fatto che non risulta provato che il Comune di Pietragalla fosse stato a suo tempo dichiarato, a termini di legge, in stato di dissesto, c’è da dire che la condizione di appartenenza ai ruoli soprannumerari "ex lege n.730/86" del ricorrente non implica anche il suo "esubero".

Tutto ciò detto occorre allora transitare al terzo motivo che è fondato nei sensi che si illustrano.

Ed infatti, pur nella legittimità del ricorso al citato art. 6 comma 20, il Comune, col provvedimento impugnato, di detta norma ha fatto scorretta applicazione atteso chè ha del tutto trascurato di prendere in considerazione le istanze del ricorrente con particolare riguardo a quella inoltrata in data 28/12/94 (sub n.10 della produzione attorea), cioè in data anteriore a quella del controinteressato (presentata il 15/9/95).

Né varrebbe obiettare che la prima istanza del ricorrente -in quel momento in servizio presso il Comune di Venosa in qualità di comandato- si configura, quanto al proprio tenore testuale, come una richiesta di inserimento nei ruoli dell’organico di quest’ultimo Comune atteso chè la stessa era comunque agevolmente interpretabile -in chiave teleologica- quale una vera e propria istanza di definitivo trasferimento dal Comune Pietragalla a quello di Venosa.

Risulta dunque fondata la censura con cui si lamenta la mancata presa in considerazione dell’istanza del ricorrente -avente medesimo profilo professionale del controinteressato- e la carenza d’una qualsiasi giustificazione in proposito.

Di tal chè il provvedimento impugnato deve essere annullato con accoglimento del gravame e salva ovviamente l’ulteriore attività della p.a..

Sussistono comunque giusti motivi per compensare le spese di giudizio fra tutte le parti.

P.Q.M.

Il tribunale amministrativo regionale per la basilicatA

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe così decide:

-rigetta il ricorso incidentale;

-accoglie il ricorso principale nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Potenza, addì 24 novembre e 15 dicembre 1999, dal

Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata

nella Camera di Consiglio con l' intervento dei signori:

Bartolomeo Perricone Presidente

Giancarlo Pennetti Componente - Estensore

Giulia Ferrari Componente

IL PRESIDENTE

L’ESTENSORE

SEGRETARIO - Vito Ferri

Pubblicata il 4 febbraio 2000

Copertina