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TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I - Sentenza 4 ottobre 2001 n. 4485 - Pres. Coraggio, Est. Carpinitieri - Esperia coop. a r. l. (Avv. A. Abbamonte) c. Comune di Maddaloni (Avv. A. Lamberti).

1. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Possibilità di proporre la domanda di risarcimento per equivalente monetario in sede di ottemperanza - Alternativamente a quella di esecuzione in forma specifica - Possibilità - Ragioni.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi -Termine di prescrizione dell’azione - E’ quinquennale anche nel caso di responsabilità precontrattuale o extracontrattuale.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi -Termine di prescrizione dell’azione - Decorrenza - Nel caso di risarcimento chiesto a seguito di annullamento dell’atto - Dalla data di deposito della sentenza di primo grado.

4. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Nel caso di lesione di interessi legittimi pretesivi - Pronuncia di accertamento della fondatezza della pretesa - Necessità.

5. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Elemento soggettivo (dolo o colpa grave) - Commissione di illegittimità evidenti che comprovano una rilevante negligenza e imperizia della P.A. - Sufficienza.

6. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Criteri di quantificazione del danno - Nel caso di annullamento dell’aggiudicazione di un appalto - Possibilità di fare riferimento all’utile presuntivo medio del 10% sull’importo dell’offerta (arg. ex articolo 20 d.m. 29 maggio 1895) ovvero nella somma – se inferiore - corrispondente all’utile che la ricorrente avrebbe ritratto dall’appalto se lo avesse eseguito- Possibilità.

1. Deve ritenersi ammissibile una domanda di risarcimento danni per lesione di interessi legittimi proposta con ricorso per ottemperanza cumulativamente con la domanda alternativa di esecuzione del giudicato (nella specie, a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza che ha annullato l’aggiudicazione di un appalto); invero, la inestricabile connessione fra le due domande e la logica precedenza di quella relativa all’esecuzione in forma specifica impongono di ritenere che solo il giudice dell’ottemperanza, con i suoi ampi poteri di cognizione anche nel merito, sia in grado di sciogliere l’alternativa tra la via ripristinatoria dell’esecuzione in forma specifica – se ancora possibile – e quella risarcitoria per equivalente, nel caso in cui la prosecuzione dell’azione amministrativa abbia ormai impedito la prima strada (1).

2. Anche nel caso in cui la P.A. risponda a titolo di responsabilità precontrattuale o extracontrattuale, il termine prescrizionale entro il quale va richiesto il risarcimento dei danni è quello di cinque anni ex articolo 2947, comma 1, c.c.

3. Il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione della domanda di risarcimento danni per lesione di interessi legittimi, a seguito di annullamento di un atto amministrativo, decorre dalla data di pubblicazione della sentenza esecutiva, indipendentemente dal formarsi su di essa del giudicato, conformemente alla previsione dell’articolo 2935 c.c. secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (contra non valentem agere non currit praescriptio) (2).

4. Il risarcimento del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo pretensivo per effetto di un atto illegittimo di diniego è possibile solo se e nella misura in cui la sentenza del giudice amministrativo di annullamento del diniego abbia accertato la fondatezza della pretesa e abbia in tal modo stabilito un vincolo al riesercizio del potere amministrativo in senso favorevole al ricorrente (3).

5. Pur dovendosi escludere ogni automatismo tra illegittimità dell’atto e illiceità della condotta della p.a., vi sono ipotesi nelle quali, ai fini dell’accertamento della colpa, la specie e l’entità dell’illegittimità commessa dalla P.A. autorizzano un ragionevole convincimento nel senso dell’intrinseca colposità dei comportamenti e degli atti che quella notevole illegittimità hanno cagionato e che dimostrano adeguatamente la rilevante negligenza e imperizia della P.A. idonea a integrare il presupposto di imputabilità a titolo di colpa della condotta causativa del danno (4).

6. Nel caso in cui, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione di una gara di appalto, non sia possibile far riferimento ad elementi certi ai fini della quantificazione del danno e si profili la necessità di fare ricorso a criteri equitativi di liquidazione, il danno può quantificarsi in misura pari all’utile presuntivo medio del 10% sull’importo dell’offerta (arg. ex articolo 20 d.m. 29 maggio 1895 recante il regolamento per la compilazione dei progetti di opere dello Stato), ovvero nella somma – se inferiore - corrispondente all’utile che la ricorrente avrebbe ritratto dall’appalto se lo avesse eseguito alle condizioni contenute nella propria offerta economica.

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(1) Nell’articolata motivazione della sentenza in rassegna è stato dato atto che un recente orientamento della sez. IV del Consiglio di Stato (1 febbraio 2001 n. 399) avrebbe negato la possibilità che la domanda di risarcimento possa essere per la prima volta formulata in sede di ottemperanza, affermando la competenza funzionale del giudice della cognizione e negando che le divergenze e le peculiarità del giudizio risarcitorio secondo lo schema dell’articolo 35 del d.lg. 80 del 1998 rispetto a quello civile possano condurre alla traslazione in sede di ottemperanza di tutto il giudizio risarcitorio, indifferentemente per l’an e il quantum.

La tesi del Consiglio di Stato sembra tenere conto soprattutto del diverso profilo della difesa del necessario doppio grado di giudizio sulla domanda risarcitoria.

Tale orientamento, tuttavia, non sembra applicabile ed è comunque da disattendere nel caso in cui il risarcimento del danno sia stato chiesto a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza che ha riconosciuto illegittimo l’atto (nella specie, l’aggiudicazione dell’appalto). In tale ipotesi, secondo la condivisibile e ben argomentata opinione del T.A.R. Campania, è possibile chiedere il risarcimento con apposita domanda avanzata con il ricorso per ottemperanza, alternativa alla richiesta di esecuzione in forma specifica.

Ha osservato in proposito il TAR Campania che – a differenza di quanto accade nel rito processuale civile, dove il giudizio di esecuzione, salvi gli incidenti di cognizione, presenta effettivamente una natura oggettivamente diversa e incompatibile rispetto a quello di cognizione – nel giudizio amministrativo l’ottemperanza contiene sempre un nucleo di cognizione (come interpretazione, completamento e precisazione del precetto contenuto nella sentenza di cognizione: Cons. St., ad. plen., 17 gennaio 1997 n. 1; cfr. altresì tutta la giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi ante lege 205/2000 sulla appellabilità delle sentenze di ottemperanza dei Tar), che può essere più ampio di quello originario, essendo suscettibile di estendersi anche al merito. Non a caso il Consiglio di Giustizia amministrativa, che ha affermato per primo il principio attraverso uno dei suoi più brillanti componenti (il Pres. Salvatore Giacchetti), ha parlato in proposito di giudicato "a formazione progressiva" (v. amplius in questa rivista l'articolo del Pres. Giacchetti, Il giudizio d'ottemperanza nella giurisprudenza del Consiglio di giustizia amministrativa).

