TAR FRIULI - VENEZIA GIULIA - Sentenza 23 giugno 2001 n. 402 - Pres. Sammarco, Est. Di Sciascio - Robinie s.r.l. (Avv.ti A. Pavanini e V. de Grisogono) c. Comune di Lignano Sabbiadoro (Avv. F. Castiglione).
1. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Adozione - Effetti - Sono limitati e riguardano l’adozione di misure di salvaguardia - Provvedimenti espropriativi - Possono trovare presupposto solo nel caso di approvazione del P.R.G.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Atto adottato o approvato in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione - Necessità.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Nel caso di interessi legittimi pretensivi - Individuazione.
4. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - A seguito del già pronunziato annullamento del provvedimento amministrativo lesivo - Verifica circa la nutura più o meno vincolata che connota l’attività rinnovatoria della P.A. - Necessità - Fattispecie.
1. Le prescrizioni del piano regolatore, allorchè esso sia stato solo adottato, non hanno l’effetto di modificare la preesistente destinazione di zona, che è invece proprio dell’atto di approvazione, onde solo in quest’ultimo possono trovare il loro legittimo presupposto provvedimenti dell’ iter espropriativo (1).
2. La P.A. può essere ritenuta responsabile del danno non già tutte le volte che esso sia ricollegabile ad un provvedimento illegittimo (conclusione che potrebbe condividersi solo ove sia leso un diritto soggettivo) ma soltanto quando l’atto abbia comportato la lesione dell’interesse legittimo del danneggiato in quanto adottato o approvato in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.
3. Nel caso in cui sia stato leso un interesse legittimo pretensivo, per accordare il risarcimento dei danni occorre attentamente vagliare in concreto se la pretesa si risolva soltanto in un’aspettativa, anche se qualificata, ovvero in una situazione che, secondo la disciplina applicabile ed in base ad un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole e risultava quindi giuridicamente protetta.
4. Nel caso di risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi richiesto non in base ad un’autonoma valutazione da parte del giudice del danno dell’illegittimità dell’atto lesivo, ma in seguito al già pronunziato annullamento del provvedimento amministrativo lesivo, deve verificarsi se la conseguente attività rinnovatoria si connoti in termini tali, da far ragionevolmente escludere ogni ulteriore apprezzamento discrezionale in ordine all’adozione del provvedimento ampliativo richiesto, ovvero se residui la possibilità di una legittima determinazione, che non consista nel provvedimento predetto (2).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 luglio 1992 n. 661; 3 giugno 1994 n. 473; 7 aprile 1997 n. 336; 23 febbraio 1998 n. 702; 4 febbraio 1999 n. 110; 11 febbraio 1999 n. 144; 10 febbraio 2000 n. 721; II Sez. 30 aprile 1996 n. 2005; 21 gennaio 1998 n. 2907.
(2) Cfr. T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 10 febbraio 2001 n. 44; T.A.R. Puglia, Sez. II, 17 gennaio 2000 n. 169.
Alla stregua del principio il TAR Friuli, pur riconoscendo che esisteva un certo affidamento, da parte di chi, come la ricorrente, si è visto adottare un piano attuativo di iniziativa privata, alla sua approvazione, ha osservato che tuttavia l’approvazione definitiva del suddetto piano era nella specie tutt’altro che scontata, sia per quanto concerne la disciplina applicabile alla fattispecie, sia tenendo in considerazione le particolarità della vicenda.
Alla stregua dell’esame della pronuncia del Consiglio di Stato, che in grado di appello aveva annullato la delibera con la quale l’Amministrazione non aveva approvato il P.R.P.C. di iniziativa privata avanzato dalla ricorrente, il TAR Friuli ha infatti tratto la convinzione che "la constatata illegittimità del diniego non vincola l’amministrazione comunale all’approvazione del piano particolareggiato, rispetto alla quale la posizione della ricorrente rimane di aspettativa, essendo possibile una diversa determinazione del tutto legittima in sede di rinnovazione". Per tale motivo la richiesta di risarcimento danni avanzata non è stata accolta.
per l'annullamento
con il ricorso n. 442/00:
· della deliberazione consiliare n. 36 del 19.4.2000, con cui è stata adottata la variante n. 30 al P.R.G.C. per la revisione dei vincoli ex art. 36, 2° comma, della L.R. 19.11.1991 n. 52 e successive modifiche ed integrazioni, nella parte in cui introduce la classificazione a verde pubblico di un’area di proprietà della ricorrente e nella parte in cui (art. 57 delle NN. TT. AA. contestualmente adottate) dispone la salvezza dei soli P.R.P.C. adottati e non anche di quelli, come il piano proposto dalla ricorrente, anche approvati;
· della presupposta deliberazione consiliare n. 10 del 9.3.2000, con cui sono state adottate le direttive per la formazione della variante generale al P.R.G.C., che del pari prevede la destinazione a verde pubblico di una parte della proprietà della ricorrente;
per il risarcimento
con il ricorso n. 457/00 del danno ingiusto provocato alla ricorrente, ascrivibile a responsabilità del Comune intimato, per la mancata approvazione, in data 5.8.1997, del P.R.P.C. denominato "Robinie", consistente nella mancata possibilità di attuazione del piano stesso a partire da detta data, danno computabile in £ 7.408.000.000 o nella diversa somma, che parrà di giustizia, con rivalutazione monetaria e interessi, trattandosi di debito di valore, dalla data dell’obbligo e sino al saldo, con ordine al Comune di mettere a disposizione la somma de qua ovvero con condanna, in difetto, al pagamento della stessa, in uno con le spese di causa.
