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n. 7-1999 - © copyright.

T.A.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA – Sentenza 26 luglio 1999 n. 903Pres. Bagarotto, Est. Zuballi - Valdadige Costruzioni spa (Avv.ti Giuseppe Rusconi e Patrizia Maesani) c. Comune di Monfalcone (Avv.ti Marcello Clarich e Alessandro Giadrossi) e Persi ed altro (Avv. Francesco Donolato) - (respinge).

Giustizia amministrativa – Giurisdizione esclusiva – Domanda introduttiva con la quale si chiede il risarcimento dei danni – Va proposta ricorso ordinario e non con atto di citazione – Sanatoria – Possibilità.

Giustizia amministrativa – Giurisdizione esclusiva – Risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi – Presupposti – Domanda di annullamento contestualmente proposta o precedente giudicato amministrativo di annullamento – Necessità – Ragioni.

Giustizia amministrativa – Giurisdizione esclusiva – Risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi – A seguito dell’art. 35 D. L.vo n. 80/1998 – Deve ritenersi in generale ammissibile – Applicabilità del principio anche alle controversie sorte anteriormente al citato decreto.

Giustizia amministrativa – Giurisdizione esclusiva – Risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi – Responsabilità in contrahendo della P.A. – Inconfigurabilità - Responsabilità per violazione dell’affidamento del privato, anche nella fase preparatoria del procedimento – Configurabilità.

Giustizia amministrativa – Giurisdizione esclusiva – Risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi – Onere del principio di prova – Sussiste.

Nonostante le profonde innovazioni introdotte nel giudizio amministrativo dagli articoli 33, 34 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, tuttavia, la struttura del ricorso dinanzi al giudice amministrativo rimane quella usuale, come codificata dalle leggi sul Consiglio di Stato e sui TAR, per cui il giudizio va introdotto non già con atto di citazione, ma nelle forme di ricorso giurisdizionale (1).

La possibilità di chiedere il risarcimento del danno dinanzi al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 deve necessariamente conseguire ad una domanda di annullamento proposta contestualmente, ovvero ad un giudicato amministrativo già in precedenza ottenuto, sempre nelle materie in cui il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 lo consente (2).

A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, gli interessi legittimi debbono ritenersi in generale risarcibili (3).

La risarcibilità della lesione degli interessi legittimi, pur essendo stata introdotta solo con il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, riguarda tutte le vicende anche precedenti, purché risultino consequenziali ad un giudizio amministrativo e ovviamente nei limiti della prescrizione

Anche se non appare configurabile una responsabilità in contrahendo della pubblica amministrazione, tuttavia risulta invece ammissibile una sua responsabilità per violazione dell’affidamento del privato, anche nella fase procedurale preliminare ovvero preparatoria di un provvedimento amministrativo favorevole per il privato medesimo.

L’introduzione, ad opera del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, di alcuni istituti di derivazione civile (in particolare sul regime delle prove, ex articolo 35) non elimina la necessità di adattarli ai principi del processo amministrativo. Tra questi, vi è quello dell’onere della prova, per cui spetta al ricorrente fornire almeno un principio di prova atto a quantificare l’asserito danno subito dal comportamento della pubblica amministrazione.

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(1) Nella specie, tuttavia, il T.A.R. ha ritenuto ammissibile l’atto di citazione introduttivo del giudizio, "in applicazione del noto principio della strumentalità delle forme, dal momento che detto atto di citazione contiene tutti gli elementi essenziali richiesti per la validità di un ricorso e risulta regolarmente notificato a controparti e successivamente depositato presso la segreteria del TAR, esso può senz’altro essere considerato quale un vero e proprio ricorso giurisdizionale e come tale va trattato a tutti gli effetti".

(2) Ha osservato il T.A.R. infatti che: "La volontà del legislatore, quale emerge, è quella di evitare il cosiddetto doppio binario, vale a dire la necessità per l’interessato di adire al giudice ordinario dopo aver ottenuto una pronuncia favorevole da parte del giudice amministrativo; ma si tratta pur sempre di un risarcimento danni consequenziale ad un giudizio amministrativo". Ha aggiunto inoltre che "Invero, a favore della necessaria correlazione tra risarcimento del danno e giudizio amministrativo, militano il dato letterale, vale a dire il dettato del primo comma dell’articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, che fa riferimento alle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e il quinto comma del medesimo articolo 35, che espressamente si riferisce al risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi".

(3) Ha osservato il T.A.R. in particolare che: "peraltro il comma 5° dell’art. 35 del detto decreto legislativo ha abrogato espressamente l’articolo 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142 (riguardante alcune gare comunitarie), oltre ad ogni altra disposizione che preveda la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi nelle materie di cui ai precedenti articoli 33 e 34. L’abrogazione di detto articolo 13, cioè di una norma sostanziale che prevede, in un’ipotesi particolare, il risarcimento del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo, si spiega unicamente se tale risarcimento viene contestualmente reintrodotto in via generale dal medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80".

 

 

Ric. n. 236/99 R.G.R. N. 903/99 Reg. Sent.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, nelle persone dei magistrati:

Giancarlo Bagarotto - Presidente

Umberto Zuballi - Consigliere relatore

Enzo Di Sciascio - Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso n. 236/99, proposto dalla Valdadige Costruzioni spa, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Rusconi e Patrizia Maesani e domiciliata presso l’avvocato Paolo Picasso in Trieste, via Coroneo n. 5;

c o n t r o

il Comune di Monfalcone, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Marcello Clarich e Alessandro Giadrossi e domiciliato presso il secondo, in Trieste, via XXX ottobre 17;

e altresì contro

Adriano Persi e Mauro Stanig, rappresentati e difesi dall'avvocato Francesco Donolato con domicilio eletto presso presso la Segreteria generale del TAR, sita in Trieste, piazza Unità d’Italia n. 7;

per ottenere

il risarcimento del danno ex articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80.

Visto il ricorso, notificato il 31 marzo 1999 e depositato presso la Segreteria generale il 28 aprile 1999 con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monfalcone, depositato il 10 giugno 1999, di Persi Adriano, depositato il 21 maggio 1999 e di Stanig Mauro, depositato il 22 giugno 1999;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta alla pubblica udienza del 2 luglio 1999 la relazione del consigliere Umberto Zuballi ed uditi altresì gli avvocati Picasso, in sostituzione di Maesani, per la ditta ricorrente, Giadrossi per il Comune e Donolato per i convenuti Perso e Stanig;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

F A T T O

La ricorrente Valdadige Costruzioni spa rappresenta di essere proprietaria di un'area sita nel Comune di Monfalcone alla via Bagni, che il vigente Piano regolatore generale intercomunale, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 12 del 25 luglio 1984, classifica H2 (zone commerciali a libera localizzazione), uno zoning confermato dal Prg comunale adottato con deliberazione n. 32 del 21 luglio 1997 tuttora in itinere.

Per l'attuazione delle prescrizioni del Prgi, la Valdadige aveva presentato all'Amministrazione comunale di Monfalcone fin dal 25 novembre 1992 un progetto di Piano regolatore particolareggiato ('Trp"), che prevede un insediamento di mq 1.754, con destinazioni commerciale, terziaria ed in parte minore espositiva.

Il progetto veniva sottoposto al Consiglio comunale dopo un'istruttoria trascinatasi per quattro anni dalla presentazione, e soltanto per le infinite esortazioni della Società proponente e per l'intervento di un legale di Valdadige presso il Segretario generale dell'Ente.

Rileva la ditta ricorrente che, per ragioni non potute conoscere, il procedimento non venne mai concluso, tant'è che perfino alla data odierna il Prp non risulta approvato né respinto, pur essendo trascorsi quasi sette anni dalla presentazione: l'argomento infatti venne iscritto all'ordine del giorno del Consiglio comunale del 9 dicembre 1996, senza peraltro che il Consiglio ritenesse di doversi pronunziare nel merito, essendosi infatti limitato a votare un atto di indirizzo rivolto al Sindaco.

Il Consiglio aveva infatti invitato il Sindaco "ad adoperarsi per ricercare soluzioni che affrontino il problema della viabilità di servizio ai vari ambiti commerciali dell'area di via Grado per ridurre al minimo gli accessi su via Grado e su via Bagni con l'obiettivo di garantire la massima sicurezza possibile della mobilità complessiva di questa parte importante di città".

Secondo la ditta ricorrente, il presupposto implicito di codesto pur anomalo provvedimento era con tutta evidenza l'apprezzamento del progetto, al quale infatti il Consiglio suggeriva di apportare taluni semplici correttivi volti a migliorare il sistema della mobilità, senza revocarne in dubbio la piena conformità urbanistico edilizia al Prgi vigente e al Prg in itinere.

Secondo la ricorrente società, con una rischiosa assunzione di responsabilità anche di natura personale, sulla cui gravità non occorre insistere, il Sindaco non riteneva tuttavia di doversi conformare alla deliberazione consiliare né comunque di assumere una qualsivoglia altra iniziativa, tant'è che dal 9 dicembre 1996 alla data odierna il progetto di Prg non veniva più esaminato né dai tecnici né dai politici, con la conseguenza ulteriore che il Consiglio comunale veniva privato in tal modo della prerogativa di decidere sulla assentibilità degli strumenti urbanistici attuativi del Prgi, in violazione:

I) dell'art. 32 ("Competenze dei consigli") comma 2 lett. b) della 1. 8 giugno 1990 n. 142 ("Ordinamento delle autonomie locali) che riserva a tale organo collegiale la competenza all'approvazione dei "... piani territoriali ed urbanistici..." atteso che "nella competenza relativa alla materia urbanistica attribuita dall'art. 32 comma 2 lett. b) della l. 8 giugno 1990 n. 142 al Consiglio comunale rientrano non solo i piani regolatori generali e speciali ma anche i piani particolareggiati".

