n. 9-2001 - © copyright - vietata la riproduzione.
TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. IV – Sentenza n.
3221/2001 – Pres. Corsaro, Est. Volpe - CONSAB s.r.l. (Avv.ti M. Balletta e V. De Luca) c. Ministero per i beni e le attività culturali (Avvocatura distr. Stato), Comune di Ponte (n.c.), Cicchiello (Avv.ti A. Abbamonte e P. Abbate) e Associazione Italia Nostra (Avv. P. Lucci).1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Legittimazione attiva - Nel caso di imposizione di un vincolo archeologico - Società destinataria di un contributo finanziario per la localizzazione di un impianto sul terreno interessato dal vincolo - Sussiste.
2. Demanio e patrimonio - Beni vincolati - Vincolo archeologico - Imposizione - Omesso esame delle deduzioni prodotte dall’interessato - Illegittimità.
3. Demanio e patrimonio - Beni vincolati - Vincolo archeologico - Imposizione - Adeguata attività istruttoria - Necessità - Mancanza - Illegittimità.
4. Demanio e patrimonio - Beni vincolati - Vincolo archeologico - Imposizione - Motivazione adeguata e puntuale - Necessità - Mancanza - Illegittimità.
1. E' da ritenere legittimata ad impugnare un decreto impositivo di un vincolo archeologico una società che sia destinataria di un contributo finanziario per la localizzazione di un impianto sul terreno interessato dal vincolo stesso.
2. E’ illegittimo il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali con il quale un terreno è stata sottoposto a vincolo archeologico ex art. 1 e 3 della legge n. 1089/1939, ove risulti che l’amministrazione non abbia minimamente preso in considerazione le deduzioni prodotte dall’interessato acquisite in sede istruttoria. Invero, quanto più tenue è il sostegno istruttorio alla determinazione finale dell’amministrazione, tanto maggiore deve essere l’impegno dell’amministrazione stessa nel valutare gli apporti procedimentali dei terzi (soprattutto di quelli destinati a subire direttamente gli effetti del provvedimento che conclusivo) e ciò al fine di escludere, in capo ai terzi, la ragionevole convinzione di un’azione amministrativa condotta superficialmente ed in spregio agli interessi sostanziali delle parti che subiscono l’esercizio del pubblico potere.
3. E’ illegittimo il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali con il quale un terreno è stata sottoposto a vincolo archeologico ex art. 1 e 3 della legge n. 1089/1939, ove risulti che la determinazione finale non sia stata preceduta dall’attività istruttoria del competente organo, così come individuato alla stregua del d.m. 13 giugno 1994, n. 495, recante il regolamento concernente le disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardanti i termini e i responsabili dei procedimenti.
4. E’ illegittimo il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali con il quale un terreno è stata sottoposto a vincolo archeologico ex art. 1 e 3 della legge n. 1089/1939, nel caso in cui l’imposizione del vincolo sia motivata genericamente facendo riferimento al ‘particolarmente importante’ interesse (rilevante a fini pubblici) che avrebbero rivestito i ritrovamenti superficiali sparsi sul terreno, senza che siano state indicate le ragioni che avevano indotto il Ministero a convincersi della particolare importanza del predetto interesse (1).
------------------------------
(1) Ha aggiunto il T.A.R. Campania che il difetto di motivazione non poteva ritenersi sanato dal richiamo alla proposta della Soprintendenza, atteso che in erra vi era un diffuso ricorso ad espressioni dubitative e meramente espressive di giudizi probabilistici che difficilmente – in difetto di altri riscontri motivazionali nel corpo del provvedimento finale – conducono a ritenere sufficientemente certo il giudizio che deve aver preceduto l’adozione del provvedimento stesso.
