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n. 11-2002 - © copyright.

TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I - Sentenza 22 ottobre 2002 n. 6575 - Pres. Coraggio, Est. Monaciliuni - Istituto di Vigilanza privata Mercurio coop. + 5 (Avv. Soprano) c. Questore della Provincia di Napoli (Avv.ra dello Stato) - (rigetta).

Contratti della P.A. - Appalti di servizi - Minimi tariffari - Imposizione da parte del Prefetto – Impossibilità.

Alla stregua di una interpretazione sistematica del coacervo normativo, nazionale e comunitario, e nel rispetto dell’inequivoca statuizione recata dall’art. 135, comma 5, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U. delle leggi di pubblica sicurezza) che impone solo di non ricevere mercedi maggiori di quelle indicate in tariffa (la cui portata non appare poter subire limitazioni dall’art. 257, comma 4, del regolamento di attuazione, che prevede l’approvazione della tariffa), deve ritenersi che non sussiste il potere del Prefetto di fissare minimi inderogabili a valere in sede di pubbliche gare; le funzioni di controllo esercitate dall’autorità prefettizia, infatti, non possono spingersi fino ad impedire il dispiegarsi della libera concorrenza (1).

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(1) Commento di

GIAN ANDREA CHIESI

Sulla derogabilità – in sede di partecipazione a pubbliche gare - dei minimi tariffari fissati dai Prefetti per le prestazioni degli Istituti di vigilanza.

1. La sentenza in commento offre l’occasione di affrontare un argomento di particolare rilevanza ed interesse: si tratta, cioè, della questione relativa alla sussistenza o meno di minimi tariffari inderogabilmente fissati dai Prefetti (relativamente all’espletamento del servizio di guardie giurate) allorquando gli Istituti di vigilanza privata partecipino a gare pubbliche.

Il T.A.R. Campania - Napoli, ribadendo la propria convinzione circa l’insussistenza di tale limite (sul punto ci si soffermerà più specificamente in prosieguo), giunge a tale conclusione sulla base di argomentazioni che, travalicando la "limitata" e, sul punto, scarna legislazione nazionale (sebbene anche essa sia stata utilizzata al fine di dimostrare l’inesistenza dei predetti valori minimi), trovano il proprio punto di approdo nella legislazione comunitaria derivata e, in particolare, nella Direttiva 92/50 CE, la quale, come noto, coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (e in applicazione della quale è stato emanato il D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, recante "Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi"). Non solo: il Tribunale, infatti, si è preoccupato anche di effettuare un ampio e articolato riepilogo sullo stato della giurisprudenza sul punto, da ciò traendo ulteriori elementi a sostegno del proprio convincimento in base al quale, se da un lato esso riconosce che "[…] la tutela dell’ordine pubblico, per quanto connota il rapporto Prefetto/Istituti, si colloca su un piano dell’ordinamento maggiormente protetto […]", dall’altro è incline ad affermare che "[…] le funzioni di controllo esercitate dall’autorità prefettizia non possono spingersi fino ad impedire il dispiegarsi della libera concorrenza […]".

2. E’ questa, quindi, la chiave di lettura della sentenza in commento: la tutela della libertà di concorrenza nel mercato interno, prima ancora che in quello comunitario, alla luce delle innovazioni normative apportate nella legislazione nazionale da quella europea.

Né il T.A.R. Campania è isolato in tale affermazione di principio: tanto la giurisprudenza comunitaria, quanto quella nazionale, infatti, hanno ormai pacificamente ritenuto che i principi enunciati dalla direttiva CE n. 92/50 sono violati da quelle norme di diritto interno (in particolare, per ciò che rileva in questa sede, dall’art. 25, del D.Lgs. 157, rubricato "Offerte anormalmente basse") che precludono la possibilità, in sede di verifica delle offerte anomale, di valutare gli "elementi i cui valori minimi sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, ovvero i cui valori sono rilevabili da atti ufficiali" (cfr., al riguardo, anche Corte di giustizia CE, sentenza del 27 novembre 2001, in cause C-285 e C-286 e Consiglio di Stato, Sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5497).

