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n. 3-2003 - © copyright.

TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. II - Sentenza 1 marzo 2003 n. 1951 - Pres. Onorato, Est. Cernese - Caccaviello (Avv. Caccaviello, in proprio) c. Comune di San Giorgio a Cremano (Avv. Di Salvo) - (respinge il ricorso e condanna il Comune ex artt. 88 e 92 c.p.c.).

Giustizia amministrativa - Procedimento giurisdizionale - Dovere di lealtà e probità processuale di cui all’art. 88 c.p.c. - Omesso rispetto da parte dell’Amministrazione - Condanna ex art. 92 c.p.c. - Necessità.

Va condannata ai sensi dell’art. 92 c.p.c. una Amministrazione resistente che non abbia osservato in giudizio il dovere di lealtà e probità processuale di cui all’art. 88 c.p.c.; in violazione di siffatto dovere, deve considerarsi attività proibita tutto ciò che turba la piena e regolare applicazione del principio del contraddittorio, come ad es. il portare a conoscenza del giudice elementi di prova o allegazioni giuridiche in condizioni tali che l’avversario non ne abbia notizia, o non l’abbia in tempo utile per rispondere; il sottrarre dal proprio fascicolo un atto o un documento oramai acquisito al processo, che possa giovare all’avversario; l’impedire all’altra parte, con atto proprio, di servirsi di un mezzo di prova di cui potrebbe disporre; il rifiuto di rispondere alle sollecitazioni di chiarimenti rivolte dal giudice (1).

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(1) Alla stregua del principio nella specie il T.A.R. Campania, pur respingendo il ricorso, ha condannato il resistente Comune di San Giorgio a Cremano al pagamento di una somma (di € 3.500,00), ex artt. 88 e 92 c.p.c., per l’occultamento e/o per l’omessa comunicazione di un provvedimento, annullato in via di autotutela, che fungeva da atto presupposto rispetto a quello successivamente (ed inutilmente) impugnato dal ricorrente.

Ha osservato in particolare il T.A.R. Campania che, sebbene nel processo si svolga una lotta in cui ciascuno si avvale liberamente delle armi disponibili, questa libertà trova un limite nell’obbligo di osservare le "regole del gioco": queste esigono che i contendenti si rispettino reciprocamente nella loro veste di contraddittori in giudizio, secondo il principio dell’eguaglianza delle loro rispettive posizioni; perciò ciascuna parte deve evitare di ricorrere a manovre od artifici, che potrebbero impedire all’altra di far valere efficacemente le proprie ragioni dinanzi al giudice, in tutti i modi e con tutte le garanzie dalla legge stabilite a tutela del diritto di agire in giudizio (art. 24 Cost.), senz’altro comprensivo anche dal diritto di difendersi in resistenza da altrui pretese giudiziariamente azionate.

 

 

(omissis)

per l’annullamento

- del provvedimento datato 20.1.1992, comunicato in data 7.2.1992, con cui il Comune di S. Giorgio a Cremano escludeva il ricorrente dalla mobilità volontaria di cui alla legge 29.12.1988, n. 554, disciplinata dal D.P.C.M. n. 395/88 e dal D.M.F.P. del 2.3.1988;

- di ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente.

(omissis)

FATTO

Premette il prof. Gennaro Caccaviello - docente di ruolo ordinario nelle Scuole Medie Statali - di aver presentato, in data 19.5.1989, ai sensi della legge 29.12.1988, n. 554 e del D.M. 21.3.1989 del Ministro della Funzione Pubblica al Comune di S. Giorgio a Cremano, istanza di volontaria mobilità per essere trasferito su posti di sostituto procuratore legale dell’ottava qualifica funzionale, disponibili presso il predetto Ente e pubblicati sulla G.U. n. 22 bis del 21.3.1989.