per l’annullamento
del d.m. 10 gennaio 2000, a firma del Direttore Generale dell’Ufficio Centrale per i BB.AA.AA.AA.SS. – IV Divisione- del Ministero per i beni e le attività culturali con il quale è stata sottoposta a vincolo archeologico ex art. 1 e3 della legge n. 1089/1939 l’area ubicata nel Comune di Ponte (BN), loc. Piana, foglio 6, particelle 90, 92, 190, 191, 192, 333, 334, 335, 340, 381 – provvedimento prima notificato in data 4.2.2000, in bozza non conforme all’originale, datato a penna – in allegato alla diffida dei Sig. Cicchiello Angelo, Angelo e Aldo, e successivamente notificato alla ricorrente, in data 9.2.2000, dalla Soprintendenza Archeologica di Salerno, nonché di tutti gli atti antecedenti, preordinati, conseguenziali e comunque connessi al procedimento, nonché per la condanna in solido del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro p.t., del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Direttore Generale p.t. dell’Ufficio Centrale per i BB.AA.AA.AA.SS. al risarcimento per il danno ingiusto cagionato alla ricorrente in conseguenza dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
(omissis)
FATTO
Ritenendosi lesa, col ricorso in epigrafe la CONSAB s.r.l., premesso di avere ottenuto dal Ministero dell’industria un contributo ex lege n. 488/92 per la realizzazione di uno stabilimento industriale; che per la realizzazione dell’opera il Comune di Ponte aveva proceduto all’assegnazione di un’area di circa mq 7070 (lotti n. 34, 35, 36, V/10 del Piano per gli insediamenti produttivi), nonché al conseguente avvio del relativo procedimento espropriativo, mediante adozione di decreti di occupazione d’urgenza, i quali tuttavia erano stati impugnati dai proprietari delle aree interessate; che il Tar Campania, con sentenza n. 1972/1999 aveva annullato i predetti decreti per incompetenza del sindaco alla loro emissione; premesso altresì che in data 13.12.1999, con nota 18675/3S, la Soprintendenza di Salerno aveva inviato comunicazione dell’avvio del procedimento di vincolo archeologico ex art. 1 e 3 della legge n. 1089/1939, e contestualmente con nota prot. 18680/18S la medesima aveva riscontrato le osservazioni della ricorrente, la quale già in data 8.8.1999, avuta notizia che il Ministero per i beni e le attività culturali aveva dato corso al procedimento di vincolo archeologico, aveva immediatamente contestato la legittimità del procedimento; che in data 14.12.1999 il Comune adottava un nuovo decreto di occupazione di urgenza delle aree, ma che il 12.1.2000 l’ente comunicava alla ricorrente che, a seguito della richiesta della Soprintendenza di Salerno, effettuata in data 3.1.2000, di sospendere l’attuazione del predetto decreto di occupazione, era fatto divieto alla società di eseguire qualsiasi tipo di intervento fino all’esito della preliminare esplorazione archeologica; che con atto di diffida notificato l’1.2.2000 i proprietari dei suoli oggetto del decreto di occupazione di urgenza e attuali controinteressati, Sigg. Cicchiello Aldo, Angelo e Angelo, invitavano la società a sospendere la procedura di occupazione dell’area per l’avvenuta emissione del decreto ministeriale 10.1.2000 impositivo del vincolo archeologico, del quale si allegava una bozza non conforme all’originale e datata a penna (decreto che a quel momento non era ancora stato notificato alla ricorrente, né ai proprietari e possessori dei suoli interessati); premesso, infine di avere ricevuto dal Comune, con nota prot. 554 del 7.2.2000, comunicazione dell’avvio del procedimento di annullamento del decreto di occupazione di urgenza, con invito ad astenersi dalla immissione in possesso programmata per il giorno 10.2.2000, tutto ciò premesso, la società impugnava il provvedimento ministeriale impositivo del vincolo archeologico sulla base dei seguenti motivi:
1. Violazione Capo III della legge n. 241/1990. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Violazione del principio del giusto procedimento. Eccesso di potere per mancata comparazione di interessi. Violazione del principio di imparzialità dell’agire amministrativo.
