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n. 12-2001 - © copyright.

TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I – Sentenza 6 dicembre 2001 n. 5272 Pres. Coraggio, Est. Pagano – Codacons Campania onlus (Avv.to R. D’Angelo e G. Urini) c. Comune di Cicciano, Telecom Italia Mobile s.p.a. (Avv. G. Zucchi) e Omnitel Pronto Italia s.p.a. (Avv. G. Sartorio) - (accoglie).

1. Edilizia ed urbanistica – Denuncia inizio attività (D.I.A.) – Effetti per il privato e per la P.A. – Individuazione.

2. Edilizia ed urbanistica – Denuncia inizio attività (D.I.A.) – Potere della P.A. – Finalità – Individuazione.

3. Edilizia ed urbanistica – Denuncia inizio attività (D.I.A.) – Regola della preventiva impugnazione dell’atto amministrativo e della impossibilità per il soggetto legittimato di pretendere l’esercizio del potere di autotutela della P.A. – Non opera nel caso di D.I.A.

4. Edilizia ed urbanistica – Denuncia inizio attività (D.I.A.) – Per attività per la quale è invece richiesto il preventivo rilascio di concessione od autorizzazione edilizia - Obbligo della P.A. di rispondere sulla istanza del terzo legittimato in ordine alla mancata attivazione dei suoi poteri repressivi – Sussiste.

1. A seguito della denuncia di inizio attività prevista dalla L. 662/96 si determinano, essenzialmente, due effetti: l’uno per il privato (variamente etichettato: fatto legittimante ex lege all’esercizio dell'attività in questione; esercizio di autoammministrazione et similia), l’altro, per la P.A., la quale, nei termini perentori previsti dalla legge, deve effettuare una verifica circa la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti dalla legge per la D.I.A. (1).

2. Nel caso di denuncia di inizio attività, il potere di cui dispone la P.A., a differenza di quanto avviene nel regime a previo atto amministrativo, non è finalizzato all’emanazione dell’atto amministrativo di consenso all’esercizio dell’attività, ma alla verifica (ascrivibile, secondo una tesi, al potere di vigilanza nei confronti del corretto esercizio di attività già autorizzata; secondo altra, sicuramente da ritenersi estranea all’attività di controllo), priva di alcuna discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall’interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l’attività in questione.

3. La regola della previa necessaria impugnazione dell'atto amministrativo, preclusiva per il privato della richiesta della autotutela, implica l’esistenza di un provvedimento della P.A., che nella denuncia di attività non sussiste; onde deve riconoscersi la pretesa del privato pregiudicato dalle opere illegittimamente realizzate mediante D.I.A. di ottenere una risposta dalla P.A. in ordine alla mancata attivazione dei suoi poteri repressivi ex art. 21, 2°comma, L. 241/90.

4. Nel caso in cui non sussistano le condizioni che legittimavano l’inizio di una attività "libera" sulla base della D.I.A. e si tratti di attività per la quale sia richiesto il preventivo rilascio di una concessione od autorizzazione edilizia, l’amministrazione ha l’obbligo di rispondere sulla istanza del terzo legittimato (nella specie, il Codacons) in ordine alla mancata attivazione dei suoi poteri repressivi ex art. 21, 2°comma, L. 241/90, anche con specifico riferimento a quelli propri della legislazione edilizia (2).

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(1) Ricostruisce diversamente l'istituto, attribuendo alla D.I.A. valore di silenzio-assenso, TAR Brescia, Sez. I, 1° giugno 2001 n. 397, in www.giustamm.it, n. 6-2001, pag. http://www.giustamm.it/tar1/tarlombbre_2001-06-01.htm.

(2) Alla stregua del principio nella specie, constatato che si trattava dell’installazione di antenne radio base per il servizio di telefonia - per la quale, secondo la giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V 6 aprile 1998 n.415; TAR Emilia, Sez. II, 4 aprile 2000 n. 432), è necessaria, in generale, la concessione (ovvero quantomeno la autorizzazione edilizia) - il TAR Campania ha affermato l’obbligo dell'amministrazione comunale di rispondere sulla istanza del Codacons circa il mancato esercizio dei suoi poteri repressivi in ordine alle denunce di inizio di attività, presentate dalle resistenti.

