TAR SARDEGNA-CAGLIARI – Sentenza 6 aprile 2001 n. 428 – Pres. Sassu, Est. Scano - Consorzio Emiliano Romagnolo (Avv. Matassa) c. Consorzio dei Comuni di Bacino Imbrifero Montano del Talora (Avv. Murgia) e Ditta Porcu e Figli S.p.A. (Avv. Pinna).
Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Legittimazione passiva - Nel caso di Enti locali - Spetta di regola al rappresentante legale dell’ente - Legittimazione passiva del dirigente che ha emesso l’atto - Spetta solo in presenza di apposita disposizione dello Statuto.
Contratti della P.A. - Offerta - Offerte anomale - Motivazione congrua in relazione alle analitiche giustificazioni presentate dall’offerente - Necessità - Mancanza - Illegittimità dell’esclusione.
Contratti della P.A. - Offerta - Offerte anomale - Giustificazioni presentate dall’offerente - Compensazioni tra voci eccessivamente base e voci eccessivamente alte - Possibilità - Sussiste.
In assenza di prova sull’attribuzione al dirigente, con lo Statuto o con la convenzione, della rappresentanza dell’ente locale, il ricorso giurisdizionale è da ritenere ritualmente proposto con la sua notifica al legale rappresentante dell’ente stesso (nella specie, il Presidente del Consorzio).E’ illegittimo il giudizio di non congruità di una offerta che è stata giudicata anomala, senza motivare puntualmente sulle specifiche ragioni per le quali non potevano essere accolte le analitiche giustificazione presentate dall’offerente e senza valutare l’incidenza dei prezzi delle singole lavorazioni ritenuti non giustificati. Il giudizio di anomalia è infatti finalizzato a verificare l’affidabilità complessiva dell’offerta contrattuale e, pertanto, non può prescindersi dal peso effettivo di ciascun ribasso unitario in relazione al suo valore percentuale: ciò perché…un ribasso del 50% su una voce che "pesa" poco (ad. es. 1%) è molto meno significativo, ovverosia incide molto meno sull’offerta totale, di un ribasso dell’1% su una voce che rappresenta il 50% dell’importo a base d’asta (2).
Il giudizio di anomalia di una offerta è volto a verificare l’attendibilità dell’offerta nel suo complesso, per cui deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano contro che di quelli che militano a favore dell’attendibilità dell’offerta nel suo insieme. Conseguentemente, l’impresa deve poter dimostrare, per compensare le eventuali anomalie di alcune voci, che esistono altre voci di prezzo inizialmente sopravvalutate che le permettono di conseguire in concreto un effettivo ulteriore risparmio, idoneo a giustificare, nel suo complesso, il prezzo praticato; ove non si ammettesse detta compensazione, non consentendo che voci di costo rettificate in aumento possano essere compensate da voci in diminuzione, si renderebbe il giudizio di anomalia meramente formalistico, e si perverrebbe ad affermare una anomalia meramente fittizia, in concreto inesistente (3).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 luglio 1999, n. 116, Cass., Sez. III civ., 30 maggio 2000, n. 7190. V. sul punto la nota di L. OLIVERI, La promozione e la resistenza alle liti negli Enti Locali alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali, riportata dopo il testo della sentenza in rassegna.
(2) Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2000, n. 707 e 19 maggio 2000, n. 2908.
(3) Cons. Stato, Sez. IV, 19 maggio 2000, n. 2908, cit.
per l’annullamento
1) della determinazione n. 92/Amm. del 25.10.2000 con la quale il Responsabile del servizio amministrativo del Consorzio dei Comuni di Bacino Imbrifero Montano del Taloro ha approvato il verbale di gara datato 24.10.2000 e, conseguentemente, ha aggiudicato all’ATI Porcu Aurelio & Figli S.p.A. – Galimberti & Concas l’appalto delle opere per il "Risanamento e depurazione delle acque del bacino imbrifero montano del Taloro" (importo a base d’asta £. 14.624.076.779);
2) delle determinazioni assunte dalla Commissione di gara di cui al verbale n. 4, in data 28.9.2000 e 24.10.2000, avente ad oggetto "verifiche offerte economiche ed aggiudicazione appalto", nella parte in cui tale organismo ha ritenuto non congrue le giustificazioni del CER e, per l’effetto, ha aggiudicato provvisoriamente all’ATI Porcu Aurelio & Figli S.p.A. – Galimberti & Concas l’appalto in questione;
3) delle determinazioni assunte in data 18.10.2000 dall’Ufficio della Direzione dei lavori e dall’Ingegnere Capo della stazione appaltante in sede di valutazione delle giustificazioni delle offerte ritenute anomale.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore per la pubblica udienza del 14/3/2001 il consigliere Francesco Scano;
Uditi l’avv. Luca Clarizio, su delega, per il ricorrente, l’avv. Mario Fois, su delega, per l’amministrazione resistente, nonché l’avv. Silvio Pinna per la società controinteressata.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Si espone in ricorso che il Consorzio dei Comuni di Bacino Imbrifero Montano del Taloro ha indetto una gara – con base d’asta di £. 14.624.076.779 – per l’appalto delle opere di "Risanamento e depurazione delle acque del bacino imbrifero montano del Taloro".