Visti i ricorsi, rispettivamente notificati il 4.7 e il 18.7.2000 e ritualmente depositati presso la Segreteria generale con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Vista, nel ricorso n. 457/00, l’ordinanza n. 400 d.d. 6.12.2000, a’sensi dell’art. 44, 3° comma, del R.D. 26.6.1924 n. 1054, nel testo introdotto dall’art. 1, 2° comma, della L. 21.7.2001 n. 205, del magistrato delegato dal Presidente del T.A.R.;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 25 maggio 2001 la relazione del consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresì i procuratori delle parti costituite;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F a t t o
Con il ricorso 442/00 espone la ricorrente di aver sottoposto una proposta di P.R.P.C. di iniziativa privata, denominato "Robinie", che è stato adottato con deliberazione consiliare n. 19 del 20.5.1995.
Acquisiti i pareri favorevoli delle autorità preposte alla tutela degli interessi ambientali, geologici, idraulici e demaniali, nonché l’attestazione, in data 5.8.1997, dell’Autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta e Bacchiglione, che nessuna misura di salvaguardia in conflitto con il piano da adottare fosse stata adottata, è stata presentata al Consiglio comunale la proposta di approvazione del P.R.P.C.
Detto organo, peraltro, con deliberazione n. 82 del 5.8.1997, ha deciso di non approvarlo.
Il ricorso proposto dall’attuale istante è stato respinto dall’adito T.A.R. con sentenza n. 650 del 23 aprile 1998, che ha ritenuto il difetto di interesse per quanto concerne alcune aree, oggetto di salvaguardia, a’ sensi della deliberazione consiliare n. 34 del 30.5.1997 e, per il resto, ha rigettato il ricorso, ritenendo il provvedimento impugnato come una revoca dell’adozione del P.R.P.C.
In appello detta sentenza è stata annullata, con sentenza n. 1589 del 15.10.1999, dalla IV Sezione del Consiglio di Stato che, osservato preliminarmente che le misure di salvaguardia di cui alla deliberazione 34/97 non si applicavano all’ambito del P.R.P.C., ha negato che la deliberazione di non approvazione potesse qualificarsi come revoca di quella di adozione, affermando che, in ogni caso, un piano attuativo adottato può non essere approvato soltanto dalla sopravvenienza di opposizioni, osservazioni e pareri sfavorevoli.
Con atto del 16.11.1999 la ricorrente ha diffidato il Comune a provvedere, costituendolo comunque in mora per il risarcimento del danno subito.
Con deliberazione consiliare n. 108 del 27.12.1999 il P.R.P.C. è stato approvato, alla condizione però del venir meno delle misure di salvaguardia, imposte, nelle more, sull’ambito interessato dalla sunnominata Autorità di bacino.
Con nota del 7.2.2000 il Sindaco del Comune intimato ha proposto alla ricorrente di realizzare l’edificazione prevista dal piano attuativo proposto, che si estende complessivamente per 8000 mq, su di un’area di 2800 mq di proprietà comunale, la cui destinazione sarebbe stata opportunamente variata.
La ricorrente ha risposto con nota del 18.2.2000 osservando che la proposta comunale poteva essere accettabile soltanto se si fosse garantita l’intera edificabilità già prevista dal P.R.P.C., nonché il ristoro degli oneri per pervenire alla sua approvazione, senza rimettere all’Autorità di bacino la definizione delle possibilità edificatorie di alcuna delle aree interessate.
Tale nota è rimasta senza riscontro.
Ne è seguita la deliberazione consiliare n. 10 del 9.3.2000, con cui sono state adottate le direttive per la formazione della variante generale al P.R.G.C., prefigurante una sistemazione delle aree della ricorrente conforme alla proposta sindacale, dal momento che vi si ipotizzava la destinazione a verde pubblico di una parte della proprietà e la destinazione residenziale di un’area di 2.800 mq., di proprietà comunale.
La ricorrente non ha contestato dette direttive, nell’assunto che non abbiano alcuna efficacia, nemmeno di salvaguardia, in quanto integrative della deliberazione consiliare n. 34/1997, già scaduta e non applicabile all’ambito di proprietà della ricorrente.
Con la deliberazione consiliare n. 36 del 19.4.2000 è stata peraltro adottata la variante n. 30 al P.R.G.C. per la revisione dei vincoli, nell’ambito della quale è contenuta una destinazione a verde pubblico di area di proprietà della ricorrente, inserita nel P.R.P.C., mentre con l’art. 57 delle NN.TT.AA., contestualmente approvate, mentre è stabilita la salvezza dei piani attuativi adottati, non è statuito altrettanto per i piani anche approvati, come quello promosso dalla Robinie s.r.l.
Si chiede pertanto l’annullamento di detta ultima deliberazione e, in qualità di atto presupposto, di quella di adozione delle direttive, per i seguenti motivi:
1) Violazione degli artt. 36, 2° comma, e 32 della L.R. n. 52/91.
La variante impugnata, a’ sensi delle norme in rubrica, potrebbe avere l’unico oggetto di verificare, cessata l’efficacia dei vincoli espropriativi, lo stato di attuazione del piano e di apportare le variazioni ritenute necessarie, nonché di determinare il conseguente fabbisogno di servizi pubblici e di attrezzature di interesse collettivo e sociale, e andrebbe adottata ed approvata con il medesimo procedimento, stabilito per il P.R.G.C. e le sue varianti.
Il contenuto peraltro dell’atto impugnato esorbiterebbe dalla mera variazione del piano, resa necessaria dalla verifica del suo stato di attuazione, per effetto della cessazione dell’efficacia dei vincoli destinati all’espropriazione, introducendo nuovi principi generali nella pianificazione comunale, quali la delocalizzazione di gran parte delle capacità edificatorie non ancora eseguite, la mitigazione delle destinazioni d’uso ammesse nelle zone golenali, la nuova definizione dei criteri per il computo, ai fini del volume edilizio, delle intercapedini sottofalda ed infine addirittura nuovi criteri funzionali ed estetici per le tende verticali.
