Giust.it

Giurisprudenza
n. 2-2001 - © copyright.

TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I – Sentenza 8 febbraio 2001 n. 603Pres. Coraggio, Est. Pagano - Pugliese ed altro (Avv.. A. Gaito) c. Comune di S. Maria Capua Vetere (Avv. A. Alberico).

1. Giustizia amministrativa – Risarcimento del danno – Per lesione di interessi legittimi – Domanda giudiziale innanzi al G.A. – Preventivo annullamento dell’atto amministrativo presupposto – Necessità – Sussiste anche a seguito della L. n. 205/2000 – Ragioni – Fattispecie in materia di vincoli urbanistici.

2. Giustizia amministrativa – Poteri del giudice – Potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi – Non sussiste – Ragioni – Riferimento anche alle conseguenze "devastanti" per la P.A. cui darebbe luogo l’opposto principio.

3. Giurisdizione e competenza – Edilizia ed urbanistica – Controversie in materia di reiterazione di vincoli urbanistici – Domanda di indennizzo a seguito di detta reiterazione – Giurisdizione dell’A.G.O. – Sussiste ex art. 34, lett. b) D.L.vo n. 80/1998.

1. A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 205/2000, deve ritenersi che (così come previsto originariamente dall’art. 13 della L. 142/1992) il preventivo annullamento degli atti amministrativi costituisce il necessario presupposto per ottenere poi, innanzi al G.A., il risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi.

Invero, il legislatore, con la L. 205/2000 – posto che la verifica dell’illegittimità dell’atto è elemento necessario per accertare l’eventuale operatività dell’art. 2043 cod.civ. (cfr. sent. n. 500/99 delle S.U. della Corte di Cassazione) – modificando l’art. 7 della L. 1034/1971, ha previsto che il G.A., nell’ambito della interezza della sua giurisdizione, conosca anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno. La legge n. 205/2000, dunque, avendo inserito l’azione di risarcimento nel quadro tradizionale della giurisdizione amministrativa, ha implicitamente, ma chiaramente, confermato i princìpi cui tale giurisdizione si conformava e quindi, in primo luogo, la regola delle pregiudizialità dell’annullamento, espressione a sua volta della eventualità del momento conformativo della funzione.

Non può pertanto essere accolta una domanda di risarcimento del danno avanzata da alcuni proprietari di aree in relazione alla inedificabilità delle aree stesse, nel caso in cui l’inedificabilità derivi da atti amministrativi non impugnati nei termini.

2. Deve ritenersi che il Giudice amministrativo non disponga del potere di disapplicazione degli atti amministrativi sia perché ove il legislatore ha inteso riconoscerlo ne ha fatto espressa menzione (cfr., l’art. 68 D. Lgs. n. 29/1993), sia perché in ogni caso, a fronte della svolta giurisprudenziale e legislativa in tema di risarcimento del danno, la tematica della disapplicazione va rimeditata in termini restrittivi, in quanto, diversamente opinando, tale istituto assumerebbe quelle temute dimensioni devastanti per l’amministrazione pubblica, evocabile in giudizio, in modo generalizzabile, per pretese risarcitorie dipendenti da suoi atti, in termini non decadenziali ma prescrizionali.

3. L’art. 34, lett. b) del D. Lgs. 80 (il quale prevede, anche nella neo-formulazione della legge 205/2000, che nulla è innovato in ordine "alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa"), richiamando sia gli atti di natura espropriativa che ablativi, attribuisce alla giurisdizione del G.O. anche le azioni con le quali si chiede l’indennizzo dovuto per la reiterazione di vincoli sostanzialmente ablatori.