II) dell'art. 2 comma 1 della 1. 7 agosto 1990 n. 241 ("Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e dì diritto di accesso ai documenti amministrativi"), laddove dispone che "ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza ... la Pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso ";

III) delle norme regolamentari locali, non potute conoscere, di attuazione dell'art. 2 comma 2 della citata l. n. 241/1990, laddove dispone che "le pubbliche amministrazioni determinano per ciascun tipo di procedimento ... il termine entro cui esso deve concludersi. Tale termine decorre dall'inizio d'ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte ", considerato che, ai sensi del comma 3 seguente dell'art. 2 citato, "qualora le pubbliche amministrazioni non provvedano ai sensi del comma 2, il termine è di trenta giorni".

Nella persistente inerzia del Sindaco, il Consiglio comunale adottava il 21 luglio 1997 un nuovo progetto di piano regolatore generale, il quale confermava lo zoning già impresso all'area interessata dal Prgi, ribadendo pertanto il pubblico interesse alla realizzazione del Prp di Valdadige.

Il 15 dicembre 1997 tuttavia la Soprintendenza archeologica interveniva nel procedimento di delibazione del progetto di Prg, proponendo alla Giunta regionale, con una improvvisa quanto – per la ditta ricorrente - sospetta solerzia, l'apposizione di un vincolo indiretto ai sensi dell'art. 21 della legge 1 giugno 1939 n. 1089 ("Tutela delle cose di interesse artistico e storico"), a pretesa quanto tardiva tutela dell'integrità prospettica del complesso monumentale della Marcelliana, per l'innanzi mai protetto con l'art. 21, donde la indiscriminata inedificabilità di un vasto compendio, imprecisato dalla Soprintendenza ma senz'altro inclusivo dell'area del Prp di Valdadige, trattandosi dello spazio antistante [il complesso della Marcelliana] fino al limite della strada provinciale per Grado [che] dovrebbe essere mantenuto sgombro dall'edificazione arrestando il limite costruito fino ad oggi esistente".

Con deliberazione del 18 dicembre 1998, la Giunta regionale faceva propria la proposta della Soprintendenza, essendovi tenuta senza margini di apprezzamento dall'art. 32 della l.r. 19 novembre 1991 n. 52 ("Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica"), con la conseguenza dell'immediata applicazione delle misure di salvaguardia, le quali sono obbligatorie ai sensi dell'art. 35 comma 3 della citata l.r. n. 52/1991.

La ricorrente illustra poi i seguenti motivi di diritto:

Sulla responsabilità precontrattuale del Comune di Monfalcone.

Secondo la ricorrente società, è pacifico che essa, inoltrando all'Amministrazione comunale il 25 novembre 1992 un piano regolatore particolareggiato di iniziativa privata, le ha sottoposto una formale proposta di contratto e precisamente di un contratto urbanistico dal contenuto in parte necessario e in parte eventuale, preordinato alla realizzazione di un intervento commerciale terziario ed espositivo espressamente contemplato nella zona 112 di via Grado dalla normativa sia scritta (art. 34 delle Nta) che disegnata (tavola dell'azzonamento del Prg) degli atti di pianificazione generale, come vigenti al tempo della proposta e come confermati dal progetto di Prg poi adottato dal Consiglio comunale il 21 luglio 1997.

Secondo la ricorrente, la dottrina ha più volte evidenziato che nell'ordinamento giuridico italiano è ormai acquisita la rottura del sistema di identificazione tra attività amministrative e provvedimento, ciò che ha determinato il riconoscimento normativo dei contratti ad oggetto pubblico, quali specie all'interno dell'unico genere contrattuale regolato dal codice civile e non quale autonoma spuria tipologia di contratti di diritto pubblico.

Ci si riferisce ìn diritto positivo non solo all'archetipo dell'art. 28 della 1. 17 agosto 1942 n. 1150 ("legge urbanistica nazionale") ma soprattutto all'art. 11 della 1. 7 agosto 1990 n. 241 ("Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti arnministrativi"), il quale non sembra lasciare dubbi in merito alla natura contrattuale degli accordi tra amministratori e controparte finalizzati alla determinazione del contenuto discrezionale del provvedimento finale o sostitutivi del provvedimento.

Secondo la ricorrente società, su queste premesse, la condotta dell'Amministrazione comunale dev'essere valutata alla stregua di quelle norme del codice civile (artt. 1337 e 1175) che impongono alle partì in sede di trattative che preludono alla conclusione di un contratto una condotta improntata a buona fede e correttezza, nell'ambito dei rispetti primari garantiti dall'art. 2043 del codice civile.

Secondo la ditta ricorrente, come insegna la costante giurisprudenza sul punto, la sussistenza di detta responsabilità si appalesa qualora l'Amministrazione, con il suo comportamento, abbia ingenerato nei terzi, anche se per mera colpa, un ragionevole affidamento poi andato deluso nella conclusione del contratto: "la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione è configurabile in tutti i casi in cui l’ente pubblico nelle trattative e nelle relazioni con i terzi abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la p. a., nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cc [tant'è che] sussiste la suddetta responsabilità qualora la pubblica amministrazione col suo comportamento abbia ingenerato in terzi anche se per mera colpa un ragionevole affidamento poi andato deluso in ordine alla conclusione del contratto".

Secondo la ricorrente società, sia per la dottrina che per la giurisprudenza, l'esercizio dell'attività amministrativa, pur costituendo attuazione di potestà discrezionali, non esime la pubblica amministrazione dall'osservanza dei principi generali, con la conseguenza che, qualora il modulo comportamentale venga contravvenuto da azioni od omissioni lesive dell'altrui sfera patrimoniale, si determina una normale responsabilità precontrattuale.

Secondo la ricorrente, sussiste altresì nella fattispecie la violazione del dovere di cooperazione, affermato in generale dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, per la quale l’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede si sostanzia soprattutto nel dovere di cooperazione e di informazione al fine della stipulazione del contratto, un dovere affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, per la quale il principio di leale cooperazione "costituisce canone costituzionale"; un principio che "vale a maggior ragione a fronte di istanze come quella concernente l'adozione di un progetto di piano di lottizzazione, che involgono una molteplicità di profili e con riguardo alle quali, considerato l'intreccio dell'interesse privato con quello pubblico, l'obbligo dell'amministrazione di adeguare la propria azione ai principi della collaborazione e della buona amministrazione diventa particolarmente rilevante".

Secondo la ricorrente, nella fattispecie poi, l'approvazione del Prp, e quindi la stipula dei contratto urbanistico per la sua attuazione, costituiva per il Comune un atto dovuto: nella contrattazione urbanistica attuativa infatti, così come in sede di rilascio delle concessioni edilizie e in altri ancora, sussiste per la parte pubblica, se, come nella fattispecie, il progetto sia conforme alla strumentazione urbanistica generale vigente e adottata, solo la facoltà di chiedere ed all'occorrenza imporre modifiche ritenute migliorative, poiché la discrezionalità è già stata spesa in sede di pianificazione generale, "sicché, quando il progetto presentato ai fini della concessione sia del tutto conforme a tali strumenti e normative, l'amministrazione non ha il potere di negare il rilascio del titolo richiesto, ma può soltanto chiedere modifiche al progetto".

Secondo la ricorrente, a ciò si aggiunga la condotta omissiva del Sindaco, che ha rifiutato di attuare l'atto di indirizzo rivoltogli dal Consiglio comunale, il quale pure lo aveva invitato con atto deliberativo del 9 dicembre 1996 a ricercare insieme con la Valdadige soluzioni viabilistiche alternative, un comportamento ostruzionistico adottato dal Sindaco in violazione dell'art. 36 comma 1 della l. n. 142/1990, che gli imponeva di attuare quella deliberazione consiliare; e dell'art. 1337 del codice civile, che gli imponeva di comportarsi nella trattativa contrattuale secondo buona fede.

Secondo la ditta ricorrente, stante l'intervento della Soprintendenza di cui si è detto, la complessiva condotta dei funzionari (quattro anni per concludere l'istruttoria tecnica) e del Sindaco (due anni di inottemperanza alla deliberazione consiliare) ha determinato la sopraggiunta giuridica impossibilità, operativa da subito stante l'obbligatoria applicazione delle misure di salvaguardia, di realizzare un intervento pur programmato per 14 anni dagli strumenti urbanistici generali, i quali rappresentano per definizione come noto la sommatoria del pubblico interesse afferente al territorio amministrato. Tanto premesso la ricorrente chiede:

Nel merito: accertata la responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione, la condanna del Comune di Monfalcone al risarcimento dei danni subiti dalla Valdadige Costruzioni spa dal 25 novembre 1992 al definitivo, da accertarsi in corso di causa anche in via equitativa;

In via istruttoria:

a. disporre prova testimoniale su fatti di causa, riservata fin d'ora la precisazione della lista testimoniale;

b. disporre consulenza tecnica preordinata : bb) alla verifica della piena legittimità urbanistico edilizia del Prp; bc) alla esatta quantificazione dei danni subiti dalla proponente;

*****

Resiste in giudizio il Comune, rilevando che, a suo avviso, il ricorso appare allo stato degli atti irricevibile ovvero inammissibile ovvero ancora improcedibile e comunque infondato.

