TAR SICILIA-CATANIA, SEZ. I – Sentenza 22 agosto 2001 n. 1490 – Pres. ff. Salamone, Est. Pulitati – CO.GE.G.A.M. (Avv. Librizzi) c. Prefettura di Messina (Avv.ra Stato), Monatti S.p.A. (Avv.ti Dichiara e De Luca) ed altri (n.c.).
1. Contratti della P.A. - Certificato antimafia - Obbligo della Prefettura di aggiornare d'ufficio i dati in suo possesso - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Colpa della P.A. - Sussiste quando la violazione della norma sia intervenuta nonostante la sua chiarezza ed in assenza di difformi orientamenti giurisprudenziali.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Illegittima comunicazione antimafia non aggiornata - Che ha dato luogo alla risoluzione di un contratto di appalto - Ammontare del risarcimento - Va individuato in misura pari all’utile presunto (10% dell’importo del contratto).
1. L’art. 10, comma 8°, D.P.R. n. 252/1993 impone alla Prefettura l'obbligo di aggiornamento delle informazioni in suo possesso al venir meno delle situazioni di fatto rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione maliosa, in modo da assicurare in ogni momento la rispondenza delle stesse alla realtà attuale; quello previsto dalla norma in questione costituisce un obbligo di carattere generale, ricadente sull'ufficio pubblico a regime e che quindi non si inserisce necessariamente nell'ambito del singolo procedimento a seguito della specifica richiesta di una determinata stazione appaltante (1). Il dovere di aggiornare d'ufficio i dati in suo possesso comporta che la Prefettura debba costantemente vigilare sulla completezza ed attualità delle informazioni acquisite, disponendo ogni indagine istruttoria a tal fine (2).
2. Ai fini di riconoscere il risarcimento dei danni conseguenti all’adozione di un provvedimento illegittimo, deve ritenersi che la colpa dell'Amministrazione sussista non semplicemente allorché sia violata una regola posta con norma di legge o regolamento che l'Amministrazione è tenuta ad osservare, ma quando la detta violazione sia stata commessa nonostante la chiarezza della norma da applicare e l'assenza di contrasti giurisprudenziali o di atti interni interpretativi (2).
3. Nel caso in cui sia stata violata la norma di cui all'art. 10, comma 8, del d.p.r. 252/1998 (che impone con chiarezza e senza equivoci alla Prefettura il rilascio di informazioni antimafia attuali ed aggiornate) e tale violazione abbia cagionato un danno ingiusto all’interessato (nella specie, la risoluzione di un contratto di appalto) non risarcibile in forma specifica, il danno stesso va determinato tenendo conto del valore del contratto risolto e della percentuale di utile presunto (pari al 10%, applicando analogicamente l'art. 345 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F).
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(1) TAR Lazio, Sez. III, 18 maggio 2000 n. 4061.
Ha aggiunto il TAR Catania che la facoltà dell'impresa di richiedere l'aggiornamento, prevista dalla stessa norma, sussiste solo per quei fatti o situazioni già verificatisi alla data di emanazione dell'informativa negativa, secondo la regola tempus regit actum: "trattandosi di sollecitare lo jus poenitendi dell'Amministrazione non lo si può fare che dimostrando l'erroneo convincimento che essa si è formata” “in caso contrario gli elementi addotti avranno effetti solo de futuro" (TAR Lazio, III, 4051/2000 cit.). Egualmente dicasi per l'adempimento dell'obbligo di aggiornamento d'ufficio: i fatti anteriori all'adozione del provvedimento sfavorevole, non conosciuti al momento dell'adozione del provvedimento, potrebbero rilevare ai fini di un successivo annullamento d'ufficio ed esplicare effetti sulla medesima gara.
(2) Alla stregua del principio è stata ritenuta illegittima la nota impugnata, con la quale la Prefettura di Messina aveva dichiarato si essere temporaneamente nella impossibilità di rilasciare l'informazione antimafia, atteso che era stata violata il richiamato art. 10, comma 8°, D.P.R. n. 252/1993 “non avendo il Prefetto reso un'informazione aggiornata, all'epoca di adozione del diniego impugnato, né provveduto successivamente a valutare le circostanze sopravvenute influenti il precedente diniego”.