Nell’ambito della complessa ricostruzione dell’istituto della D.I.A. operata dal TAR Campania, infatti, la P.A., in tale ipotesi, deve accertare, su domanda del terzo ed a tutela della sua posizione di interesse legittimo, perché non abbia sanzionato ex art. 21 L. n. 241/90 tale attività e, soprattutto, se e come intende recuperare alla legittimità l’intervento, tenendo adeguatamente conto anche dei possibili profili dell'affidamento ingeneratosi nell'interessato anche in relazione al tempo trascorso.

 

 

PER L’ANNULLAMENTO

a) del silenzio inadempimento formatosi sulle richieste di cui all’atto di significazione e diffida notificato all’amministrazione comunale di Cicciano il 3.6.2001 da parte del Codacons e conseguentemente:

b) della denuncia di inizio di attività presentata dalla TIM spa ai sensi della 626/1996 il 3 marzo 1998 prot. 2214 e del silenzio assenso dell’amministrazione comunale serbato dalla stessa;

c) della denuncia di inizio di attività presentata dalla Omnitel spa ai sensi della L. 662/1996 in data 22.9.98 prot. n. 7421 e del silenzio assenso dell’amministrazione comunale serbato sulla stessa;

visti tutti gli atti e documenti di causa;

uditi all’udienza dell’8/8/2001 –rel. il cons. A. Pagano– gli avv.ti: come da verbale di udienza;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

ricorso n. 7843/2001: lo svolgimento del processo

1.- Con il presente ricorso, notificato il 23.6.2001 e depositato il 19.7.2001, il Codacons Campania onlus premetteva di aver appreso dal Comune di Cicciano, a seguito di relativa istanza, che su quel territorio comunale era funzionanti due impianti, rispettivamente della TIM e della OMNITEL, installati mediante procedura semplificata di denuncia di inizio di attività (DIA) ai sensi della L. 662/96.

Precisa inoltre che, ritenendo illegittima l’applicazione della suddetta procedura, aveva diffidato l’amministrazione comunale di Cicciano ad adottare in via di autotutela ogni provvedimento idoneo ad eliminare la situazione di illegittimità perdurante e ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 21 L. 241/90, annullando l’assenso formatosi con revoca di ogni atto di autorizzazione esplicita o implicita al funzionamento degli impianti, a seguito di DIA; contestualmente, aveva proposto istanza di accesso ex lege 241/90 correlata a tutti gli atti riferiti al funzionamento degli impianti de quibus.

Si duole quindi che l’amministrazione non abbia dato seguito alla richiesta di esercizio della autotutela.

Articola pertanto quattro motivi con cui deduce la violazione di legge (L. 241/90; L. 205/2000; artt. 24 e 113 Cost.; art. 1, L. 10/1977; art. 4, L. 493/93; L. 662/96, art. 2, c. 60; art. 220 T.U. leggi sanitarie; violazione delle prescrizioni urbanistiche), e l’eccesso di potere.

2.- Resistono la Omnitel e la Telecom. L’amministrazione comunale non ha provveduto a costituirsi.

3.- All'udienza indicata, la causa é stata trattenuta in decisione.

ricorso n. 7843/2001: i fatti di causa

4.- Il Codacons Campania si duole che le società resistenti (Telecom ed Omnitel) abbiano apposto l’impianto radio-base per telefonia cellulare sulla scorta di una denuncia di inizio di attività, rispettivamente in data 3.3.1998 e 22.9.1998, con riferimento al modulo procedimentale di cui all’art. 2, co. 60 L. 23 dicembre 1996 n. 662 (che ha sostituito l’art. 4 DL 5 ottobre 1993 n. 398, conv. in L. 4 dicembre 1993 n. 493, in tema di semplificazione delle procedure edilizie) e che l’amministrazione comunale di Cicciano non abbia dato seguito alla sua istanza volta a sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela, spettanti alla p.A. .

ricorso n. 7843/2001: premessa suoi nuovi moduli procedimentali della p.A.