Svolge quindi le seguenti considerazioni in punto di fatto:

L'area di cui la ricorrente è proprietaria è urbanisticamente destinata, in base al PRG previgente ed in base a quello adottato nel 1997 ed in itinere, a zona 112, zona commerciale. L'attuazione delle previsioni di piano avviene mediante piano particolareggiato.

La Valdadige s.p.a. presentò all'Amministrazione comunale di Monfalcone il 25 novembre 1992, una bozza di piano regolatore particolareggiato comunale di iniziativa privata (PRPCIP).

Questo piano, dopo una lunga istruttoria, sarebbe stato sottoposto al Consiglio Comunale ma non sarebbe stato nè approvato nè respinto.

Il piano, discusso in Consiglio Comunale il 9 dicembre 1996, è stato ritenuto privo di adeguate soluzioni al problema degli accessi, al fine di evitare che su un'arteria di intenso traffico questi si moltiplicassero, rendendo pericolosa e difficile la circolazione.

Secondo il Comune resistente, dopo aver riassunto le tesi della ricorrente, appare opportuno ripercorrere i fatti così come si sono svolti e che dimostrano come il procedimento per l’approvazione del PRPCI, proposto dalla Valdadige, sia stato ben più complesso di quanto illustrato in ricorso.

La domanda dell'impresa di costruzioni è stata effettivamente depositata il 25 novembre 1992. Il 16 dicembre 1992 il PRPCI veniva sottoposto all'esame della Commissione Edilizia che esprimeva parere favorevole con la verifica della possibilità di prevedere un accesso dalla via Grado utilizzando il piazzale della Liva.

Il 20 gennaio 1993 la Commissione urbanistica esaminava il progetto di piano.

Il 15 febbraio 1993 perveniva il parere geologico della Regione.

Secondo il Comune resistente, appare opportuno precisare come la soluzione progettuale individuata dalla Valdadige fosse coerente con la variante n. 40 al PRGI, ovvero con l'allargamento della via Grado e la previsione della realizzazione di una rotonda di svincolo alla Marcelliana.

Ma la Regione Friuli Venezia Giulia negava l'approvazione di detta variante con DPRG 0244/Pres dd. 24 maggio 1993.

Il Comune di Staranzano, promotore della variante al Piano Intercomunale, impugnava l'annullamento regionale avanti al TAR del Friuli Venezia Giulia con ricorso che veniva respinto con sentenza n. 350 del 1994, depositata il 24 settembre 1994.

Nel frattempo, il 29 dicembre 1993, il PRPCI veniva sottoposto all'esame della Commissione Consiliare Gestione Territorio. Alla riunione della Commissione partecipava anche il progettista della Valdadige che veniva edotto dell'intervenuto annullamento regionale.

L'Ufficio Urbanistica del Comune in data 14 giugno 1994 evidenziava come la proposta di piano presentata si basasse sulle previsioni della variante n. 40, oggetto di ricorso e poi, nel settembre di quello stesso anno, di annullamento.

Venivano pertanto richieste integrazioni alla Valdadige che le depositava il 19 gennaio 1995, il 20 aprile 1995 e infine il 9 maggio 1995.

Inoltre, il 29 maggio 1995 perveniva il parere dei VV.UU. il 12 giugno 1995 il parere per il collegamento alla fognatura ed il 17 agosto 1995 il parere per gli allacciamenti acqua e gas anche a seguito della richiesta del Comune.

Il 25 maggio 1995, l'Ufficio comunale iniziava l’esame di questo nuovo progetto che avrebbe dovuto superare la mancata approvazione della modifica urbanistica. Ricevuta la documentazione ed i pareri, il 14 settembre 1995 si svolgeva un incontro nel corso del quale il progettista e l’Impresa Valdadige venivano informate delle carenze progettuali ancora esistenti.

Secondo il Comune resistente, questo procedimento, in conseguenza del diverso assetto urbanistico ripropostosi con la conferma dell'annullamento regionale, veniva considerato sostanzialmente alla stregua di un nuovo procedimento e quindi riesaminato. Al punto che, in data 31 maggio 1996, vennero restituiti al professionista tutti gli elaborati ormai superati.

Infatti, il 12 gennaio 1996 la Valdadige inviava ancora quattro nuovi elaborati.

Il 29 maggio 1996 l'Ufficio Urbanistica del Comune informava la Valdadige che l'istruttoria era stata completata e che il piano era stato inserito all'ordine del giorno del Consiglio Comunale del 3 giugno 1996.

Il progetto di PRPC, prima di essere discusso in Consiglio Comunale, veniva sottoposto, come da regolamento, all'esame della Commissione Consiliare il 31 maggio 1996. La Commissione Consiliare manifestava delle perplessità sull'intervento e proponeva un aggiornamento della riunione.

La proposta di approvazione del piano veniva nuovamente posta all'ordine del giorno del Consiglio Comunale nella seduta del 16 ottobre 1996.

Nella seduta del Consiglio Comunale del 9 dicembre 1996 veniva nuovamente affrontata la questione in modo analitico. Il Consiglio Comunale infatti votava un ordine del giorno nel quale si manifestavano le perplessità in ordine alla viabilità ed alla disciplina contenuta nella normativa di attuazione che avrebbe consentito la realizzazione di un manufatto di discutibile qualità architettonica.

In particolare, si evidenziava la carenza, nelle soluzioni progettuali proposte, di scelte costruttive in armonia con la presenza di un immobile di pregevole valore storico artistico quale la chiesa della Marcelliana, edificio storico tutelato. Si chiedeva pertanto un’integrazione a detto PRPCIP.

Il Comune rileva che la Valdadige veniva messa a conoscenza del voto del Consiglio Comunale ma, evidentemente, non riteneva opportuno depositare integrazioni o modifiche, sia in considerazione della rilevanza delle questioni sollevate dal Consiglio, sia della scadenza del Consiglio Comunale che convocava la sua ultima seduta il 18 aprile 1997.

Secondo il Comune resistente, con l'adozione del nuovo P.R.G.C., intervenuta il 21 luglio 1997, il piano proposto dalla Valdadige è difforme dalla normativa di piano. La Valdadige non ha comunque presentato nessuna osservazione al P.R.G.C.

Secondo il Comune resistente, in relazione ai fatti sopra descritti, i motivi di ricorso sarebbero tutti infondati.

IN VIA PREGIUDIZIALE

Difetto di giurisdizione

Secondo il Comune resistente, gli artt. 33 e 35 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 hanno attribuito alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi (art. 33) e quelle "aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia" (art. 34).

Prevede il successivo art. 35 che il Giudice amministrativo dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.

Secondo il Comune resistente, la domanda proposta dalla Valdadige appare quale azione di accertamento e condanna che comunque non può trovare sfogo avanti al Tribunale Amministrativo.

Secondo il Comune resistente, un’interpretazione diversa comporterebbe l'illegittimo superamento dei limiti della delega da parte del legislatore; all'art. 11, comma 4, lett g) della legge 59 del 1997 il Governo è stato delegato ad emanare norme che prevedessero " la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresi un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti ".

La previsione della delega è stata disarticolata prevedendo un ampliamento generale della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sia per quanto riguarda i contenuti che per quanto riguarda le materie.

Per quanto riguarda i contenuti, la giurisdizione esclusiva è stata estesa in ogni materia alle c.d questioni patrimoniali conseguenziali ( art. 35).

Per quanto riguarda le materie, la giurisdizione esclusiva è stata estesa all'edilizia ed all'urbanistica (art. 34).

Secondo il Comune resistente, la soluzione adottata appare internamente coerente, in quanto i diritti patrimoniali conseguenziali rappresentano un limite proprio della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L'art. 34 prevede in particolare che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia.

Secondo il Comune resistente, se il termine atti e provvedimenti appare chiaro, pur non essendo forse condivisibile la sua necessaria distinzione, potrà essere fonte di dubbi il termine " comportamenti ". La locuzione è stata probabilmente introdotta al fine di ricomprendere l'ipotesi piuttosto frequente del c.d. silenzio in materia edilizia. Nel contempo, vi è chi ha sottolineato la sua ulteriore riconducibilità al procedimento introdotto per gli interventi edilizi minori dalla legge 662 del 1996 (disciplinata anche nella legge regionale 52 del 1991) e all'occupazione acquisitiva.

Secondo il Comune resistente, il legislatore ha voluto conferire al giudice amministrativo in via esclusiva la giurisdizione nella materia urbanistico edilizia conferendogli altresì il potere, all'art. 35, di disporre il risarcimento del danno.

In materia urbanistica, come noto, l'affievolimento del diritto soggettivo in interesse legittimo del proprietario operato dagli strumenti urbanistici generali, preclude, in linea di principio, la proponibilità di azione risarcitoria avanti l'a.g.o. per i danni lamentati dal privato interessato dall'azione dei pubblici poteri.

La S.C. ha infatti stabilito che la facoltà del proprietario di agire in via risarcitoria contro il provvedimento di localizzazione delle opere di edilizia economico popolare è subordinato all'annullamento del relativo piano generale operato dal giudice amministrativo (Cass. 7 agosto 1991, n. 8585 ). La S.C. ( Cass. 9 marzo 1990, n. 1917) ha anche affermato che, nel caso in cui il giudice amministrativo abbia rilevato l'illegittimità del provvedimento urbanistico del Comune contrastante con la convenzione edilizia, da questo precedentemente stipulata con i privati, nell'ambito dei piani di destinazione, gli interessati possono azionare anche le relative pretese risarcitorie davanti all'a.g.o. nei riguardi dell'ente locale.