Invero, se è possibile chiedere giustificazioni di offerte anomale rispetto ai minimi stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, per l’effetto del tutto condivisibile e connessa logicamente è l’affermazione, fatta propria dai giudici di Palazzo Spada in sede cautelare (cfr. Cons. St., sez. IV, ordinanza n. 6336 del 27 novembre 2001) – richiamata, peraltro, nel corpo della sentenza in commento – la quale conclude per "[…] l’insussistenza del potere prefettizio di imporre minimi tariffari inderogabili […]".

3. Quale, tuttavia, l’iter logico argomentativo percorso dal T.A.R. Campania per approdare alle conclusioni di cui sopra? L’adesione al principio di libertà di concorrenza, infatti, rappresenta – come detto - solo la conclusione di una interessante ricostruzione della fattispecie generale operata dal collegio partenopeo, attraverso lo spunto ad esso offerto dal caso concreto sottoposto al proprio vaglio.

A tal proposito si evidenzia la particolare innovatività della sentenza in esame, la quale poggia non solo – come detto - su una "[…] interpretazione sistematica del coacervo normativo nazionale e comunitario […]", ma anche – e soprattutto, diremmo – sull’ "[…] inequivoca statuizione recata all’art. 135, comma 5, del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza [R.D. 18 giugno 1931, n. 773], che impone solo di non ricevere mercedi maggiori di quelle indicate in tariffa […]".

Il richiamato art. 135, comma 5, infatti, è chiaro nell’evidenziare che "[i direttori degli uffici di informazioni, investigazioni o ricerche] non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato […]", ma non si preoccupa, contestualmente, di definire anche un minimo tariffario che debba essere inderogabilmente osservato.

Se la legge non dispone in tal senso, allora, le preoccupazioni di chi continua a sostenere l’inderogabilità dei minimi tabellari fissati dai Prefetti non possono trovare alcun supporto nell’asserita presenza, nell’ordinamento interno, di norme imperative, dettate a tutela dell’ordine pubblico, che tale rispetto imporrebbero. Prosegue, infatti, il T.A.R., affermando che "[…] la portata [dell’art. 135, comma 5] non appare poter subire limitazioni dall’art. 257, comma 4, del regolamento di attuazione, che prevede l’approvazione della tariffa": se la fonte primaria non pone obblighi di rispetto dei minimi, infatti, non si vede come la norma di secondo grado possa significare che l’approvazione delle tabelle esclude la potestà degli Istituti di praticare prezzi inferiori. Peraltro, come ampiamente ricordato dal Tribunale partenopeo attraverso il richiamo alle diverse pronunce intervenute sul tema, è la stessa Autorità "con provvedimenti aventi natura normativa" ad aver oggi consentito espressamente di formulare, nelle pubbliche gare, offerte contenenti prezzi inferiori ai minimi tabellari (cfr., da ultimo, Tar Campania, Sez. I, 3 maggio 2001, n. 1907 e 12 marzo 2001, n. 1079).

4. Il Tribunale, pertanto, conclude affermando sostanzialmente che la "libertà" degli Istituti di vigilanza circa i propri margini di utile non può essere limitata, fermo restando che essa deve essere, ad ogni modo, "responsabile", sussistendo integri i poteri di verifica e di intervento del Prefetto: è prevista, infatti, […] un’ingerenza dell’autorità di pubblica sicurezza nell’individuazione dei compiti ai medesimi [gli Istituti, cioè] affidati e nel loro espletamento, con possibili refluenze a monte della stessa organizzazione aziendale […]"; non è escluso, altresì, "[…] il potere di intervento dell’autorità di P.S.[…]".