Il nucleo originario della sentenza di merito, osserva giustamente il TAR Campania, è destinato sicuramente ad ampliarsi notevolmente dopo l’attribuzione in via generale al giudice amministrativo, sia in sede di giurisdizione esclusiva che di giurisdizione generale di legittimità, della cognizione di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali (articolo 7, comma 3, della l. 1034 del 1971, come sostituito dall’articolo 35, comma 4 del d.lg. 80 del 1998, nel testo novellato dall’articolo 7 della legge 205 del 2000). L’articolo 35, comma 3, del d.lg. n. 80 assegna alla fase dell’esecuzione la liquidazione del quantum del danno risarcibile, ove le parti non giungano all’accordo sulla base dei criteri forniti dal giudice in base ai quali la p.a. deve proporre in favore dell’avente diritto il pagamento di una somma entro un congruo termine.

Se è vero che tale indicazione dei criteri della proposta risarcitoria è attività che appartiene ancora alla fase di cognizione e non già a quella di esecuzione (come condivisibilmente osservato dal Cons. St., sez. V, 396/2001 cit.), è altresì vero che la determinazione della somma dovuta – rimessa dall’ultimo periodo del comma 2 citato al giudizio di ottemperanza - costituisce pur sempre un’attività di cognizione e non di mera esecuzione, un’attività di cognizione resa particolarmente significativa perché necessariamente diretta a conoscere e a valutare (anche sotto il profilo della colpa) gli svolgimenti successivi del rapporto conseguiti alla pronuncia di cognizione. In tal modo viene rafforzato il legame di tendenziale unitarietà di sviluppo della tutela dalla sua posizione astratta alla sua concreta esecuzione, con una dislocazione, anche nella fase dell’esecuzione, di significativi momenti cognitori.

Tale progressivo dispiegarsi della tutela erogata dalla sentenza di annullamento, che sovente passa attraverso una fase di riesercizio del potere da parte dell’amministrazione, si arricchisce, dopo la legge 205, di un nuovo e importante elemento, il risarcimento del danno, in forma specifica e per equivalente, che richiede di essere collocato coerentemente e organicamente in questa dinamica. Ponendo l’accento sull’elemento unificante, costituito dal medesimo episodio di vita, che fa da legame e da sfondo unitario tra il momento cassatorio-conformativo e quello – eventuale – di riparazione in forma specifica o per equivalente, è agevole pervenire alla conclusione della insussistenza di cause di incompatibilità tra domanda di ottemperanza e domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, traendo entrambe le pretese origine (ancorché attraverso il tramite di diverse fattispecie) dalla stessa lesione di una posizione soggettiva tutelata in relazione a un determinato bene della vita (v. in tal senso già T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 4 giugno 2000 n. 2627).

Il risarcimento del danno per equivalente in sede di giurisdizione generale di legittimità assume dunque obiettivamente un ruolo successivo, sussidiario e residuale, cui si può ricorrere se ed in quanto il rimedio ripristinatorio non abbia potuto conseguire risultati satisfattivi (sull’orientamento genetico della giustizia amministrativa a dare priorità logico-giuridica alla restituzione in forma specifica insita nell’annullamento, cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, 23 gennaio 2001 n. 189, Tar Lombardia, Milano, sez. II, 30 ottobre 2000 n. 6165; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 15 gennaio 2001 n. 30; Tar Piemonte, sez. II, 21 gennaio 1999 n. 17; Tar Calabria, Reggio Calabria, 12 maggio 1999 n. 617; Tar Friuli Venezia Giulia 26 luglio 1999 n. 903).

(2) Nella motivazione della sentenza si richiama anche l’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, secondo le quali in caso di annullamento da parte del g.a. del decreto di esproprio con intervenuta occupazione acquisitiva, il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno ex articolo 2043 c.c. decorre non già dal verificarsi dell’occupazione acquisitiva, ma dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, con la motivazione che soltanto questa, con la caducazione dell’atto ablatorio, conferisce carattere di illiceità all’occupazione e rende esercitabile il diritto al risarcimento (v. Cass., ss.uu., 21 luglio 1999 n. 483).

Si richiama altresì l’articolo 13, comma 2, della legge 142 del 1992, il quale stabiliva che la domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l'annullamento dell'atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo e non richiedeva il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che, come è noto, è immediatamente esecutiva

(3) Ha precisato il T.A.R. Campania che sicuramente conducono alla risarcibilità dell’interesse pretensivo leso le sentenze che – contenendo un accertamento della accoglibilità della pretesa - riducono o eliminano del tutto l’interposizione del potere amministrativo tra la istanza del soggetto e il bene della vita perseguito, ponendo quest’ultimo all’interno del patrimonio risarcibile del soggetto, così come si verifica nel caso di sentenza che, nell’annullare l’aggiudicazione di un appalto, riconosca che la ricorrente si sarebbe verosimilmente resa aggiudicataria dell’appalto. Non danno invece luogo a risarcimento del danno per equivalente le sentenze di annullamento che si limitino ad attribuire un mero interesse procedurale al riesercizio della funzione discrezionale. In generale, non può escludersi la possibilità di una responsabilità per lesione dell’affidamento e per condotta della p.a. contraria alla buona fede nelle trattative (responsabilità precontrattuale).

(4) Alla stregua del principio nella specie il TAR Campania ha ritenuto che l’entità del vizio di illegittimità riscontrato nell’azione amministrativa dalla sentenza di annullamento (avvenuta presentazione da parte dell’allora aggiudicataria dell’atto costitutivo di una società diversa sia per la denominazione che per il tipo sociale, e con un oggetto sociale non corrispondente all’attività cui si riferiva l’appalto da aggiudicare) dimostravano adeguatamente la rilevante negligenza e imperizia della P.A.

Per ulteriori riferimenti sulla complessa problematica della risarcibilità degli interessi legittimi, v. la pagina di approfondimento.

 

 

per ottenere l'ottemperanza dell'Amministrazione

alla sentenza n.1258/97 del 19 maggio 1997 di questo T.A.R., Sezione I^,

nonché per l’accertamento

<<del diritto della ricorrente al risarcimento dei danni subiti e subendi ai sensi e per gli effetti degli artt. 33 e ss. D.Lgs. 80/98, scaturenti dalla procedura di gara annullata con la sentenza di cui sopra, con conseguente condanna del Comune di Maddaloni al pagamento dei predetti danni nella misura che il Collegio riterrà di ammettere>>.