La S.C. ha peraltro precisato in questa sentenza che, ove venga richiesto il risarcimento dei danni derivati dal provvedimento della p.a. che si assume illegittimo, la disapplicazione dell'atto che il richiedente invochi a tal fine, in quanto costituisce ragione diretta del petitum e non attiene soltanto ad un presupposto del quale il giudice debba conoscere incidenter tantum, equivale a domanda di annullamento dell'atto stesso, la quale rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo. Nè può avere rilievo di per sé il petitum, ossia il risarcimento del danno, che, come effetto consequenziale, può chiedersi soltanto a seguito dell'annullamento dell'atto.

Secondo il Comune resistente, il ricorso appare impostato come azione risarcitorìa pura e dunque non consequenziale all'annullamento di un atto amministrativo incidente su di un diritto soggettivo.

In materia edilizia, è ormai costantemente ammessa l'azione per il risarcimento dei danni cagionati dal provvedimento di autoannullamento della licenza edilizia, emessa da parte del Sindaco, e dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo, perchè il provvedimento di autotutela, in tal caso, non è idoneo ad affievolire il diritto soggettivo del proprietario (Cass. 1 marzo 1990, n. 1589 e Cass. 11 marzo 1992, n. 2957).

Secondo il Comune resistente, il nuovo assetto della ripartizione tra giurisdizioni ha voluto porre rimedio a tali situazioni, consentendo al giudice amministrativo di dichiarare sia l’illegittimità di un atto, provvedimento o comportamento che, in via consequenziale, di disporre il risarcimento del danno ingiusto.

Secondo il Comune resistente, quanto affermato in ricorso dalla Valdadige in alcun modo può essere ricollegato all'emersione in capo alla stessa di un diritto soggettivo e tantomeno sotto il profilo della responsabilità precontrattuale.

Secondo il Comune resistente, a questo punto è necessario verificare se il ricorso della Valdadige sia stato radicato avanti al giudice amministrativo in forza della tesi dell'avvenuta introduzione nel nostro ordinamento giuridico del principio della risarcibilità degli interessi legittimi.

L'art. 35 infatti è stato ritenuto norma di rilievo esclusivamente processuale, ovvero individuante il giudice competente a conoscere della domanda di risarcimento, ma senza all'incontrario introdurre alcuna innovazione sul piano sostanziale.

In questo senso si è anche espresso il capo dell'ufficio legislativo del ministro per la funzione pubblica (in un articolo significativamente intitolato "Non cambia il diritto sostanziale" ripreso da P. Virga, nella relazione Le riforme a metà, relazione al Convegno su Giurisdizione amministrativa e ordinaria Nuova ripartizione di competenze e nuove certezze per l'operatore, Verona, 30 ottobre 1998 ).

In particolare è stato sottolineato come "le norme contenute negli artt. 33 - 35 del d.1gs. 80 del 1998 hanno portata esclusivamente processuale, nel senso che individuano il giudice competente a conoscere della lesione, stabilendo, innovativamente, che il giudice amministrativo conosca anche della domanda volta a conseguire il risarcimento del danno subito, ma non hanno alcuna portata innovativa sul piano sostanziale. In altri termini, il decreto delegato non si occupa, nè poteva occuparsi, della diversa questione di quali siano le situazioni soggettive risarcibili, In forza dell'art. 35, dunque, non vi è riconoscimento della risarcibilità dell'interesse legittimo, ma la mera attribuzione al giudice amministrativo della competenza a conoscere delle questioni attinenti al risarcimento del danno in relazione al cattivo esercizio di pubbliche funzioni".

Secondo il Comune resistente, da altri autori è stato poi efficacemente notato come tale interpretazione restrittiva derivi dal contenuto della delega, specie allorchè richiama le controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, lasciando quindi del tutto impregiudicata la questione della risarcibilità degli interessi legittimi.

Secondo il Comune resistente, nel caso di specie, non sembra configurabile la violazione nè di una situazione di diritto nè di interesse legittimo.

I. Insussistenza di responsabilità precontrattuale.

Il Comune osserva che la società Valdadige ritiene che, inoltrando all'Amministrazione Comunale un piano particolareggiato, ha sottoposto alla stessa una formale proposta di contratto. Ancora, che l'Amministrazione comunale avrebbe serbato una condotta non improntata a buona fede e correttezza.

Rileva il Comune che ne conseguirebbe – sempre secondo la Valdadige - una responsabilità precontrattuale, anche alla luce di quegli orientamenti giurisprudenziali che ammettono la sussistenza di ipotesi di responsabilità precontrattuale anche in capo alla pubblica amministrazione.

Tale responsabilità sarebbe conseguenza del fatto che l’approvazione del Prp, e quindi la stipula del contratto urbanistico per la sua attuazione, costituiva per il Comune un atto dovuto: nella contrattazione urbanistica attuativa infatti, così come in sede di rilascio delle concessioni edilizie e in altri ancora, sussisterebbe per la parte pubblica, se come nella fattispecie il progetto sia conforme alla strumentazione urbanistica generale vigente ed adottata, solo la facoltà di chiedere ed all'occorrenza imporre modifiche ritenute migliorative, poichè la discrezionalità è già stata spesa in sede di pianificazione generale.

Il Comune richiama poi la conclusione della Valdadige in cui essa afferma che la complessiva condotta dei funzionari e del Sindaco avrebbe determinato un ritardo e che nell'ambito di tale ritardo sarebbe intervenuta la Soprintendenza provocando la "sopraggiunta giuridica impossibilità, di realizzare un intervento".

Secondo il Comune resistente, dal tenore dell'atto, erroneamente qualificato quale atto di citazione pur svolgendosi il procedimento avanti ai Tribunali Amministrativi con il mezzo processuale del ricorso, anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, non si evince se dal comportamento tenuto dall' Amministrazione sia derivata lesione di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo.

Secondo il Comune resistente, nell'ipotesi di ritardo nell'adozione di un piano particolareggiato, non si verte di certo in ipotesi di lesione di un diritto soggettivo.

E' ben noto il principio, formatosi a seguito della nota Cass. S.U. 1 ottobre 1982, n. 5027, in base al quale il diritto soggettivo alla edificazione nasce soltanto con il rilascio della concessione edilizia.

Secondo il Comune resistente, ne consegue che non può essere risarcito chi si è visto illegittimamente negare la concessione; all'incontrario può essere ristorato sul piano patrimoniale chi la concessione l'ha avuta, ma se la sia vista illegittimamente annullare immediatamente dopo.

Non solo, ma la posizione di irrisarcibilità è mantenuta ferma dalla giurisprudenza anche quando l'illegittimità del diniego di concessione edilizia derivi dalla violazione di una precedente convenzione urbanistica stipulata con l'Amministrazione stessa (Cass. S.U. 16 dicembre 1994, n. 10800).

Secondo il Comune resistente, la questione in verità si è posta in chi ha ritenuto il rilascio della concessione edilizia quale atto dovuto. E questo proprio in considerazione del fatto che l'Amministrazione, nel rilasciare la concessione edilizia, non esercita alcuna discrezionalità amministrativa, essendo stata questa esercitata in sede di pianificazione urbanistica.

Secondo il Comune resistente, questo ragionamento parte da un principio che appare almeno allo stato assolutamente indiscusso: sia in sede di pianificazione urbanistica generale che attuativa l'Amministrazione agisce discrezionalmente.

Secondo il Comune resistente, l'Amministrazione comunale, in sede di esame dei PRPCIP, dispone di un ampio potere di apprezzamento di merito circa le soluzioni urbanistiche adottate dai privati derivandone l'insindacabilità, sul piano della legittimità, dei provvedimenti adottati nell'esercizio di tale potere, salvo ovviamente che non si configurino violazioni di legge o non ricorrano macroscopici errori di prospettazione della situazione di fatto o evidenti vizi logici.

Secondo il Comune resistente, la ricorrente erra nel conglobare nei contenuti possibili della convenzione anche il potere di pianificazione urbanistica, il quale invece spetta solo al comune. E come bene hanno evidenziato alcuni autori, di fronte a questo potere di pianificazione, le clausole convenzionali cessano di produrre effetti e le posizioni soggettive dei proprietari stipulanti la convenzione si appalesano quali interessi legittimi.

Secondo il Comune resistente, è evidente che in questo caso si fa riferimento alla qualificazione della posizione di chi ha stipulato una convenzione e deve recedere davanti al potere del comune che permane ad esempio nel negare un'istanza di concessione - nonostante l'impegno assunto in convenzione da parte dell'Ente - ove il rifiuto derivi dall'esercizio della potestà urbanistica che il comune ha in ordine alla revoca o alla modificazione degli strumenti urbanistici, quando sopravvengano nuove valutazioni ed esigenze. In questi casi la posizione del privato di fronte a tale diniego si qualifica come interesse legittimo.

Secondo il Comune resistente, diverso è chiaramente il caso in cui il privato lamenti un ingiusto ritardo da parte del Comune nell'adozione del piano particolareggiato e nella conseguente stipula della convenzione.