La predetta conclusione, peraltro, si giustifica anche alla luce di argomentazioni logiche, prima ancora che giuridiche, in quanto rende visibile le distorsioni che provocherebbe l’adesione alla opposta soluzione (inderogabilità dei minimi tariffari), in un sistema nel quale le tariffe di ciascun Istituto sono pubbliche e quindi da tutti conosciute: prezzi eguali (in quanto, per lo meno in Campania, le tariffe sono identiche per tutti gli istituti) e ricorso sistematico al sorteggio; impossibilità per gli istituti di vigilanza di inserirsi nel mercato della mera custodia, nel quale hanno fatto irruzione le società di security, capaci di offrire prezzi ben più bassi e così via

5. Ulteriore spunto che si trae dalla decisione in commento, infine, deriva dal riferimento, in essa contenuto, alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 808 del 12 febbraio 2002, la quale, pur ammettendo la derogabilità dei minimi ha, tuttavia, legato la stessa all’intervento di un’ulteriore approvazione prefettizia dell’offerta (anomala) formulata. Sul punto qualche osservazione sembra dovuta.

La prospettata soluzione, infatti, non appare soddisfacente, a tacer d’altro, per l’onere che viene ad addossare all’Autorità, in qualche modo così chiamata a partecipare alla procedura concorsuale; né risulta chiaro in qual fase della procedura tale singola approvazione dovrebbe sopravvenire.

Più coerente al sistema, allora, appare sostenere, con il Tar Campania, che la legalità non può dirsi di per sè turbata per il solo fatto che vengano prodotte offerte inferiori ai minimi, utilizzandosi i possibili margini di utile aziendale e/o comunque tenendo conto di altri fattori: organizzativi, etc.; ossia, rilevare l’esistenza di due diversi piani: il primo, quello di tutela della sicurezza pubblica affidato ai (soli) Prefetti, tenuti responsabilmente all’effettuazione degli accertamenti sul complessivo operato degli Istituti e, nella ricorrenza dei presupposti (reiterate offerte al di sotto dei minimi senza giustificazione congrua), all’adozione delle conseguenti misure sanzionatorie - comprensive anche della revoca dell’autorizzazione; il secondo, per quanto attiene a servizi da affidarsi da soggetti pubblici, nel cui ambito si è tenuti alla sola osservanza della normativa di settore (ovvero delle possibili regole integrative poste in via autonoma) sia a monte in riferimento alla documentazione da richiedersi ai fini dell’ammissione alle gare sia, a valle, in particolare per quanto attiene ai presupposti per far luogo alla verifica di offerte presuntivamente anomale.

 

 

per l'annullamento (previa sospensione)

del regolamento per gli Istituti di vigilanza privata emesso dalla Questura di Napoli in data 30 settembre 2000, in una ad ogni ulteriore atto premesso, connesso e consequenziale

(omissis)

FATTO

Con il ricorso in esame, notificato il 20 novembre 2000 e depositato il successivo giorno 30 dello stesso mese, i sei istituti di vigilanza privata in epigrafe indicati (costituenti, a detta dell’amministrazione, esigua minoranza a fronte dei quaranta che invece hanno accolto con favore il provvedimento impugnato) contestano il regolamento che la Questura di Napoli ha adottato per gli Istituti di che trattasi.

Il gravame è affidato a plurimi mezzi di impugnazione, volti a denunciare l’operato dell’amministrazione statale sotto profili procedimentali e sostanziali.

Con atto recante motivi aggiunti, notificato il 20 febbraio 2001 e depositato il successivo 5 marzo 2001, parte ricorrente ha censurato il regolamento anche per come risultante a seguito delle modifiche introdotte in data 10 novembre 2000.

Con ordinanza collegiale n. 1418 del 21 marzo 2001 è stata respinta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato.

Documentazione e memorie sono state presentate dalle parti.

Alla pubblica udienza del 10 luglio 2002, il ricorso è stato assunto in decisione, presenti i procuratori delle parti che hanno insistito sulle rispettive conclusioni.