(3) TAR Lombardia-Milano, Sez. III, 6 novembre 2000, n. 6260.
per l'annullamento
1) Della nota prefettizia 20 maggio 2000 n. 1511/UA Cab. Prot., ove occorra degli allegati alla predetta nota nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10; della nota a firma del Presidente del Consorzio per le Autostrade siciliane 4 novembre 1999 n. 19234 prot.; della nota prefettizia 12 novembre 1999 n. 1511/UA/Gab; delle note del Comando regione Carabinieri Sicilia - Comandò Provinciale di Messina 4.12.1599 n. 200450/1-4 prot. e "3 aprile 1998 n. 177716/2-9-P prot.; delle note della Guardia di Finanza - Comando Nucleo Polizia Tributaria di Messina 4.2.2000 n. 1617/GICO/396 prot.; 14.1.2000 n. 420/GICO/396 prot.: 13.1.2000, n. 337/GICO/396 prot.; 13.1.2000 n. 338/GICO/396 prot; delle note prefettizie 14.12.1999 n. 1511/UA/Gab; 14.11.1997 n. 2139/UA/Gab.; 28.8.1999 n. 696/UA/Gab; 22 luglio 1995 n. 2139/UA/Gab.; 10.9.1999 n. 2139/UA/Gab; 2.2.2000 n. 1511/UA/Gab.;
2) di tutti gli atti connessi e conseguenziali;
(omissis)
FATTO
La ricorrente società in data 29 maggio 1999 stipulava con la Bonetti Sp.A un contratto di 'fornitura di beni e servizi avente ad oggetto "la confezione di calcestruzzi, tramite idoneo impianto di betonaggio, compresa la gestione dell'impianto di betonaggio stesso, la fornitura di isonea miscela di inerti ed il trasporto franco cantiere del calcestruzzo preconfezionato, occorrenti per la realizzazione delle opere in conglomerato cementizio e non, da effettuarsi nell'ambito del cantiere della costruenda autostrada Messina-Palermo, sito nella zona di Castel di Tusa-lotto 28 ter "Halaesa”.
Senonchè la ditta Bonatti S.p.A. comunicava alla ricorrente l'ordine di servizio n. 38 del 3.4.2000 con cui la Technital-Direzione lavori "preso atto della racc. prot. 5479/DG del 27 marzo 2000 del Consorzio per le Autostrade siciliane con la quale viene comunicato che "allo stato attuale non riesce possibile rilasciare la richiesta informazione antimafia nei confronti della ditta CO.GE.G.A.M. s.r.l., ordina di sospendere immediatamente qualsiasi attività di cantiere riguardante la ditta predetta con l'allontanamento dal cantiere stesso di mezzi e personale della medesima e, conseguentemente lo eseguiva.
Col ricorso in esame viene impugnato il provvedimento prefettizio in epigrafe e dedotti i seguenti motivi:
1. Violazione e falsa applicazione della l. 31.5.1965 n. 575, della 1. 17.1.1994, n. 47, del D.Lgs. 8.8.1994, n. 490, del D.P.R. 3.6.1998, n. 252 e dell'art. 3 1. 7.8.1990, n. 241, sotto il profilo della mancata e/o erronea rappresentazione e/o indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione della P.A., in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
Nel provvedimento prefettizio viene prospettata una "temporanea" e immotivata impossibilità di rilasciare l'informazione antimafia in questione. La normativa in materia invece prevede espressamente le modalità e i termini per l'acquisizione delle informazioni del Prefetto, assegnando allo stesso termini perentori, prorogabili solo quando le verifiche siano di particolare complessità. Nonostante siano trascorsi i predetti termini, il Prefetto si è limitato ad adottare un provvedimento meramente soprassessorio.