Alla gara ha partecipato il Consorzio Emiliano Romagnolo (d’ora innanzi, CER) impresa di primaria importanza nazionale nel settore delle opere pubbliche, che ha proposto un’offerta in ribasso del 27,30% sulla base d’asta; alla gara ha altresì concorso la ATI Porcu Aurelio & Figli S.p.A. – Galimberti & Concas che, invece, ha offerto un ribasso del 23,00%. Individuata la soglia di anomalia (24,87%), prosegue l’esposizione, l’Ufficio della Direzione Tecnica e l’Ingegnere Capo del Consorzio – all’uopo incaricati – hanno effettuato l’esame delle giustificazioni fornite dalle concorrenti che avevano superato la soglia.
Tale esame si è concluso con la declaratoria di anomalia dell’offerta proposta dal CER.
A sostegno del ricorso il CER ha proposto n. 4 motivi di impugnativa.
1) Violazione dell’art. 21, comma 1 bis, L. 109/1994. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria; eccesso di potere per travisamento dei presupposti, illogicità manifesta.
2) Violazione dell’art. 21, comma 1 Bis, L. 109/1994. Eccesso di potere per difetto di istruttoria sotto diverso profilo; eccesso di potere per travisamento dei presupposti, illogicità manifesta.
3) Violazione dell’art. 21, comma 1 bis, L. 109/1994. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria sotto diversi profili; illogicità manifesta; violazione della lex specialis; eccesso di potere per travisamento dei presupposti.
4) Violazione dell’art. 21, comma 1 bis, L. 109/1994. Violazione dell’art. 30 della Dir. 93/37 CEE 14.6.1993. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione del giusto procedimento.
La controinteressata impresa Porcu Aurelio e Figli ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica dello stesso al Dirigente responsabile del Servizio amministrativo del Consorzio, chiedendone comunque, al pari dell’Amministrazione resistente, il rigetto perché infondato.
Alla pubblica udienza del 14 marzo 2001, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla società controinteressata. Sostiene la difesa di quest’ultima che il ricorso andava notificato al Dirigente responsabile del servizio amministrativo del Consorzio, avendo egli adottato l’atto impugnato ed avendo il Dirigente - a seguito delle recenti modifiche normative introdotte con il T.U. sugli enti locali (D.Lgs 18 agosto 2000 n. 267, artt. 6 comma 2° e 107) e con la legge 21 luglio 2000 n. 205, art. 4 comma 3°-la rappresentanza giuridica dell’Ente.
L’eccezione non può essere condivisa.
Quanto al primo aspetto la giurisprudenza è assolutamente pacifica nel ritenere che il ricorso è ritualmente proposto con la notifica dello stesso all’organo che ha la rappresentanza dell’ente, e che non è necessario che venga altresì notificato all’organo che ha adottato l’atto.
In relazione al secondo aspetto, il difensore della controinteressata richiama impropriamente l’art. 6 comma 2° del Testo Unico sugli enti locali, che riguarda specificamente i Comuni e le Province e non i Consorzi. Per questi ultimi l’art. 31 prevede che debba essere la convenzione a "disciplinare le nomine e le competenze degli organi consortili… [e che] lo statuto, in conformità alla convenzione, deve disciplinare l’organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi consortili". Nessuna prova viene fornita in giudizio circa la previsione nello Statuto o nella convenzione che la rappresentanza del Consorzio sia stata attribuita al Dirigente.
La tesi non appare corretta neppure se si considera la disciplina dettata per i Comuni e per le Province, atteso che l’art. 50 comma 2° del citato Testo Unico prevede espressamente che "il Sindaco ed il Presidente della Provincia rappresentano l’ente".
Ma la tesi non appare condivisibile neppure in termini generali, considerando quindi anche l’ulteriore aspetto della competenza in ordine alla decisione di promuovere una lite o di resistere in giudizio, in quanto le determinazioni relative a questi ultimi aspetti non possono farsi rientrare tra i meri atti di gestione, che la nuova normativa riserva alla competenza dei dirigenti. Nelle relative valutazioni vengono in rilievo non solo profili eminentemente tecnico giuridici, ma anche aspetti più latamente politici (es. addivenire o meno ad una transazione, proporre la costituzione di parte civile). Peraltro la tesi che sostiene la spettanza del potere in parola in capo al Dirigente, anche in assenza di specifica previsione statutaria, non sembra del tutto coerente con il sistema, ove si consideri che la competenza in parola comporta l’esercizio di una facoltà discrezionale anche in ordine alla scelta di difendere o meno gli atti degli organi politici dell’ente, tra cui anche quelli fondamentali per la vita dell’ente medesimo (quale ad es. il Bilancio o il PUC per il Comune).