 

 

Per la condanna

del Comune di S. Maria Capua Vetere al risarcimento di tutti i danni patiti dalle attuali ricorrenti in conseguenza dei vincoli edilizi ed urbanistici apposti dall’amministrazione comunale sulle loro proprietà ubicate in S.Maria Capua Vetere;

(omissis)

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso, notificato il 13 novembre 1998 e depositato il 9 dicembre 1998, le antescritte ricorrenti, sul presupposto di essere proprietarie di un fondo di mq. 17.851, sito nel centro urbano di S.Maria Capua Vetere, si dolgono che l’amministrazione comunale ha gravato i loro suoli con vincoli urbanistici protrattisi, a seguito di successivi provvedimenti amministrativi, per un lunghissimo arco di tempo.

Hanno puntualizzato la censura dedotta con memoria depositata in data 13 ottobre 2000 precisando testualmente: "Né può eccepirsi che sono decaduti i termini per l’impugnativa di detti atti poiché le ricorrenti, infatti, in questa sede, non si dolgono per la circostanza che i singoli vincoli sarebbero stati viziati, nel loro iter e/o nel loro contenuto per incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. Né si dolgono per la mancata pianificazione che rendesse edificabili le aree stesse. Le ricorrenti lamentano che il sacrificio imposto al privato, in sede di pianificazione, (pur se legittimo sotto il profilo formale) perché possa essere protratto oltre ogni ragionevole limite, ha negativamente ed illegalmente inciso sul loro diritto di proprietà".

Gradatamente, le ricorrenti hanno precisato che "qualora si dovesse propendere che anche la ingiusta situazione prospettata rientri nelle possibilità discrezionali della pubblica amministrazione, ci si troverebbe al cospetto di vincoli inaedificandi protrattisi per oltre venticinque anni e quindi per un tempo di gran lunga maggiore del termine massimo quindicinnale ritenuto non indennizzabile e, pertanto, le istanti devono ugualmente essere risarcite o indennizzate per le limitazioni di valore inflitte al loro bene ed al diritto di godimento dello stesso di cui sono tuttora private".

2.– Resiste l’amministrazione.

Ha precisato che il Comune, con delibera consiliare del 24 luglio 1972 n. 158, ha imposto "il vincolo espropriativo a detti terreni e che detto vincolo comunque è rimasto, pur susseguendosi varie delibere, ma sempre con destinazione di pubblica utilità"

Precisa che la parte ricorrente "dal 1972, nulla ha fatto per mettere in mora il Comune, il quale ha occupato le dette aree pur non facendo seguire l’iter dell’espropriazione per pubblica utilità sicchè l’avvenuta esecutività della delibera n. 158/1972 che dichiarava il terreno per pubblica utilità, sempre tale è rimasto anche con i vari piani regolatori approvati nel susseguirsi degli anni".

Conclude eccependo la prescrizione del diritto delle istanti all’indennità "presunta a loro spettante per non avere messo in mora lo stesso Comune".

3.– All’udienza indicata la causa è stata trattenuta in decisione.

Considerato in diritto

4.– Le ricorrenti, proprietarie di un suolo sito nel centro urbano di S. Maria Capua Vetere, formulano una richiesta risarcitoria, nei confronti di quell’amministrazione comunale, per danni che si sarebbero determinati a seguito di vincoli imposti dalla pubblica Amministrazione tramite provvedimenti amministrativi non impugnati dall’attuale parte istante.

4.1.– Al Tribunale spetta, pertanto, delibare se sia accoglibile una domanda risarcitoria nei confronti della p.A., non preceduta dal previo annullamento dei suoi atti arrecanti l’affermata lesione.

La risposta impone un breve excursus sul nesso esistente tra la richiesta risarcitoria e la necessaria previa impugnativa degli atti da cui si assume derivante la lesione.

In sintesi, va rilevato che la regola della necessità del previo annullamento degli atti amministrativi per ottenere poi il risarcimento del danno, pur se non originariamente contenuta in esplicite disposizioni di legge è stata, da tempo risalente, fatta propria dalla giurisprudenza concordata dei due massimi organi giurisdizionali, tanto da costituire principio di «diritto vivente».

Tale principio è stato successivamente recepito dal legislatore, in particolare, nell’art. 13 della L. 142/1992.