Per contro dal certificato di iscrizione alla C.C.I.A.A. di Messina risulta che per la società ricorrente "nulla osta ai fini dell'art. 10 della l. 31.5.1965 n. 575 e successive modificazioni e che la presente certificazione è emessa dalla C.C.I.A.A. utilizzando il collegamento telematico con il sistema informativo utilizzato dalla Prefettura di Roma.". 2. Illegittimità derivata.
I provvedimenti adottati dalla Technital-Direzione Lavori sono affetti in via derivata dai medesimi vizi.
La ricorrente, propone, infine, domanda di risarcimento dei danni ingiustamente causati dal comportamento dell'Amministrazione, ai sensi degli artt. 34 e 35 D.Lgs n. 80/1998.
Con atto notificato in data 23 giugno 2000, sono stati proposti motivi aggiunti, a seguito del deposito di etti da parte dell'Avvocatura dello Stato costituitasi in giudizio il 26 maggio 2000.
Deduce la ricorrente, ad integrazione del primo motivo di ricorso, che in nessuno degli atti dell'istruttoria depositati viene dimostrato, documentato, accertato, riscontrato e spiegato come e in che termini la Sig.ra Giovanna Di Dino amministratore unico della Co.GE.G.A.M. sia stata indirizzata, o determinata dall'attività del cognato Antonino La Monica, "tratto in arresto in quanto indagato per estorsione ed associazione a delinquere di stampo mafioso”. Inoltre, non può configurarsi come indizio di mafiosità il fatto che “medesimi sono la sede, l'oggetto dell'attività, il numero dei soci, le cui attribuzioni e cariche societarie sono ripartite in modo simmetrico fra i componenti di nuclei familiari legati da vincoli di parentela”.
La documentazione prefettizia versata in atti non è aggiornata, nonostante l'obbligo di cui all'art. 10 del D.P.R. 3.6.1998, n. 252, di "aggiornare l'esito delle informazioni al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa".
Infatti, il Tribunale per la Libertà di Palermo, l’11.8.1999, solo dopo 15 giorni dall'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del Sig. Antonino La Monica (datata 24 luglio 1999), ne ha disposto l'annullamento con la seguente motivazione: "Deve annullarsi l'ordinanza impugnata, ritenendosi carente il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza a carico di La Monica Antonino in ordine al reato contestategli".
Identico il tenore dell'ordinanza adottata il 9 agosto 1999 dal Tribunale della Libertà di Messina.
Allo stato, né nei confronti dell'Amministratore unico della CO.GE-G.A.M., né nei confronti del Sig. Antonino La Monica risulta adottato alcuno dei provvedimenti previsti dall'art. 10, comma 7 D.P.R. 252/1998.
Con memoria depositata il 9 maggio 2001, la ricorrente società deduce ulteriormente che con sentenza del 20 dicembre 2000, n. 1820, versata in atti, il Tribunale di Palermo con motivazione “equivocabile ha assolto il Sig. Antonino La Monica “per non avere commesso il fatto”. Ribadisce quindi la violazione dell’art. 10, comma 8°, D.P.R. n. 252/98.
La Prefettura di Messina, costituitasi in giudizio ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di lesione diretta e immediata dell'interesse della ricorrente, nonché l'infondatezza in merito.
Si è costituita in giudizio anche la Bonatti s.p.a. eccependo il difetto di giurisdizione rispetto all'impugnazione della propria nota del 3 aprile 2000 risolutiva del rapporto contrattuale con la CO.GE.G.A.M., nonché l'infondatezza in merito del ricorso medesimo.
Con ordinanza cautelare del 10 luglio 2000 questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare proposta dalla ricorrente; tuttavia, non è stato ripristinato il rapporto contrattuale interrotto a causa del mancato rilascio dell'informazione antimafia.
All'udienza del 22 maggio 2001, il ricorso è trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso merita accoglimento.