Sul punto, va premesso che la tipologia procedimentale richiamata si collega ai moduli innovativi, facenti capo alla L. 241/1990, con i quali si è attuata, nell’ambito della semplificazione, in particolare degli atti di consenso, rispettivamente, una liberalizzazione di attività private (art. 19) ed una deformalizzazione (art. 20), ampliando, in questo secondo caso, l’ambito del silenzio significativo.

Venendo alla prima, si impone una premessa di carattere semantico, attesa una certa aleatorietà del verbo liberalizzare che, sebbene non risulti utilizzato dal legislatore, costituisce ormai referente stabile nelle trattazioni in materia. (Cfr. Ad. Gen. CdS n. 27/1992 ove si afferma: appare, pertanto, evidente che, con riferimento al regime introdotto dall'art. 19, può certamente parlarsi di liberalizzazione di alcune attività private; ed in tal senso si è già, d'altra parte, espressa l'adunanza generale con il parere del 19 febbraio 1987 reso sul disegno di legge recante norme sul procedimento amministrativo.).

Può qui presupporsi, dando per acquisito il dibattito sorto su tale terminologia, che, la nozione di liberalizzazione, ad avviso del Tribunale, segni il venir meno solo di alcune condizioni di ordine amministrativo: quelle inerenti a un titolo provvedimentale di legittimazione, sottolineandosi che il modello della liberalizzazione non implica nulla, quanto alla disciplina sostanziale, intesa come complesso delle prescrizioni che devono essere osservate nello svolgimento di quella certa attività.

La puntualizzazione si esplica evidenziando che la liberalizzazione designa la libertà di accesso a una attività: in altri termini, superando un regime precedente, la legge liberalizza allorquando non richiede più un provvedimento amministrativo quale titolo di legittimazione.

La liberalizzazione, infatti, come già accennato, non elide la permanenza della disciplina amministrativa di quella attività, perché rimangono fermi tutti i limiti, le condizioni e le prescrizioni fissati dalle norme.

Il tutto si compendia nella formula che non c’è più un procedimento di autorizzazione, ad iniziativa privata, ma un procedimento di verifica, ad iniziativa pubblica necessaria. In altri termini, tra tali misure di semplificazione del procedimento amministrativo attraverso un intervento sulla sua struttura rigidamente sequenziale vi sono, altresì, quelle di cui agli art. 19 e 20 della legge.

Esse si risolvono, rispettivamente, in una sostanziale inversione della normale sequenza procedimentale (le ordinarie verifiche per il rilascio di abilitazioni o autorizzazioni sono, invece, effettuabili dopo l'inizio dell'attività privata oggetto di autorizzazione) nonché, attraverso la fictio iuris del silenzio-assenso, (nelle ipotesi previste dall'art. 20, le attività possono essere compiute dopo). (CdS Ad. Gen., 27/1992 cit.).

La premessa delineata consente di approfondire la dinamica particolare che il modulo DIA fa scaturire.

A fronte di una denuncia di attività si determinano, essenzialmente, due effetti: l’uno per il privato (variamente etichettato: fatto legittimante ex lege all’esercizio dell'attività in questione; esercizio di autoammministrazione et similia), l’altro, per la p.A.

Quest’ultima, nei termini perentori previsti dalla legge (non può infatti dubitarsi che l’inciso "entro e non oltre sessanta giorni" di cui all’art. 19 1°c., sia da intendere in termini di tassatività), deve effettuare una verifica circa la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti dalla legge per la DIA. (Ricostruisce diversamente attribuendo alla DIA valore di silenzio-assenso, TAR Brescia, sez. Iª 1° giugno 2001 n. 397 in www.giustamm.it, n. 6-2001, pag. http://www.giustamm.it/tar1/tarlombbre_2001-06-01.htm ed in Urbanistica e Appalti, 2001, pg. 1119).