Il proprietario di un'area nella fase della pianificazione si trova semplicemente nella posizione di chi aspira ad una variazione urbanistica tale da comportare l'edificabilità del proprio terreno: nell'ipotesi di pianificazione attuativa delle previsioni a carattere generale contenute nel piano, aspira alla disciplina dell'edificazione secondo determinati modelli urbanistici che lui stesso propone, ma che l’Amministrazione è libera di accettare o meno. Secondo il Comune resistente, in questo caso il proprietario non ha ancora acquisito alcuna utilità alla sfera del proprio patrimonio, nutrendo una semplice aspirazione alla modifica urbanistica o all'integrazione della sua disciplina.

Secondo il Comune resistente, il ritardo con il quale viene svolta l'istruttoria anche là dove sia rinvenibile, non comporta quindi lesione in capo al proponente di un diritto soggettivo.

Si potrà piuttosto ritenere che, stante il particolare collegamento esistente tra piano di lottizzazione e rilascio di concessione di costruzione, il proponente possa provocare, attraverso l'istituto della diffida a provvedere, il silenzio rifiuto.

Secondo il Comune resistente, la giurisprudenza non è orientata in questo senso, avendo ritenuto che la formazione del piano di lottizzazione ai sensi dell'art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 consegue all'esercizio di un potere ampiamente discrezionale, sicché non è configurabile un obbligo di provvedere e, quindi, un silenzio rifiuto.

Secondo il Comune resistente, è altresì evidente che, una volta formatosi il silenzio, chi lo ha provocato avrà l'onere della sua impugnazione.

Tutto ciò non è avvenuto nel procedimento attivato dalla Valdadige. E se le lettere inviate dalla Valdadige dovessero essere ritenute diffide a provvedere, l'eventuale silenzio rifiuto che si è formato non è stato oggetto di impugnazione, nè ora costituisce oggetto del presente ricorso.

La Valdadige all'incontrario sembra ritenere che la responsabilità dell'Amministrazione derivi semplicemente dal presunto ritardo con il quale l’Amministrazione comunale avrebbe provveduto.

Secondo il Comune resistente, l'attuale assetto normativo non consente di giungere a queste conclusioni.

Giova sottolineare come non a caso la legge 59 del 1997 ha delegato al Governo il compito di emanare regolamenti in materia di procedimenti amministrativi, nei quali in particolare (art. 20, quinto comma lett. h ) potrà essere contenuta la "previsione, per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione, di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento..".

Questo regolamento non è stato emanato e comunque non potrebbe trovare applicazione nel caso illustrato nell'atto della Valdadige.

Secondo il Comune resistente, va infine precisato come l'attuazione del piano particolareggiato proposto dalla Valdadige ha trovato ostacolo fondamentale nell'emergere dell'interesse fatto valere dalla Soprintendenza, forse erroneamente nell'ambito della regolamentazione urbanistica del territorio, a tutela dell'interesse storico - architettonico del sito, su presupposti tale da legittimare la previsione di un vincolo indiretto ai sensi della legge n. 1089 del 1939.

Secondo il Comune resistente, logica vuole che tale interesse sarebbe stato comunque fatto valere dalla Soprintendenza laddove la Valdadige avesse dato esecuzione agli interventi edificatori, una volta approvato il piano da parte dell' Amministrazione Comunale.

* * * *

Resistono in giudizio anche Adriano Persi e Mauro Stanig, i quali rilevano che controparte imputa loro un comportamento colpevolmente omissivo e citano a riguardo il ricorso introduttivo.

I resistenti rilevano poi che controparte, nelle conclusioni, non formula domanda alcuna nei loro confronti, né il loro nome compare nell'epigrafe dell'atto di citazione, ove la vocatio in ius appare rivolta esclusivamente al Comune di Monfalcone.

Secondo i resistenti, la rilevata contraddizione rende vano qualsiasi tentativo di ricostruzione della volontà della società attrice, ovvero di interpretazione sanante dell'atto di citazione.

Pertanto i resistenti rilevano e eccepiscono il loro difetto di legittimazione processuale passiva.

Alternativamente - in rito: nullità della citazione per assoluta indeterminatezza dell'oggetto della domanda.

Secondo i resistenti, dalla narrativa e dalla argomentazioni di diritto e dalle stesse conclusioni formulate dalla controparte, si evince come la stessa invochi il riconoscimento di responsabilità precontrattuale dei convenuti e ne chieda la condanna al risarcimento dei danni subiti.

Secondo i resistenti, nell'ambito della responsabilità c.d. de contrahendo, è assolutamente pacifica la circostanza secondo cui i danni risarcibili attengono al solo "interesse negativo", ovvero sia alle spese inutilmente sostenute nel corso della trattativa in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione di un diverso contratto. Ne deriva la tipicità dei danni invocabili dal soggetto che si asserisce danneggiato dall'ingiustificato recesso dalle trattative.

Controparte, tuttavia, chiede all'adito Tribunale Amministrativo Regionale la condanna del Comune di Monfalcone al risarcimento dei danni subiti dalla Valdadige Costruzioni s.p.a. dal 25.12.1992 al definitivo, da accertarsi in corso di causa "anche in via equitativa". In via istruttoria, chiede CTU preordinata "alla esatta quantificazione dei danni subiti dalla proponente".

Secondo i resistenti, non può non rilevarsi un radicale difetto di allegazione dei fatti di causa; difetto che si riverbera nell'assoluta indeterminatezza dell'oggetto della domanda e, quindi, nella nullità dell'atto di citazione (ex artt. 164, quarto comma, e 163 n. 3 c.p.c.).

Secondo i resistenti, controparte non illustra minimamente le spese che ha dovuto inutilmente sostenere durante le asseritamente fallite trattative con il Comune convenuto né, in ogni caso, specifica ulteriori fatti di danno. Parla del tutto genericamente di danni subiti.

Secondo i resistenti, tale difetto non potrà essere ovviato da una valutazione equitativa da parte del giudice.

Secondo i resistenti, la valutazione equitativa del danno è consentita solo nei casi in cui la prova del danno è oggettivamente impossibile o estremamente difficoltosa (ex pluribus Cass. civ, , 111, 27.03.1997 n. 2745). Nella presente controversia, il danno non è nemmeno stato allegato dalla controparte. Per le stesse ragioni, è parimenti inammissibile la richiesta istruttoria di CTU "per l'esatta determinazione dei danni subiti dalla proponente".

Subordinatamente - nel merito: difetto di legittimazione sostanziale dei convenuti.

La società attrice imputa al Sindaco di Monfalcone e al Segretario generale un comportamento ostruzionistico adottato in violazione dell'art. 36, comma, 1 della I. n. 142/90 che imponeva loro di attuare la deliberazione consiliare del 09.12.1996 e dell' art. 1337 c.c. che imponeva di comportarsi nella trattativa contrattuale secondo buona fede.

Secondo i resistenti, presupposto necessario di queste argomentazioni è che il Sindaco e il Segretario abbiano formalmente assunto nelle "trattative" per l'approvazione del Prp la veste di parte contrattuale. Il che, ovviamente non è, poiché ai sensi dell' art. 45 L.R. n. 52/1991 tale veste è adottata dal Consiglio Comunale.

Secondo i resistenti, anche la pretesa violazione dell'art. 36, 1 comma, I. n. 142/1990 costituisce un'argomentazione inconcludente.

Invero, il Consiglio Comunale, con la delibera del 09.12.1996, nell'invitare il Sindaco "ad adoperarsi per ricercare soluzioni che affrontino il problema della viabilità" formulava un mera esortazione al Sindaco, ovvero un atto sprovvisto di qualsiasi forza cogente, in ogni caso inidoneo a addossare al Sindaco competenze proprie di altri organi e funzionari. Infatti, la stessa controparte non può esimersi dal definire "anomalo" simile provvedimento.

Inoltre, osservano i convenuti, controparte stessa riconosce che l'intervento edilizio oggetto del richiesto Prp poneva un problema di vìabilità che riguardava non solo la zona interessata dall'intervento edilizio in questione, bensì la massima sicurezza possibile della mobilità complessiva di questa parte importante della città.

Secondo i resistenti, in sostanza il Consiglio Comunale prendeva atto che la realizzazione del centro commerciale avrebbe aumentato il volume della circolazione sull'area interessata e, quindi, della necessità di predisporre tutte le misure idonee a garantire la sicurezza della mobilità. In buona sostanza occorreva modificare, nella zona interessata, l'assetto della viabilità comunale.

Secondo i resistenti, trattasi di un problema la cui risoluzione implica decisioni che non hanno natura meramente tecnica, ma che coinvolgono scelte di carattere discrezionale le quali, per definizione, non possono competere al Sindaco.

Secondo i resistenti, alcuna responsabilità, può essere, poi, loro addebitata per il fatto che l'approvazione del Prp non sia stata mai portata all'ordine del giorno delle sedute dei Consiglio Comunale. Invero, il regolamento Comunale non prevede che sia il Sindaco a predisporre l'ordine del giorno.

Subordinatamente - nel merito: infondatezza della domanda attorea.

Secondo i resistenti, la ricostruzione giuridica operata da controparte al fine di configurare una responsabilità pre-contrattuale dei convenuti non può essere assolutamente condivisa.

In estrema sintesi, i momenti rilevanti dei ragionamento seguito da controparte possono così riassumersi:

• presentazione del progetto di Prp da parte della Valdadige s.p.a. = proposta contrattuale;

• istruttoria per la verifica di conformità del progetto = fase di trattativa contrattuale;

• approvazione del progetto da parte del Consiglio Comunale = accettazione della proposta e, pertanto, perfezionamento della fattispecie contrattuale;

• ingiustificato ritardo nell'approvazione dei Prp - comportamento contrario a buona fede = violazione dell'art. 1337 c.c..