Può, quindi, affermarsi che sul piano giurisprudenziale e legislativo la regola della previa impugnazione ha costituito principio consolidato dell’ordinamento. È noto peraltro che non sono mancate da parte della dottrina critiche anche severe a tale principio, naturalmente con riferimento all’area delle situazioni soggettive per le quali è stata riconosciuta la possibilità di un’azione risarcitoria e, cioè, in presenza di originari diritti soggettivi e quindi di quegli interessi legittimi ora qualificati come oppositivi.

Ed appunto a questa diversa impostazione ha inteso aderire la sentenza n. 500/1999 della Suprema Corte, ma con una non marginale differenza dovuta, prima ancora che al mutato indirizzo della stessa Corte sulla risarcibilità delle lesioni di interessi legittimi, al mutato quadro legislativo: il principio è, infatti, estensibile –e in fatto è stato esteso– agli interessi legittimi di tipo pretensivo, anch’essi ora suscettivi di costituire il presupposto di un’azione risarcitoria.

Orbene, ritiene questo Tribunale di non poter aderire a tale indirizzo, e ciò nella convinzione che la regola tradizionale affondi le sue radici in un forte sostrato ideologico–giuridico ed ordinamentale, ricollegandosi alla natura stessa dell’interesse legittimo.

Infatti, rendendo pregiudiziale l’annullamento dell’atto per l’accesso al risarcimento, si inferisce che il potere della pubblica Amministrazione, nei confronti della posizione soggettiva, ha una effettiva valenza plasmante la posizione stessa.

A sua volta quest’ultima nella sua indissolubile connessione con la potestà, trova la sua ragion d’essere e quindi la naturale soddisfazione nel corretto esercizio della funzione che, tramite la sentenza del giudice amministrativo e il relativo potere conformativo, essa è in grado di imporre all’amministrazione.

L’esercizio e la tutela di tale situazione soggettiva non può dunque che attenersi nell’ambito dei tempi e dei modi di sviluppo della funzione e ciò sia nella fase procedimentale amministrativa sia in quella processuale.

In questo quadro trovano logica e necessaria collocazione, da un parte, la necessità di rispettare termini brevi coerenti con quelli di un "buon andamento dell’amministrazione", dall’altra, la funzionalizzazione primaria ad una riparazione in forma specifica, l’unica, peraltro, che è anche in grado di soddisfare insieme quell’interesse pubblico che rimane pur sempre il dato qualificante dell’intera vicenda.

È sotto quest’ultimo profilo, la cui pregnanza va ribadita e sottolineata, non va sottaciuto il grave rischio conseguente alla tesi opposta: quello della maggior convenienza di agire solo e direttamente in sede risarcitoria con il duplice danno per la collettività– e non certo per una impersonale e indifferente amministrazione– di una azione amministrativa scorretta ormai acquisita e di una sia pure parziale duplicazione dei relativi oneri.

Né si tratta di un’interdipendenza puramente formale, che al contrario è solo sulla base della rinnovata definizione dell’assetto degli interessi risultante dall’intervento giurisdizionale che è possibile dichiarare il contenuto e la portata di quell’interesse sostanziale pertinente al bene della vita che, quale sostrato dell’interesse legittimo, è il vero oggetto della lesione e, quindi, del risarcimento.

Si deve rilevare, peraltro, che le considerazioni sin qui svolte trovano la loro più evidente manifestazione nel caso degli interessi pretesivi, ma che esse rimangono valide anche in presenza di interessi oppositivi (ed é il caso all’esame del Tribunale).

E del resto, la pur tormentata elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del concetto con le distinzioni cui ha dato luogo non può prescindere dalla unitarietà della figura in sede legislativa, costituzionale in primo luogo, cosicché non appare giustificabile una così macroscopica differenza di trattamento.