Dolendosi, poi, che, nonostante avesse dichiarato, nella predetta istanza, di trovarsi in posizione "soprannumeraria" - circostanza, questa, confermata in data 34.5.1991 dal Provveditorato agli Studi di Napoli, a riscontro di specifica richiesta del predetto Comune - quest’ultimo, con provvedimento a lui comunicato in data 7.2.1992, lo avesse escluso dalla operazione di mobilità perché "manca la dichiarazione di esubero", con ricorso notificato il 25.2.1992 e depositato il 23.3.1992 il prof. Gennaro Caccaviello ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, gli atti in epigrafe, deducendo la seguente censura:

Eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti nonché per insufficiente ed erronea motivazione; assumendo la pretestuosità della motivazione della disposta esclusione perché "manca la dichiarazione di esubero", atteso che - come comunicato in data 24.5.1991, con prot. n. 113197 dal Provveditorato agli Studi di Napoli - il ricorrente si sarebbe trovato in posizione di esubero nella Dotazione Organica della Provincia di Napoli, con conseguente Nulla Osta al trasferimento per mobilità a domanda su posti di sostituto procuratore legale disponibili nella pianta organica del Comune di S. Giorgio a Cremano.

A seguito dell’emanazione di un provvedimento datato 2.3.1992, comunicato in data 12.3.1992, con cui il Comune da ultimo citato integrava la già disposta esclusione aggiungendo che "Il titolo di studio richiesto per la classe di insegnamento non è quello previsto per la qualifica di sostituto procuratore", il ricorrente, con atto notificato in data 5.5.1992 e depositato in data 25.5.1992, proponeva, avverso tale ultimo provvedimento, l’ulteriore motivo di gravame costituito dalla violazione di legge e dall’eccesso di potere per assoluta illogicità della motivazione, erronea valutazione dei fatti ed incongruità della motivazione; assumendo che, attesa l’identità del profilo di VIII qualifica funzionale, sia nell’Amministrazione scolastica di appartenenza, che in quella di futura destinazione, per l’intervenuto riconoscimento dell’alta professionalità da lui acquisita nella prima, conseguente al diploma di abilitazione all’esercizio della professione di procuratore legale, il possesso di quest’ultimo integrerebbe l’unico requisito richiesto dalla normativa di riferimento per l’accesso alla mobilità a domanda.

In occasione della trattazione nel merito della causa alla pubblica udienza dell’11 luglio 2002 il ricorrente veniva a conoscenza della delibera n. 45 del 9.1.1990, con la quale la Giunta Municipale di S. Giorgio a Cremano:

a) annullava la precedente delibera n. 2022 del 4.11.1988 (con cui - ai sensi del D.P.C.M. n. 323 del 5.8.1988 - era definita la dotazione organica provvisoria del personale del predetto Comune);

b) impegnava l’Ente a dare corso agli adempimenti di cui all’art. 40 del D.P.R n. 347/83 e della legge n. 285/77;

c) impegnava l’Ente, all’esito di quanto sopra, a procedere agli adempimenti di cui all’art. 3 del D.P.C.M. n. 325 del 1988;

d) impegnava l’Amministrazione a comunicare il contenuto della delibera stessa a coloro che avevano presentato istanza di mobilità.

Anche avverso tale ultima delibera, con atto notificato il 12.9.2002 e depositato il 18.9.2002, il ricorrente proponeva le ulteriori censure costituite dall’eccesso di potere per la slealtà della procedura seguita dall’Amministrazione, atteso che, con la produzione in giudizio della citata delibera n. 45, indubbiamente recante un contenuto incompatibile rispetto al provvedimento di esclusione avversato con il ricorso principale, si integrerebbe un’inammissibile integrazione giudiziale della motivazione del predetto provvedimento, nonché dalla Violazione dell’art. 4 delle preleggi del cod. civ., ritenendo che, per il principio della gerarchia delle fonti, il Decreto del Ministro della Funzione Pubblica del 2.3.1989 - pubblicato sulla G.U. n. 22 bis del 21.3.1989 - non sarebbe stato annullabile attraverso una mera delibera di Giunta Municipale.

L’intimata Amministrazione si costituiva in giudizio, sostenendo l’infondatezza del ricorso ed, all’uopo, particolarmente illustrandone le ragioni per le quali il ricorrente non avrebbe potuto essere considerato in posizione di esubero nel profilo di appartenenza.

Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2003 la causa passava in decisione.

DIRITTO

In via pregiudiziale vanno disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dal ricorrente a cagione della nullità della costituzione del Comune di S. Giorgio a Cremano resistente in giudizio e per la irritualità della procura ad litem conferita al difensore e per la tardività della costituzione stessa.

Quanto alla prima, al di là della mancata apposizione della data in calce alla memoria di costituzione del predetto Comune, da alcun elemento è dato desumere che il conferimento della contestata procura sia antecedente alla delibera di Giunta Municipale n. 360 del 3 marzo 1992, con cui l’intimata Amministrazione decideva di resistere in giudizio, avvalendosi delle prestazioni dell’Avv. Di Salvo Roberto.

Quanto alla seconda, l’art. 22 della legge n. 1034/71, non vieta la costituzione tardiva dell’intimata Amministrazione, sino all’udienza di discussione della causa, con la sola limitazione, per tale ultima evenienza, che non sarà ammissibile il deposito di memorie e documenti per il quale lo stesso art. 22, come termini a pena di decadenza, prevede, rispettivamente, 10 e 20 giorni dalla notificazione del ricorso.

Il ricorrente - docente di ruolo ordinario nelle Scuole Medie Statali - sul presupposto di trovarsi nella condizione di dipendente in esubero - come certificato dal Provveditorato agli Studi di Napoli - assume il possesso dell’unico requisito costituito dall’abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato - conseguita in data 19.5.1989 - richiesto per l’accoglimento di una sua istanza del 19.5.1989 di mobilità esterna, su posti disponibili di sostituto procuratore legale disponibili presso il Comune di San Giorgio a Cremano, mentre quest’ultimo nega la ricorrenza della necessaria dichiarazione di esubero.

Tuttavia, sempre in via pregiudiziale, il Collegio deve, ancora d’ufficio, rilevare l’inammissibilità dei motivi dedotti nel ricorso in esame, così come pure di quelli aggiunti per la prima volta dedotti in occasione dell’emanazione di un atto integrativo della esclusione in precedenza disposta ed avversata (atto che, comunque, solo apparentemente si presenta autonomo rispetto a siffatta esclusione, accompagnandosi a questa sin dalla stesura dell’elenco degli istanti con a fianco riportata la motivazione di esclusione di ciascuno, mentre la sua mancata comunicazione fu, evidentemente, da ascrivere a mera dimenticanza), in quanto, all’atto della proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti, la delibera di Giunta Municipale n. 2022 del 4.11.1988, che fungeva da atto presupposto a quella impugnata, già precedentemente risultava annullata in autotutela con altra delibera n. 45 del 9.1.1990. In buona sostanza, con tale delibera, la Giunta Municipale riteneva opportuno abbandonare la procedura di mobilità a domanda per far luogo ad una serie di adempimenti valutati come improcrastinabili onde conferire alla pianta organica un assetto definitivo, procedendo agli inquadramenti funzionali ex art. 40 D.P.R. n. 347/83 e dando corso agli adempimenti di cui all’art. 3 D.P.C.M. n. 325 del 1988.

Invece, appare quanto mai evidente come gli ulteriori motivi dedotti avverso la delibera da ultimo citata si presentino senz’altro ammissibili in quanto la giurisprudenza non ha mai avuto alcuna esitazione sulla legittimazione ad impugnare la revoca del bando di concorso (al quale può senz’altro assimilarsi la procedura di trasferimento per mobilità in esame) da parte di un candidato (T.A.R. Piemonte, 13 gennaio 1981, n. 40), ovvero il diniego di svolgimento di concorso già bandito (T.A.R. Lombardia, 20 settembre 1979, n. 648).

A tal punto, però, il Collegio non può esimersi dal rilevare come, sul piano processuale, della inammissibilità del ricorso e dei primi motivi aggiunti non possa non essere ritenuta responsabile l’Amministrazione Comunale resistente, per la circostanza di avere ingiustamente "onerato" il ricorrente di una impugnativa inammissibile con inevitabile spreco di attività processuale e conseguente la lesione del diritto di azione, sotto il profilo di un impedimento frapposto, in via di fatto, al suo regolare e libero esercizio.