In particolare detto inammissibile contenuto in questa sede viene direttamente a colpire la ricorrente, con la soppressione di ogni capacità edificatoria nell’area di proprietà, residuando, in presunto recepimento di una direttiva riguardante una futura variante generale, la possibilità di edificare altrove, con destinazione alternativa di esercizio pubblico o di rimessaggio natanti.
2) Violazione degli artt. 36, 2° comma, e 120 della L.R. n. 52/91
Sarebbe trascorso il termine entro cui la prima delle norme in rubrica consentiva al Comune di provvedere, onde esso sarebbe divenuto incompetente, spettando, a’ sensi della seconda norma ivi menzionata, alla Giunta regionale di avviare il procedimento sostitutivo per la surroga di un commissario agli organi comunali inadempienti.
Essendo detto commissario già da tempo nominato spettava a lui provvedere direttamente all’adozione della variante impugnata, non essendogli consentito di far intervenire il Consiglio comunale in atti di sua competenza.
3) Violazione degli artt. 30, 31 e 32 della L.R. n. 52/91. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà.
Con l’impugnata deliberazione consiliare n. 19 del 9.3.2000 il Comune intimato ha integrato le direttive per la formazione della variante generale al P.R.G.C., cioè gli indirizzi generali della politica urbanistica comunale.
Peraltro il contenuto del provvedimento sarebbe di estremo dettaglio, mirando all’inserimento nella variante per la revisione dei vincoli di scelte puntuali, determinate con precisa misurazione, in mq e in mc, degli ambiti interessati.
Esso sarebbe perciò illegittimo, differendo da quello previsto dalle norme in rubrica sia per contenuti (puntuali anziché generali) sia per destinazione, essendo finalizzato non alla variante generale, ma a quella per la revisione dei vincoli.
La deliberazione di adozione di quest’ultima variante sarebbe del pari illegittima, non essendo stato verificato se essa richieda, quanto a procedure ed allegati, la verifica, prevista dagli artt. 32, 1° comma, lett. c) e 30, 5° comma, lett. b), numero 1 bis, in merito all’eccedenza o meno, in seguito alle nuove destinazioni di zona, dai limiti di flessibilità previsti da tale ultima disposizione, né ricavandosi elementi in proposito dal suo testo.
La variante impugnata, nel modificare la destinazione di aree in precedenza non vincolate, ometterebbe pertanto di inserirle nel contesto della pianificazione urbanistica generale e della relativa istruttoria.
4) Incompetenza. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, illogicità, contraddittorietà, difetto di motivazione e sviamento.
Entrambi i provvedimenti impugnati sarebbero riferiti a interessi pubblici, quali la salvaguardia idraulica, che spettano alla competenza di altra autorità.
Sarebbe inoltre erroneo il presupposto, che essi assumono a fondamento della vasta manovra di rilocalizzazione dell’edificabilità, relativa ai comparti destinati a turismo e nautica, ricadenti in ambito golenale del fiume Tagliamento.
Il terreno della società ricorrente non sarebbe, infatti, golenale, perché situato alla quota di 13 m. sul livello del mare, non soggetta pertanto a esondazioni o a rischio idraulico, come risulta dai pareri favorevoli delle autorità competenti e riconosciuto dallo stesso progettista della variante.
Sarebbe inoltre contraddittorio che il Comune fondi la modifica delle destinazioni su una prescrizione dell’Autorità di bacino, che sarebbe già sufficiente a precludere, sia pure temporalmente, l’edificazione, di cui peraltro non condivide i presupposti, proponendosi di chiederne l’attenuazione.
La contestata destinazione a verde pubblico di aree della ricorrente non sarebbe infine in alcun modo motivata, tanto più che dovrebbe trovare giustificazione nella necessità di reperire standard che, per dichiarazione del medesimo progettista, non troverebbero giustificazione in una misura così elevata.
5) Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, per contraddittorietà, perplessità e sviamento.
Sarebbe contraddittoria l’approvazione del P.R.P.C. di iniziativa della ricorrente con l’introduzione, soltanto quattro mesi dopo, di modifiche alla destinazione urbanistica tali da impedirne l’attuazione.
Se questa era la volontà del Comune lo strumento adeguato era la revoca del piano attuativo adottato, sussistendone sufficienti motivi, non la pratica impossibilità di dare esecuzione al piano stesso, da poco approvato.
Non sarebbero sopravvenute nuove esigenze urbanistiche, atte a sostenere il mutamento d’indirizzo dell’amministrazione, che troverebbe la sua origine nella volontà di strumentalizzare i propri poteri in materia per precludere la realizzazione di un piano approvato, con chiaro sviamento rispetto ai fini propri dell’esercizio della potestà pianificatoria, non sostenuta da una sufficiente motivazione e da un’adeguata istruttoria, in quanto le asserite ragioni di tutela idraulica sarebbero già garantite dall’Autorità di bacino.
6) Eccesso di potere per disparità di trattamento, per illogicità e contraddittorietà
Non sarebbe legittimo tutelare, con l’art. 57 delle NN.TT.AA., escludendoli dalle disposizioni della variante di revisione dei vincoli, soltanto i piani attuativi adottati e non anche quelli, fra cui il P.R.P.C. relativo alla proprietà della ricorrente, sia adottati che approvati.
7) Eccesso di potere per disparità di trattamento
Non sarebbe legittimo imporre soltanto alla ricorrente, e non agli altri comparti in zona golenale, il vincolo a verde pubblico, senza compensare la volumetria soppressa con assegnazione di pari volume edificabile, tanto più che l’area interessata non sarebbe golenale né soggetta a rischio idraulico.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, controdeducendo.
Le parti, con contrapposte memorie, hanno illustrato le rispettive tesi.