L’amministrazione ha omesso di comunicare tempestivamente l’avvio del procedimento impositivo del vincolo; né il provvedimento impugnato né la allegata relazione della Soprintendenza hanno tenuto in alcun conto le osservazioni formulate dalla ricorrente con nota dell’8.8.99: di qui il difetto di motivazione del provvedimento impugnato. La Soprintendenza è titolare del potere di proposta, ma l’intero procedimento è di competenza ministeriale, di qui l’incompetenza della Soprintendenza a comunicare l’avvio del procedimento.
2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5 e 6 della l.n. 241/90 in relazione all’art. 1, co. 2, tab A, n. 38, e art. 9, co. 1, del d.m. 13.6.1994, n. 495. Incompetenza della Soprintendenza archeologica. Violazione del principio di trasparenza. Difetto di istruttoria.
Il procedimento istruttorio – peraltro carente sotto diverso profilo – nel caso di specie è stato altresì condotto da un’unità organizzativa diversa da quella che lo stesso Ministero intimato ha predeterminato, unilateralmente, come invece tenuta allo svolgimento delle attività amministrative preordinate all’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento.
3. Violazione dell’art. 7, commi 1 e 2 d.lgs. 29.10.1999, n. 490 e dell’art. 7, commi 1 e 8 della l. n. 241/90. Incompetenza,. Violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e partecipazione. Difetto di istruttoria.
La soprintendenza ha comunicato in data 13.12.1999 l’avvio del procedimento, mentre la proposta di vincolo è stata formulata e trasmessa al Ministero solo con successiva nota del 16.12.1999 (sconosciuta) e dunque la comunicazione appare inidonea a raggiungere lo scopo di informazione partecipativa dell’interessato.
4. Violazione dell’art. 3, comma 3, legge n. 241/90.
Al d.m. 10.1.2000 non è allegata la proposta di vincolo della Soprintendenza prot. 19077/3S in esso richiamata, né vi è indicato l’ufficio presso il quale la stessa è accessibile.
5. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 1089/1939 (artt. 2, co. 1 lett. A e 6, co. 1, d.lgs. n.490/99). Violazione art. 3 della legge n. 241/90 – Eccesso di potere per motivazione falsa, travisamento dei fatti e dei presupposti. Difetto di istruttoria. Violazione del principio di partecipazione. Sviamento del potere. Violazione del principio di imparzialità e di trasparenza dell’agire amministrativo.
Il provvedimento impugnato non contiene alcuna motivazione circa la sussistenza dell’interesse particolarmente importante posto a fondamento del provvedimento; la incompletezza dell’istruttoria risulta poi evidente dalla nota della soprintendenza del 13.12.1999, ove si afferma che la proposta di vincolo "è stata effettivamente predisposta…sulla base di soli indizi, per quanto assai perspicui".
6. Violazione art. 3 legge n. 241/90. Eccesso di potere per motivazione carente, incompleta e contraddittoria, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, assenza dei presupposti, carenza di potere, violazione del principio di proporzionalità dell’agire amministrativo. Sviamento di potere.
Il provvedimento impugnato non è stato preceduto da adeguata istruttoria.
Si costituiva in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, concludendo per la reiezione del ricorso.
Si costituivano altresì in giudizio Cicchiello Aldo, Cicchiello Angelo (nato a Benevento, il 9.6.1939) e Cicchiello Angelo (nato a Torre del Greco, il 2.5.1940), concludendo per la reiezione del ricorso, sostenendo l’assenza di interesse a procedere della società ricorrente, avendo la stessa ottenuto dal comune l’assegnazione di nuove aree con delibera n. 31 del 23.2.2000, per la realizzazione dell’attività industriale che avrebbe dovuto realizzarsi inizialmente sulle aree vincolate: ne deriva che le pretese della ricorrente risultano pienamente soddisfatte, con conseguente cessazione della materia del contendere per la mancanza di un interesse da parte del ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento impositivo di vincolo. Quanto alla pretesa sindacabilità delle determinazioni dell’autorità preposta alla tutela dei beni archeologici, i controinteressati rilevano la legittimità dell’operato della amministrazione centrale, il cui provvedimento di vincolo fa espresso riferimento "alla presenza notevole dei frammenti ceramici, laterizi reperibili all’epoca romana", nonché "all’esistenza di grossi frammenti di tegola che ipotizzano sepolture in loco" a conferma dell’importanza archeologica dell’intero contenuto.