Ed, invero, nella logica di un processo di mera impugnazione, gravemente lesivo di un siffatto diritto si presenta il comportamento (quantomeno gravemente colposo), della predetta Amministrazione, nel momento in cui è venuta meno all’obbligo autoassuntosi di comunicare il contenuto della delibera a coloro che, avendo presentato istanza per la mobilità, avevano interesse ad impugnarla, e persistendo in tale comportamento renitente (nell’evidente tentativo di evitare o, quantomeno, differire nel tempo l’impugnativa dell’unico atto utilmente impugnabile) persino in giudizio, con il risultato di indurre il ricorrente alla proposizione di un ricorso, unitamente ai motivi ulteriori, manifestamente inammissibile.

Come si rileverà nel prosieguo, siffatta circostanza, in ogni caso, non può rimanere priva di rilievo, in quanto rilevante senz’altro ai fini della responsabilità prevista dall’art. 92 del cod. proc. civ. per essere venuta meno una delle parti al dovere di lealtà e probità processuale incombente sui contendenti in giudizio, a prescindere dall’esito di questo.

Nella fattispecie, la mancata comunicazione della citata delibera n. 45 a coloro che avevano presentata domanda di mobilità (tanto più grave in quanto il bando per la mobilità volontaria era stato recepito in un D.M. della Funzione Pubblica, pubblicato sulla G.U. n. 22 bis del 21.3.1989) integra indubbiamente la violazione del su riferito dovere.

Pertanto, solo l’ultimo motivo aggiunto - dedotto avverso la citata delibera n. 45 - si rivela ammissibile.

Tuttavia esso è infondato.

Infatti, se è vero che non c’è stata alcuna comunicazione della delibera di annullamento a coloro che avevano inoltrata istanza per mobilità volontaria, è parimenti inconfutabile che ciò non inficia, sul piano sostanziale la validità della citata delibera n. 45 che, quindi, si presenta immune da vizi, onde è infondato l’ultimo motivo ulteriore di gravame, costituito dall’eccesso di potere per slealtà nello svolgimento della procedura.

Allora appare quantomai evidente come la mancata comunicazione non può inficiare la piena regolarità e legittimità della delibera n. 45 già citata che, basandosi su autonomi presupposti, risulta assistita da motivazione indubbiamente congrua ed esauriente.

Inoltre, in quanto atto non recettizio, essa è perfetta ed efficace con la semplice sua emanazione, senza che, a tal fine, sia necessaria anche che venga portata a conoscenza dei destinatari, valendo la sua comunicazione esclusivamente ai fini della decorrenza del termine per eventualmente impugnarla.

Ed, invero, la necessità di far luogo, ai fini della definitiva sistemazione della dotazione organica del Comune resistente ad adempimenti prodromici e funzionali a tale finalità per poi, solo successivamente ed eventualmente, dare ingresso a processi di mobilità interna, od anche esterna (sicuramente meno impegnativi rispetto ad una procedura concorsuale), risponde non solo a criteri di logica e buona amministrazione, ma si presenta anche in sintonia sia con il carattere soltanto provvisorio della dotazione organica in precedenza approvata con la delibera (ritirata in autotutela) che fungeva da presupposto al provvedimento di esclusione in questa sede avversato, che con la normativa sopravvenuta di cui al D.L. vo n. 29/93 che - all’art. 32 intitolato "Ricognizione delle vacanze di organico" - configura la comunicazione da parte delle singole Amministrazioni alla Presidenza del Consiglio-Dipartimento della Funzione Pubblica, della consistenza del personale (nonché delle conseguenti carenze ed esuberi, unitamente all’elenco nominativo dei dipendenti appartenenti alle qualifiche ed ai profili professionali che presentano esuberi) solo "come definita all’art. 31, I comma", la qual cosa implicando l’esaurimento delle operazioni di ricognizione della situazione organizzativa conseguente al definitivo assetto strutturale della pianta organica.