Con il ricorso n. 457/00 la società ricorrente, esposti i medesimi fatti alla base del ricorso n. 442/00, sottolinea che l’approvazione del P.R.P.C. di iniziativa privata, da essa promosso, è intervenuta in data 27.12.1999, mentre era già possibile in data 5.8.1997, data in cui è stata proposta al Consiglio comunale, dopo aver acquisito tutti i pareri favorevoli e nulla osta necessari, ed è stata illegittimamente negata, come riconosciuto, con sentenza passata in giudicato, dal Consiglio di Stato.
Per giunta, essendo nelle more intervenuta l’adozione di misure di salvaguardia da parte dell’Autorità di bacino, per la durata di tre anni, il provvedimento comunale di approvazione ne ha condizionato l’attuazione al venir meno di dette misure.
Si verifica pertanto l’impossibilità attuale e forse anche definitiva di dare esecuzione al P.R.P.C., imputabile alla sola amministrazione.
Se, infatti, essa lo avesse approvato il 5.8.1997 nessun ostacolo si sarebbe frapposto all’edificazione, dal momento che la stessa Autorità di bacino ha certificato, a quella data, l’insussistenza di misure di salvaguardia idraulica.
Le opere si sarebbero potute quindi eseguire ben prima del 4 giugno 1998, data di entrata in vigore della predetta salvaguardia, considerata la natura dell’intervento.
Nel caso di specie sussisterebbe l’evento dannoso, consistente nella sopravvenuta impossibilità per la ricorrente di attuare l’intervento edificatorio, per il quale essa aveva acquisito l’area e dato corso all’iter approvativo del P.R.P.C., fidando nel certificato di destinazione urbanistica, allegato all’atto di compravendita.
Il danno in questione sarebbe altresì ingiusto:
· perché la deliberazione, con cui il Comune ha deciso di non procedere all’approvazione del P.R.P.C. in data 5.8.1997, è stata definitivamente annullata con la sentenza del Consiglio di Stato, IV Sez. 15.10.1999 n. 1589, che ha riconosciuto l’insussistenza di ogni valida ragione a supporto;
· perché il piano attuativo in questione è stato in fatto approvato, ancorché tardivamente e ancorché ne fosse stata posta all’ordine del giorno la revoca, così dimostrando che l’approvazione ben poteva intervenire a suo tempo;
Dalla ricostruzione, sin qui effettuata, della vicenda dimostrerebbe per tabulas il diretto rapporto di causa ed effetto tra l’illegittima non approvazione del piano a suo tempo e l’impossibilità attuale della sua attuazione.
La colpa dell’amministrazione sarebbe dimostrata da un reiterato comportamento dilatorio del Comune a partire dell’8.11.1996, data in cui la società ricorrente ha comunicato l’adesione alle prescrizioni allora imposte dalla Commissione urbanistica, depositando il successivo 23.12.1996 un nuovo schema di norme tecniche di attuazione del piano e uno schema di convenzione modificato, attraverso la reiterata richiesta di pareri già resi e di attestazioni di conformità non più dovute.
E’ il caso del nulla osta del Ministero delle Finanze rilasciato il 28.5.1997, e ulteriormente richiesto alla predetta autorità, che l’ha ribadito il 17.6, 3.7 e 21.7.1997, del duplice parere geologico, ottenuto dalla Regione sia il 5.5 che il 15.7.1997, e della richiesta all’Autorità di bacino di certificare l’inesistenza di misure di salvaguardia.
Nonostante l’esito positivo dell’istruttoria la deliberazione consiliare di non approvazione dimostrerebbe la precostituita volontà di non giungere alla doverosa approvazione del piano, il che, come avrebbe riconosciuto il Consiglio di Stato, dimostrerebbe lo sviamento di potere operato dall’amministrazione.
Quanto all’ammontare del danno subito si deposita relazione tecnica di parte, in base alla quale i costi sopportati, direttamente finalizzati all’intervento edificatorio de quo ammonterebbero a £ 1.182.827.797, mentre il mancato guadagno sarebbe da stimarsi in £ 5.852.000.000.
Sommando la perdita subita al mancato utile, maggiorata la somma degli interessi legali e dedotto il valore residuo del terreno, valutabile in £ 282.000.000, il quantum del risarcimento richiesto sarebbe da stimare in complessive £ 7.408.000.000, che il Comune dovrebbe porre a disposizione della ricorrente o, in mancanza, essere condannato, salva diversa determinazione che sarà ritenuta di giustizia e salvo l’esito degli accertamenti tecnici, che fin d’ora si richiedono, in via istruttoria.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, controdeducendo.
Con l’ordinanza in epigrafe il magistrato allo scopo delegato dal Presidente del T.A.R. ha, per quanto concerne la fase processuale anteriore alla fissazione dell’udienza di discussione, respinto, salva diversa determinazione del Collegio, l’istanza istruttoria sul quantum, proposta dalla ricorrente, ritenendo necessario invece disporre previamente incombenti istruttori a carico del Segretario generale dell’Autorità di bacino, che sono stati regolarmente eseguiti.
Con successive memorie sono state integrate le contrapposte prospettazioni delle parti.
D i r i t t o
I ricorsi, in quanto connessi, vanno riuniti e contestualmente decisi.
Il ricorso n. 442/00 non può, sotto più profili, essere esaminato nel merito.