Nel giudizio interveniva l’Associazione Italia nostra, per sostenere le ragioni del Ministero, concludendo per l’inammissibilità, improcedibilità e infondatezza del ricorso; in particolare, si rilevava che la società ricorrente, non essendo proprietaria delle aree interessate dal vincolo, non avrebbe vantato alcun diritto soggettivo sul fondo, mentre tutti i motivi da essa articolati nel ricorso presuppongono la qualità di proprietario dell’area; quanto al preteso difetto di istruttoria, rileva come nella materia la p.a. ha un potere insindacabile circa la scelta dei mezzi più idonei per la raccolta degli elementi su cui eseguire la propria valutazione, come pure ha discrezionalità circa l’autorità – centrale o periferica – a cui demandare l’istruttoria.
Per quanto concerne la censura di travisamento e assenza dei presupposti, l’interveniente ha rilevato che l’apposizione del vincolo non può che essere propedeutica e strumentale al successivo accertamento attraverso scavi e ricerche, della qualità e natura dei reperti, cosicché non pare fondato l’assunto della ricorrente per cui il vincolo andrebbe invece apposto solo sui suoli il cui valore archeologico sia universalmente riconosciuto. Viene infine rilevata la carenza di interesse della ricorrente per sopravvenuto provvedimento comunale avente ad oggetto la assegnazione di nuove aree alla società.
Con memoria difensiva del 10.5.2000, la soc. CONSAB rilevava, tra l’altro: a) l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum dell’Associazione Italia Nostra, atteso che la stessa è legittimata ad agire limitatamente ai giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione di atti amministrativi lesivi dell’ambiente, e non di diversi beni giuridici, quale il patrimonio storico artistico che rileva nel ricorso in questione; b) la sussistenza della legittimazione a ricorrere e l’interesse ad agire, essendo riconosciuto il diritto di partecipazione al procedimento impositivo del vincolo a tutti i soggetti interessati e controinteressati, indipendentemente dalla titolarità di un diritto di proprietà; c) l’infondatezza della eccepita cessata materia del contendere, essendo la nuova assegnazione di lotti vicenda del tutto diversa da quella per cui è causa, e frutto di autonoma iniziativa imprenditoriale, circostanza dimostrata anche dal fatto che la nuova assegnazione riguarda una estensione notevolmente minore, insufficiente alla realizzazione dello stabilimento finanziato dal Ministero dell’industria.
Acquisita documentazione, la causa veniva quindi chiamata all’udienza pubblica di discussione del 10 gennaio 2001 ed ivi trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso risulta fondato, nei termini di seguito precisati eppertanto, preliminarmente, risulta consentito prescindere dalla valutazione della fondatezza delle eccezioni sollevate dalla ricorrente in ordine al dispiegato atto di intervento della Associazione Italia Nostra.
2. Merita invece soffermarsi sull’ipotizzata carenza di legittimazione attiva della ricorrente, e ciò anche a prescindere dalla eccezione articolata dalla Associazione intervenuta, posto il dovere del Collegio di lumeggiare direttamente il punto siccome incidente sulla stessa ammissibilità del ricorso.