Fondato è il motivo col quale si lamenta la violazione dell'art. 10, comma 8°, D.P.R. n. 252/1993. Il settimo comma dell'art. 10 cit. prescrive che, ai fini delle informazioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa siano desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648-bis, 648-ter del c.p. o dall’art. 51, c. 3bis del c.p.p.; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli artt. 2bis, 2ter, 3bis, 3 quater della l. 31.5.1965, n. 575; e) dagli accertamenti disposti dal Prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'Interno, ovvero richiesti ai Prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra Provincia.
Il comma 8° dell'art. 10 cit. consente alla Prefettura di estendere gli accertamenti pure ai soggetti residenti nel territorio dello Stato che risultano poter determinare in qualsiasi modo la scelta o gli indirizzi dell'impresa e, prevede ulteriormente che, anche sulla documentata richiesta dell'interessato, la Prefettura aggiorni l'esito delle informazioni al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa.
Quest'ultima parte dell'8° comma cit. impone alla prefettura l'obbligo di aggiornamento delle informazioni in suo possesso al venir meno delle situazioni di fatto rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione maliosa, in modo da assicurare in ogni momento la rispondenza delle stesse alla realtà attuale. E' stato osservato che trattasi di "un obbligo di carattere generale, ricadente sull'ufficio pubblico a regime e che quindi non si inserisce necessariamente nell'ambito del singolo procedimento (licitativo) a seguito della specifica richiesta di una determinata stazione appaltante'' (TAR Lazio, III, 4061 del 18 maggio 2000).
La norma prevede che l'obbligo di aggiornamento sia adempiuto d'ufficio, dunque, ma consente anche all'impresa interessata, destinataria di notizie non favorevoli, erronee o non più attuali, di sollecitare una rimeditazione della Prefettura, introducendo elementi a sé favorevoli.
Va precisato che la giurisprudenza ha individuato le circostanze rilevanti ai fini dell'esercizio della facoltà dell'impresa di richiedere l'aggiornamento, solo in quei fatti o situazioni già verificatisi alla data di emanazione dell'informativa negativa, secondo la regola tempus regit actum: "trattandosi di sollecitare lo jus poenitendi dell'Amministrazione non lo si può fare che dimostrando l'erroneo convincimento che essa si è formata” “in caso contrario gli elementi addotti avranno effetti solo de futuro" (TAR Lazio, III, 4051/2000 cit.). Egualmente dicasi per l'adempimento dell'obbligo di aggiornamento d'ufficio: i fatti anteriori all'adozione del provvedimento sfavorevole, non conosciuti al momento dell'adozione del provvedimento, potrebbero rilevare ai fini di un successivo annullamento d'ufficio ed esplicare effetti sulla medesima gara.
Osserva, inoltre, il Collegio che il dovere di aggiornare d'ufficio i dati in suo possesso comporta che la Prefettura debba costantemente vigilare sulla completezza ed attualità delle informazioni acquisite, disponendo ogni indagine istruttoria a tal fine.
Nella fattispecie è stata violata la richiamata disposizione non avendo il Prefetto reso un'informazione aggiornata, all'epoca di adozione del diniego impugnato, né provveduto successivamente a valutare le circostanze sopravvenute influenti il precedente diniego.
Il diniego impugnato si è fondato sulle notizie fornite dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina con nota del 4.12.1999 n. 0200450/1-4 "P", nonché sugli ulteriori accertamenti eseguiti su richiesta dei Prefetto dalla Guardia di finanza, Nucleo Polizia Tributaria di Messina Gruppo GICO, di cui alle note del 14.1.2000 n. 420/GICO/396 e 4.2.2000 n. 1617/GICO/ 396 prot.