Con esso invero si impugnano:
· la deliberazione consiliare n. 10 del 9.3.2000, con la quale sono state adottate, ad integrazione di precedente analogo provvedimento, a’sensi dell’art. 31, 2° comma della L.R. n. 52/91, le direttive per la predisposizione di una nuova variante generale al P.R.G.C. che, a’sensi del successivo art. 35, 2° comma, possono comportare la salvaguardia nei confronti degli interventi ritenuti in contrasto con esse;
· la deliberazione consiliare n. 36 del 19.4.2000 con cui, a’sensi dell’art. 36, 2° comma, della L.R. n. 52/91, è stata adottata, in seguito alla decadenza di vincoli espropriativi, la variante al vigente P.R.G.C. finalizzata a verificare lo stato di attuazione del piano e ad apportare le variazioni ritenute necessarie nonché a determinare il conseguente fabbisogno di servizi pubblici e di attrezzature di interesse collettivo e sociale, e ciò in seguito a intervento sostitutivo regionale a’sensi dell’art. 120 della L.R. n. 52/91, la quale, come ogni altra variante adottata, comporta il vincolo di salvaguardia sulle iniziative che con essa contrastano, a’ sensi del precedente art. 35, 1° comma.
Nel caso di specie entrambi i provvedimenti, oggetto di gravame, prevedono l’introduzione, nella proprietà della ricorrente, interessata da un P.R.P.C. di iniziativa privata, di un vincolo a verde pubblico, oltre che la traslazione in altra area della prevista edificabilità, peraltro ridotta, e il secondo di essi, nel mentre fa salvi dalle sue previsioni i piani attuativi adottati, non prevede analoga salvezza per quelli che siano anche approvati, fra cui rientra anche quello interessante detta proprietà.
L’interesse al ricorso pertanto va individuato nell’eliminazione, conseguente all’annullamento delle deliberazioni impugnate, dei citati vincoli di salvaguardia che impediscono il rilascio delle concessioni edilizie, ivi comprese quelle necessarie all’attuazione del menzionato P.R.P.C., proposto dalla ricorrente e approvato, che contrastino con le sue previsioni, rispettivamente fino all’entrata in vigore della nuova variante generale al P.R.G.C. e fino all’approvazione della variante all’attuale P.R.G.C. per la revisione dei vincoli.
Se anche peraltro il ricorso venisse accolto non vede il Collegio quale utilità ne verrebbe alla ricorrente.
Anteriormente alla sua proposizione, e precisamente con deliberazione n. 1 del 15.4.1998, è stato adottato dall’Autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta e Bacchiglione il piano stralcio per la sicurezza idraulica del medio e basso corso del fiume Tagliamento e, con la successiva deliberazione n. 2 della stessa data, sono state adottate misure di salvaguardia - fino all’approvazione del medesimo piano stralcio e per un periodo massimo di tre anni, che scade in data 6.6.2001 – le quali interessano l’intera proprietà della ricorrente e che, a’ sensi dell’art. 17, 6° comma bis, della L. 18.5.1989 n. 183 sono immediatamente vincolanti ed inibiscono opere e lavori di qualsiasi genere con esse contrastanti.
In particolare dette misure, connesse all’adozione del piano stralcio stabiliscono che "l’intero corso del Tagliamento, comprese le aree golenali, va comunque salvaguardato da qualsiasi edificazione o diverso utilizzo rispetto all’uso idraulico".
Che tale disposizione interessi l’area di proprietà della ricorrente, in parte situata in zona golenale, è dimostrato dal fatto che la stessa deliberazione consiliare n. 108 del 27.12.1999, di approvazione del P.R.P.C. di iniziativa privata, da essa proposto, reca la sospensione della sua efficacia fino alla scadenza del vincolo di salvaguardia idraulica.
L’interesse al ricorso, che deve sussistere sia all’atto della sua proposizione che a quello della sua decisione, nella specie pertanto manca, ad avviso del Collegio, in quanto anche l’eventuale accoglimento del gravame, se eliminerebbe delle misure di salvaguardia urbanistiche, lascerebbe intatte quelle ulteriori, di carattere idraulico, egualmente preclusive dell’edificazione, disposte con provvedimento non impugnato.
Osserva inoltre il Collegio che, nelle more, come si rileva dalla sua pubblicazione nella G.U. del 23.3.2001, il predetto piano stralcio per la sicurezza idraulica è stato approvato ed è entrato in vigore, per cui le sue disposizioni, che finora avevano un effetto meramente impeditivo di interventi contrastanti, e ciò fino al 6.6.2001, sono divenute definitive e saranno in concreto attuate.
Nella discussione orale parte ricorrente ha cercato di definire diversamente l’interesse al ricorso, volto, a suo dire, non solo a tutelare l’edificazione del fondo della ricorrente, ma a salvaguardarne la proprietà, nei confronti dei vincoli espropriativi, introdotti con gli atti impugnati.
Anche questa nuova prospettazione non dimostra il vantaggio che la ricorrente ritrarrebbe dall’annullamento degli atti impugnati.
Invero essi, in quanto consistono nell’adozione di strumenti urbanistici o di direttive per la loro formazione, non introducono vincoli preordinati all’espropriazione, ma hanno come effetto la mera salvaguardia edilizia, cioè, a’ sensi dell’art. 35. 1° comma, della L.R. n. 52/91, l’obbligo del Sindaco di sospendere ogni determinazione sulle domande di concessione o di autorizzazione edilizia, che siano in contrasto con le loro indicazioni.
La loro incidenza lesiva si limita pertanto alle iniziative edilizie, che vengono temporaneamente arrestate, e non si allarga alla proprietà dei suoli.
Invero da tempo consolidata giurisprudenza, che il Collegio condivide, ha rilevato che le prescrizioni del piano regolatore adottato non hanno l’effetto di modificare la preesistente destinazione di zona, che è invece proprio dell’atto di approvazione, onde solo in quest’ultimo possono trovare il loro legittimo presupposto provvedimenti dell’ iter espropriativo (cfr. C.D.S. IV Sez. 1.7.1992 n. 661; 3.6.1994 n. 473; 7.4.1997 n. 336; 23.2.1998 n. 702; 4.2.1999 n. 110; 11.2.1999 n. 144; 10.2.2000 n. 721; II Sez. 30.4.1996 n. 2005; 21.1.1998 n. 2907).
