TAR SICILIA-CATANIA, SEZ. I – Sentenza 15 aprile 2002 n. 624
- Pres. Delfa, Est. Lo Presti - Di Mauro (Avv. Reina) c. Comune di Catania (Avv. Saitta), Regione Siciliana (Avv. Stato).1. Atto amministrativo – Procedimento – Comunicazione di avvio – Ex art. 7 L. n. 241/90 - Obbligo – Ha carattere generale – Ragioni di urgenza – Vanno espressamente indicate nell’atto e debbono essere gravi.
2. Atto amministrativo – Procedimento – Comunicazione di avvio - Ex art. 7 L. n. 241/90 – Omissione – Conseguenze – Onere dell’interventore necessario pretermesso di dimostrare l’incidenza causale del suo intervento – Sussiste.
1. L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della legge 241/90, ha portata generale (salvo le eccezioni espressamente previste dalla legge) e non è escluso dalla pretesa sussistenza di ragioni di urgenza che non risultino dall’atto e che comunque non siano di gravità tale da non consentire la comunicazione senza che risulti compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico (1).
2. Poichè l’obbligo di comunicare l’inizio del procedimento è previsto in funzione dell’arricchimento che deriva all’azione amministrativa, sul piano sia del merito che della legittimità, dalla partecipazione del destinatario del provvedimento, deve ritenersi che, qualora la partecipazione stessa non sia idonea ad implicare alcuna utilità per l’azione amministrativa, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non sussiste.
Da tale principio deriva quindi che l’omissione della comunicazione di inizio del procedimento prevista dall’art. 7 della legge 241/90 comporta l’illegittimità del provvedimento finale soltanto nel caso in cui il soggetto non avvisato possa provare che, ove posto nelle condizioni di partecipare al procedimento, avrebbe potuto introdurre utilmente nel procedimento elementi di fatto e di diritto tali da implicare, in termini di ragionevole possibilità, un’incidenza causale sul provvedimento finale (2).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 novembre 1998 n. 1429; alla stregua del principio è stato rilevato che nella specie il decreto di finanziamento impugnato, recante dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera, non risultava puntualmente motivato in ordine alla sussistenza di peculiari esigenze di speditezza ulteriori rispetto a quelle tipicamente riconducibili alle dichiarazioni di indifferibilità ed urgenza di realizzazione dell’opera pubblica, tali cioè da risultare inconciliabili con la garanzia della partecipazione del privato interessato al procedimento espropriativo.
(2) V. nello stesso senso T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. I, 22 gennaio 1999 n. 101; 28 novembre 1998 n. 2071 e 28 gennaio 1998 n. 74; T.A.R. Lazio, Sez. III, 17 giugno 1998 n. 1405; T.A.R. Puglia, Sez. I, 15 settembre 1997 n. 546.
Per l’esame dell’orientamento in questione v. in dottrina G. VIRGA, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano 1998, pag. 182 ss. ed ivi ulteriori riferimenti anche alla distinzione, supposta dall'orientamento in questione, tra interessi legittimi formali ed interessi legittimi sostanziali.
Invero, come rilevato dallo stesso TAR Catania nella motivazione della sentenza in rassegna, l’orientamento de quo si colloca in un’ottica generale di tendenziale approccio finalistico al sindacato sui vizi formali e procedurali, per il quale l’annullamento giurisdizionale dell’atto per vizi di forma o di procedura è ipotizzabile a condizione che, alla stregua di un giudizio prognostico ex post, sia possibile dimostrare l’incidenza del vizio sulla sostanza dell’atto amministrativo. V. in proposito di recente il ddl approvato dal CdM il 7 marzo 2002 recante “Modifiche e integrazioni della legge 7 agosto 1990, n. 241..." e l'articolo di V. CERULLI IRELLI, Innovazioni del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione, entrambi pubblicati in questa rivista Internet.