Dai soprarichiamati atti si rilevava, per un verso, che l’Amministratore Unico dell'impresa ricorrente Di Dino Maria Giovanna risulta cognata di Lamonica Antonino “imprenditore edile tratto in arresto il 28.7.1999 nell'ambito dell'operazione denominala BARBAROSSA in quanto indagato per il reato di cui all'art. 629, commi 1 e 2, 81 cpv e 110 cp e per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Per altro verso, quanto alle relazioni tra l'impresa ricorrente (i cui soci sono oltre a Di Dino Maria Giovanna, Amministratore unico e cognata del predetto Lamonica Antonino, Bruno Anna, madre dello stesso e Spinnato Graziella, di lui moglie) e il medesimo Lamonica Antonino, dal rapporto della Guardia di Finanza emergevano "analogie" tra la società ricorrente e la società “Lamonica Costruzioni s.n.c. di Lamonica Giuseppe e Figli”, per avere, le stesse, sede ubicata nel medesimo luogo, identiche attività, lo stesso numero di soci, attribuzioni e cariche societarie ripartite in modo simmetrico tra i componenti di tre nuclei familiari (e cioè, Bruno Anna e Lamonica Giuseppe, genitori di Lamonica Tindaro, coniugare con Di Dino Maria Giovanna, e Lamonica Antonino, coniugato con Spinnato Graziella). In particolare, riferiva la Guardia di Finanza che l’amministrazione e la rappresentanza legale delle due aziende è stata affidata ad un'unica famiglia, ossia ai coniugi Lamonica. Tindaro e Di Dino Maria Giovanna e che per entrambe le compagini il socio cui è riservato il ruolo preminente è uno dei capofamiglia di origine, cioè Lamonica Giuseppe nell'una e Bruno Anna nell'altra.”.
Tali elementi, dunque, insieme alla circostanza che in passato (il 16.11.1997 e il 28.8.1999) non era stata rilasciata la richiesta certificazione antimafia neppure nei confronti della società "La Monica Costruzioni'', interessata all'aggiudicazione dei lavori di completamento del tratto autostradale A/20, di cui risulta socio il Lamonica Antonino, hanno costituito i presupposti di fatto del provvedimento prefettizio del 2.2.2000, impugnato.
Senonchè, la ricorrente ha dimostrato che alla data di adozione del diniego, le misure di custodia cautelare del predetto Sig. Lamonica Antonino adottate sia dal GIP presso il Tribunale di Palermo (il 24 luglio 1993) che dal GIP presso il Tribunale di Messina (il 28.7.1999), erano state annullate, rispettivamente l’11 e il 9 agosto 1999 dal Tribunale della Libertà.
L'inattualità dei dati valutati dalla Prefettura è pertanto palese.
Va detto, tra l'altro, che le circostanze di fatto esaminate dal Tribunale della Libertà, e le conseguenti considerazioni svolte, se conosciute, avrebbero inciso sicuramente in senso favorevole all'interessato, visto che il Tribunale ha ritenuto carenti i presupposti dell'ordinanza di custodia cautelare dei gravi indizi di colpevolezza a carico di La Monica Antonino in ordine al reato contestatogli, proprio partendo "dall'esame dei contratti stipulati dalla ditta CO.GE.G.A.M. (di cui è legale rappresentante la moglie del fratello del richiedente, ma che in tesi accusatoria sarebbe nelle mani del La Monica Antonino)" e traendone "l'insussistenza della condotta estorsiva contestata proprio ai fini del reato per il quale è stata emessa la misura impugnata, costituita dal sovrapprezzo praticato alle imprese, e nella fattispecie al Consorzio Caronia 1, che veniva versato all'associazione mafiosa e che costituiva proprio quel contributo determinante in cui va individuato l'elemento costitutivo del reato di concorso esterno o eventuale''.
Infine, con sentenza 20 dicembre 2000, depositata in giudizio dalia ricorrente, il Tribunale di Palermo ha assolto il Sig. Lamonica "per non aver commesso il fatto”, svolgendo le medesime considerazioni: si tratta di fatto che rafforza la convincizione della incidenza favorevole alla ricorrente dei predetti annullamenti delle misure cautelari, anteriori all'adozione del diniego impugnato, ma non valutati dal Prefetto.
Non vi è traccia, infatti, negli atti dell'istruttoria valutati dalla Prefettura e dalla stessa richiamati nella relazione del 20 maggio 2000, integrativa della motivazione dell'atto impugnato, della conoscenza dei predetti annullamenti delle ordinanze di custodia cautelare, il che dimostra la non attualità della valutazione compiuta ovvero, conclusivamente, la violazione dell'obbligo di aggiornamento delle informazioni di cui all'art. 10, comma 8, D.P.R. n. 252/98.