DIRITTO

1. I vizi procedimentali ed il difetto di motivazione.

La portata regolamentare del provvedimento contestato esclude il suo soggiacere all’obbligo di partecipazione (art. 13 l. 241/1990). Ciononostante, il Questore di Napoli non ha trascurato di tener conto delle osservazioni della categoria, apportando quelle modifiche possibili a tutela degli interessi economici degli Istituti che avevano avanzato proposte al riguardo (cfr. memoria della difesa erariale); il che, sotto un profilo sostanziale, avrebbe comunque dequotato il vizio procedimentale.

La doglianza attorea sul punto (mancata partecipazione al procedimento) va pertanto respinta, in una e per le medesime ragioni sopra esposte in presenza di un regolamento, ai connessi profili volti a denunciare l’omessa istruttoria ed il difetto di motivazione (cfr. anche, sulla mancanza di specifico dovere di motivazione, Tar Veneto, Sez. 1^, 26 gennaio 2000, n. 253).

D’altra parte, quanto a quest’ultimo vizio, il potere del Questore di disciplinare -ex artt. 1, 2 e 3 r.d.l. 26.9.1935, n. 1952 ed artt. 1 e 7 r.d.l. 12.11.1936, n. 2144- le modalità di espletamento dell'attività degli Istituti di vigilanza privata è ampiamente discrezionale e non può essere censurato se non per evidente travalicamento dei canoni di logicità e di tutela dell'interesse pubblico cui il detto potere si deve ispirare.

2- Il merito. La tutela dell’ordine pubblico ed i diritti di impresa.

Prima di procedere con la valutazione dei singoli articoli del regolamento fatti oggetto di censure, occorre farsi carico della doglianza di fondo che permea l’intero gravame: ossia del dedotto vulnus all’art. 41 Cost. recato, in generale, dalle disposizioni regolamentari del Questore.

Delle frammistioni fra ordine pubblico (vigilantes come longa manus della polizia) e diritti di impresa la Sezione si è occupata in più occasioni: in tema di tariffe prefettizie e di potere di fissare minimi inderogabili; di liberalizzazione del settore; di possibilità per le società di security di inserirsi nel mercato della vigilanza lato sensu.

Al riguardo, la Sezione ha da un canto confermato l’insegnamento tradizionale secondo cui la tutela dell’ordine pubblico, per quanto connota il rapporto Prefetto/Istituti, si colloca su di un piano dell’ordinamento maggiormente protetto; nondimeno, ha cercato di garantire la piena esplicazione possibile ai diritti di impresa in un quadro sistematico coerente con il nuovo assetto giuridico-economico del settore della vigilanza privata e con le regole del mercato di diretta derivazione comunitaria.

Quanto a quest’ultimo profilo che viene più direttamente in evidenza nel contenzioso sulle gare, facendo luogo ad una interpretazione sistematica del coacervo normativo, nazionale e comunitario, e nel rispetto dell’inequivoca statuizione recata dall’art. 135, comma 5, del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza che impone solo di non ricevere mercedi maggiori di quelle indicate in tariffa (la cui portata non appare poter subire limitazioni dall’art. 257, comma 4, del regolamento di attuazione, che prevede l’approvazione della tariffa), si è negato il potere del Prefetto di fissare minimi inderogabili a valere in sede di pubbliche gare.

Le funzioni di controllo esercitate dall’autorità prefettizia non possono infatti spingersi fino ad impedire il dispiegarsi della libera concorrenza. E ciò a prescindere dai riflessi negativi sulle gare dal punto di vista delle stazioni appaltanti: offerte identiche e sistematico ricorso al sorteggio, laddove non si è utilizzato un metodo diverso di aggiudicazione con l’introduzione di ulteriori elementi di valutazione in aggiunta al prezzo che causano una distorsione delle regole del mercato, tendendo a privilegiare de facto gli istituti di maggiore consistenza.