Specificamente, va sottolineato che il potere di cui dispone la p.A., a differenza di quanto avviene nel regime a previo atto amministrativo, non è finalizzato all’emanazione dell’atto amministrativo di consenso all’esercizio dell’attività, ma alla verifica (ascrivibile, secondo una tesi, al potere di vigilanza nei confronti del corretto esercizio di attività già autorizzata; secondo altra, sicuramente da ritenersi estranea all’attività di controllo), priva di alcuna discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall’interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l’attività in questione.

Il punto è gravido di conseguenze perché se la DIA non sottende l'emanazione di un provvedimento, se il provvedimento manca anche in sede di verifica, appare fuori luogo richiamare per quest’ultima la disciplina della autotutela amministrativa.

Non va, sul punto, dimenticato che la teorica ad essa relativa, sottende il provvedimento amministrativo con i suoi caratteri tipici di autoritatività ed esecutorietà sicché l’uso della autotutela, ha costituito regime speciale per l’amministrazione innanzitutto per il superamento della regola della inoppugnabilità dell’atto, decorsi i termini decadenziali.

Tale dinamica, giova ribadirlo, esula completamente nel caso della denuncia di attività.

Non può, quindi, come già si è accennato, discettarsi di verifica quale esercizio dei poteri di autotutela, né può richiamarsi, come fanno le resistenti, la giurisprudenza tradizionale in tema di non eccitabilità, con la procedura del silenzio rifiuto, della autotutela della p.A. rispetto un atto che il privato non ha tempestivamente impugnato.

La regola, infatti, della previa necessaria impugnazione dell'atto amministrativo (preclusiva per il privato della richiesta della autotutela) sottende, come già si è avuto modo di osservare, l’esistenza del provvedimento della p.A., che nella denuncia di attività non sussiste.

Né tale conclusione appare in contrasto con il parere dell'Adunanza Generale n. 27/1992 che ha definito tale fase di verifica come regolata da poteri di autotutela, argomentando dal dato testuale dell'art. 19 (nella versione non ancora modificata dalla L. 537/1993) ove limita l’intervento repressivo della p.A., «se del caso», con provvedimento motivato. Tanto, per l’Adunanza Generale, rende evidente la necessità di una ulteriore ponderazione che non può che avere riferimento all'avvenuto esercizio dell'attività, agli interessi pubblici da queste eventualmente pregiudicati, all'affidamento posto in essere con l'esercizio dell'attività ed anche al tempo trascorso tra la data di inizio dell'attività e l'epoca del riscontro.

Comunque si deve rilevare che la fase della ponderazione discrezionale che caratterizza in genere l’autotutela non è recepita in tutte le normative specifiche: così l’art. 4 L 493/1993 in tema di liberalizzazione delle attività edilizie, prevede un provvedimento inibitorio, emesso dal dirigente del competente ufficio comunale per il fatto che l’intervento edilizio denunciato non è in regola, che, a differenza del provvedimento repressivo di cui all’art. 19 L. 241/1990, ha carattere doveroso.

Ciò si desume dal tenore letterale del comma 15 dell’art. citato, secondo cui il sindaco (ora dirigente), riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, «notifica agli interessati l’ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni».

In altri termini, una volta riscontrata la difformità del progetto edilizio dagli strumenti urbanistici ed edilizi, il dirigente è tenuto a comunicare al denunciante l’ordine inibitorio, non essendo ci spazio alcuno per una ponderazione tra interesse pubblico ed interesse del denunciante.

I successivi interventi, dopo il periodo per la perentoria verifica

Decorso il termine dei 60 giorni, se sono irrimediabilmente preclusi gli interventi riconducibili alla parte finale dell'art. 19, non è detto però che nessuna ulteriore modifica possa determinarsi.

Tanto potrà accadere su iniziativa della pubblica amministrazione ovvero di terzi che si ritengono lesi della procedura DIA.