VISTO il ricorso con i relativi allegati;

VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Maddaloni, con le annesse produzioni;

VISTI gli atti tutti di causa:

UDITI nella pubblica udienza dell’11 aprile 2001 - relatore il Magistrato Dr. Carpentieri – gli avv.ti riportati nel verbale;

RITENUTO e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con atto notificato il 5 aprile 2000 e depositato il successivo giorno 7 la cooperativa Esperia a r.l. ha proposto ricorso ai sensi dell'art. 27 n. 4 del r. d. 26 giugno 1924 n. 1054 per ottenere l'adempimento dell'obbligo del comune di Maddaloni di conformarsi alla sentenza n. 1258/97 del 19 maggio 1997, con la quale questa Sezione aveva annullato la delibera del commissario straordinario del comune di Maddaloni n. 417 del 13 dicembre 1992 di aggiudicazione del servizio quinquennale di nettezza urbana all’a.t.i. Colucci Appalti s.p.a. – Risan s.r.l., in accoglimento del ricorso proposto dall’impresa seconda graduata La Folgore di Luigi Alemagna s.r.l., cedente il ramo d’azienda relativo al servizio di trasporto r.s.u. in favore dell’odierna ricorrente, per la ritenuta assorbente fondatezza del primo motivo di gravame, relativo alla mancata esclusione dell’a.t.i. aggiudicataria, che aveva presentato documentazione in contrasto con le prescrizioni della lettera d’invito.

La società cooperativa Esperia – sul rilievo della già avvenuta esecuzione dell’appalto da parte della ditta aggiudicataria - propone altresì domanda di risarcimento del danno a carico del Comune di Maddaloni, riferendo di aver notificato alla predetta amministrazione comunale, in data 11 febbraio 1998, una richiesta in tal senso per un importo di £. 2.482.800.000.

La società ricorrente assume l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza 1258/97 e, a fronte dell’inerzia serbata dall’ente comunale sulla riferita diffida e messa in mora, domanda l’esecuzione della sentenza 1258/97, <<anche a mezzo di nomina di Commissario ad acta, con conseguente condanna dell’Amministrazione Comunale di Maddaloni al pagamento dei danni in favore della soc. ricorrente da commisurarsi in L. 2.482.500.000 e/o nella diversa maggiore o minor somma che dovesse essere accertata in corso di giudizio con interessi e rivalutazione ai sensi dell’art. 1224 c.c. a far data dall’adozione dell’atto deliberativo n. 417 del 13/12/92 da computarsi sino al momento dell’effettivo soddisfo>>. All’uopo parte ricorrente ha altresì depositato, in uno al ricorso introduttivo, una perizia di parte sulla quantificazione dei danni subiti, già allegata alla diffida notificata al comune resistente nel 1998.

La Segreteria di questo T.A.R. ha dato comunicazione all'Amministrazione intimata in data 2 maggio 2000, ai sensi dell'art. 91, 2° comma, r.d. 642/1907, dell’avvenuto deposito del ricorso.

Il comune di Maddaloni si è costituito ed ha resistito in giudizio concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso ricorso, depositando, tra l’altro, una relazione tecnica volta a contestare le risultanze della perizia di parte ricorrente e a dimostrare l’insussistenza dei danni pretesi dalla cooperativa Esperia.

Alla pubblica udienza dell’11 aprile 2001 la causa è stata quindi chiamata e introitata in decisione.

DIRITTO

La società cooperativa Esperia propone una duplice azione cumulativa: di esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione n. 1258 del 19 maggio 1997 e di risarcimento dei danni (asseritamente) subiti per effetto dell’illegittima aggiudicazione del servizio di nettezza urbana all’a.t.i. controinteressata Colucci - Risan, aggiudicazione poi annullata – su ricorso della impresa dante causa della odierna ricorrente – con la sentenza di questa Sezione n. 1258/97, intervenuta peraltro ad appalto già eseguito.

Ancorché nella sostanza l’oggetto mediato e indiretto della duplice domanda sia il medesimo, ossia la condanna del comune controparte al pagamento di una somma a titolo risarcitorio, nondimeno sul piano formale l’oggetto immediato e diretto della domanda giudiziale risulta ripartito in due distinti capi. La coop. Esperia agisce infatti per l’esecuzione della sentenza n. 1258 del 19/5/97, da un lato, nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente al risarcimento dei danni, dall’altro.

Il comune resistente eccepisce l’inammissibilità di tale domanda cumulativa e richiama la giurisprudenza amministrativa che ha escluso il ricorso all’istituto della conversione allorquando con un unico ricorso vengano prospettate contestualmente questioni che devono formare oggetto di due distinti giudizi, l’uno di ottemperanza, l’altro di cognizione (così Tar Campania, sez. III, 21 luglio 1995 n. 539; id., sez. V, 23 novembre 1999 n. 3006; Cons. St., sez. V, 28 marzo 1998 n. 367; id., 6 aprile 1998 n. 430).

Secondo tale orientamento l’istituto della conversione dell’atto giuridico nullo, modellato sugli articoli 156 c.p.c. e 1424 c.c., postula che l’atto posto in essere sia unico e con una sua ben determinata connotazione; che risulti privo di taluni requisiti sostanziali e/o formali; che possa essere convertito in un atto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, capace di conseguire lo stesso scopo perseguito dal soggetto. Nel caso in esame, invece, non si farebbe questione di mancanza di requisiti del ricorso in ottemperanza (la notifica alla controparte non vizia l’azione, né ne implica dì per sé una diversa qualificazione), ma si pretenderebbe di usare contemporaneamente due strumenti giurisdizionali diversi e di agire contestualmente su due piani tra loro non compatibili (esecuzione e cognizione). Non sarebbe utilizzabile nel presente caso – ha ulteriormente dedotto parte resistente - la tradizionale giurisprudenza (Cons. St., sez. IV, 20 novembre 1998 n. 1615; id., 10 agosto 2000 n. 4459; sez. VI, 27 marzo 2001 n. 1774) che ammette la conversione del ricorso in ottemperanza in un ricorso impugnatorio ordinario allorché l’atto non sia nullo per violazione del giudicato ma annullabile per autonomi profili di illegittimità del successivo riesercizio della funzione. Essa, infatti, muoverebbe dal diverso presupposto, non sussistente nel caso di specie, dell’unicità della domanda di esecuzione formalmente proposta, che può tuttavia utilmente convertirsi in azione ordinaria – ricorrendone i requisiti di sostanza e di forma – ove sia comunque chiaro l’univoco intento dell’attore di ottenere l’eliminazione dal mondo giuridico del nuovo provvedimento dell’amministrazione e cambi solo la ragione giuridica di tale domanda (non più nullità per contrasto col giudicato, ma annullamento per autonoma illegittimità). Nel caso in esame, invece, si avrebbe a che fare con il cumulo in un unico atto di due domande incompatibili.