Pertanto, in assenza di prova sull’attribuzione al Dirigente, con lo Statuto o con la convenzione, della rappresentanza dell’ente, il ricorso appare ritualmente proposto con la sua notifica al Presidente del Consorzio (vedi al riguardo Cons. Stato sez. IV, 5.7.1999, n. 116, Cass. Sez. III civ. 30.5.2000, n. 7190).
Nel merito il ricorso appare fondato.
La controversia sottoposta all’esame del Collegio trae origine dalla determinazione con la quale la Commissione giudicatrice della gara per l’appalto dei lavori di risanamento e depurazione delle acque del bacino imbrifero montano del Taloro (importo a base d’asta di lire 14.624.076.779) ha ritenuto non giustificato il ribasso del 27,30% offerto dal Consorzio ricorrente ed ha conseguentemente aggiudicato i lavori all’impresa controinteressata che ha praticato un ribasso del 23%.
Fondata si appalesa la censura di difetto di motivazione proposta con il primo motivo di ricorso. Come esattamente rilevato in ricorso, il giudizio di non congruità dell’offerta del Consorzio Emiliano Romagnolo è stato espresso dalla Commissione senza motivare puntualmente sulle specifiche ragioni per le quali non potevano essere accolte le analitiche giustificazione presentate dallo stesso e senza valutare l’incidenza dei prezzi delle singole lavorazioni ritenuti non giustificati.
Come precisato dalla giurisprudenza, richiamata in ricorso, il giudizio di anomalia è finalizzato a verificare l’affidabilità complessiva dell’offerta contrattuale ed allora "non può prescindersi dal peso effettivo di ciascun ribasso unitario in relazione al suo valore percentuale: ciò perché…un ribasso del 50% su una voce che "pesa" poco (ad. es. 1%) è molto meno significativo, ovverosia incide molto meno sull’offerta totale, di un ribasso dell’1% su una voce che rappresenta il 50% dell’importo a base d’asta" (Cons. stato, sez. VI, 10.2.2000, n. 707 e 19. 5. 2000, n. 2908).
La logica del principio richiamato è ben chiara ed evidente, anche se l’esempio riportato non appare appropriato: le due applicazioni proposte danno infatti, per la proprietà commutativa delle moltiplicazioni, lo stesso risultato (se si considera 1000 come importo a base d’asta si ottiene: primo esempio, 0,5x0,01x1000= 5; secondo esempio 0,01x0,5x1000= 5). Nella relazione tecnica richiamata dalla Commissione a supporto del giudizio di anomalia si afferma che l’impresa non ha tenuto conto, nella definizione del prezzo offerto, delle rilevanti difficoltà di posa delle tubazioni dovute alle particolari condizioni orografiche del territorio e quindi non ha tenuto conto del costo di mezzi speciali per la posa delle tubazioni, senza però motivare in ordine a detta incidenza e segnatamente della lunghezza della tratta ove non è possibile utilizzare il mezzo speciale (autogrù con braccio) previsto dall’impresa, per la quale soltanto si pone il problema di oneri aggiuntivi non previsti.
Il criterio della incidenza economica della voce di prezzo è stato considerato unicamente in riferimento alla fornitura delle tubazioni, per le quali però non viene quantificata la percentuale di prezzo non giustificata.
Per tale voce di lavorazioni si contesta unicamente la validità dei preventivi prodotti dall’impresa perché recano una validità temporale limitata (fino al 31.12.2000), senza considerare, come esattamente rilevato dal ricorrente con il terzo motivo di ricorso, che nessuna disposizione del bando di gara imponeva che i preventivi dei fornitori avessero una determinata validità temporale, ma addirittura i preventivi non erano richiesti né dal bando e né dalla richiesta di giustificazioni.
Peraltro sebbene la voce tubazioni incida in modo considerevole sull’importo di gara, la Commissione non ha quantificato, neppure in via di larga massima, i maggiori oneri che l’impresa avrebbe dovuto sopportare per tale voce, limitandosi alla generica affermazione che i preventivi avevano una validità limitata nel tempo Il Collegio è ben a conoscenza del pacifico indirizzo giurisprudenziale, per il quale il giudizio di anomalia costituisce espressione di un apprezzamento discrezionale, che può essere censurato in sede di sindacato di legittimità esclusivamente nei profili di manifesta illogicità, travisamento dei presupposti di fatto e motivazione carente (Cons. Stato sez. VI, 5.11.1993, n. 801; TAR Veneto, 21.7.1995 n. 1097 e 28.1.1997, 162; TAR Sardegna 24.1.1998, n. 48), ma nel caso di specie si rientra proprio nell’ipotesi di motivazione carente che, per l’importanza della determinazione da assumere, richiedeva ben altra considerazione e valutazione degli elementi esaminati.