Sotto tale profilo, il provvedimento impugnato è illegittimo e va, pertanto, annullato, con assorbimento degli ulteriori motivi dedotti.
E’ fondata, anche, la domanda di risarcimento del danno proposta calla ricorrente ai sensi degli artt. 33, 34, 35 del D.L. 60/1998.
Infatti, il primo periodo del terzo comma dell'art. 7 della L. 6.12.1971, n. 1034, come sostituito dall'art. 35 del D.L. n. 80/1988, dispone che "II Tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
Premesso che il Collegio ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale, che va sempre più consolidandosi dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 500 del 26 marzo-22 luglio 1999, secondo, cui è risarcibile anche il danno che deriva dalla lesione di un interesse legittimo che presenti le caratteristiche dell'ingiustizia, ovvero inferto senza giustificazione (non iure), poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all'ingiustizia del danno a prescindere dalla qualificazione della situazione soggettiva lesa, ritiene che la domanda proposta dalla ricorrente possa trovare accoglimento sussistendo gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, ovvero l'illegittimità del provvedimento impugnato, il danno ingiusto e l'imputabilità del danno derivato dall'adozione del provvedimento illegittimo. Il pregiudizio subito dalla ricorrente consiste nella perdita del guadagno che sarebbe derivato dall'esecuzione del contratto di fornitura stipulato con la Bonatti s.p.a., interrotto a causa del mancato rilascio del nulla- osta antimafia. Detto pregiudizio è stato, pertanto, determinato in maniera diretta e immediata dall'adozione dell'atto impugnato da parte della Prefettura di Messina.
Secondo l'indirizzo che fa capo alla nota sentenza della suprema Corte n. 500/1999, e seguito da questo tar, oltre al dato obiettivo della illegittimità del provvedimento occorre accertare la sussistenza, ai fini della imputabilità del danno, del dolo o della colpa.
Si può ipotizzare che la colpa dell'Amministrazione sussista non semplicemente allorché sia violata una regola posta con norma di legge o regolamento che l'Amministrazione è tenuta ad osservare, ma quando la detta violazione sia stata commessa nonostante la chiarezza della norma da applicare e l'assenza di contrasti giurisprudenziali o di atti interni interpretativi (TAR Milano, III, 6260 del 6.11.2000).
Così è avvenuto - nella fattispecie, essendo stata violata la norma di cui all'art. 10, comma 8, del d.p.r. 252/1998 che impone con chiarezza e senza equivoci alla Prefettura il rilascio di informazioni antimafia attuali ed aggiornate.
Affermata così la imputabilità del danno a colpa dell'Amministrazione, vanno affermati i criteri di determinazione del danno ai sensi dell'art. 35, comma 2, del D.L. n. 80/1988.
Ritiene il Collegio che non potendosi ordinare la reintegrazione in forma specifica, anche perché la Bonatti S.P.A., ha nel frattempo provvedute con mezzi propri e avvalendosi di prestazione di terzi, come affermato nella memoria del 26 maggio 2000, il risarcimento può avvenire solo in forma generica mediante pagamento di una somma da determinarsi tenendo conto:
- del valore del contratto stipulato tra la Bonatti s.p.a. e la ricorrente in data 25.5.1999;
- della percentuale di utile presunto (pari al 10%, in applicabile analogia dell'art. 345 della 1.20.3.1865 n. 2248, all. F).
La proposta di pagamento della somma dovrà essere formulata dall'Amministrazione entro il termine di giorni 60 dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della presente sentenza. Le spese di giudizio si compensano tra le parti per giusti motivi.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (I sezione interna) accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna altresì l'Amministrazione intimata al risarcimento dei danni da liquidarsi tenendo conto dei criteri e delle modalità indicati in motivazione. Spese compensate.
Così deciso in Catania, nella Camera di Consiglio del 22 maggio 2001.
Depositata il 22 agosto 2001.