Ma tutto ciò non esclude che nel rapporto intercorrente fra autorità vigilante ed Istituti, la prima rimanga titolare di una serie penetrante di poteri che trovano fondamento nelle previsioni del testo unico n. 773 del 1931 e nel suo regolamento di esecuzione, nonché nei r.d.l. nn. 1952/1935 e 2144/1936.

Tali poteri, che nei casi fino ad ora esaminati attengono all’approvazione delle tariffe, si possono poi tradurre in applicazioni di sanzioni ovviamente correlate alla gravità ed alla frequenza della violazione. Su tale indirizzo, con particolare riferimento ai minimi tariffari ed alle conclusioni raggiunte dalla Sezione, cfr. per tutte, Tar Campania, Sez. 1^, 3 maggio 2001, n. 1907, il cui percorso logico è stato condiviso dalla V sezione del Consiglio di Stato che, tanto asserito, con sentenza n. 3065 del 19 giugno 2002 ha respinto l’appello proposto avverso la stessa; per l’insussistenza del potere prefettizio di imporre minimi tariffari inderogabili si è pronunciata anche la IV sezione del Consiglio di Stato con ordinanza n. 6336 del 27 novembre 2001, successiva alla sentenza n. 5445 del 16 ottobre 2001 che, come da testuale considerazione finale, non era entrata nel merito della possibilità o meno per l’istituto di offrire una tariffa inferiore a quella minima fissata con decreto del Prefetto. Parzialmente in contrario avviso, la VI Sezione del Consiglio di Stato che, con sentenza 808 del 12 febbraio 2002, pur ammettendo la non inderogabilità dei minimi ripetuti anche in sede di pubbliche gare, ha legato la stessa all’intervento di un’ulteriore approvazione prefettizia dell’offerta formulata in una specifica gara.

Nel riconoscimento del diritto ad un mercato più aperto e meno ingessato, è stato poi affermato sussistere il potere del Prefetto di liberalizzare l’ambito di operatività degli istituti di vigilanza, estendendolo all’intero territorio provinciale, con l’eliminazione, cioè, delle pregresse privative a favore dei singoli Istituti (Tar Campania, sez. 1^, sentenza n. 5292/2001, cit.).

Sempre questa Sezione ha infine effettuata un’analitica ripartizione dei servizi riservati agli istituti di vigilanza e di quelli, di mera custodia, il cui svolgimento è consentito anche alle c.dette società di security, operando una ulteriore differenziazione fra attività di vigilanza (o custodia) a beni sensibili e non sensibili (non connotati da un particolare esposizione a rischio) per concludere nel senso che la prima è riservata agli Istituti di vigilanza (Tar Campania, Sez. 1^, 11 aprile 2001 n. 1612 e 20 agosto 2001, n. 3865, i cui contenuti e statuizioni sono stati trasfusi nella sentenza n. 4606 del 18 ottobre 2001, resa in forma abbreviata e già vagliata da Consiglio di Stato, Sez. VI, che la ha confermata con decisione n. 1835 del 3 aprile 2002; negli stessi sensi, Cons. Stato, Sez. IV, ord. n. 798 del 26 febbraio 2002).

Annodando le fila del discorso, può quindi affermarsi che: gli Istituti di vigilanza godono dei margini di libertà di impresa possibili alla luce della funzione sussidiaria di tutela dell’ordine pubblico agli stessi attribuita dall’ordinamento; l’espletamento di tale funzione consente un’ingerenza dell’autorità di pubblica sicurezza nell’individuazione dei compiti ai medesimi affidati e nel loro espletamento con possibili refluenze a monte nella stessa organizzazione aziendale, senza che a ciò possa essere opposto che la disciplina del rapporto di lavoro è recata dai contratti collettivi: ciò è indubbiamente vero, non di meno la loro esistenza non elide il potere di intervento dell’autorità di P.S. che si colloca su di un diverso piano normativo e di intervento funzionale senza collidere con le previsioni contrattuali la cui osservanza è anzi espressamente richiesta dal regolamento in esame (cfr. art. 18, recante l’impiego del personale); che, sempre alla stregua della cennata sussidiarietà, esiste un mercato riservato agli Istituti di vigilanza, liberi comunque di partecipare a gare per l’affidamento di servizi loro non riservati, il che costituisce ulteriore profilo che conduce ad optare per la libertà responsabile individuata dalla Sezione di offrire, per singole gare, prezzi inferiori ai minimi, non essendovi altrimenti, per quanto attiene ai servizi non riservati che costituiscono quota di mercato in notevole espansione, competizione possibile con le società di security che non soggiacciono al regime organizzatorio imposto agli istituti di vigilanza ed ai relativi costi.