Come insegna la giurisprudenza, l’onere della motivazione della determinazione da assumere va "commisurato con riferimento al contenuto ed alla natura dell’atto" (Cons. Stato, sez. VI, 5.11.1993 n. 801). Ora nel caso di specie proprio il particolare oggetto dell’appalto (posa di tubazioni), imponeva una motivazione rigorosa sull’anomalia dell’offerta, al fine di evitare che il risparmio economico derivante dall’offerta migliore (obiettivo principale delle gare), potesse essere vanificato da una valutazione non adeguata.
Diversamente da quanto avviene nella costruzione delle comuni opere pubbliche (edifici, ponti, dighe…), nelle quali l’esecuzione non a regola d’arte di una parte incide negativamente sulle restanti parti dell’opera, nella realizzazione di condotte, che nell’appalto di cui si discute rappresenta la parte assolutamente preponderante (ben 8.416.657.160 di lire), non esiste simile diretta incidenza.
L’eventuale irregolarità nella posa di una tratta di tubazioni non incide infatti sulle rimanenti tratte da realizzare, anche se incide, com’è ovvio, sulla funzionalità dell’opera nel suo complesso.
Da ciò consegue che i rischi connessi ad eventuali inadempimenti dell’impresa nell’esecuzione dell’opera siano assai minimi in considerazione del fatto che il collaudo avviene in corso d’opera per ogni singola tratta (per cui le eventuali irregolarità esecutive vengono immediatamente rilevate) e che in caso di inadempimento (e quindi di risoluzione del contratto) o di fallimento dell’impresa, i lavori potrebbero essere proseguiti, senza grossi inconvenienti, da altra impresa, anche utilizzando la graduatoria della gara.
In tal modo l’Amministrazione potrebbe fruire del prezzo più vantaggioso e quindi potrebbe realizzare l’opera con il minor sacrificio economico possibile (che nel caso di specie ammonta a lire 628 milioni circa), senza incorrere in significativi pregiudizi, peraltro compensabili con le garanzie previste per l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali (cauzione e/o fidejussione) per l’eventualità di inadempimento o fallimento dell’impresa nel corso della esecuzione dei lavori, e ciò in aderenza al principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione (cfr. TAR Sardegna n. 48 del 1998 cit.).
Fondata si appalesa anche la censura proposta con il secondo motivo di ricorso, con la quale il CER sostiene che la Commissione di gara illegittimamente non ha considerato le ulteriori economie dimostrate in sede di giustificazioni, che sarebbero sufficienti a compensare l’anomalia delle voci considerate dalla Commissione.
Come precisato dal Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 19.5.2000, n. 2908, il giudizio di anomalia è volto a verificare l’attendibilità dell’offerta nel suo complesso, per cui deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano contro che di quelli che militano a favore dell’attendibilità dell’offerta nel suo insieme. Conseguentemente l’impresa deve poter dimostrare, per compensare le eventuali anomalie di alcune voci, che esistono altre voci di prezzo inizialmente sopravvalutate che le permettono di conseguire in concreto un effettivo ulteriore risparmio, idoneo a giustificare, nel suo complesso , il prezzo praticato.
Ove non si ammettesse detta compensazione, cioè non consentendo che voci di costo rettificate in aumento possano essere compensate da voci in diminuzione, "si renderebbe il giudizio di anomalia meramente formalistico, e si perverrebbe ad affermare una anomalia meramente fittizia, in concreto inesistente" (Cons. Stato sez. IV n. 2908 del 2000 cit.).
Infine anche l’ultimo motivo di ricorso appare fondato.
Con esso il Consorzio ricorrente propone la censura di violazione del giusto procedimento per non avere la Commissione instaurato il contraddittorio al fine di consentirgli di apportare ulteriori elementi e chiarimenti a giustificazione della propria offerta.
In effetti l’Amministrazione prima di giudicare anormalmente bassa l’offerta, ove detto giudizio non sia puntualmente corroborato dai documenti già acquisiti, deve consentire all’impresa di replicare alle concrete osservazioni mosse in sede di primo esame delle giustificazioni, permettendo alla stessa di integrare le giustificazioni stesse anche attraverso la produzione di ulteriore documentazione.
Nel caso di specie, come esattamente rilevato in ricorso, il contraddittorio era ancor più necessario alla luce delle osservazioni espresse, ai punti 2 e 3 della relazione tecnica sulla valutazione delle offerte del CER, laddove si afferma che "non è… possibile esprimere un giudizio di congruità sui prezzi proposti e la corrispondenza del sistema proposto con quello previsto in progetto", e che "non risultano adeguatamente esplicitate le caratteristiche tecniche delle apparecchiature indicate e non è pertanto possibile esprimere un giudizio di congruità sui prezzi proposti".
Su tali aspetti la Commissione avrebbe dovuto richiedere ulteriori elementi chiarificatori. Per le suesposte considerazioni deve essere accolta la domanda di annullamento degli atti impugnati. Conseguentemente l’Amministrazione dovrà riprendere il giudizio di anomalia dell’offerta del CER, e consentire altresì allo stesso di replicare alle concrete osservazioni della Commissione di Gara.