Da quanto si è andato esponendo emerge che alcun tentativo di integrazione giudiziale della motivazione è da individuare nel comportamento di omessa comunicazione a coloro che avevano presentato istanza di mobilità della delibera di annullamento che - secondo il ricorrente - racchiuderebbe motivi assorbenti rispetto al provvedimento di esclusione.

Infine, la circostanza, da ultimo lamentata dal ricorrente, secondo cui la resistente Amministrazione Comunale avrebbe respinto con le motivazioni più fantasiose e disparate tutte le 131 domande di mobilità presentate come sintomo dell’intento di scientemente eludere - con l’emanazione di una delibera di Giunta Municipale - l’applicazione di una normativa statale fissata con Decreto Ministeriale, in materia di mobilità volontaria, in violazione del principio della gerarchia delle fonti di cui all’art. 4 delle preleggi, prova troppo in quanto non tiene conto che il Decreto Ministeriale che indiceva la mobilità a domanda necessariamente presupponeva la deliberazione della Giunta Municipale di approvazione della dotazione organica (peraltro provvisoria) volta ad evidenziare eventuali carenze di organico cui far fronte con ricorso alla mobilità, per modo che, venuto legittimamente ed opportunamente meno l’atto presupposto, il predetto Decreto perde qualsiasi rilievo (beninteso con riferimento al singolo Ente Locale considerato).

Conclusivamente la pretesa del ricorrente è infondata e, pertanto, il proposto gravame va respinto.

A tal punto, riprendendo le fila del discorso su accennato, il Collegio deve censurare il comportamento, quantomeno gravemente colposo, nella fattispecie, tenuto dalla parte resistente, indubbiamente contrario al dovere di lealtà e probità processuale sancito dall’art. 88 c.p.c.

In proposito si rileva che, in violazione di siffatto dovere, deve considerarsi attività proibita specialmente tutto ciò che turba la piena e regolare applicazione del principio del contraddittorio. Ciò si verifica, anzitutto, allorquando, a difesa del proprio interesse, al di là del limite di ogni dialettica processuale feconda e costruttiva, anche se particolarmente vivace e serrata, si agisce sconsideratamente, non dimostrando alcun riguardo per l’altrui posizione, e, ciò, a prescindere dal contegno fraudolento o doloso in concreto tenuto, bastando anche un comportamento soltanto gravemente colposo.

Qualunque processo, è risaputo, vive sul contraddittorio al quale, con passionalità ed animosità, ciascuna delle parti contendenti apporta il proprio contributo, impegnata com'è a disvelare quegli aspetti della vicenda che meglio sembrano giovare alla propria tesi, ragion per cui si presenta refrattario ad una disciplina moralistica del comportamento delle parti. Ed, invero, se ciascun litigante può contare per vincere la contesa soltanto sulla propria capacità di far valere gli elementi e gli argomenti favorevoli, non si può pretendere che fornisca anche quelli che gli sono sfavorevoli e potrebbero giovare all’avversario.

Tuttavia è certo che l’abilità e l’accortezza devono sentire un freno e non possono oltrepassare certi limiti che il costume e la morale sociale stabiliscono e che, per i difensori, sono posti dalle esigenze della correttezza professionale. La formula della legge, necessariamente elastica e generica, deve essere necessariamente adattata dall’interprete alla varietà dei casi e delle circostanze.

Essa significa, in buona sostanza, che, sebbene nel processo si svolge una lotta in cui ciascuno si avvale liberamente delle armi disponibili, questa libertà trova un limite nell’obbligo di osservare le "regole del gioco": queste esigono che i contendenti si rispettino reciprocamente nella loro veste di contraddittori in giudizi, secondo il principio dell’eguaglianza delle loro rispettive posizioni; perciò ciascuna parte deve evitare di ricorrere a manovre od artifici, che potrebbero impedire all’altra di far valere efficacemente le proprie ragioni dinanzi al giudice, in tutti i modi e con tutte le garanzie dalla legge stabilite a tutela del diritto di agire in giudizio (art. 24 Cost.), senz’altro comprensivo anche dal diritto di difendersi in resistenza da altrui pretese giudiziariamente azionate.