Secondo il TAR Catania, in questa ottica si deve ritenere che il giudizio prognostico sull’utilità dell'intervento nel procedimento amministrativo sarà destinato a dare esito positivo non soltanto quando si lamenti in ricorso che l’omessa partecipazione si è posta in rapporto di connessione causale con vizi di legittimità sostanziale del provvedimento, ma anche quando il ricorrente si limiti a denunciare carenze istruttorie, insufficienze o travisamenti negli accertamenti di fatto; carenze che la partecipazione del privato al procedimento avrebbe consentito di superare e che, invece, hanno avuto efficacia condizionante la determinazione del provvedimento finale.
Allorquando invece il ricorrente non introduca censure di tal fatta, e si limiti a denunciare il mero vizio formale della omissione della comunicazione, e il Giudice non sia in possesso di nessun elemento indiziante in ordine alla possibile efficacia finalistica della partecipazione pretermessa, la sola omissione dell’avviso di inizio del procedimento non potrà condurre ad una pronuncia di annullamento del provvedimento impugnato.
FATTO
La Sig.ra Di Mauro Francesca, premesso di essere proprietaria di un piccolo immobile sito in Catania via Condorelli 76, ha impugnato il decreto di occupazione d’urgenza ed il conseguente avviso di immissione in possesso dell’immobile assumendone l’illegittimità in relazione alle seguenti censure:
-) violazione degli artt. 7 e 8 legge 241/90, violazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, considerato che né la dichiarazione di pubblica utilità, né l’occupazione d’urgenza sono stati preceduti dall’invio all’interessata dell’avviso di inizio del procedimento;
-) violazione dell’art. 1 della legge regionale 35/78, eccesso di potere sotto il profilo dell’incomepetenza, considerato che nel decreto di finanziamento dell’opera non sono stati previsti i termini di inizio ed ultimazione dei lavori;
-) violazione della legge n. 1/78, violazione della legge regionale n. 35/78, incompetenza, considerato che il progetto di realizzazione dell’opera, implicando variante allo strumento urbanistico, avrebbe dovuto essere approvato dal Consiglio Comunale piuttosto che dalla Giunta;
-) violazione dell’art. 3 legge 241/90, insufficienza della motivazione, , considerato che l’intervento espropriativi ipotizzato comporta per l’interessata un sacrificio eccessivo rispetto allo scopo pubblico perseguito.
Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha poi spiegato la seguente ulteriore censura:
-) carenza di potere ed errore nel presupposto, considerato che l’esproprio del terreno della ricorrente sarebbe stato determinato per consentire un allargamento della sede stradale eccessivo rispetto a quello consentito dalla variante al PRG adottata per il superiore progetto.
Si è costituito in giudizio il Comune di Catania ed ha chiesto il rigetto del gravame.
Espletata istruttoria, alla pubblica udienza del giorno 12 marzo 2002 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’illegittimità degli atti espropriativi indicati in epigrafe in ragione della mancata comunicazione dell’inizio del procedimento di esproprio.
Osserva in proposito il Collegio che, come esemplarmente stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione n. 14 del 15 settembre 1999), la disciplina dettata dal capo terzo della legge 241/90 in tema di partecipazione dell’interessato all’iter procedimentale trova applicazione anche in materia espropriativa ed impone la comunicazione agli interessati dell’avvio del procedimento relativo alla dichiarazione, anche implicita, di pubblica utilità; mentre analogo obbligo non viene in considerazione per quel che riguarda il procedimento di occupazione d’urgenza.
Nel caso di specie, la dichiarazione di pubblica utilità, riconducibile al decreto assessoriale n. 059/URPC del 17 settembre 1999, di finanziamento dell’opera, non è stata preceduta da comunicazione all’interessata dell’inizio del procedimento.
Il Comune di Catania, con l’atto di costituzione in giudizio, assume che la mancata comunicazione alla ricorrente dell’avvio del procedimento deve ritenersi giustificata in ragione della sussistenza di motivi d’urgenza nel provvedere.
L’assunto non può essere condiviso.
L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della legge 241/90, ha portata generale (salvo le eccezioni espressamente previste dalla legge) e non è escluso dalla pretesa sussistenza di ragioni di urgenza che non risultino dall’atto e che comunque non siano di gravità tale da non consentire la comunicazione senza che risulti compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico (cfr. Cons. Stato IV, 3.11.1998 n. 1429).