Pertanto il Collegio non può condividere la menzionata tesi della ricorrente, secondo cui i provvedimenti impugnati lederebbero il suo diritto di proprietà e il valore della stessa, assoggettandolo ad espropriazione.
Piuttosto che gravandosi contro atti intermedi, non lesivi sotto questo aspetto, la Robinie s.r.l. potrà efficacemente tutelarsi da ogni effetto espropriativo impugnando gli strumenti urbanistici approvati, se ed in quanto conterranno ancora le contestate destinazioni.
Il ricorso n. 442/00 è pertanto da ritenersi inammissibile per difetto di interesse.
Con il ricorso n. 457/00 la ricorrente chiede il risarcimento del danno, quantificabile in £ 7.408.000.000, causatole dalla mancata approvazione, a mezzo della deliberazione consiliare n. 82 del 25.8.1997, del P.R.P.C. di iniziativa privata da essa proposto, cui non ha posto rimedio la sua successiva e tardiva approvazione, con deliberazione consiliare n. 108 del 27.12.1999, essendo nelle more intervenuta l’adozione del piano stralcio per la sicurezza idraulica del medio e basso corso del fiume Tagliamento, con le conseguenti misure di salvaguardia e con la conseguente impossibilità attuale, e forse definitiva, di dar esecuzione al piano.
Sussistendo pertanto il danno, consistente nelle inutili spese per l’intervento edilizio e nel mancato guadagno per la sua attuazione, nella misura di cui alla perizia di parte, nonché la sua ingiustizia, dato che l’illegittimità del provvedimento di diniego è stata riconosciuta definitivamente con sentenza 15.10.1999 n. 1589 della IV Sez. del Consiglio di Stato, e considerando che il piano in questione è stato poi approvato, con ciò dimostrando che si poteva ben pervenire a suo tempo all’approvazione, sarebbe altresì provato il nesso causale fra l’illegittima deliberazione consiliare e la sopravvenuta inattuabilità del progetto edilizio.
L’evento dannoso sarebbe ascrivibile a colpa dell’amministrazione, a causa delle lungaggini istruttorie inspiegabili, della ingiustificata reiterazione della richiesta di pareri già ottenuti e, da ultimo, del palesemente ingiustificato diniego di approvazione, che dimostrerebbero la pervicace volontà di non pervenirvi, con palese sviamento.
La tesi così prospettata non convince peraltro il Collegio.
In primo luogo deve verificarsi l’effettiva sussistenza, in capo alla ricorrente, del diritto al risarcimento del danno e, allo scopo, va con esattezza qualificata la sua posizione soggettiva.
Essa si duole non per non aver potuto conservare un bene della vita già in suo possesso ma per non averne potuto acquisire uno, cui aspirava, attraverso l’intermediazione di un provvedimento amministrativo ampliativi, per il diniego della sua approvazione.
In altri termini era titolare di un interesse legittimo pretensivo, posizione la cui consistenza secondo l’ordinamento, in base ad autorevole giurisprudenza (Cass. SS. UU. 22.7.1999 n. 500) che il Collegio condivide, dev’essere attentamente vagliata in concreto, al fine di verificare se essa si risolva soltanto in un’aspettativa, anche se qualificata, ovvero in una situazione che, secondo la disciplina applicabile ed in base ad un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole e risultava quindi giuridicamente protetta.
In termini più precisi, trattandosi in specie di risarcimento richiesto non in base ad un’autonoma valutazione da parte del giudice del danno dell’illegittimità dell’atto lesivo, come presupponeva la citata pronunzia del giudice della giurisdizione, ma in seguito al già pronunziato annullamento del provvedimento amministrativo lesivo, dovrà verificarsi se la conseguente attività rinnovatoria si connoti in termini tali, da far ragionevolmente escludere ogni ulteriore apprezzamento discrezionale in ordine all’adozione del provvedimento ampliativo richiesto, ovvero se residui la possibilità di una legittima determinazione, che non consista nel provvedimento predetto (cfr. T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 10.2.2001 n. 44; T.A.R. Puglia II Sez. 17.1.2000 n. 169).
Nel caso di specie bisogna riconoscere che, se esiste un certo affidamento, da parte di chi, come la ricorrente, si è visto adottare un piano attuativo di iniziativa privata, alla sua approvazione, essa è tutt’altro che scontata, sia per quanto concerne la disciplina applicabile alla fattispecie, sia tenendo in considerazione le particolarità della vicenda.
In linea generale l’art. 45, 4° comma, della L.R. n. 52/91 prevede che, adottato detto strumento urbanistico e pervenute le eventuali osservazioni ed opposizioni, su cui è tenuto a pronunciarsi, il Consiglio comunale "approva il P.R.P.C. modificato di conseguenza o decide la sua rielaborazione e riadozione anche parziale" che in determinati casi è necessaria.
In altri termini il piano attuativo adottato può essere approvato come sta, oppure con modificazioni oppure ne può essere disposta in tutto o in parte la rielaborazione, il che comporta che non sia approvato al momento, ma che detto adempimento sia rimandato, in modo che il Consiglio si pronunzi su di un diverso progetto.
Oltre a queste ipotesi espressamente previste, esiste la generale facoltà di autotutela dell’amministrazione sui propri atti, che può esplicarsi nella specie attraverso la revoca del provvedimento di adozione.
Non è pertanto da ritenersi affatto vincolata l’approvazione di un P.R.P.C. adottato, onde l’aspirazione della ricorrente al provvedimento ampliativo era, quando esso gli fu negato, di semplice aspettativa.
In tal senso si trova, ad avviso del Collegio, ampia conferma nella sentenza del Consiglio di Stato che, riformando una precedente sentenza di questo Tribunale amministrativo, ha annullato la deliberazione consiliare di diniego dell’approvazione.