L’accoglimento della domanda principale avanzata in ricorso, conduce all’improcedibilità della domanda di risarcimento danni, in conformità a quanto richiesto dallo stesso Consorzio ricorrente.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA
Così dispone in ordine al ricorso in epigrafe:
1.accoglie la domanda di annullamento degli atti impugnati e, per l’effetto, li annulla;
2.dichiara improcedibile la domanda di risarcimento del danno;
3) Compensa interamente fra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio, il giorno 14/3/2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l’ intervento dei signori:
Alberto Manlio Sassu, Presidente;
Francesco Scano, Consigliere, Estensore;
Alessandro Maggio, Consigliere.
Depositata in segreteria oggi: 6 aprile 2001
LUIGI OLIVERI
Il tema della competenza alla rappresentanza degli enti locali in giudizio e all'adozione del provvedimento di costituzione in giudizio è destinato a restare ancora per qualche tempo molto dibattuto. La poca chiarezza delle norme rispetto al discrimine tra atti gestionali, di competenza dei dirigenti, ed atti di governo di spettanza degli organi di governo, pare lasciare ancora spazi per interpretazioni di tipo tradizionalistico, che non guardano con pienezza il completo spettro delle nuove geometrie delle competenze, disegnato dal D.lgs 267/2000 in combinato disposto col D.lgs 29/1993.
E’ il caso della sentenza del Tar Sardegna 6 aprile 2001, n. 428 (1), che nella sostanza ritiene necessario subordinare ad una previsione espressa dello statuto degli enti locali la possibilità che:
1) la rappresentanza in giudizio sia assegnata ai dirigenti;
2) il provvedimento di costituzione in giudizio sia adottato dai dirigenti.
Come si metterà in luce di seguito, la decisione dei giudici sardi ripropone ancora una volta l'equivoco o la confusione del problema della rappresentanza giudiziale, con quello, ben diverso, della competenza all'adozione del provvedimento col quale decidere di stare o meno in giudizio, equivoco che, comunque, sta alla base delle letture contrarie alla definitiva assegnazione di dette competenze ai dirigenti.
La sentenza critica fortemente l’opinione espressa da quegli interpreti (2) i quali ritengono che sia possibile per i dirigenti espletare entrambe le competenze sopra descritte, anche senza un’espressa previsione statutaria. I giudici cagliaritani, infatti, sottolineano che detta tesi non sembra coerente con sistema delle competenze, “ove si consideri che la competenza in parola comporta l’esercizio di una facoltà discrezionale anche in ordine alla scelta di difendere o meno gli atti degli organi politici dell’ente, tra cui anche quelli fondamentali per la vita dell’ente medesimo”.
Questa considerazione, che appare il punto di forza della motivazione contraria (per la verità abbastanza laconica, giacchè la sentenza non analizza per nulla le disposizioni normative che regolano la complessa materia), ne è, invece, l’irrimediabile lato di debolezza.
Si tratta, infatti, di un assunto indimostrato, derivante da una convinzione di tipo tradizionale, assolutamente non conforme alla normativa vigente.
Il postulato della sentenza è, in sostanza, il seguente: alla base della decisione di costituirsi in giudizio, vi sarebbe una discrezionalità di natura amministrativa molto ampia, in particolare per quanto riguarda la necessità di difendere gli atti politici dell’ente. Pertanto, sarebbe incongruo che dette decisioni fossero adottate da chi è competente all’adozione di “meri” atti gestionali. La competenza, dunque è dell'organo di governo, così come la rappresentanza in giudizio.
Ora, detto assunto appare indubbiamente non corretto. La dirigenza non è chiamata a compiere atti gestionali “meri”, perché se così fosse non vi sarebbe distinzione dai semplici atti esecutivi di volontà altrui: si ricadrebbe, insomma, nell’ormai superata concezione del dirigente quale mero nuncius della volontà adottata da altri soggetti.
I dirigenti, invece, pur attenendosi alle direttive generali degli organi di governo, formano direttamente la volontà dell’ente: non sono dei semplici esternatori della volontà altrui, ma si assumono la responsabilità di decidere, tanto da risponderne personalmente, a titolo di responsabilità penale, civile, amministrativa e dirigenziale, sia nei confronti dell’ente di appartenenza, sia nei confronti dei terzi.
In secondo luogo, se fosse fondato il ragionamento proposto dal Tar, allora sarebbe illegittimo l’articolo 16, comma 1, lettera f), del D.lgs 29/1993, che assegna per legge direttamente alla dirigenza (statale) ogni competenza a promuovere e resistere in giudizio, comprendendo tutte le decisioni anche relative a provvedimenti degli organi politici. Il Ministro, infatti, può decidere solo quando vi sia un contrasto insanabile tra il dirigente competente e l’avvocatura dello Stato, in merito all’opportunità di costituirsi o meno in giudizio.