Il decreto di finanziamento sopra indicato, recante dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera, non risulta puntualmente motivato in ordine alla sussistenza di peculiari esigenze di speditezza ulteriori rispetto a quelle tipicamente riconducibili alle dichiarazioni di indifferibilità ed urgenza di realizzazione dell’opera pubblica, tali cioè da risultare inconciliabili con la garanzia della partecipazione del privato interessato al procedimento espropriativo.
Ciò premesso, ritiene nondimeno il Collegio che il vizio di legittimità lamentato da parte ricorrente non sia, nel caso di specie, concretamente configurabile alla stregua delle seguenti considerazioni.
Secondo un orientamento ermeneutico sostenuto in passato da questa Sezione (cfr. Tar Sicilia Catania I, 22.1.1999 n. 101; 28.11.1998 n. 2071 e 28.1.1998 n. 74), condiviso anche da altra giurisprudenza (cfr. Tar Lazio III, 17 giugno 1998 n. 1405; Tar Puglia I, 15.9.1997 n. 546), attribuendosi valore decisivo al profilo funzionale della partecipazione procedimentale, deve ritenersi che, risultando l’obbligo sancito in funzione dell’arricchimento che deriva all’azione amministrativa, sul piano sia del merito che della legittimità, dalla partecipazione del destinatario del provvedimento, qualora detta partecipazione non sia idonea ad implicare alcuna utilità per l’azione amministrativa, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non sussiste; ne consegue che l’omissione della comunicazione di inizio del procedimento prevista dall’art. 7 della legge 241/90 comporta l’illegittimità del provvedimento finale soltanto nel caso in cui il soggetto non avvisato possa provare che, ove posto nelle condizioni di partecipare al procedimento, avrebbe potuto introdurre utilmente nel procedimento elementi di fatto e di diritto tali da implicare, in termini di ragionevole possibilità, un’incidenza causale sul provvedimento finale.
La riferita opzione ermeneutica si colloca in un’ottica generale di tendenziale approccio finalistico al sindacato sui vizi formali e procedurali, per il quale l’annullamento giurisdizionale dell’atto per vizi di forma o di procedura è ipotizzabile a condizione che, alla stregua di un giudizio prognostico ex post, sia possibile dimostrare l’incidenza del vizio sulla sostanza dell’atto amministrativo.
L’assunto non è stato condiviso da tutti in dottrina e giurisprudenza.
Secondo un primo indirizzo la partecipazione deve ritenersi utile, con conseguente efficacia viziante della mancata comunicazione dell’inizio del procedimento, non soltanto nel caso in cui sia possibile provare che l’intervento del privato avrebbe potuto assumere incidenza causale sul provvedimento, ma anche nel caso in cui non sia possibile escludere a priori che l’intervento possa esplicare qualche effetto, dovendosi quindi valorizzare fino in fondo la partecipazione al procedimento, ritenendola necessaria anche nel caso in cui vi sia un ragionevole dubbio sulla sua utilità.
Secondo altra opinione, il rigore dell’impostazione sopra rammentata andrebbe attenuato attribuendo al privato ricorrente non già un onere di prova piena della rilevanza del suo interesse strumentale (alla partecipazione mancata), bensì un onere di fornire un principio di prova in ordine alla possibile utilità dell’apporto collaborativo in seno al procedimento.
Secondo una tesi dottrinale, infine, sarebbe più corretto ritenere che sia l’amministrazione procedente a dover provare, o il giudice amministrativo a dovere accertare d’ufficio, che la partecipazione del privato pretermesso sarebbe risultata utile in relazione al contenuto della decisione amministrativa (cfr. F. Saitta L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, in Dir. Amm. 2000).
Ciò detto, osserva il Collegio che, a prescindere dalla considerazione del problema della ripartizione dell’onere della prova in ordine all’utilità della partecipazione pretermessa, una lettura dell’art. 7 della legge 241/90 in chiave finalistica, suggerita anche dalla individuazione dei criteri finalistici dell’efficacia, dell’efficienza e della buona amministrazione come parametri normativi di legittimità dell’azione amministrativa, non si traduce nel postulato della necessaria coincidenza di illegittimità formale ed illegittimità sostanziale.