In riferimento ed alla stregua della situazione qui esaminata, ulteriore corollario alle affermazioni fatte è quello che dei concreti contenuti di detta ingerenza, l’Autorità di P.S. deve tener debito conto in sede di fissazione delle tariffe.

Se cioè la provincia di Napoli vanta primati negativi in tema di criminalità la cui diffusione può essere contrastata anche a mezzo dell’opera sussidiaria degli istituti di vigilanza e se ciò richiede l’approntamento di peculiari misure di addestramento e di interventi delle guardie giurate, i costi relativi devono entrare a pieno titolo fra quelli formativi delle tariffe.

In breve, al potere del Questore di intervenire corrisponde l’obbligo del Prefetto di tener conto degli interventi effettuati in sede di aggiornamento delle tariffe, senza che ciò, beninteso, comporti in questa sede alcuna statuizione nemmeno implicita del Collegio sulla concreta sussistenza di aumenti di costi valutabili in ordine ai quali non si hanno elementi per interloquire, a prescindere dal fatto che tale questione esula dall’oggetto del presente giudizio.

In tal modo solo appare possibile armonizzare, anche qui, le due facce della questione ed operare ancora una volta una reductio ad unum, rispettosa delle pressanti necessità legate alla tutela dell’ordine pubblico e dei diritti degli istituti di vigilanza.

Alla luce di tutto quanto innanzi e ferme le precisazioni svolte, va respinta la doglianza di parte, quale relativa in generale alla dedotta violazione dell’art. 41 Cost.

3- Le singole previsioni del regolamento fatte oggetto di censura.

E’ sempre alla stregua di tali principi che vanno verificate le prescrizioni recate dal regolamento: le stesse, singolarmente, potranno resistere all’impugnativa proposta solo se non debordanti dai limiti, comunque esistenti, di un intervento logico e congruente con le finalità del regolamento, ossia se non inutilmente vessatorie.

Orbene, gli artt. 2, 4, 5, 7, 8, 10, 16, 17 e 18 del regolamento impugnato dai ricorrenti (quello datato 30 settembre 2000) sono stati modificati il 10 novembre 2000 ed avverso il nuovo testo i ricorrenti non propongono, con il ricorso per motivi aggiunti, ulteriori specifiche censure.

Non può, tuttavia, dichiararsi l’improcedibilità delle originarie censure (che investivano gli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 16 B2, 16 D, 18 e 22) posto che, per tutte, è stata reiterata la doglianza di generale ingiustificata compressione della libertà di impresa degli Istituti di vigilanza, oltre ad essere denunciate specificamente le previsioni recanti l’obbligo di assicurare la partecipazione delle guardie giurate a corsi teorici-pratici di formazione e quella secondo cui il pattugliamento deve essere svolto da due unità in via di norma.

Deve, quindi, procedersi con l’analisi di ciascuna di esse (nel testo modificato, si intende), con particolare riguardo alle due richiamate specificamente con i motivi aggiunti.