Il Collegio ritiene che l’esposto indirizzo debba essere riconsiderato, anche alla luce delle innovazioni normative introdotte dalla legge 205 del 2000.

Il Consiglio di Stato ha di recente negato la possibilità che la domanda di risarcimento possa essere per la prima volta formulata in sede di ottemperanza (sez. IV, 1 febbraio 2001 n. 399) affermando la competenza funzionale del giudice della cognizione e negando che le divergenze e le peculiarità del giudizio risarcitorio secondo lo schema dell’articolo 35 del d.lg. 80 del 1998 rispetto a quello civile possano condurre alla traslazione in sede di ottemperanza di tutto il giudizio risarcitorio, indifferentemente per l’an e il quantum. La tesi del Consiglio di Stato sembra tenere conto soprattutto del diverso profilo, che qui non rileva, della difesa del necessario doppio grado di giudizio sulla domanda risarcitoria.

Ritiene il Collegio che la controversia in esame possa essere risolta sotto il diverso profilo della revisione della tradizionale posizione affermativa di una pretesa incompatibilità del cumulo tra domanda di esecuzione del giudicato e domanda di cognizione (nella specie, di risarcimento) e di conseguente ritenuta inoperatività, in tale evenienza, della regola della conversione dell’atto inammissibile in un atto ammissibile che sia equivalente sotto il profilo effettuale.

Ritiene infatti il Collegio che quella incompatibilità quasi ontologica tra azione di esecuzione del giudicato e azione di cognizione, incompatibilità costituente il fondamento assiomatico della pregressa giurisprudenza, risulti superata dopo la legge 205 del 2000.

Il Consiglio di Stato ha di recente negato la possibilità che la domanda di risarcimento possa essere per la prima volta formulata in sede di ottemperanza (sez. IV, 1 febbraio 2001 n. 399) affermando la competenza funzionale del giudice della cognizione e negando che le divergenze e le peculiarità del giudizio risarcitorio secondo lo schema dell’articolo 35 del d.lg. 80 del 1998 rispetto a quello civile possano condurre alla traslazione in sede di ottemperanza di tutto il giudizio risarcitorio, indifferentemente per l’an e il quantum. La tesi del Consiglio di Stato sembra tenere conto soprattutto del diverso profilo, che qui non rileva, della difesa del necessario doppio grado di giudizio sulla domanda risarcitoria.

Deve in primo luogo considerarsi che – a differenza di quanto accade nel rito processuale civile, dove il giudizio di esecuzione, salvi gli incidenti di cognizione, presenta effettivamente una natura oggettivamente diversa e incompatibile rispetto a quello di cognizione – nel giudizio amministrativo l’ottemperanza contiene sempre un nucleo di cognizione (come interpretazione, completamento e precisazione del precetto contenuto nella sentenza di cognizione: Cons. St., ad. plen., 17 gennaio 1997 n. 1; cfr. altresì tutta la giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi ante lege 205/2000 sulla appellabilità delle sentenze di ottemperanza dei Tar), che può essere più ampio di quello originario, essendo suscettibile di estendersi anche al merito.

Tale nucleo è destinato sicuramente ad ampliarsi notevolmente dopo l’attribuzione in via generale al giudice amministrativo, sia in sede di giurisdizione esclusiva che di giurisdizione generale di legittimità, della cognizione di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali (articolo 7, comma 3, della l. 1034 del 1971, come sostituito dall’articolo 35, comma 4 del d.lg. 80 del 1998, nel testo novellato dall’articolo 7 della legge 205 del 2000). L’articolo 35, comma 3, del d.lg. n. 80 assegna alla fase dell’esecuzione la liquidazione del quantum del danno risarcibile, ove le parti non giungano all’accordo sulla base dei criteri forniti dal giudice in base ai quali la p.a. deve proporre in favore dell’avente diritto il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se è vero che tale indicazione dei criteri della proposta risarcitoria è attività che appartiene ancora alla fase di cognizione e non già a quella di esecuzione (come condivisibilmente osservato dal Cons. St., sez. V, 396/2001 cit.), è altresì vero che la determinazione della somma dovuta – rimessa dall’ultimo periodo del comma 2 citato al giudizio di ottemperanza - costituisce pur sempre un’attività di cognizione e non di mera esecuzione, un’attività di cognizione resa particolarmente significativa perché necessariamente diretta a conoscere e a valutare (anche sotto il profilo della colpa) gli svolgimenti successivi del rapporto conseguiti alla pronuncia di cognizione. In tal modo viene rafforzato il legame di tendenziale unitarietà di sviluppo della tutela dalla sua posizione astratta alla sua concreta esecuzione, con una dislocazione, anche nella fase dell’esecuzione, di significativi momenti cognitori.

Il Collegio ritiene che il riesame dell’assioma della inammissibilità di una duplice domanda contestuale di esecuzione di giudicato e di risarcimento del danno trovi spunto e fondamento su di un piano più ampio, che attiene alla considerazione della dinamica progressiva tipica dello svolgimento della tutela giurisdizionale amministrativa, che procede dall’effetto di annullamento e, attraverso l’effetto conformativo-prescrittivo, dovrebbe giungere alla tutela sostanziale della posizione soggettiva lesa (o del "bene della vita" cui tale posizione protetta intende). Tale progressivo dispiegarsi della tutela erogata dalla sentenza di annullamento, che sovente passa attraverso una fase di riesercizio del potere da parte dell’amministrazione, si arricchisce, dopo la legge 205, di un nuovo e importante elemento, il risarcimento del danno, in forma specifica e per equivalente, che richiede di essere collocato coerentemente e organicamente in questa dinamica. Ponendo l’accento sull’elemento unificante, costituito dal medesimo episodio di vita, che fa da legame e da sfondo unitario tra il momento cassatorio-conformativo e quello – eventuale – di riparazione in forma specifica o per equivalente, è agevole pervenire alla conclusione della insussistenza di cause di incompatibilità tra domanda di ottemperanza e domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, traendo entrambe le pretese origine (ancorché attraverso il tramite di diverse fattispecie) dalla stessa lesione di una posizione soggettiva tutelata in relazione a un determinato bene della vita (Tar Campania, Napoli, sez. I, 4 giugno 2000 n. 2627).

L’esigenza di inserire organicamente il risarcimento per equivalente – oggi affidato al g.a. – nella trama sequenziale diacronica della erogazione della tutela giurisdizionale di annullamento, postula una riconsiderazione del rapporto tra ottemperanza e risarcimento del danno per equivalente, non più in termini di incompatibilità, ma di coordinamento.

Tali conclusioni richiedono un ulteriore approfondimento. Nel giudizio amministrativo di annullamento la tutela del ricorrente è affidata in primo luogo – per la natura stessa del rimedio – agli effetti immediati e diretti di natura cassatoria (e di preclusione) e, in via indiretta e mediata, agli effetti ulteriori conformativi del successivo riesercizio del potere. Tale insieme di effetti realizza una particolare forma di tutela ripristinatoria reale della posizione giuridica lesa.