A sostegno della propria tesi, controparte cita i seguenti riferimenti normativi:

art. 28 1. n. 1150/1942, che disciplina le convenzioni urbanistiche;

art. 11 1. n. 241/1990 che disciplina gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimenti amministrativi.

Secondo i resistenti, gli articoli citati nulla hanno a che fare con la esaminata fattispecie.

Secondo i resistenti, spetta all'esclusiva scelta discrezionale della P.A. il ricorrere o meno agli accordi sostitutivi o integrativi. Nel caso di specie, il Comune di Monfalcone non ha mai posto in essere alcun atto o comportamento che potesse soltanto preludere all'intenzione di addivenire ad un accordo sostitutivo o integrativo. E', dunque, del tutto ingiustificato e spropositato un affidamento della società attrice in tal senso.

Secondo i resistenti, il richiamo all'art. 28 1. 1150/42, quale fonte di disciplina contrattuale della materia, è fuorviante.

Se è vero che il procedimento per l'adozione del piano di lottizzazione può iniziare ad istanza del privato e se è vero che il provvedimento autorizzatorio finale è condizionato, per quanto riguarda la sua efficacia, alla stipulazione di una convenzione (per quanto riguarda l'assunzione degli obblighi di urbanizzazione e i relativi oneri finanziari), non può, in ogni caso, assolutamente confondersi il momento procedimentale squisitamente "amministrativo" di formazione del p.l. con quello "privatistico" relativo alla stipulazione della convenzione.

Analogo schema è ora previsto per l'adozione di Prp ad iniziativa privata dalla L.R. n. 52/1991 art. 49.

Ivi è previsto che i privati interessati predispongano e depositino un progetto di Prp (art. 49 L.R. 52/1991) e contestualmente predispongano uno schema di convenzione (in tutto e per tutto equivalente alle convenzioni di cui all'art. 28 1. n. 1150/42) da approvarsi unitamente al Prp.

Secondo i resistenti, anche per la citata legge regionale del Friulì Venezia Giulia occorre distinguere i due momenti: a) quello di verifica della conformità del progetto agli strumenti urbanistici generali, cui segue il provvedimento amministrativo di adozione del Prp; b) quello di stipula della convenzione urbanistica.

Secondo i resistenti, l’approvazione del progetto e l'adozione del piano particolareggiato, costituiscono, dunque, tipici momenti di un procedimento amministrativo, nel quale la posizione dei privato è di mero interesse legittimo. Ne deriva che gli strumenti di tutela del privato non possono altro che essere quelli predisposti dall'ordinamento per gli interessi legittimi.

Secondo i resistenti, sia nelle ipotesi di cui all' art. 28 1. n. 1150/42 che in quelle previste dall' art. 49 della L.R. n. 52/1991, la domanda del privato pone un preciso obbligo (procedimentale) all'amministrazione di provvedere.

Secondo i resistenti, l'inerzia dell'amministrazione legittima il privato ad azionare il suo interesse legittimo avverso il silenzio rifiuto formatosi decorsi i termini previsti dalla legge (art. 2 L. n. 241/1990).

Secondo i resistenti, deve, pertanto, escludersi la possibilità di riconoscere una responsabilità de contrahendo relativamente ad una fase procedimentale destinata a concludersi con un provvedimento amministrativo.

Secondo i resistenti, in ogni caso, anche a voler ammettere l'astratta configurabilità di una responsabilità precontrattuale, nel caso di specie, non ne sussistono i presupposti. Deve ritenersi non tutelabile l'affidamento della società attrice, la quale ha inspiegabilmente omesso l’impugnazione del silenzio-rifiuto dell'amministrazione, rinunciando così all' unico strumento di tutela predisposto dall' ordinamento.

Secondo i resistenti, controparte, individuando la causa petendi nella responsabilità precontrattuale della P.A. resistente e, quindi, in un diritto soggettivo (2043 c.c., stando alla impostazione prevalente), implicitamente aderisce alla tesi dominante che ritiene che gli artt. 34 e s.s. del D. Lgs. n. 80/1998 non hanno per nulla innovato al principio della irrisarcibilità degli interessi legittimi.

*****

Nel corso della discussione svoltasi nella pubblica udienza del 2 luglio 1999, il patrono della ditta ricorrente si è soffermato sull’onere della prova, che, a suo avviso, costituisce un diritto potestativo processuale e che va collegato alla particolare domanda di risarcimento del danno introdotta, non senza ipocrisia, dal legislatore con il D. lgs. N. 80 del 1998.

Ne consegue che la ricorrente deve essere ammessa a provare il danno subito, utilizzando gli strumenti civilistici, tanto più che si controverte in materia di diritti soggettivi. Conclude rilevando come la nuova normativa sul risarcimento del danno comporti la necessità di un ripensamento delle tradizionali categorie dei diritti e degli interessi.

Sempre durante in dibattito in aula, il patrono del Comune ha affermato che, in materia di approvazione di piani particolareggiati, proposti dai privati, non sarebbe ammissibile la configurazione di diritti soggettivi, ma unicamente di interessi legittimi, trattandosi di questione che coinvolge la discrezionalità amministrativa.

Solleva poi la questione della irretroattività della risarcibilità degli interessi legittimi, anche qualora essa fosse considerata ammissibile sulla base del D. lgs. 80 del 1998.

Contesta infine che, nel caso in esame, il Comune abbia artatamente ritardato l’esame della domanda di parte ricorrente.

Il patrono dei due convenuti fa presente che parte ricorrente non avrebbe affatto quantificato il danno subito per il ritardo nell’operato dell’amministrazione, anche in considerazione della particolare tipologia dei danni ammissibili nella cosiddetta culpa in contrahendo.

La causa è stata poi introitata per la decisione.

D I R I T T O

1. La prima delle numerose questioni preliminari riguarda la stessa forma del presente ricorso, proposto quale "Atto di citazione", asseritamente ai sensi degli articoli 34 e seguenti del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80.

Orbene, nonostante le profonde innovazioni introdotte nel giudizio amministrativo dagli articoli 33, 34 e 35 del citato decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, sulle quali risulterà necessario soffermarsi in prosieguo, tuttavia, la struttura del ricorso dinanzi al giudice amministrativo rimane quella usuale, come codificata dalle leggi sul Consiglio di Stato e sui TAR, per cui il giudizio va introdotto non già con atto di citazione, ma nella forma di ricorso giurisdizionale.

Sennonché, in ossequio al noto principio della strumentalità delle forme, dal momento che detto atto di citazione contiene tutti gli elementi essenziali richiesti per la validità di un ricorso e risulta regolarmente notificato a controparti e successivamente depositato presso la segreteria del TAR, esso può senz’altro essere considerato quale un vero e proprio ricorso giurisdizionale e come tale va trattato a tutti gli effetti.

2. Il resistente Comune di Monfalcone eccepisce in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sotto un duplice profilo: da un lato, in quanto – nella prospettazione del resistente - l’articolo 35 del ripetuto decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 avrebbe devoluto al giudice amministrativo unicamente le questioni patrimoniali consequenziali ad altre questioni di sua spettanza e non già quelle in via diretta, come richiesto dalla ditta ricorrente.

D’altro lato – sempre secondo il Comune - la stessa giurisdizione amministrativa difetterebbe, nella considerazione che la portata dell’articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, non si potrebbe estendere al risarcimento degli interessi legittimi, e correlativamente in quanto la ditta ricorrente non potrebbe vantare – vertendosi in materia urbanistica – alcun diritto soggettivo.

Ad avviso di questo Collegio, l’eccezione di difetto di giurisdizione, così come formulata, coinvolge l’esame della valenza sia dell’articolo 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, che definisce la giurisdizione esclusiva in materia urbanistica e edilizia, sia del successivo articolo 35, in particolare in relazione alla questione dell’estensione – negata dal Comune - del risarcimento del danno anche alle lesioni degli interessi legittimi.

Si tratta pertanto di due questioni che non possono essere affrontate e risolte in via preliminare, coinvolgendo a tutta evidenza le principali censure sviluppate nel presente ricorso, per cui esse vanno necessariamente esaminate e trattate unitamente al merito.

3. Il ricorso risulta proposto, oltre che nei confronti del Comune, anche nei confronti di Adriano Persi e di Mauro Stanig, rispettivamente nella qualità di Sindaco del comune di Monfalcone e di Segretario comunale, all’epoca della vicenda da cui trae origine il presente gravame.

Essi si sono costituiti in giudizio eccependo il loro difetto di legittimazione passiva, sostenendo di risultare estranei alle vicende di cui al ricorso, ancorché la ditta ricorrente li consideri corresponsabili dei ritardi nell’esame della pratica relativa ad una lottizzazione edilizia, che avrebbero causato il danno di cui essa chiede il risarcimento.

L’eccezione risulta parzialmente fondata, anche se le conseguenze non sono quelle prospettate dai due convenuti.

Invero, con il presente ricorso si agisce in via principale per ottenere il risarcimento del danno ex articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 e la citazione dei due soggetti indicati deriva unicamente dalla circostanza che essi avrebbero concorso a determinare il ritardo nell’esame della pratica di lottizzazione promossa dalla ditta ricorrente; sennonché, anche ad una semplice lettura di detto articolo 35, appare evidente che le azioni di risarcimento del danno, consequenziali a giudizi amministrativi, possono essere proposte unicamente nei confronti della pubblica amministrazione, non già dei singoli funzionari o responsabili.