3.1- Gli artt. 2 e 3 si occupano della formazione e dell’aggiornamento professionale delle guardie giurate e prevedono la frequenza obbligatoria una tantum ad un corso teorico-pratico finalizzato alla conoscenza delle prescrizioni, delle cautele e delle tecniche operative per l’esecuzione dei singoli servizi, con addestramento all’uso delle armi e degli apparati ricetrasmittenti, nonché esercitazioni di tiro con cadenza semestrale.

La legittimità di tali previsioni nei regolamenti disciplinanti l'attività degli Istituti di vigilanza privata non può essere posta in dubbio. Il potere esercitato trae fondamento da previsioni primarie e regolamentari ed il suo esercizio si appalesa immune da vizi di sorta.

Gli artt. 2 e 3 del r.d.l. 26 settembre 1935, n. 1952, convertito in l. 19 marzo 1936, n. 508 (recante la disciplina delle guardie giurate particolari), dispongono la previa approvazione da parte del Questore di tutte le modalità del servizio con la specificazione dei compiti assegnati ad ogni singola guardia (art. 2) e con l’attribuzione, sempre al Questore, della facoltà di modificare le norme di servizio e di aggiungervi tutti quegli obblighi che ritenesse opportuno nel pubblico interesse (art. 3).

L’art. 1 dello stesso regio decreto legge pone sotto la diretta vigilanza del Questore il servizio delle guardie giurate e, soprattutto, il r.d.l. 12 novembre 1936, n. 2144, convertito in l. 3 aprile 1937, n. 526 (recante la disciplina degli istituti di vigilanza) espressamente aggiunge ai poteri già individuati con la normativa innanzi richiamata e qui reiterati, "pure" la vigilanza sull’ordinamento dei ripetuti istituti (art. 1) ed attribuisce la potestà regolamentare per quanto possa occorrere per l’esecuzione del decreto (art. 7).

La fonte del potere è ancora da rinvenirsi nell’art. 134 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773): la titolarità della licenza presuppone l’adeguata capacità tecnica di cui specificamente all’art. 257 del regolamento di esecuzione del testo unico (approvato con r.d. 6 maggio 1940, n. 635), che richiede l’allegazione di documenti comprovanti detta idoneità.

Le previsioni in esame trovano infine la loro fonte genetica più immediata nelle direttive impartite nel giugno 2000 dal Dipartimento della pubblica sicurezza ai Questori della Repubblica recante l’invito a rielaborare i regolamenti per i servizi di vigilanza privata per adeguarli all’esigenza di meglio fronteggiare la recrudescenza del fenomeno delle rapine perpetrate in danno di furgoni portavalori che, negli ultimi tempi, si sono contraddistinte per l’efferatezza delle modalità di svolgimento (come da relazione del Questore all’avvocatura dello Stato per la difesa in giudizio, versata in atti).

Deve, pertanto, concludersi sul punto nel senso che il potere di ingerenza ad ampia latitudine di cui innanzi non è limitato a dettare prescrizioni per l’esercizio dei compiti d’istituto, ma è comprensivo di interventi, quali quelli di cui qui trattasi, volti ad assicurare la permanenza dei requisiti idoneativi necessari a garantire una corretta esplicazione dei primi. Ciò, non trascurando di sottolineare come dette prescrizioni sono state poste anche allo scopo di garantire un livello di sicurezza sollecitato dagli stessi operatori del settore (cfr. relazione del Questore, in atti).

3.2- Alla luce delle previsioni normative soprariportate e della loro individuata portata, restano poi immuni da utili censure i restanti articoli; tanto, nella precisazione che i ricorrenti, con le eccezioni di cui si darà conto, si limitano a riportarne le rispettive previsioni, senza approfondirne la portata ed individuarne specifici profili di illegittimità rispetto alla generale denuncia di compressione del diritto di impresa.