Valorizzare la caratterizzazione funzionale dei vizi formali di legittimità non significa necessariamente escluderne la rilevanza ogni qual volta questi non si siano tradotti in vizi sostanziali del contenuto del provvedimento finale. Significa piuttosto, per lo meno nelle ipotesi in cui il vizio formale si risolva nella violazione di una regola del procedimento amministrativo, introdurre la rilevanza di un giudizio prognostico ex post in ordine alla possibile incidenza del vizio di procedura sulla determinazione del contenuto del provvedimento; significa cioè attribuire rilievo determinante, in sede di giudizio di legittimità sul provvedimento finale, all’apprezzamento dell’incidenza della violazione della regola procedimentale sull’efficienza, efficacia ed adeguatezza della scelta amministrativa.
In simile prospettiva allora è da ritenere che l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento debba necessariamente essere apprezzata in correlazione con gli altri motivi di ricorso, onde poterne verificare l’incidenza causale sul provvedimento sia pure alla stregua di un giudizio prognostico ex post sull’utilità della partecipazione pretermessa, da effettuarsi in termini probabilistici.
Ed è altresì da ritenere che il giudizio prognostico sull’utilità sarà destinato a dare esito positivo non soltanto quando si lamenti in ricorso che l’omessa partecipazione si è posta in rapporto di connessione causale con vizi di legittimità sostanziale del provvedimento, ma anche quando il ricorrente si limiti a denunciare carenze istruttorie, insufficienze o travisamenti negli accertamenti di fatto; carenze che la partecipazione del privato al procedimento avrebbe consentito di superare e che, invece, hanno avuto efficacia condizionante la determinazione del provvedimento finale.
In presenza di censure siffatte sarà possibile operare un giudizio prognostico ex post sulla probabile utilità della partecipazione mancata (idoneità della partecipazione a garantire completezza dell’istruttoria, correttezza ed adeguatezza degli accertamenti di fatto); quel giudizio prognostico che costruisce condizione imprescindibile per una valutazione finalistica della mera violazione di una regola del procedimento.
E ciò, ovviamente, a prescindere dal giudizio di fondatezza in ordine alle ulteriori censure: diversamente si finirebbe col negare l’autonoma efficacia viziante della violazione dell’obbligo di comunicazione, invece ripetutamente ribadita dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. di recente Cons. Stato V, 22.5.2001 n. 2823).
In altri termini occorre che, quanto meno nella prospettazione di parte ricorrente, la violazione della regola di procedura si sia posta in correlazione causale con insufficienze o inadeguatezza istruttorie se non, addirittura, con vizi di legittimità sostanziale del provvedimento finale.
Allorquando invece il ricorrente non introduca censure di tal fatta, e si limiti a denunciare il mero vizio formale della omissione della comunicazione, e il Giudice non sia in possesso di nessun elemento indiziante in ordine alla possibile efficacia finalistica della partecipazione pretermessa, la sola omissione dell’avviso di inizio del procedimento non potrà condurre ad una pronuncia di annullamento del provvedimento impugnato.
Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, nessuno dei vizi di legittimità del provvedimento impugnato, denunciati con gli ulteriori motivi di ricorso, si pone in relazione di connessione finalistica con l’omessa partecipazione al procedimento della ricorrente.
Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, infatti, si lamenta la mancata fissazione dei termini per l’inizio ed il completamento dei lavori in seno alla dichiarazione di pubblica utilità e l’incompetenza della Giunta ad approvare il progetto comportante variante allo strumento urbanistico.
Osserva in proposito il Collegio che il finanziamento dell’opera de qua, implicante dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, è stato disposto con decreto assessoriale n. 059/URPC del 17 settembre 1999, il quale reca espressamente, all’art. 4, la fissazione dei termini di inizio e di completamento dei lavori.
Inoltre proprio perchè il progetto per il completamento e l’ampliamento della via Due Obelischi si poneva in rapporto di difformità rispetto ai vincoli della vigente disciplina urbanistica, con delibera n. 73 del 20 ottobre 1995 il Consiglio Comunale di Catania ha adottato la relativa variante allo strumento urbanistico.