Il risarcimento del danno per equivalente in sede di giurisdizione generale di legittimità assume dunque obiettivamente un ruolo successivo, sussidiario e residuale, cui si può ricorrere se ed in quanto il rimedio ripristinatorio non abbia potuto conseguire risultati satisfattivi (sull’orientamento genetico della giustizia amministrativa a dare priorità logico-giuridica alla restituzione in forma specifica insita nell’annullamento, cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, 23 gennaio 2001 n. 189, Tar Lombardia, Milano, sez. II, 30 ottobre 2000 n. 6165; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 15 gennaio 2001 n. 30; Tar Piemonte, sez. II, 21 gennaio 1999 n. 17; Tar Calabria, Reggio Calabria, 12 maggio 1999 n. 617; Tar Friuli Venezia Giulia 26 luglio 1999 n. 903). In taluni casi è ben possibile che, già al momento della pronuncia della sentenza di annullamento, risulti chiaramente che non è più utile per il ricorrente il riesercizio conforme a diritto della funzione. In tali evenienze – sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi – il giudice amministrativo potrà immediatamente accogliere la domanda di risarcimento del danno per equivalente. Ma in molti altri casi (sempre più frequenti anche per effetto del rito accelerato di cui all’articolo 23 bis legge Tar) il giudice della cognizione non è in grado di prevedere già all’atto dell’annullamento se ed in che misura l’ottemperanza che eventualmente verrà assicurata dall’amministrazione alla sentenza potrà effettivamente ripristinare in forma specifica la situazione soggettiva lesa. In tali casi si pone la questione di quali strade possa percorrere la parte che ha ragione quando solo dopo la sentenza di annullamento, e a fronte del fallimento della fase ripristinatoria reale, si attualizza la possibilità e l’esigenza di praticare la via del risarcimento del danno. Tale via deve ritenersi in realtà percorribile (salvi i limiti prescrizionali) sia quando nessuna domanda risarcitoria sia stata proposta in sede di azione di annullamento, sia quando tale domanda sia stata rigettata allo stato degli atti dal giudice della cognizione, allorché possano utilmente addursi fatti nuovi sopravvenuti integrativi dell’autonoma fattispecie di illecito della p.a. (costituiti o corroborati, ad esempio, proprio dall’inottemperanza opposta al giudicato di annullamento).

Emerge, dunque, l’esigenza di un ripensamento del rapporto tra ottemperanza e risarcimento del danno, che lungi dal porsi come rimedi collocati su piani non comunicanti e tra loro opposti, tendono necessariamente a coniugarsi nell’unitaria ricerca di una risposta satisfattiva a quella che si presenta come un’unica domanda di giustizia avanzata della parte che ha regione. Tale unitarietà di fondo delle posizioni è esaltata dalla riforma del 2000. Anteriormente alla legge 205 (e nei limiti in cui si ammetteva il risarcimento di interessi legittimi oppositivi o di interessi pretensivi nelle forme dell’articolo 13 della legge 142 del 1992), il ricorrente che aveva ottenuto dal giudice amministrativo l’annullamento dell’atto illegittimo doveva poi rivolgersi al giudice ordinario per conseguire anche il risarcimento del danno (cd. "tutela sdoppiata"). Adesso il ricorrente può già in sede di impugnazione dell’atto illegittimo domandare al giudice amministrativo, nello stesso ricorso introduttivo, il risarcimento del danno patito e, se non lo ha fatto, potrà sempre avanzare tale domanda, nei limiti della prescrizione (previo annullamento su tempestiva impugnativa dell’atto), con un’autonoma azione successiva, spettante alla piena giurisdizione dello stesso giudice amministrativo (articolo 7, comma 3, nuovo testo legge Tar). La probabile e frequente evenienza che la fattispecie di illecito ascrivibile alla p.a. – fonte del diritto risarcitorio – si venga medio tempore a completare ed arricchire (per l’inottemperanza prestata dall’amministrazione) e la circostanza che una siffatta azione risarcitoria successiva costituisce il completamento di un itinerario di tutela del medesimo, unitario episodio di vita, devono indurre l’interprete, secondo un criterio di effettività della tutela, a scartare soluzioni processuali formalistiche che si traducano in un sostanziale diniego di giustizia per la parte ricorrente, e a privilegiare soluzioni ermeneutiche capaci di adeguare il piano formale a quello sostanziale (tale indirizzo interpretativo è sviluppato anche nel citato Tar Milano, sez. II, 6165/2000).

A fronte dell’evolversi di circostanze di fatto e di diritto non attuali e non prevedibili al momento della sentenza di annullamento, è ben possibile che il combinato disposto dell’effetto caducatorio e di quello conformativo non sortiscano un risultato finale di piena soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente vincitore e ciò a causa del carattere elastico, incompleto e condizionato dell’effetto conformativo del giudicato amministrativo di annullamento, sia in relazione a fatti e atti imputabili all’amministrazione che, ad esempio, non esegua compiutamente o correttamente il giudicato, sia per fatti ad essa non imputabili, consistenti nel sopravvenuto mutamento del quadro di riferimento sostanziale e giuridico formale. In tali evenienze è ragionevole, nel nuovo contesto della legge 205 del 2000, ritenere che il ricorrente possa richiedere gli opportuni approfondimenti cognitori e di condanna proponendo domanda contestuale di ottemperanza e di risarcimento del danno al giudice che ha pronunziato la sentenza di annullamento e che ha dato la norma agendi, ricorrendo in giudizio con un unico atto, sia in vista della tradizionale ottemperanza in forma specifica sia per l’alternativa (in tutto o in parte) condanna al risarcimento del danno.

Non si comprendono dunque le eccepite ragioni di incompatibilità di un possibile cumulo tra domanda di esecuzione e domanda di risarcimento del danno allorché, come è evidente nel caso in esame, la parte ricorrente, deducendo un unico e medesimo episodio di vita, chieda nella sostanza il completamento, su di un piano di effettività, della tutela giurisdizionale non satisfattivamente assicuratagli dal solo effetto caducatorio già vittoriosamente conseguito in sede di azione di annullamento.

Non è infine senza rilievo un ulteriore profilo, che verrà approfondito più opportunamente circa la questione della determinazione del termine iniziale di prescrizione del diritto al risarcimento: la sentenza di annullamento – qui invocata dalla società ricorrente – si pone come elemento determinante ai fini della effettiva operatività del diritto risarcitorio, che non era esercitabile anteriormente all’effetto di annullamento dell’atto amministrativo.