2.1. La società ricorrente risulta legittimata all’introduzione del presente giudizio.
Militano in tal senso la considerazione del fatto che la stessa amministrazione statale resistente ha, prima del giudizio, riconosciuto nella società l’interlocutrice diretta relativamente alla fase partecipativa del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento qui impugnato. Inoltre, il fatto che la società in questione sia stata destinataria di un contributo finanziario per la localizzazione di un impianto suoi suoli ora interessati dal vincolo archeologico – messo a rischio dalla dilatazione dei tempi amministrativi conseguenti alla adozione del vincolo – e che la stessa fosse titolare degli atti abilitativi alla occupazione del suolo e alla conseguente edificazione su di esso dell’impianto produttivo fanno evincere, al di là di ragionevoli dubbi, l’interesse sostanziale della parte a censurare la legittimità dell’atto gravato.
Né a dire, di contro, che la società innanzi detta, in quanto attributaria di altri suoli nella medesima zona territoriale, destinati comunque ad ospitare iniziative imprenditoriali riferibili alla stessa società, possa aver perduto, conseguentemente, interesse alla presente pronuncia. Questo argomento, invero, è stato prospettato dalla parte controinteressata nel presente giudizio. La stessa, peraltro, non ha fornito elementi di prova univoci e concludenti in ordine al fatto – contestato invece dalla ricorrente – che i diversi suoli sarebbero stati attribuiti alla ricorrente proprio per localizzarvi la stessa iniziativa imprenditoriale che avrebbe, in origine, dovuto trovare ospitalità sul fondo fatto oggetto del vincolo archeologico del quale si discute. Ai fini di una possibile rilevanza dell’eccezione in argomento, tuttavia, questo tipo di prova sarebbe stato essenziale e rilevante.
3. Nel merito, è fondato il primo motivo – con il quale si deducono vizi procedimentali – nella parte in cui si addebita all’amministrazione di non aver minimamente preso in considerazione le deduzioni di parte (ricorrente) pur acquisite in sede istruttoria. A tali deduzioni, preordinate a resistere ad una possibile imposizione del vincolo, l’amministrazione avrebbe tuttavia dovuto rispondere – sotto forma di articolazione di una motivazione del provvedimento finale all’interno della quale fossero rese esplicite le ragioni per le quali le deduzioni stesse venivano ritenute superabili – soprattutto per il fatto che, nel caso di specie, l’apposizione del vincolo archeologico è stata operata a seguito di un procedimento indiziario, non suffragato da previi accertamenti tecnico-scientifici.
Si ricava, da elementari regole di ragionevolezza, avuto riguardo al principio generale che governa la motivazione dei provvedimenti amministrativi, che quanto più tenue è il sostegno istruttorio alla determinazione finale dell’amministrazione tanto maggiore deve essere l’impegno, dell’amministrazione stessa, nel valutare gli apporti procedimentali dei terzi (soprattutto di quelli destinati a subire direttamente gli effetti del provvedimento che conclusivo) e ciò al fine di escludere, in capo ai terzi, la ragionevole convinzione (che altrimenti si determina) di un’azione amministrativa condotta superficialmente ed in spregio agli interessi sostanziali delle parti che subiscono l’esercizio del pubblico potere.
3.1. E’ poi fondato il secondo motivo di ricorso – sempre inerente a vizi procedimentali – essendo palese, stando, come è doveroso e necessario, al dato formale evincibile dal tenore del provvedimento impugnato, che nel caso di specie la determinazione dirigenziale, in seno al Ministero per i beni e le attività culturali, non risulta essere stata preceduta dall’attività istruttoria del competente organo, così come individuato alla stregua del d.m. 13 giugno 1994, n. 495, recante il regolamento concernente le disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardanti i termini e i responsabili dei procedimenti.
La manchevolezza, a tutta evidenza, non è solo formale, posto che, tenuto conto dello stesso autovincolo che il Ministero in questione si è imposto, il coinvolgimento del responsabile del procedimento, per quanto attiene la fase istruttoria, è profilo che incide fortemente nella sostanza dell’adeguatezza dello svolgimento del procedimento amministrativo rispetto al paradigma legale coniato con la legge n. 241 del 1990.