Da quanto esposto emerge la palese infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso; prima ancora, emerge che la determinazione dei profili suddetti è del tutto indipendente dall’apporto dei privati e che, conseguentemente, anche in caso di partecipazione al procedimento nessun apporto collaborativo da parte della sig.ra Di Mauro avrebbe potuto rilevare in senso modificativo o correttivo delle determinazioni pubbliche.
Diverso discorso va fatto invece per il quarto motivo di ricorso, con il quale si denuncia sostanzialmente una carenza istruttoria, non avendo l’amministrazione procedente verificato la possibilità di un diverso dimensionamento dell’intervento, così da ridurre il sacrificio imposto al privato pur nella piena tutela dell’interesse pubblico perseguito.
In astratto si tratta di un possibile profilo di illegittimità del provvedimento finale, connesso ad una presunta insufficienza degli accertamenti istruttori e della valutazioni di fatto espletate in sede di procedimento, in relazione al quale l’apporto collaborativo del privato è idoneo ad arrecare utilità.
In concreto però la ricorrente non ha fornito alcuna indicazione specifica in ordine alla diversa soluzione operativa ipotizzabile e tale da garantire, ad un tempo, adeguata tutela dell’interesse pubblico perseguito e minore sacrificio dell’interesse proprietario dell’espropriato.
La censura è, sotto tale profilo, del tutto generica, limitandosi la ricorrente a sostenere che l’opera poteva non investire la superficie di sua proprietà senza che l’interesse alla circolazione ne venisse compromesso; si tratta di affermazione non corroborata da adeguati riscontri progettuali, a fronte degli accertamenti istruttori articolati relativi alla necessità di allargamento della via nella misura prevista, posti a fondamento della progettazione esecutiva.
Ne consegue non soltanto che si appalesa l’inammissibilità e l’infondatezza della censura, ma anche che il mancato apporto collaborativo dell’interessata in sede procedimentale non sarebbe, con elevato grado di probabilità, valso ad arrecare alcuna utilità ai fini di una diversa determinazione del contenuto del provvedimento.
Alla luce delle superiori considerazioni quindi anche il primo motivo di ricorso, visto in rapporto di correlazione con gli altri motivi del ricorso principale, va rigettato.
Anche il motivo aggiunto, infine, si appalesa infondato.
Assume la ricorrente che il progetto esecutivo approvato comporterebbe un allargamento della sede stradale manifestamente superiore ( fino a m. 8,5) rispetto a quello consentito con la delibera di variante al PRG che, secondo la modifica successivamente introdotta con delibera n. 45/97, sarebbe pari a metri 6.
L’assunto è palesemente infondato.
Con la deliberazione n. 45 del 9 giugno 1997 il Consiglio Comunale non ha apportato alcuna modificazione rispetto a quanto originariamente determinato con la deliberazione n. 73 del 20 ottobre 1995 (che prevedeva la possibilità di allargamento della sede stradale fino a metri 12), ma in sede di esame dell’opposizione di un interessato (tale sig. Musumeci Concetto) ha semplicemente fatto propria una relazione tecnica elaborata dal 14° Settore Pianificazione Urbanistica nella quale si affermava che l’opponente, in relazione alla bottega di sua proprietà non avrebbe patito particolari disagi per l’accesso, atteso che "nell’ambito di una fascia di distacco di circa sei metri dopo l’allargamento stradale" egli avrebbe potuto creare un’agevole scala d’accesso.
E’ evidente che il riferimento metrico di che trattasi concerne la distanza fra la bottega del Sig. Musumeci e la sede stradale e non ha niente a che vedere con la misura dell’allargamento delle sede stradale possibile laddove è allocata la casa di proprietà della ricorrente.
Il motivo è palesemente infondato: anche con riferimento ad esso non è possibile, poi, evincere alcun indizio su cui poter fondare un giudizio prognostico di utilità dell’omessa partecipazione del privato (che, al contrario, specialmente sotto questo profilo si sarebbe risolta paradossalmente in un inutile aggravio del procedimento!).
Conclusivamente il gravame va rigettato perché infondato.
Sussistono giusti motivi per compensare interamente fra le parti le spese di lite.
Depositata il 15 aprile 2002.