Concludendo sul punto, la domanda di accertamento <<del diritto della ricorrente al risarcimento dei danni subiti e subendi ai sensi e per gli effetti degli artt. 33 e ss. D.Lgs. 80/98, scaturenti dalla procedura di gara annullata con la sentenza di cui sopra, con conseguente condanna del Comune di Maddaloni al pagamento dei predetti danni nella misura che il Collegio riterrà di ammettere>>, proposta dalla società ricorrente, deve dunque dichiararsi ammissibile cumulativamente con la domanda alternativa di esecuzione del giudicato formatosi sulla decisione di questa Sezione n. 1285 del 1997.

E va anche soggiunto che la inestricabile connessione fra le due domande e la logica precedenza di quella relativa all’esecuzione in forma specifica impongono di ritenere che solo il giudice dell’ottemperanza, con i suoi ampi poteri di cognizione anche nel merito, sia in grado di sciogliere l’alternativa tra la via ripristinatoria dell’esecuzione in forma specifica – se ancora possibile – e quella risarcitoria per equivalente, nel caso in cui la prosecuzione dell’azione amministrativa abbia ormai impedito la prima strada.

Al riguardo il comune resistente eccepisce la prescrizione. Ai fini dell’esame di tale eccezione occorre stabilire la natura della fattispecie di responsabilità di cui si controverte.

Sul punto il Collegio esclude la configurabilità, nel caso in esame, di un titolo di responsabilità contrattuale (nessuna obbligazione potendo sorgere nel rapporto con il mero partecipante alla gara e, peraltro, prima della conclusione della procedura) e aderisce all’opinione prevalente che tende a inquadrare (pur con innegabili peculiarità ) nello schema dell’articolo 2043 c.c. fattispecie di responsabilità, quale quella in esame, discendenti dalla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico per effetto di illegittimità intervenute nella procedura selettiva. Su tale configurazione si registra un indirizzo prevalente della giurisprudenza amministrativa sinora edita (Tar Sicilia, Catania, sez. II, 12 agosto 2000 n. 1559), in linea con l’orientamento del giudice ordinario nella vigenza dell’articolo 13 della legge 142 del 1992 (Cass., ss.uu., 26 maggio 1997 n. 4673; sez. III, 3 luglio 1997 n. 5995; 6 ottobre 1993 n. 9892). Non mancano alcune indicazioni nel senso della natura precontrattuale della responsabilità (da ultimo Tar Puglia, Bari, sez. I, 17 maggio 2001 n. 1761), ma la questione è irrilevante nel caso in esame, attesa l’identità di regime – agli effetti che qui rilevano – delle due specie di responsabilità (Cass., sez. I, 29 aprile 1999 n. 4299; 30 agosto 1995 n. 9157).

Ne consegue che, anche a voler prescindere dall’esatta qualificazione del titolo di responsabilità rilevante nella fattispecie, se precontrattuale o extracontrattuale, è certo che il termine prescrizionale applicabile al caso in esame è quello di cinque anni ex articolo 2947, comma 1, c.c..

Ciò posto, deve ora stabilirsi quale sia il dies a quo di tale termine quinquennale: se esso decorra dal verificarsi del fatto lesivo (data della aggiudicazione alla controparte: 31 dicembre 1992) – nel qual caso tale termine sarebbe ormai ampiamente trascorso rispetto alla data di notifica del ricorso (5 aprile 2000), con conseguente estinzione del diritto fatto valere – o se, viceversa, il termine iniziale debba individuarsi nella data di annullamento dell’atto di aggiudicazione illegittimo (nella data di pubblicazione della sentenza esecutiva, indipendentemente dal formarsi su di essa del giudicato: l’articolo 13, comma 2, della allora vigente legge 142 del 1992 stabiliva infatti che la domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l'annullamento dell'atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo e non richiedeva il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che, come è noto, è immediatamente esecutiva).

È in tale secondo senso che si forma il convincimento di questo giudice.

Occorre infatti considerare che – come è opinione prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza amministrativa che si è sinora pronunciata sul tema (Tar Campania, Napoli, sez. I, 8 febbraio 2001 n. 603; Tar Lombardia, Milano, sez. II, n. 6165/2000 cit.; Tar Toscana, sez. III, 27 ottobre 2000 n. 2212; Tar Friuli Venezia Giulia, 26 luglio 1999 n. 903) – l’affermazione (prima giurisprudenziale: Cass., ss.uu., 500/1999; poi normativa: articolo 7 legge 205/2000) della risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo conseguente all’atto illegittimo non implica il superamento della tradizionale e fondamentale regola, già sussistente nel previgente regime della cd. "tutela sdoppiata" e riaffermato dal citato articolo 13, comma 2, della legge 142 del 1992, della necessità del previo annullamento dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice amministrativo. Di più: svolgendo ulteriormente lo spunto già affermato da questa Sezione nella citata sentenza 603/2001 di questa Sezione, deve affermarsi che – in linea generale - il risarcimento del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo pretensivo per effetto di un atto illegittimo di diniego è possibile solo se e nella misura in cui la sentenza del giudice amministrativo di annullamento del diniego abbia accertato la fondatezza della pretesa e abbia in tal modo stabilito un vincolo al riesercizio del potere amministrativo in senso favorevole al ricorrente.

La nota pronuncia delle ss.uu. della Cassazione n. 500 del 1999 ha infatti chiarito che potrà affermarsi la risarcibilità dell’interesse legittimo pretensivo soltanto se l’attività illegittima della p.a. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, precisando inoltre che la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della p.a., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla. In particolare, ha aggiunto condivisibilmente la Cassazione, circa gli interessi pretensivi . . . dovrà vagliarsi la consistenza della protezione che l'ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta. Tale indicazione, nel senso della necessità, ai fini della risarcibilità dell’interesse pretensivo, della sussistenza di un quid pluris del mero interesse alla legittimità dell’azione amministrativa, sotto forma di uno speciale collegamento attuale con il bene della vita avuto di mira (risarcibilità dei soli interessi pretensivi prognosticamente fondati, o "finali", o "a risultato garantito", per usare alcune locuzioni indicate dalla più recente dottrina, aventi la consistenza almeno di una aspettativa qualificata al conseguimento del bene della vita avuto di mira), è stata condivisa dalla maggioranza delle prime pronunce rese sul tema dal giudice amministrativo (Tar Puglia, Lecce, sez. II, 6 novembre 1999 n. 769; id., Bari, sez. II, 1 ottobre 1999 n. 577; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 23 dicembre 1999 n. 5049; id., sez. II, 30 ottobre 2000 n. 6165; id., Brescia, 14 gennaio 2000 n. 8; Tar Toscana, sez. III, 27 ottobre 2000 n. 2212; Tar Basilicata, 29 gennaio 2001 n. 96). Tale impostazione, giova peraltro rilevare per compiutezza espositiva, è da considerarsi come orientamento di massima, valido in linea generale, ma non preclude a priori la possibilità, nei singoli casi concreti, di ravvisare una lesione risarcibile per equivalente anche nella mera perdita di chance legata all’ingiusta esclusione dalla gara, pur nell’impossibilità di un giudizio prognostico certo sulla conseguibilità dell’aggiudicazione, allorquando possa ritenersi comunque sussistente per la impresa esclusa almeno una rilevante possibilità di vittoria, valendo tale rilevante possibilità a concretare il presupposto della effettività e della rilevanza patrimoniale della perdita di chance sofferta, necessario ai fini della risarcibilità (cfr. per tale linea argomentativa Tar Lombardia, Milano, sez. III, 6 novembre 2000 n. 6260; Tar Toscana, sez. I, 21 ottobre 1999 n. 766).