Rientra, perciò, esemplificativamente nell’attività proibita, il portare a conoscenza del giudice elementi di prova o allegazioni giuridiche in condizioni tali che l’avversario non ne abbia notizia, o non l’abbia in tempo utile per rispondere; il sottrarre dal proprio fascicolo un atto o un documento oramai acquisito al processo, che possa giovare all’avversario; l’impedire all’altra parte, con atto proprio, di servirsi di un mezzo di prova di cui potrebbe disporre; il rifiuto di rispondere alle sollecitazioni di chiarimenti rivolte dal giudice.

Nel caso di specie, la violazione dell’obbligo in parola si è concretata nell’occultamento di un provvedimento annullato, in via di autotutela, che fungeva da atto presupposto rispetto a quello successivamente (ed inutilmente) impugnato dal ricorrente.

A tal punto, il Collegio non può fare a meno di rilevare che le aule dei tribunali devono rappresentare il luogo privilegiato ove i contendenti si sfidano lealmente per dirimere le loro controversie ad armi pari e giammai la sede per tendere all’avversario insidie e tranelli, occasionati dalla pendenza del processo.

In buona sostanza è pienamente plausibile che ciascuno dei litiganti utilizzi ogni argomento che possa servire alla propria causa, alla ricerca degli elementi di convincimento (non solo del giudice, ma anche dell’avversario e dell’opinione pubblica) che possano far convergere la forza del diritto a tutela delle proprie ragioni, in vista dell’affermazione delle proprie pretese, ma ciò senza sacrificare, con un agire sconsiderato e con ingiusta prevaricazione, gli interessi della controparte, oltre i limiti di ogni ragionevole tolleranza, derivante dalla solita responsabilità collegata all’esito di soccombenza giudiziale.

Inoltre, la circostanza di avere il buon diritto dalla propria parte non può, in alcun modo, legittimare il singolo contendente a ledere la legittima aspettativa od a sorprendere la buona fede incolpevole che la controparte riponeva in un processo che si svolgesse nel pieno rispetto delle regole del gioco, senza prestare il fianco ad atteggiamenti o comportamenti subdoli, capziosi o fraudolenti di una parte a danno dell’altra, specie quando ciò non sia necessario per avere ragione della pretesa avversa.

Orbene, del rispetto delle predette regole, quasi come un arbitro in campo sportivo, non può che farsi garante lo stesso organo giudicante il quale, al di là dello stabilire da che parte stia la ragione o il torto, deve vigilare a che il bene trascendente della giustizia, nel senso più pieno e comprensivo, trovi affermazione nel processo da lui condotto.

L’obbligo sanzionato ex art. 88 c.p.c. e, per forza di cose, sanzionato in modo imperfetto. Se la sua trasgressione causa all’altra parte delle spese, la parte colpevole può essere condannata a rimborsarle, indipendentemente dalla soccombenza (art. 92). Ma maggior significato del citato art. 88 è proprio quello di giustificare il potere, discrezionale ed insindacabile, che la legge attribuisce al giudice di provvedere affinchè il procedimento abbia un regolare svolgimento: egli cioè, può e deve esercitare un controllo, per così dire, un potere di polizia moralizzatrice, sull’attività delle parti, per prevenire, possibilmente, o impedire ogni forma di contegno sleale e per sventare le manovre scorrette di una parte verso l’altra.

Pertanto, vi è quanto basta per disporre la condanna della resistente Amministrazione al pagamento in favore del ricorrente delle somme quantificate come da dispositivo, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese giudiziali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Seconda Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 2759/92 R.G.), proposto da Caccaviello Gennaro, così dispone:

a) lo respinge;

b) compensa fra le parti le spese, le competenze e gli onorari di giudizio;

c) condanna, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. la resistente Amministrazione al pagamento in favore del ricorrente della somma di euro 3500,00 (tremilacinquecento euro) per violazione del dovere di lealtà e probità processuale di cui all’art. 88 c.p.c.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 9 gennaio 2003.

ANTONIO ONORATO Presidente

VINCENZO CERNESE Primo Referendario Estensore

Depositata in segreteria in data 1° marzo 2003.

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