Di rilievo, rispetto ai poteri esercitabili dalla pubblica amministrazione, è il richiamo all’art. 21, secondo comma, L. 241/1990, ove si stabilisce che Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa di legge.

A parte quindi l’esercizio della c.d. autotutela, rimane integro per la p.A. un più generale potere di intervento successivo che la legge esplicitamente menziona con la disposizione summenzionata che raccorda la procedura della DIA a tutto il sistema sanzionatorio già operante.

ricorso n. 7843/2001: la tutela del terzo

Orbene e proprio con riferimento al menzionato art. 21, secondo comma, da intendersi quale normativa di portata generale in materia di attività con DIA e da applicare anche nell’ipotesi specifica, regolata dall’art. 4 DL 398/1993, che può rivenirsi la tutela del terzo in termini di interesse legittimo. Ma tale tutela non può mirare indiscriminatamente alla emanazione di un provvedimento qualsivoglia, anche eventualmente negativo, sia perché ciò significherebbe reintrodurre la necessità di un atto amministrativo la cui negazione è il fine essenziale della norma, sia perché si ricadrebbe in una ipotesi "normale" di intervento sanzionatorio nei confronti della quale sembra preferibile negare un obbligo di provvedere sanzionabile in sede giudiziaria.

Il punto fermo al contrario deve rimanere la scelta normativa che esclude appunto un obbligo di provvedere in caso di conclusione positiva della verifica e ciò -va ribadito- perché si è in presenza di una attività "libera" di esplicazione di un diritto soggettivo.

Ne consegue che l’accoglimento della domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere deve incontestabilmente essere filtrata da una verifica in questa sede della conformità a legge della dichiarazione del privato e solo se tale verifica si conclude con la negazione della conformità si potrà affermare la illegittimità della silenzio della p.A. .

Nel caso di specie, come già ricordato, si tratta dell’installazione di antenne radio base per il servizio di telefonia per la quale, secondo la giurisprudenza anche di questo Tribunale (cfr., ex pluris, CdS V 6 aprile 1998 n.415; Tar Emilia, sez. II, 4 aprile 2000 n. 432), è necessaria, in generale, la concessione (ovvero quantomeno di autorizzazione); de futuro, si tratta di intervento che il TU sull’edilizia sottopone a permesso di costruire.

Ne consegue che non possono dirsi sussistenti le condizioni che legittimano l'intrapresa di una attività "libera" sulla base della DIA.

Si deve quindi affermare, alla stregua di quanto chiarito in precedenza, che l’amministrazione ha l’obbligo di rispondere sulla istanza del Codancons in ordine alla mancata attivazione dei suoi poteri repressivi ex art. 21, 2°c., L. 241/90 anche con specifico riferimento a quelli propri della legislazione edilizia; resta dunque intatta la possibilità di accertare, su domanda del terzo (Codacons), ed a tutela della sua posizione di interesse legittimo, perché l’amministrazione non abbia sanzionato ex art. 21 summenzionato, tale attività e, soprattutto, se e come intende recuperare alla legittimità l’intervento, tenendo adeguatamente conto anche dei possibili profili dell'affidamento ingeneratosi nell'interessato anche in relazione al tempo trascorso.

5.- Le spese di causa possono interamente compensarsi, stante la particolarità della questione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo della Campania-Napoli (sezione prima) pronunciando sul ricorso summenzionato, lo accoglie, e per l’effetto afferma l’obbligo dell'amministrazione di rispondere, come da motivazione, sulla istanza del Codacons circa il mancato esercizio dei suoi poteri repressivi in ordine alle denunce di inizio di attività, presentate dalle resistenti.

Spese di causa compensate.

Ordina all’amministrazione di uniformarsi.

Così deciso in Napoli, l’8/8 – 21/11/2001, nella camera di consiglio del TAR.

Giancarlo Coraggio pres. Alessandro Pagano rel. est.

Depositata il 6 dicembre 2001.

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