Allora, non è corretto sostenere che la discrezionalità della dirigenza non si possa estendere alla decisione di resistere in giudizio, sul presupposto che questa appartenga ad un livello più alto e quindi alla sfera della competenza politica. O, meglio, per sostenere questa tesi occorrerebbe dimostrare l’esistenza di una norma positiva che disponga in tal senso.
Ma questa norma, a bene vedere, non esiste. Invece, esiste un complesso di norme che prevede l’esatto contrario.
In primo luogo, l’articolo 3 del medesimo D.lgs 29/1993, che nell’elencare le competenze degli organi di governo esclude qualsiasi genere di atto relativo alla costituzione in giudizio: né, per coerenza interna del medesimo decreto legislativo, poteva essere diversamente, visto che l’articolo 16 del medesimo D.lgs 29/1993, come visto, assegna detta competenza alla dirigenza a titolo originario.
Si potrebbe sostenere, però, che le disposizioni del D.lgs 29/1993 hanno valore di principio: non possono essere applicate direttamente agli enti locali, in quanto a mente dell’articolo 111 del D.lgs 267/2000 e dell’articolo 27-bis del D.lgs 29/1993 debbono essere recepite ed adattate alle peculiarità dell’ente locale medesimo.
Ammesso che ciò sia corretto, occorrerebbe, allora, individuare una peculiarità normativa dell’ordinamento locale che escluda la competenza della dirigenza per l'adozione del provvedimento di costituzione in giudizio, o una norma espressa che assegni a detta competenza all’organo di governo. Ma analizzando il D.lgs 267/2000 simili disposizioni non si rinvengono. Anzi, l’articolo 48 mette in rapporto la residualità della competenza della giunta rispetto solo a consiglio, sindaco e circoscrizioni, con esclusione della sfera delle competenze della dirigenza.
Pertanto, anche nell’ente locale delle due l’una: la competenza in merito alla costituzione in giudizio o è dell’organo di governo, oppure è della dirigenza. Non essendovi, fino a prova contraria, nessuna peculiare regola che assegni espressamente detta competenza alla giunta, la competenza non può che essere della dirigenza.
Il fatto è, però, che non è condivisibile l’opinione secondo la quale le disposizioni sulla dirigenza dello Stato si applichino alla dirigenza locale solo in quanto siano recepite per via statutaria.
Gli articoli 111 e 27-bis citati, in realtà, non dispongono questo. Il loro senso appare un altro: obbligare gli enti locali, nel rivedere i propri statuti, ad adeguarli ad una disciplina normativa. Poiché l'adeguamento è un onere, detta disciplina è da considerare necessariamente come cogente (altrimenti non si parlerebbe di adeguamento, ma appunto, di recepimento, operazione che considera l’atto di recepimento come presupposto per l’applicazione di una regola, altrimenti non immediatamente operante). L'adeguamento normativo è, tuttavia, necessario poiché esistono alcune differenze tra l'ordinamento statale e quello locale: in particolare, l'adeguamento consente di adattare le disposizioni cogenti del D.lgs 29/1993 alla realtà in parte differente degli enti locali, ma solo quando vi sia una netta peculiarità che renda incompatibile la disposizione normativa con l'assetto comunale.
Nel caso che interessa, la vera e unica peculiarità locale riguarda il fatto che la dirigenza di comuni e province non è distinta in due fasce, a differenza di quella statale. Al di là di questo pur importante dato, le competenze dirigenziali statali e locali sono necessariamente coincidenti, giacchè sono contenute entro la sfera degli atti gestionali e non invadono quella degli atti di governo, definita dall’articolo 3 del D.lgs 29/1993, il quale, lo si ribadisce, non menziona la costituzione in giudizio, né la rappresentanza, quali poteri e competenze degli organi di governo.
Anche in questo caso, però, si può sostenere che l’articolo 3 del D.lgs 29/1993 non è integralmente e direttamente applicabile alla realtà locale. Ma detta affermazione appare anch’essa non del tutto persuasiva. L’articolo 3, intanto, ai sensi dell’articolo 27-bis del D.lgs 29/1993 costituisce espressamente principio al quale gli statuti locali debbono adeguarsi (nel senso chiarito sopra). L’adeguamento può ben essere elastico, nel senso che è possibile considerare permesso agli statuti locali di derogare al principio della competenza dirigenziale, in ragione delle peculiarità degli enti locali. Poiché, però, come sopra si è tentato di dimostrare, non esiste alcuna regola peculiare che impedisca ai dirigenti locali l’esercizio delle competenze dirigenziali previste dall’articolo 16 del D.lgs 29/1993, l’assetto delle competenze dirigenziali non può essere modificato dallo statuto comunale.