Non si vuole con questo dire che le attività istruttorie non possano essere espletate anche dallo stesso dirigente generale cui poi compete l’adozione del provvedimento finale. Si vuole piuttosto sottolineare che, allora, diventa ancor più pregnante l’esigenza di una attenta motivazione che, da un canto, renda edotti di tale evenienza, e, dall’altro, convinca del fatto che realmente il dirigente che adotta il provvedimento finale abbia proceduto agli ineludibili adempimenti istruttori.
Nel caso di specie, poi, non può sopperire la ‘relazione’ della Soprintendenza delle Province di Salerno, Avellino e Benevento, pur annessa al provvedimento impugnato. Invero, a parte la pochezza dei contenuti di tale relazione (in atti), v’è principalmente il fatto che la stessa non può surrogare l’elusione dei doveri istruttori da parte dell’organo appositamente designato a ciò, in senso al Ministero, in rapporto al tipo di procedimento del quale si discute.
3.2. In particolare risultano fondati i motivi di ricorso ivi riportati ai punti 4 e 5.
Nel corpo del provvedimento impugnato si legge che l’imposizione del vincolo discende dal ‘particolarmente importante’ interesse (rilevante a fini pubblici) che avrebbero rivestito i ritrovamenti superficiali sparsi sul terreno destinato a divenire sede ospitante dell’insediamento produttivo della società ricorrente.
Per dare contenuto e sostanza a parole altrimenti vuote ed autoreferenziali, tuttavia, nel corpo del provvedimento avrebbero dovuto trovare spazio le illustrazioni delle ragioni che avevano indotto il dirigente ministeriale a convincersi della particolare importanza del predetto interesse.
Nulla di ciò, peraltro, si riscontra nel provvedimento in esame.
Tanto meno è rilevante, a questo riguardo, ciò che si evince dalla predetta relazione della Soprintendenza.
In questa, anzi, si constata un diffuso ricorso ad espressioni dubitative e meramente espressive di giudizi probabilistici che difficilmente – in difetto di altri riscontri motivazionali nel corpo del provvedimento impugnato – conducono a ritenere sufficientemente certo il giudizio che deve aver preceduto l’adozione del provvedimento impugnato.
Con il che, delle due l’una: o l’organo ministeriale competente ad adottare il provvedimento finale è stato in possesso di ulteriori elementi di giudizio, dei quali allora lo stesso avrebbe dovuto far esplicita menzione nel corpo della motivazione del provvedimento; o il medesimo organo ha tratto il suo convincimento dalle sole indicazioni offerte dalla Soprintendenza, mostrando allora di aver adottato l’atto pregiudizievole per gli interessi di parte sulla base di mere indicazioni probabilistiche che poco hanno a che vedere con il grado di sufficiente convincimento che, invece, deve sempre assistere l’amministrazione, soprattutto quando essa si orienta per determinazioni di merito incidenti profondamente negli interessi dei privati.
Nel caso di specie, la superficialità del giudizio posto, per quanto è dato riscontrare documentalmente, alla base del provvedimento impugnato si riflette inevitabilmente sulla legittimità dello stesso.
4. Le ragioni che precedono sono sufficienti a condurre alla richiesta pronuncia di annullamento dell’atto gravato, con assorbimento degli ulteriori profili di censura.
5. Deve peraltro respingersi la domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente, posto il difetto di adeguata prova che la stessa avrebbe invece implicato (in rapporto a tutti i presupposti che devono concorrere alla luce dell’art. 2043 c.c.).
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in complessive lire 6.000.000, da dividersi in misura uguale tra le amministrazioni (locale e statale) resistenti e la parte controinteressata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione disattesa, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessive lire 6.000.000 in favore della ricorrente, in misura uguale tra loro, le amministrazioni (locale e statale) resistenti e la parte controinteressata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del 21 marzo 2001.