Invero detta decisione fonda le proprie conclusioni su due fondamentali presupposti:
· ha errato il T.A.R. Friuli – Venezia Giulia a qualificare come revoca dell’adozione, in linea teorica ammissibile, il provvedimento, oggetto di gravame, non esistendo il minimo conforto formale per una simile affermazione;
· è stato violato l’art. 45 della L.R. n. 52/91, che non ammette la semplice non approvazione, definitiva e non motivata da osservazioni, opposizioni e pareri sfavorevoli, del P.R.P.C. e, risolvendosi essa in un contrasto con il P.R.G.C., si risolve in un atto amministrativo atipico di pianificazione, non previsto dalla legislazione urbanistica.
Puntualizza peraltro la Sezione che, per una decisione in autotutela, a fronte del contenuto dei pareri favorevoli, di cui consta l’istruttoria, "sarebbe stato quanto meno necessaria, ai fini di una congrua e coerente motivazione, una disamina puntuale, ampia e tecnicamente ineccepibile delle ragioni ostative" che invece è mancata.
Inoltre, nell’esaminare il secondo motivo d’appello, con cui si sostiene che "il Consiglio comunale di Lignano Sabbiadoro, in presenza di una proposta di approvazione del piano, corredato dai prescritti nulla osta e pareri delle autorità competenti, non poteva determinarsi alla non approvazione per ragioni diverse da quelle dell’accoglimento delle opposizioni presentate" pur accogliendolo nella sostanza osserva, per quanto qui interessa, che "l’interpretazione fornita dall’appellante è forse riduttiva dei poteri assegnati al Consiglio comunale, nel senso che la riadozione del piano particolareggiato può rivelarsi necessaria anche per cause diverse da quelle rappresentate in sede di osservazioni ed opposizioni" e, ricordato il disposto dell’art. 45, 4° comma, della L.R. n. 52/91, osserva che "la norma in esame è del tutto chiara nel vincolare l’amministrazione comunale ad una serie di possibili determinazioni: approvazione, rielaborazione e riadozione anche parziali. L’unica scelta che la legge regionale non ammette è quella della semplice non approvazione, quale contenuta nell’atto, per cui è controversia".
Riassumendone pertanto le conclusioni, la sentenza predetta ha annullato l’atto impugnato perché non consta in una revoca dell’adozione, pur teoricamente possibile in presenza di idonea motivazione in base alle risultanze dell’istruttoria, né in una rielaborazione o riadozione, totale o parziale, del piano adottato, pur permessi dalla legge, ma in un’illegittima e inammissibile determinazione di non approvazione tout court, che la legge non consente.
Conviene il Collegio con la difesa dell’amministrazione nell’interpretare la pronunzia non come avente per necessaria conseguenza l’obbligo di approvazione del P.R.P.C., di cui è causa, ma come fondatesi sull’identificazione di vizi formali, anche gravi, della deliberazione annullata, che peraltro consente al Comune di determinarsi anche in senso diverso dall’approvazione, senza violare il giudicato, purché una simile determinazione sia congruamente motivata.
In altri termini la constatata illegittimità del diniego non vincola l’amministrazione comunale all’approvazione del piano particolareggiato, rispetto alla quale la posizione della ricorrente rimane di aspettativa, essendo possibile una diversa determinazione del tutto legittima in sede di rinnovazione.
In concreto, del resto, è stata proposta dalla Giunta municipale e votata con modificazioni dal Consiglio l’approvazione del P.R.P.C. di iniziativa privata in termini che si possono definire di sostanziale rielaborazione e non completamente satisfattivi per la ricorrente.
E’ vero che la determinazione è stata condizionata in tal senso dalla sopravvenienza del vincolo di salvaguardia idraulica, nel frattempo imposto dalla competente autorità, ma egualmente la conclusione della vicenda dimostra che l’approvazione di un P.R.P.C. non è già scontata nella sua adozione.
In base alla norma sopra richiamata non solo circostanze di origine esogena, come nella specie, ma anche valutazioni discrezionali interne potevano legittimamente portare non soltanto ad una rielaborazione parziale, ma addirittura alla richiesta di totale riadozione.
La mancanza di un nesso di necessaria consequenzialità fra illegittimità dell’atto lesivo e approvazione del provvedimento ampliativo, sperato dalla ricorrente, impedisce pertanto di considerare la sua posizione come giuridicamente protetta.
Anche se non si volessero condividere, in denegata ipotesi, queste conclusioni egualmente si dovrebbe pervenire al rigetto della domanda risarcitoria per difetto di colpa dell’amministrazione.
In proposito, muovendo ancora dai principi enunciati dalla citata sentenza n. 500/99 delle SS. UU., nella parte in cui il Collegio li condivide, dev’essere rilevato che la P.A. può essere ritenuta responsabile del danno non già tutte le volte che esso sia ricollegabile ad un provvedimento illegittimo (conclusione che potrebbe condividersi solo ove sia leso un diritto soggettivo) ma soltanto quando l’atto abbia comportato la lesione dell’interesse legittimo del danneggiato in quanto adottato o approvato in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.
Parte ricorrente appare ben consapevole di dover dimostrare un tanto e si sforza, nel ricordare le vicende che hanno portato alla deliberazione di non approvazione del piano attuativo da essa predisposto, di rappresentare l’amministrazione, in tutte le sue espressioni, come tesa ad adoperare i poteri spettantegli per il pubblico interesse per il solo fine di ostacolare ed impedire che il piano in questione venisse approvato, citando alcuni episodi effettivamente accaduti, come la reiterata richiesta di pareri già ottenuti, a dimostrazione di uno sviamento di potere, che avrebbe trovato compimento nel dibattito consiliare e la cui sussistenza sarebbe stata riconosciuta dal Consiglio di Stato.