D’altro canto l’interesse qualificato del cittadino, proprio perché conformato dal potere della pubblica Amministrazione ha la sua primaria e più rilevante tutela (non tanto nel risarcimento ma) nella restitutio in integrum della posizione giuridica che deriva principaliter dall’annullamento dell’atto.

Le conclusioni cui si è pervenuti, ad avviso del Tribunale, lungi dall’essere contraddette dalla legge 205/2000 trovano in essa una sostanziale conferma.

Infatti, il legislatore della L. 205/2000 –posto che la verifica dell’illegittimità dell’atto è elemento necessario per accertare l’eventuale operatività dell’art. 2043 C.C. (cfr., sent. n. 500/99 cit.)– modificando l’art. 7 della L. 1034/1971, ha previsto che il G.A., nell’ambito della interezza della sua giurisdizione, conosca anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno.

La legge, dunque, avendo inserito l’azione di risarcimento nel quadro tradizionale della giurisdizione amministrativa ha implicitamente, ma chiaramente, confermato i princìpi cui tale giurisdizione si conformava e quindi, in primo luogo, la regola delle pregiudizialità dell’annullamento, espressione a sua volta della eventualità del momento conformativo della funzione.

Nel caso in esame, sulla base delle esposte considerazioni, è, dunque, dirimente osservare come le ricorrenti si dolgano della inedificabilità dei loro suoli che, derivando da atti amministrativi inoppugnati, non hanno determinato una lesione non jure.

La domanda risarcitoria è pertanto da respingere poiché trattasi, in conclusione, di lesione non risarcibile.

Anche se non dedotta in ricorso, si deve infine negare la richiamabilità del potere di disapplicazione degli atti amministrativi sia perché ove il legislatore ha inteso riconoscerlo ne ha fatto espressa menzione (cfr., l’art. 68 D. lgs. n. 29/1993), sia perché talune aperture giurisprudenziali del giudice amministrativo in materia non appaiono utilmente considerabili nella presente fattispecie: in ogni caso, a fronte della svolta giurisprudenziale e legislativa in tema di risarcimento del danno, la tematica della disapplicazione va rimeditata in termini restrittivi, in quanto, diversamente opinando, tale istituto assumerebbe quelle temute dimensioni devastanti per l’amministrazione pubblica, evocabile in giudizio, in modo generalizzabile, per pretese risarcitorie dipendenti da suoi atti, in termini non decadenziali ma prescrizionali.

4.3.– Segue, poi, l’analisi della domanda, posta in via gradata, tesa al riconoscimento di un indennizzo per effetto della reiterazione dei vincoli di inedificabilità disposta dall’amministrazione comunale resistente.

In argomento, va constatato che l’art. 34 del d. lgs. 80 richiamato (anche nella neoformulazione della legge 205/2000) ha disposto che nulla è innovato in ordine "alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativi o ablativa".

Può affermarsi pertanto che l’ampia formula legislativa, utilizzata nel comma 3°, lett. b) dell’art. 34 del D.Lgs. 80/98, richiamando sia gli atti di natura espropriativi che ablativi, attribuisce alla giurisdizione del G.O., la pronuncia inerente al caso in esame circa l’indennizzo dovuto per la reiterazione di vincoli sostanzialmente ablatori.

Ne consegue che su tale richiesta, deve pronunciarsi l’AGO.

5.– In termini conclusivi: in ordine alla domanda principale, il ricorso è da respingere; per ciò che concerne la richiesta indennitaria, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito.

6.– Le spese di causa possono interamente compensarsi, attesa la particolarità della questione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo della Campania-Napoli (sezione prima) pronunciando sul ricorso summenzionato n. 12879/1998, in parte rigetta, in parte dichiara il difetto di giurisdizione. Spese di causa interamente compensate.

Ordina all’amministrazione di uniformarsi.

Così deciso in Napoli, il 25 ottobre 2000, nella camera di consiglio del TAR.

Giancarlo Coraggio pres.

Alessandro Pagano rel. est.

Depositata in segreteria l’8 febbraio 2001.

Copertina