Tale impostazione merita adesione poiché colloca la risarcibilità ex art. 2043 dell’interesse pretensivo al momento in cui il bene della vita avuto di mira viene ad orbitare nella sfera giuridica dell’istante, di modo che diviene possibile configurare quella lesione all’integrità patrimoniale che giustamente la citata sentenza 500 del 1999 delle sezioni unite della Cassazione ha indicato quale presupposto sostanziale indefettibile per la pretesa risarcitoria. A ben vedere l’affermata risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo pretensivo non è altro che il completamento di quell’iter di progressiva estensione dell’area della risarcibilità nel caso di illegittimo esercizio della funzione pubblica descritta dalla Cassazione in termini di riconduzione nell’area del diritto soggettivo, quanto al tipo di tutela accordata, di situazioni giuridiche formalmente configurate in termini di interessi legittimi (mediante operazioni di trasfigurazione di alcune figure di interesse legittimo in diritti soggettivi), in un quadro dinamico e fluido in cui la medesima posizione soggettiva – caratterizzata da una particolare intenzione-relazione con un bene della vita – varia di connotazione a seconda delle vicende di confronto con il potere amministrativo cui è sottoposta: così il diritto affievolito diviene interesse legittimo oppositivo per poi riespandersi in diritto soggettivo pieno e risarcibile a seguito dell’annullamento dell’atto ablatorio da parte del g.a.. Alla stessa stregua, la risarcibilità dell’interesse legittimo pretensivo è subordinata all’espansione di tale posizione determinata dal contenuto di accertamento di fondatezza della pretesa insito nella sentenza di annullamento del g.a.. Tale sentenza di annullamento, facendo venire meno il peso dell’atto autoritativo che comprimeva la posizione soggettiva, ne determina l’espansione e la promuove al rango di situazione soggettiva equiparata, quanto agli effetti di tutela, a un diritto soggettivo capace di risarcimento (in quanto illegittimamente impedito e non riconosciuto dall’atto amministrativo negativo, che ha illegittimamente negato il chiesto provvedimento ampliativo).

Discende da tale ricostruzione che la sentenza del g.a. di annullamento è dunque precondizione di esercizio della situazione soggettiva risarcibile.

Ne consegue che il diritto risarcitorio azionato dalla s.r.l. Esperia rinviene il proprio presupposto di eseguibilità nella sentenza di annullamento e il termine di prescrizione non può pertanto che prendere avvio dalla data di esecutività di tale sentenza, nella logica della previsione dell’articolo 2935 c.c. secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (contra non valentem agere non currit praescriptio).

L’eccezione di prescrizione si palesa dunque infondata.

Nel merito, la domanda risarcitoria deve giudicarsi fondata nell’an, salvo il ricorso allo speciale strumento determinativo di cui all’articolo 35, comma 2, del d.lg. 80/1998 per la definizione del quantum.

In ordine all’an debeatur, ritiene il Collegio che la sentenza di annullamento della illegittima aggiudicazione dell’appalto ad altra società abbia effettivamente accertato la fondatezza della pretesa della allora ricorrente (dante causa della Esperia s.r.l.) al conseguimento dell’appalto, di talché sussista nella fattispecie quel diretto collegamento tra l’illegittimità posta in essere dall’amministrazione intimata (illegittima ammissione alla gara dell’impresa poi aggiudicataria) e la pretesa rivolta al conseguimento del bene della vita (appalto) che ha costituito il sostrato sostanziale dell’interesse processuale della impresa ricorrente e che rende risarcibile la lesione subita dall’interesse pretensivo rimasto insoddisfatto.

Come già anticipato supra, a proposito delle individuazione del termine di decorrenza della prescrizione, non tutte le sentenze di annullamento di atti sfavorevoli della p.a. danno ingresso alla risarcibilità dell’interesse pretensivo insoddisfatto.

Sicuramente conducono alla risarcibilità dell’interesse pretensivo leso le sentenze che – contenendo un accertamento della accoglibilità della pretesa - riducono o eliminano del tutto l’interposizione del potere amministrativo tra la istanza del soggetto e il bene della vita perseguito, ponendo quest’ultimo all’interno del patrimonio risarcibile del soggetto. Non danno invece luogo a risarcimento del danno per equivalente le sentenze di annullamento che si limitino ad attribuire un mero interesse procedurale al riesercizio della funzione discrezionale. In generale, non può escludersi la possibilità di una responsabilità per lesione dell’affidamento e per condotta della p.a. contraria alla buona fede nelle trattative (responsabilità precontrattuale). Ma tale ipotesi non rileva nella presente sede, nella quale, invece, viene in evidenza un caso di implicito accertamento della fondatezza della pretesa della ricorrente di conseguire l’aggiudicazione dell’appalto, alla stregua di quel criterio prognostico sugli sviluppi attesi di un riesercizio legittimo della funzione indicato già dalle ss.uu della Cassazione come metodo di verifica in concreto della risarcibilità per equivalente dell’interesse pretensivo leso. Tale criterio consiste nell’ipotizzare quale sarebbe stata la posizione giuridica del ricorrente nel caso in cui l’amministrazione avesse adottato un atto conforme alla prescrizione scaturente dalla sentenza di annullamento.

Nel caso in esame, effettivamente, se l’amministrazione non avesse commesso l’illegittimità sanzionata dalla sentenza (se cioè avesse escluso il primo graduato), l’impresa Esperia (recte: la sua dante causa) si sarebbe verosimilmente resa aggiudicataria dell’appalto. In tal senso la Sezione ha già avuto modo di prendere posizione nella sentenza 6 aprile 2001 n. 1584 osservando appalto pubblico di servizi, in caso di annullamento dell’aggiudicazione su ricorso della seconda graduata per motivi che determinano l’esclusione dell’offerta vincitrice, deve giudicarsi fondata la domanda risarcitoria proposta dall’impresa ricorrente sussistendo, in tale evenienza, il requisito della certezza del danno (poiché la ricorrente diverrebbe la naturale aggiudicataria) e il presupposto di una diminuzione patrimoniale certa e concreta in capo alla ricorrente (se e nei limiti in cui non sia più possibile una esecuzione in forma specifica).che in materia di impugnazione di atti della procedura di evidenza pubblica per un

La società ricorrente ha dunque diritto a ottenere un adeguato risarcimento del danno patito.