Il nuovo testo dell’art. 4 non disattende più l’obbligo di riposo di sei ore, di cui alla doglianza attorea; l’art. 5 reca disposizioni sulla dotazione da possedersi in servizio del tutto ovvie (mezzi di trasporto muniti di contrassegno, salvo casi eccezionali da autorizzarsi preventivamente; dispositivi di allarme; utilizzo dei giubbotti antiproiettile nei servizi a maggior rischio); l’art. 6 si limita a prescrivere l’obbligo di segnalazione delle sanzioni disciplinari contestate superiori al richiamo; l’art. 8 reca previsioni di effettuazione di modalità del servizio ad obiettivi sensibili, non sindacabili dal giudice della legittimità in materia peraltro di così evidente delicatezza (peraltro, non appare irrazionale la previsione di attendere rinforzi prima di intervenire); l’art. 9 individua modalità di effettuazione dei servizi su teleallarme, che non offrono il fianco a rilievi (comunque non avanzati); l’art. 10 disciplina i servizi di vigilanza fissa antirapina ed ancora una volta non appare illogico nel richiedere l’invio di personale in ausilio e l’utilizzo dei mezzi di dotazione; gli artt. 16 B2 e D disciplinano il trasporto in territorio extraurbano e quello di valori superiori a tre miliardi (di vecchie lire) individuandone le modalità di effettuazione in ragione delle esigenze di sicurezza (previa comunicazione al Questore dell’ora di partenza, dell’itinerario e dell’orario di presumibile consegna e, per i trasporti di valori superiori a tre miliardi, con previsione non illogica previa autorizzazione del Questore della provincia ove ha inizio il servizio al fine della predisposizione di un piano di prevenzione concordato tra i Questori degli ambiti territoriali di transito e di destinazione); l’art. 18 prevede, oltre all’obbligo per gli istituti di attenersi agli accordi collettivi di lavoro, di utilizzare un secondo autista ove il tempo di percorrenza sia superiore alle sei ore di marcia e, di norma, esclude servizi di trasporto notturno: parte, quest’ultima, censurata dai ricorrenti senza specificazioni e che comunque appare lineare con le esigenze di tutela degli addetti, di cui l’intero articolo si occupa (fermo che i casi eccezionali possono sempre essere autorizzati); l’art. 22 infine si limita a richiedere relazioni a cadenza periodica (semestrale per l’attività svolta e mensile per l’indicazione degli obiettivi) ed i ricorrenti nulla oppongono a detta previsione, innocua per gli Istituti ma di evidente rilevanza per l’attività di prevenzione dei reati della Questura.

Quanto, infine, all’utilizzo di due unità nel servizio di pattugliamento, di cui solo all’atto recante motivi aggiunti, anche qui si è in presenza di previsioni legate al grado di sicurezza operativa e di tutela delle stesse guardie giurate, avuta presente la realtà in cui operano. Come detto, fermo il potere di dettare tali prescrizioni, di esse andrà tenuto conto in sede di analisi dei costi per la formazione delle tariffe.

Anche le singole previsioni denunciate, tutte finalizzate peraltro ad assicurare tutela in primo luogo alle guardie giurate, resistono alle censure attoree.

4- Le conclusioni generali.

In conclusione, ferme le ripetute precisazioni fatte ed in assenza di prescrizioni a natura tale da imporre un differimento nella sua entrata in vigore, il regolamento impugnato va immune dalle doglianze rivoltegli dagli istituti ricorrenti (sei a fronte dei quaranta che, a detta dell’amministrazione, invece lo hanno accolto con favore).

Le spese di giudizio seguono la soccombenza secondo la liquidazione fattane in dispositivo che tiene comunque conto della refluenza sul regime delle spese del secondo intervento della Questura.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione Prima, rigetta il ricorso in epigrafe.

Pone le spese di giudizio a carico degli Istituti ricorrenti e le liquida in complessivi Euro quattromila/00 (4000.00) a favore dell’amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 10 luglio 2002.

dott. Giancarlo Coraggio, Presidente

dott. Arcangelo Monaciliuni, 1^ referendario, est.

Depositata in segreteria in data 28 ottobre 2002.

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