Osserva in primo luogo in contrario il Collegio che la prima condizione per poter sostenere che l’amministrazione ha agito con parzialità o scorrettamente, con il preciso disegno di danneggiare altri, come vorrebbe la ricorrente, quando alla determinazione lesiva concorrono, come nel caso di specie, più organi, è dimostrare che essi hanno fra loro cooperato a questo fine, ed in tal senso è, infatti, l’assunto della società istante.
Esso non trova però sostegno nei dati di fatto, dal momento che il Sindaco e la Giunta hanno proposto al Consiglio l’approvazione del P.R.P.C. e l’hanno difesa, il che sembra incompatibile con la volontà di pervenire al risultato opposto, che viene loro addebitata.
Nemmeno può essere intesa necessariamente come vessatoria la particolare acribia, osservata nell’istruttoria, meticolosamente chiedendo e richiedendo l’avviso delle varie autorità competenti.
Se si osserva il dibattito consiliare, quale risulta dal verbale della deliberazione n. 82/97, non potrà non notarsi la particolare sensibilità dei consiglieri che, dovendo decidere su di un intervento edilizio sotto più aspetti delicato, da collocarsi in area golenale, paesaggisticamente di pregio e che vede coinvolte aree demaniali, hanno a lungo dissertato sui pareri espressi, più che altro per rilevarne asserite carenze ed omissioni, che hanno avuto un ruolo non secondario nel determinare il rigetto della proposta giuntale di approvazione.
Il Collegio è perciò dell’avviso che il fine della richiesta, da parte dell’amministrazione comunale, di sempre nuovi documenti non fosse quello di aggravare il procedimento, ma quella di avere a disposizione elementi per superare le prevedibili resistenze in Consiglio, di cui certo il Sindaco doveva essere a conoscenza, cioè, in definitiva quello di favorire e non di ostacolare gli interessi della ricorrente.
Lo dimostra, oltre a tutti gli elementi citati, la richiesta, evasa lo stesso giorno della discussione consiliare ed inoltrata pochi giorni prima, all’Autorità di bacino perché confermasse che, allo stato, non erano state adottate misure di salvaguardia del menzionato piano stralcio, già adottato in linea tecnica, che costituiva l’ostacolo più pericoloso all’approvazione (e che infatti sarà menzionato nel dibattito consiliare) palesemente rivolta a rassicurare i consiglieri in proposito.
Questi aspetti non sono pertanto manifestazione di colpa, come vorrebbe la ricorrente, essendo la particolare accuratezza dell’istruttoria volta a facilitare un voto favorevole del Consiglio.
Quanto alla determinazione di non approvare il piano, che è il vero atto lesivo, osserva il Collegio che, dall’esame del dibattito consiliare, non emerge nessuna preordinata volontà in tal senso, secondo la tesi sostenuta in ricorso, nemmeno dell’occasionale maggioranza formatasi (che comprende consiglieri dell’opposizione come della maggioranza, che avrebbe dovuto sostenere la Giunta).
Testimonianza decisiva in tal senso viene dalla più volte menzionata sentenza del Consiglio di Stato, che vi si sofferma da altri fini e che osserva che "la discussione tenutasi nel corso della seduta del Consiglio comunale … non (è) certo univoca, come pretende il primo giudice … basta scorrere le considerazioni svolte dai singoli componenti per avvedersi che il senso proprio di alcuni interventi cerca di dare corpo ad una decisione negativa non certo con unica direzione, facendosi leva su preoccupazioni geologiche, su problemi di volumetria assentibile, su presunti conflitti tra le autorità preposte al rilascio dei diversi nulla osta" e concludendo che "le considerazioni che vi si leggono, in definitiva, non assumono affatto un valore unitario e conclusivo, tale da poter ritenere che il resoconto della seduta e gli interventi in essa registrati siano di tale congruenza e rigore, da far corpo con la determinazione presa".
Queste osservazioni dimostrano che motivazioni diverse e autonome fra loro e non un preordinato disegno hanno dato luogo al voto negativo sulla proposta di approvazione, difesa fino all’ultimo dal Sindaco e dall’assessore competente.
Nemmeno è vero che la citata sentenza abbia riconosciuto il vizio di sviamento di potere, limitandosi al riguardo ad osservare che "precisati i confini della decisione d’appello si osserva altresì che il motivo sub 6, con cui si lamenta l’eccesso di potere per vizio della funzione, rende espliciti (e conclude) motivi già introdotti con il motivo sub 2" il quale contesta "violazione degli artt. 42 e seguenti della legge della Regione Friuli – Venezia Giulia 19 novembre 1991 n. 52, anche in relazione all’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere per difetto di presupposto. Incompetenza. Eccesso di potere per falsità della motivazione", censure che non configurano lo sviamento e che vengono accolte solo limitatamente alla violazione di legge e del principio di tipicità degli atti amministrativi.
In sostanza non emerge, come presupposto del provvedimento, poi annullato, causativo di danno, alcuna azione preordinata, come vorrebbe la ricorrente, né il Consiglio risulta essersi determinato in violazione dei doveri di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, avendo invece forse eccessiva attenzione alle proprie responsabilità sotto questi profili, in una situazione in cui si trattava di decidere su di un intervento edilizio di particolare delicatezza.
Per le considerazioni suesposte il ricorso n. 442/00 va dichiarato inammissibile e il ricorso n. 457/00 va rigettato.
Sussistono motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sui ricorsi in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, li riunisce, dichiara inammissibile il ricorso n. 442/00 e rigetta il ricorso n. 457/00.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 25 maggio 2001.
Vincenzo Sammarco - Presidente
Enzo Di Sciascio – Estensore
Depositata in cancelleria il 23 giugno 2001.