Si tratta, infatti, di un’azione di risarcimento danni che comunque afferisce ad un giudizio amministrativo, nel quale, secondo i principi, rileva la legittimità di un provvedimento (o eventualmente l’accertamento di un diritto), ma giammai la responsabilità dei singoli, che spetta ad altri giudici valutare. Non può quindi trovare ingresso un’azione risarcitoria promossa nei confronti di un soggetto diverso dalla pubblica amministrazione, la quale potrà eventualmente, ove ne ricorrano gli estremi, rivalersi sui propri funzionari, in caso di soccombenza in un giudizio di risarcimento del danno.

Ciò non toglie che Adriano Persi e Mauro Stanig non debbano essere estromessi dal presente giudizio, in quanto il loro intervento in causa (definibile ad opponendum) va considerato comunque ammissibile, stante il loro evidente interesse di fatto a non vedersi coinvolti, nemmeno indirettamente, nella vicenda, proprio per le eventuali conseguenze – anche patrimoniali - cui potrebbero andare incontro, nell’ipotesi di condanna del Comune al risarcimento del danno.

4. Tornando ora alla questione cardine del presente ricorso, esso, come già visto, viene proposto in via principale al fine di ottenere il risarcimento del danno, causato, nella prospettazione della ditta ricorrente, dalla negligenza e dai ritardi dell’amministrazione comunale di Monfalcone, nella fase di approvazione del progetto di lottizzazione proposto dalla ditta medesima, la quale avrebbe in tal modo visto procrastinare la conclusione della vicenda procedimentale fino al momento in cui un intervento esterno (un vincolo ambientale apposto dalla Regione) ha impedito alcuna possibilità edificatoria nella zona de qua.

Il comportamento comunale configurerebbe, sempre nella prospettazione della ditta istante, una responsabilità precontrattuale, in quanto la stipula di una convenzione urbanistica a seguito di lottizzazione avrebbe appunto natura contrattuale.

La prima questione che sorge in relazione alla domanda attorea riguarda la possibilità che nel giudizio amministrativo venga introitata una domanda autonoma di risarcimento del danno.

Sulla base di quanto sopra evidenziato, la risposta non può che risultare negativa.

Invero, a favore della necessaria correlazione tra risarcimento del danno e giudizio amministrativo, militano il dato letterale, vale a dire il dettato del primo comma dell’articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, che fa riferimento alle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e il quinto comma del medesimo articolo 35, che espressamente si riferisce al risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi.

In altri termini, la volontà del legislatore, quale emerge dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, è quella di evitare il cosiddetto doppio binario, vale a dire la necessità per l’interessato di adire al giudice ordinario dopo aver ottenuto una pronuncia favorevole da parte del giudice amministrativo; ma si tratta pur sempre di un risarcimento danni consequenziale ad un giudizio amministrativo.

In altri termini, la possibilità di chiedere il risarcimento del danno dinanzi al giudice amministrativo deve necessariamente conseguire ad una domanda di annullamento proposta contestualmente, ovvero ad un giudicato amministrativo già in precedenza ottenuto, sempre nelle materie in cui il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 lo consente.

Nel ricorso in esame, almeno ad un primo esame, sembra che parte ricorrente si limiti a chiedere il risarcimento del danno, senza riferimento ad alcun previo giudicato sulla questione (che non esiste), ma senza nemmeno chiedere in via principale l’annullamento di un atto asseritamente illegittimo.

5. A questo punto, va esaminata un’altra questione fondamentale: invero, si controverte in materia urbanistica, nella quale, come osserva il Comune nella sua memoria difensiva, prima del rilascio della concessione edilizia, i privati possono vantare unicamente interessi legittimi. Tale circostanza -– ad avviso del resistente – comporterebbe di per sé il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 non avrebbe affatto introdotto nell’ordinamento la possibilità di risarcire gli interessi legittimi.

La questione deve essere esaminata sotto un duplice profilo: innanzi tutto, va acclarato se nella fattispecie si controverta in materia di interessi legittimi e, ove la risposta fosse positiva, se la nuova normativa abbia introdotto o meno la risarcibilità degli interessi legittimi.

Il primo aspetto presenta a sua volta una natura ancipite, dovendosi esaminare la questione se, in una controversia riguardante l’approvazione di un piano particolareggiato, sia configurabile un diritto soggettivo del privato, e, in via logicamente graduata, se sia ammissibile una responsabilità in contrahendo della pubblica amministrazione.

Sul primo aspetto, va osservato che, come emerge dalla narrativa, si controverte in materia di piani particolareggiati di iniziativa privata.

Ad avviso di questo Collegio, l’iter approvativo di detti piani non configura alcun diritto soggettivo in capo al privato richiedente, ma unicamente una posizione di interesse legittimo, sia per la natura almeno parzialmente discrezionale che presenta l’approvazione da parte del Comune di detti piani, che coinvolgono per loro natura interessi pubblici, sia perché la fase "contrattuale", su cui insiste parte ricorrente, quella cioè della stipula della convenzione urbanistica, risulta solo una delle fasi procedurali e segue alla valutazione pubblicistica ed autonoma dell’approvazione del progetto da parte della pubblica amministrazione.

Conclusivamente sul punto, in materia di approvazione di piani particolareggiati, non risulta configurabile una posizione di diritto soggettivo da parte del privato, prima della loro approvazione.

6. Va ora esaminata la correlata questione se sia in qualche modo configurabile una responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in quanto è sul comportamento asseritamente negligente e dilatorio del Comune nella fase approvativa del piano di lottizzazione de quo che insiste parte ricorrente.

Va innanzi tutto rilevato che – ad avviso di questo Collegio – non può parlarsi di culpa in contrahendo, o responsabilità precontrattuale, della pubblica amministrazione nel senso civilistico del termine, in quanto le convenzioni urbanistiche, di cui si controverte, non possono essere definite come un vero a proprio contratto, se non in un senso del tutto peculiare, trattandosi certo di un atto formalmente paritetico, il quale peraltro si inserisce in una sequenza procedimentale in cui predominano gli interessi pubblici e quindi la discrezionalità della pubblica amministrazione.

In altri termini, se è vero che la convenzione urbanistica può assimilarsi ad un contratto, essa costituisce solo un momento della complessa procedura per addivenire alla realizzazione di una lottizzazione, di cui fanno necessariamente parte, altresì, momenti squisitamente pubblicistici, quale l’approvazione del progetto di lottizzazione.

In sostanza, parlare di responsabilità precontrattuale rispetto ad una convenzione urbanistica appare riduttivo e inesatto, in quanto la convenzione risulta solo uno dei momenti di una procedura complessa, nella quale trovano ingresso poteri pubblicistici di vario genere e quindi il pubblico interesse.

7. Quanto sopra acclarato, non toglie che anche la pubblica amministrazione, nei suoi rapporti con i privati, sia tenuta al rispetto dai canoni usuali della buona fede ovvero dell’affidamento, i quali non risultano affatto confinati ai soli rapporti tra privati, assurgendo a vero e proprio principio dell’ordinamento.

Ne consegue che appare configurabile, almeno in astratto, un tipo particolare di responsabilità della pubblica amministrazione, qualora essa abbia tratto in inganno il privato ingenerando aspettative fondate di un suo comportamento, anche nella fase prodromica rispetto ad un provvedimento amministrativo.

Naturalmente, non rilevando gli stati d’animo soggettivi, tale violazione del precetto di buona fede deve risultare documentalmente, deve essere causata da ragioni che esulano dal pubblico interesse e deve altresì essere fatta valere con gli usuali metodi afferenti al giudizio amministrativo (richiesta di annullamento di un atto e, ove ammissibile, accertamento di un diritto).

Si tratta quindi di una responsabilità della pubblica amministrazione che sarebbe più corretto chiamare responsabilità da violazione dell’obbligo della buona fede, coinvolgente generalmente interessi legittimi del privato e che riguarda la fase procedurale preparatoria di un provvedimento amministrativo cui il privato aspira.

Conclusivamente sul punto, anche se non appare configurabile una responsabilità in contrahendo della pubblica amministrazione, tuttavia risulta invece ammissibile una sua responsabilità per violazione dell’affidamento del privato, anche nella fase procedurale preliminare ovvero preparatoria di un provvedimento amministrativo favorevole per il privato medesimo.

8. Va ora esaminata la questione, invero centrale nella presente controversia, della stessa risarcibilità degli interessi legittimi sulla base del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80.

Il problema, di non poco momento, risulta ancora dibattuto e controverso in giurisprudenza.

Ad avviso di questo Collegio, a favore dalla risarcibilità degli interessi legittimi, militano argomenti letterali, logici e sistematici.

Come noto, nel sistema giuridico italiano, finora il risarcimento del danno da interesse legittimo era ammesso unicamente dall’articolo 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142 (riguardante alcune gare comunitarie), articolo introdotto su pressione dell’Unione europea.

Sennonché, l’articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, al comma quinto, abroga espressamente detto articolo 13, oltre ad ogni altra disposizione che preveda la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi nelle materie di cui ai precedenti articoli 33 e 34. L’abrogazione di detto articolo 13, cioè di una norma sostanziale che prevede, in un’ipotesi particolare, il risarcimento del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo, si spiega unicamente se tale risarcimento viene contestualmente reintrodotto in via generale dal medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80.