In più, occorre anche tenere nel dovuto conto quanto dispone l’articolo 88 del D.lgs 267/2000, a mente del quale “all’ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti ed i segretari comunali e provinciali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 […]”. Dunque, il D.lgs 29/1993 non vincola l’ordinamento locale solo ai suoi principi, ma anche alle regole specifiche dettate sull’ordinamento degli uffici e del personale. In particolare, dunque, le disposizioni relative all’ordinamento degli uffici, che necessariamente abbracciano le norme sulla competenza (definibile come la misura dei poteri pubblici assegnati dalla legge agli uffici medesimi), sono direttamente applicabili anche agli enti locali, senza necessità alcuna di un recepimento statutario, rimanendo semmai soggette al solo adeguamento.
Di ciò sta cominciando a rendersi conto la giurisprudenza amministrativa: il Tar Basilicata, con sentenza 26 marzo 2001, n. 192 (3), ha espressamente sostenuto che una norma autonoma dell’ente locale che assegnasse alla giunta una competenza gestionale (nel caso di specie, la nomina di professionisti) “deve ritenersi abrogata per incompatibilità con le disposizioni recate dal decreto legislativo, successivamente emanato, n. 267 del 2000 e, in particolare, dall’articolo 88 che estende agli enti locali le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 29 del 1993”.
Così stando le cose, non appare dubitabile che la competenza a costituirsi in giudizio spetti necessariamente alla dirigenza locale per legge, non occorrendo allo scopo alcuna previsione statutaria, che, del resto, non potrebbe nemmeno disporre in modo diverso.
Non si vede, del resto, contrariamente a quanto ritiene il Tar Sardegna nella sentenza che qui si commenta, quale risvolto politico possa avere una transazione (giudiziale o extra giudiziale), non solo perché è un atto eminentemente tecnico-gestionale, ma anche perché la transazione è espressamente considerata atto di competenza dirigenziale dal più volte ricordato articolo 16 del D.lgs 29/1993.
Ancora, la scelta di difendere o meno in giudizio un atto fondamentale quale il bilancio pare non lasciare alcun margine di discrezionalità a nessuno, né organo politico, né organo tecnico, dato che si tratta di un documento che, se invalidato, paralizza con gravissime conseguenze la vita dell’ente. Una considerazione tecnica – e solo tecnica – invece, in materia (ma anche per altri oggetti di causa) riguarda la fondatezza della posizione giuridica da difendere in giudizio: in altre parole, il bilancio potrebbe anche essere oggetto di una vertenza manifestamente, alla luce della tecnica e delle norme, fondata, tanto che se il comune si costituisse correrebbe il rischio di una lite temeraria o della condanna al risarcimento delle spese. In questo caso, qualsiasi valutazione solo “politica” non potrebbe supportare una diversa decisione “tecnica” di rinunciare alla costituzione in giudizio basata sulla valutazione della forte probabilità che scatterebbero ulteriori responsabilità contabili. Ma valutazioni simili, si ripete, non attengono per nulla alla sfera politica o a competenze di governo, riguardando solo la responsabilità tipica dei dirigenti di compiere scelte gestionali corrette, efficaci, economiche e legittime.
Discorso leggermente diverso potrebbe concernere la difesa in giudizio relativa ad atti e scelte di sicura competenza degli organi di governo. Ad esempio, una vertenza intentata dal direttore generale all’amministrazione, oppure un ricorso avverso il piano regolatore.
In questo caso, si tratta di atti l’uno di stretta competenza dell’organo di governo che nomina e gestisce il rapporto col direttore generale, l’altro di specifica competenza del consiglio e dunque attinente alla sfera politica.
Appare evidente che in questo caso il dirigente non potrebbe decidere isolatamente di costituirsi o meno in giudizio. Però, non sembra corretto, rispetto al quadro che fin qui si è delineato, ritenere che la competenza a decidere di costituirsi in giudizio spetti, come eccezione alla regola, all’organo di governo, considerando proprio questi come ipotesi peculiari.
L’assunto non è appagante, in quanto anche nelle amministrazioni dello Stato possono verificarsi vertenze contro atti dell’organo politico e tuttavia, con ogni certezza, la costituzione in giudizio è atto gestionale del dirigente.
Allora, la soluzione è diversa ed è, del resto, contemplata dall’ordinamento locale: l’organo di governo può e deve intervenire con un atto di indirizzo per determinare, al di là delle valutazioni tecniche che comunque il dirigente dovrebbe svolgere, l’opportunità politica di procedere o meno, indicando quindi al dirigente l’obiettivo: andare in causa o rinunciare. Lo scopo degli atti di indirizzo consiste soprattutto in questo, intervenire per chiarire le volontà politiche, rispetto ad eventi non programmati o programmabili, o comunque, anche se previsti in atti generali, che richiedono una pronuncia che dal caso astratto vada sul dato concreto, per essere uno strumento di valutazione anche istruttoria da parte del dirigente competente alla gestione.
La questione, invece, della rappresentanza in giudizio rappresenta un aspetto diverso. E qui non si può fare a meno di sottolineare come la sentenza del Tar Sardegna abbia confuso tre questioni che vanno necessariamente trattate separatamente, ovvero:
1) quella della competenza a costituirsi in giudizio, che come rilevato fin qui, appartiene senz’altro alla dirigenza;
2) quella della corretta individuazione dell’organo dell’ente al quale va proposto il ricorso;
3) quella della rappresentanza in giudizio.