Né vale a scalzare tale argomentazione la difesa di parte resistente intesa a sostenere che, alla luce della gestione fallimentare dell’appalto da parte dell’impresa aggiudicataria, nessun danno sarebbe derivato alla ricorrente per effetto della mancata attribuzione della commessa, posto che nessun utile si sarebbe potuto trarre da essa, a causa della sopravvenienza di fatti materiali e giuridici introduttivi di extracosti non sopportabili nell’economia dell’offerta.

Ritiene il Collegio che siffatte considerazioni a posteriori addotte dal comune resistente pecchino di eccessiva ipoteticità e introducano criteri di giudizio non validamente utilizzabili perché privi di idonea verificabilità. Il sillogismo svolto dalla esposta tesi difensiva si basa sulla premessa minore secondo cui la sorte della gestione Esperia sarebbe stata necessariamente la stessa di quella effettivamente svolta dal gestore incaricato; ma tale premessa è priva di fondamento empirico e si basa su un’ipotesi soggettiva indimostrabile ed insuscettibile di riscontro oggettivo. Può invero opporsi altrettanto plausibilmente a tale ipotesi la considerazione che la ricorrente avrebbe potuto validamente apprestare mezzi idonei ad assorbire gli extracosti verificatisi, oppure avrebbe potuto agire nelle sedi pertinenti per ottenere riparametrazioni del rapporto e rimedi atti a rimuovere lo squilibrio economico sopravvenuto. Tutto ciò, come è evidente, resta inevitabilmente affidato ad acrobazie ipotetiche inidonee a servire utilmente nella presente sede, donde la dimostrata inutilità delle argomentazioni difensive di parte comunale.

In ordine all’elemento soggettivo della colpa – che è elemento costitutivo necessario della fattispecie di responsabilità ex articolo 2043 c.c. – ritiene il Collegio che, pur dovendosi escludere ogni automatismo tra illegittimità dell’atto e illiceità della condotta della p.a. (e senza dunque voler seguire orientamenti più severi manifestati da taluna giurisprudenza: ad es., di recente, Tar Milano, sez. III, 5 giugno 2001 n. 4215 che ha affermato essere oltremodo difficile ipotizzare condotte illegittime della p.a. che non sia anche colpose, posto che la colpa si definisce come negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di leggi, di regolamenti, ordini e discipline), vi sono ipotesi nelle quali la specie e l’entità dell’illegittimità autorizzano un ragionevole convincimento nel senso dell’intrinseca colposità dei comportamenti e degli atti che quella notevole illegittimità hanno cagionato.

E tale si palesa, ad avviso del Collegio, la fattispecie di cui si discute. Nel caso in esame, infatti, l’entità del vizio di illegittimità riscontrato nell’azione amministrativa dalla sentenza di annullamento n. 1258 del 1997 (avvenuta presentazione da parte dell’allora aggiudicataria a.t.i. Colucci Appalti s.p.a. – Risan s.r.l. dell’atto costitutivo di una società diversa dalla Colucci Appalti s.p.a., sia per la denominazione che per il tipo sociale, e con un oggetto sociale non corrispondente all’attività cui si riferiva l’appalto da aggiudicare) dimostra adeguatamente la rilevante negligenza e imperizia dimostrata dalla stazione appaltante, per il tramite dei propri organi amministrativi e dei propri funzionari, nella gestione della procedura selettiva, idonea a integrare il presupposto di imputabilità a titolo di colpa della condotta causativa di danno.

Circa il quantum, disattese le richieste istruttorie e di consulenza tecnica che, ad avviso del Collegio, condurrebbero ad uno sterile aggravio e prolungamento del contenzioso, il Collegio ritiene utile – per ragioni di efficacia e di speditezza - fare ricorso all’innovativo strumento apprestato dall’articolo 35, comma 2, del d.lg. 80 del 1998, in forza del quale il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine, con rinvio alla eventuale fase dell’ottemperanza (ulteriore) per la determinazione della somma dovuta nel caso in cui le parti non giungono ad un accordo. Nel caso di specie, infatti, si ravvisa la carenza di elementi di riferimento certi ai fini della quantificazione del danno e si profila la necessità di fare ricorso a criteri equitativi di liquidazione, donde l’appropriatezza dell’uso del suindicato strumento processuale (Tar Lombardia, Milano, sez. III, 6 novembre 2000 n. 6260).

Il Collegio reputa equo e conforme a diritto definire il criterio di quantificazione del danno risarcibile – che l’amministrazione intimata dovrà assumere a base della propria proposta - nella somma corrispondente all’utile presuntivo medio del 10% sull’importo dell’offerta (arg. ex articolo 20 d.m. 29 maggio 1895 recante il regolamento per la compilazione dei progetti di opere dello Stato), ovvero nella somma – se inferiore - corrispondente all’utile che la dante causa della odierna ricorrente Esperia avrebbe ritratto dall’appalto se lo avesse eseguito alle condizioni contenute nella propria offerta economica.

In tal senso, a termini dell’articolo 35, comma 2, del d.lg. 80/1998, l’amministrazione convenuta dovrà proporre alla Esperia s.r.l., entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o dalla notifica di essa, se anteriore, il pagamento di una somma stabilita in base al criterio sopra indicato, entro il successivo termine congruo di giorni 30 (trenta). Se le parti non dovessero giungere ad un accordo, si provvederà in sede di ottemperanza, ai sensi dell'articolo 27, primo comma, n. 4, del testo unico approvato col regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, alla determinazione della somma dovuta.

La novità delle questioni affrontate costituisce giusto motivo per la integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE I^, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara il diritto della società ricorrente al risarcimento dei danni subiti per effetto delle illegittimità poste in essere dall’amministrazione nel corso della procedura di gara annullata con la sentenza di questa sezione n.1258/97 del 19 maggio 1997;

ai fini della quantificazione del danno da risarcirsi, ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del d.lg. 80/1998, ordina al comune di Maddaloni, in persona del suo legale rapp.te p.t., di proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma di danaro da stabilirsi in applicazione dei criteri stabiliti nella motivazione della presente decisione, entro il congruo termine pure ivi specificato.

Spese compensate.

Così deciso in Napoli nelle Camere di Consiglio dell’11 aprile e del 19 settembre 2001.

Il Presidente

Il Relatore

Depositata il 4 ottobre 2001.

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