Né – ad avviso di questo Collegio - appare condivisibile la tesi di chi ammette una valenza unicamente procedurale (spostamento della giurisdizione) dell’articolo 35, ivi compresa l’abrogazione del citato articolo 13 della legge n. 142 del 1992, in quanto la norma abrogata presenta un contenuto sostanziale, anzi, di eccezione alla regola generale vigente fino al decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, contenuto non recuperabile, se non interpretando nel senso indicato detto articolo 35.

In altri termini, non appare sostenibile dal punto di vista logico che il legislatore, tra l’altro privo di una delega in tal senso, abbia voluto abrogare anche l’unica ipotesi di risarcimento da interesse legittimo presente nell’ordinamento, ponendosi in contrasto con le indicazioni e la giurisprudenza comunitarie.

9. Militano a favore della tesi dell’introduzione, da parte del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, della generale risarcibilità degli interessi legittimi anche altre considerazioni.

Innanzi tutto, la dizione adottata al primo comma dell’articolo 35, con il suo riferimento al danno ingiusto, richiama quasi testualmente l’articolo 2043 del codice civile, per cui risulta espressione del principio generale della risarcibilità di qualsivoglia lesione ingiusta (cioè contra jus) alla sfera giuridica di un soggetto, indipendentemente quindi se essa riguardi un diritto soggettivo ovvero un interesse legittimo.

Inoltre, non vi è nel nostro ordinamento alcuna disposizione positiva che vieti il risarcimento da lesione di un interesse legittimo.

Infine, la giurisprudenza comunitaria e il diritto comunitario in genere (come noto, ormai embricato con il diritto italiano), oltre ad un’interpretazione evolutiva dello stesso dettato costituzionale, portano all’estensione del risarcimento anche ai casi di lesione ingiusta di interessi legittimi.

Quanto poi alla legge delega n. 59 del 1997, nessun argomento può trarsi dalla stessa, sia in quanto un eventuale eccesso di delega sarebbe sanzionabile dinanzi alla Corte costituzionale, ma non modificherebbe la portata del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, sia in quanto essa nulla afferma sulla risarcibilità degli interessi legittimi, né per affermarla, ma nemmeno per limitarla.

Inoltre, e l’argomento risulta decisivo, non è dubitabile che un soggetto possa risentire un pregiudizio ingiusto, suscettibile di apprezzamento anche sotto il profilo economico, alla propria sfera giuridica soggettiva, sia che essa si sostanzi in un diritto soggettivo sia in un interesse legittimo, per cui, almeno in astratto, tale lesione, anche alla luce dei principi costituzionali, dovrebbe risultare risarcibile (in tal senso TAR Veneto, prima sezione, n. 542 del 1999).

10. Per completezza, va rammentato che il patrono della ditta ricorrente, nel corso della pubblica discussione, ha – sia pure in forma problematica - sollevato la questione del possibile superamento della stessa distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi.

Questo Collegio non ritiene che la questione sia attuale, sia perché la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi discende dal dettato costituzionale, sia in quanto l’interesse legittimo appare strettamente correlato all’interesse pubblico, con il quale interagisce, sia infine in quanto la categoria dell’interesse legittimo appare tale da incrementare anziché diminuire la tutela del cittadino di fronte alla pubblica amministrazione.

Vero è invece che la distanza tra interesse legittimo e diritto legittimo viene in qualche modo diminuita sulla base della risarcibilità del danno derivante dalla lesione dell’interesse legittimo, introdotta in via generale dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, sulla scorta di un diritto europeo ormai penetrato nel nostro ordinamento.

Tuttavia, e forse a maggior ragione, ad avviso di questo Tribunale, la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi rimane un cardine del diritto amministrativo italiano.

11. L’astratta possibilità, alla luce del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, di risarcire anche il danno da interesse legittimo, non elimina la questione, già sopra cennata, della necessità che la lesione sia conseguenza dell’annullamento di un atto amministrativo o perlomeno di un accertamento in sede giudiziale.

Parte ricorrente, a una prima lettura del ricorso, sembra limitarsi a chiedere il risarcimento del danno.

Sennonché, ad un più attento esame, si evince che la ditta istante censura altresì il comportamento dilatorio della pubblica amministrazione.

Orbene, l’articolo 34 del ripetuto decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non solo le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti dell’amministrazione in materia edilizia ed urbanistica (definita come ogni aspetto concernente l’uso del territorio), ma altresì i "comportamenti".

Va quindi indagato se la ditta istante abbia inteso, con il suo ricorso, chiedere anche un accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione, e, solo in conseguenza di detto accertamento, abbia chiesto il risarcimento del danno.

Ritiene questo Collegio che, anche a voler dare alla dizione "comportamento" la valenza più ampia, compendendovi non solo l’inerzia dell’amministrazione, ma altresì ogni aspetto del rapporto sottostante agli atti amministrativi, tuttavia essa chiaramente si aggiunge alle tradizionali controversie riguardanti la legittimità dei provvedimenti amministrativi, con l’ovvia conseguenza che, ove sia attivabile un’azione di annullamento (anche nella forma di impugnazione del silenzio formatosi a seguito di apposita diffida), non appare invocabile il riferimento ad un comportamento asseritamente illecito tenuto dall’amministrazione.

Di conseguenza, nel caso in esame, dal momento che la ditta ricorrente aveva a disposizione gli strumenti giuridici per intervenire nella fase iniziale dell’esame da parte del Comune della domanda di lottizzazione (impugnando ad esempio la mancata approvazione della Regione, ovvero attivando il meccanismo del silenzio rifiuto) non appare invocabile, in questa sede, un presunto comportamento illecito dell’amministrazione stessa.

La stessa eventuale violazione del principio dell’affidamento doveva essere fatta accertare dalla ditta istante nella fase preliminare, utilizzando gli strumenti giuridici amministrativi a sua disposizione, rispetto ai quali la valutazione del "comportamento" appare residuale.

Ne discende l’impossibilità di accogliere la domanda della ditta ricorrente.

12. Vi è un’altra dirimente ragione che non consente l’accoglimento del gravame, così come prospettato.

Va rilevato che, sulla base di pacifiche nozioni, in caso di responsabilità precontrattuale, l’unico danno risarcibile risulta essere l’interesse negativo, non dimostrato dalla ditta ricorrente nemmeno con un principio di prova.

Sul punto invero la ditta ricorrente sostiene che l’intero regime dell’onere della prova dovrebbe risultare variato, a seguito del risarcimento del danno come configurato dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, per cui verrebbero introdotti nel processo amministrativo gli istituti civilistici.

A tale proposito, va rilevato che il ragionamento si ritorce paradossalmente avverso la stessa tesi attorea, in quanto è proprio dai principi elaborati dalla giurisprudenza civile in materia di culpa in contrahendo che i danni conseguenti vengono limitati al cosiddetto interesse negativo.

Inoltre, l’introduzione, ad opera del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, di alcuni istituti di derivazione civile (in particolare sul regime delle prove, ex articolo 35) non elimina la necessità di adattarli ai principi del processo amministrativo. Tra questi, vi è quello dell’onere della prova, per cui spettava alla ditta ricorrente fornire almeno un principio di prova atto a quantificare l’asserito danno subito dal comportamento della pubblica amministrazione.

Sul punto, manca invero alcun riscontro obiettivo, limitandosi la ricorrente ad affermazioni apodittiche e non riscontrabili.

13. Il resistente Comune rileva, nella sue difese e nel corso della discussione orale, che la norma sul risarcimento del danno da violazione di interessi legittimi, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, non potrebbe avere effetto retroattivo, per cui non sarebbe ammissibile la stessa domanda di parte attrice, riferita a vicende antecedenti all’entrata in vigore di detta norma.

Ad avviso di questo Collegio, bisogna prendere le mosse dalla considerazione, di tutta evidenza, che il risarcimento del danno, dipenda esso dalla lesione di un diritto soggettivo ovvero dalla lesione di un interesse legittimo, costituisce un vero a proprio diritto.

Ne consegue che esso, ancorché introdotto in via generale, per quanto concerne la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi, solo con il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, riguarda tutte le vicende anche precedenti, purché risultino consequenziali ad un giudizio amministrativo e ovviamente nei limiti della prescrizione.

14. In conclusione, pur considerando in astratto ammissibile la responsabilità della pubblica amministrazione per violazione dell’affidamento e pur risultando – sulla base del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 - astrattamente ammissibile la domanda di risarcimento del danno e seguito di lesione di un interesse legittimo, tuttavia essa deve risultare consequenziale all’annullamento di un atto amministrativo illegittimo o almeno ad un giudicato amministrativo di accertamento.

Inoltre, l’ipotesi di accertamento dell’illegittimità di un comportamento dell’amministrazione in materia urbanistica, di cui all’articolo 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, risulta comunque residuale e non può sostituire la mancata attivazione, da parte della ditta ricorrente, del meccanismo del silenzio rifiuto, ovvero la mancata impugnazione di specifici atti lesivi.

Infine, la società istante non ha fornito nemmeno un inizio di prova del danno subito.

15. Per tutte le ragioni suindicate, il presente ricorso risulta privo di giuridico pregio e va rigettato.

La novità e complessità delle questioni trattate inducono tuttavia il Collegio a compensare le spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione,

lo rigetta.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste, nella camera di consiglio del 2 luglio 1999.

Giancarlo Bagarotto - Presidente

Umberto Zuballi - estensore.

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