Rispetto al problema di cui al n. 2, rifacendosi per un attimo ancora alla normativa statale, l’articolo 1 della legge 260/1958 dispone che “tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente”. Non si dubita, quindi, che la notifica debba essere effettuata nei riguardi del Ministro che, per legge, rappresenta il dicastero da lui diretto. Ciò, però, non impedisce che la materiale attività di costituzione in giudizio, sempre per legge, non sia di competenza dirigenziale.
Questo schema non si vede perché non debba funzionare anche nell’ente locale, dal momento che:
1) come visto sopra, si deve intendere, ex art. 88 del testo unico, che le disposizioni del D.lgs 29/1993 sono direttamente operanti anche nell’ordinamento locale;
2) non esiste una disposizione espressa che imponga di effettuare la notifica al sindaco, a differenza di quanto avviene nella normativa statale.
Infatti, la sentenza del Tar Cagliari nel ritenere ritualmente proposta, nel caso concreto esaminato, la notifica al sindaco, si rifà a consolidata giurisprudenza e non a norme, che non esistono.
E’, comunque, fondata la tesi prospettata, secondo la quale, in mancanza appunto di disposizioni normative oppure statutarie, la notifica sia correttamente rivolta al sindaco, sia perché egli resta comunque il rappresentante legale dell’ente, sia, anche, in via di applicazione analogica della legge 260/1958.
Ma se appare corretto e rituale notificare un ricorso al sindaco in quanto rappresentante legale dell’ente, non sembra invece altrettanto esatto ritenere (confondendo il problema della rappresentanza con quello della competenza a costituirsi in giudizio) che la rappresentanza legale del sindaco impedisca al dirigente di adottare i provvedimenti di costituzione in giudizio. Se così fosse, allora, la figura del sindaco quale rappresentante legale dell’ente dovrebbe impedire, esattamente allo stesso modo, anche la stipulazione dei contratti o l’esercizio di poteri di impegnare l’ente verso l’esterno. Ma così non è. E così non è, perché è la legge, nonostante il sindaco sia e resti rappresentante legale, che assegna alla dirigenza competenze gestionali tali da poter impegnare l’ente nei confronti di terzi.
Allora, siccome è sempre la legge che attribuisce alla dirigenza il potere di promuovere e resistere alle liti (in una parola, di costituirsi) appare assolutamente coerente, corretto, legittimo, possibile e doveroso ritenere che la costituzione in giudizio sia adottata dal dirigente, anche in mancanza di una norma statutaria.
Detto questo, l’ultimo problema da risolvere è stabilire se in giudizio debba stare il sindaco o il dirigente medesimo e chi possa concretamente sottoscrivere il mandato ad litem (4).
Qui effettivamente l'articolo 6, comma 2, del D.lgs 267/2000 lascia agli enti locali la possibilità di scegliere, fornendo due opportunità:
1) lasciare la rappresentanza in giudizio appannaggio esclusivo del sindaco, quale legale rappresentante;
2) consentire, attraverso lo statuto, che detta rappresentanza sia esercitata (in modo, dunque, mediato) da soggetti diversi dal sindaco. In questo caso, detti soggetti non potrebbero che essere i dirigenti.
Esistono, per la verità, ragioni anche a sostegno della tesi che ritenga i dirigenti locali di per sé già dotati del potere di rappresentare in giudizio l'ente, ripercorrendo esattamente lo stesso iter logico-interpretativo proposto per quanto concerne la competenza ad adottare il provvedimento di costituzione in giudizio.
Tuttavia, come si è già avuto modo di affermare (5), è opportuno che gli enti decidano attraverso lo statuto soprattutto in merito alla rappresentanza. Non solo perché in questo modo si mettono al riparo da interpretazioni di retroguardia, ma soprattutto perché possono esercitare positivamente la funzione di autoregolamentazione e specificazione delle competenze in modo chiaro, utilizzando in pieno la propria autonomia normativa.
(1) Per un primo commento alla sentenza, vedasi A. Barbiero, Italia Oggi in data 11 maggio 2001, pag. 48.
(2) L. Oliveri, in Commento al testo unico in materia di ordinamento degli enti locali, Rimini, 2000, pag. e ss.; parzialmente conforme a detta tesi, limitatamente quanto meno alla competenza per l'adozione del provvedimento di autorizzazione a stare in giudizio nei giudizi amministrativi in materia di accesso, V. Italia in Testo Unico degli enti locali, I, 1, Milano, 2000, pag. 53.
(4) Non si vuole nemmeno affrontare la questione della competenza all’assegnazione dell’incarico al legale, che è certamente atto gestionale (si tratta pur sempre di un contratto, sia pure d’opera intellettuale). Del resto ciò è confermato dalla sentenza del Tar Basilicata, citata nel testo.
(5) L. Oliveri, op. cit., pag. 93.