TAR FRIULI - VENEZIA GIULIA - Sentenza 23 aprile 2001 n. 179 - Pres. Sammarco, Est. Di Sciascio - Friulmarket di Bertuzzi & C. s.n.c. (Avv. A. Rigo) c. Regione Friuli – Venezia Giulia (n.c.), Comune di Basiliano (Avv.ti R. Paviotti e L. De Pauli), IN.CE.CO. s.r.l. (Avv. S. Placidi) e Bulfon (n.c.).
1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Legittimazione passiva - Nel caso di atti adottati da organi di un Ente locale - Spetta al legale rappresentante dell’Ente locale.
2. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Controinteressato o no - Autorità od organo dell’Ente che è intervenuto nel procedimento amministrativo con l’espressione di un parere - Non può considerarsi controinteressato.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Legittimazione passiva - Spetta all’Ente che ha emesso l’atto - Singolo funzionario - Non è legittimato passivo.
4. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Generica domanda di accertamento del danno non accompagnata dalla dimostrazione del danno stesso - Inammissibilità.
5. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Ammissibilità della domanda nel processo amministrativo di legittimità - Condizioni e presupposti - Necessità che sia anche chiesto l’annullamento dell’atto - Sussiste.
6. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Onere della prova - E’ pieno ed opera incondizionatamente - Dimostrazione del danno subito - Necessità - Onere del principio di prova - Inapplicabilità.
7. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti per l’accoglimento della domanda - Individuazione.
8. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Danno conseguente allo sviamento della clientela che sarebbe stato provocato da un provvedimento amministrativo - In difetto di una piena prova di tale danno - Inammissibilità della domanda.
1. Qualsiasi organo comunale è in rapporto di immedesimazione con l’ente locale, onde l’impugnazione diretta all’annullamento di un atto, adottato da qualsivoglia di detti organi, deve essere notificata in ogni caso soltanto al Comune, che sta in giudizio in persona del Sindaco in carica, suo legale rappresentante, e pertanto va escluso che possa essere ritenuto distinta autorità emanante chi (Sindaco, assessore, dirigente, ecc.) materialmente sottoscrive un provvedimento di competenza del Comune stesso.
2. L’autorità o l’organo che interviene nel procedimento con l’espressione di un parere, in funzione ausiliaria della determinazione finale non assume la figura di controinteressato, non avendo un interesse distinto da quello dell’autorità che emana il provvedimento conclusivo.
3. Chi si ritiene danneggiato da un provvedimento amministrativo deve dimostrare soltanto la responsabilità dell’amministrazione come apparato, e non del singolo funzionario agente, onde anche l’azione di risarcimento va proposta nei confronti delle autorità emananti i provvedimenti lesivi, in persona dei legali rappresentanti (nel caso di specie, nei confronti del Comune e della Regione) e non dei singoli loro funzionari (1). Se dall’agire di questi ultimi deriverà poi un pregiudizio economico all’amministrazione, qualora debba risarcire il soggetto danneggiato, competerà a questa ovvero all’organo chiamato dalla legge a promuovere l’azione per il ristoro del danno erariale agire per il recupero di quanto sborsato.
4. E’ inammissibile nel processo amministrativo una generica domanda di accertamento dell’esistenza di un danno ingiusto derivante lesione di interessi legittimi, con rinvio ad un successivo giudizio la determinazione del pregiudizio subito (con un meccanismo, quindi, equivalente alla condanna in forma generica nel processo dinanzi al giudice ordinario).
5. L’art. 7, 3° comma, della L. 6.12.1971 n. 1034, così come modificato dall’art. 7, 4° comma, della L. 21.7.2000 n. 205, attribuisce, in generale, al giudice amministrativo il potere di conoscere "di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali" e configura il risarcimento nella giurisdizione di legittimità come un diritto patrimoniale consequenziale alla pronuncia di annullamento; la relativa azione, pertanto, è ammessa purché segua a detta pronuncia.
6. Nel caso in cui sia stato chiesto il risarcimento del danno per lesioni di interessi legittimi, spetta al proponente l’onere di provare di aver subito un danno e di provare altresì il suo ammontare, non potendo, viceversa, il proponente stesso limitarsi ad affermare di aver subito un danno, dandone solo qualche elemento od un principio di prova.
La disciplina attenuata dell’onere probatorio nel giudizio amministrativo, infatti, è connessa indissolubilmente ai gravi limiti che la parte privata incontra, fuori dei rari casi di giurisdizione di merito, in materia di prova, essendo assai limitati i mezzi a sua disposizione, quasi esclusivamente documentali ed essendo del resto non amplissimi quelli a disposizione dello stesso giudice (richiesta di documenti o di chiarimenti alla P.A. e verificazioni); tale disciplina attenuata non opera invece nel caso in cui non sussistano limitazioni probatorie e, in particolare, nel caso di domanda di risarcimento del danno.
7. La domanda di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi deve contenere: a) le ragioni in base alle quali l’illegittimo provvedimento o comportamento della P.A. o delle altre parti intimate ha comportato un pregiudizio, ad essi legato da nesso causale, al ricorrente; b) l’ammontare per equivalente di detto pregiudizio, ove non si chieda la sola reintegrazione in forma specifica; c) i mezzi di prova a sostegno sia dell’affermazione che un danno è stato provocato e che sia attribuibile alla parte intimata, sia del suo ammontare.
8. E’ inammissibile una domanda di risarcimento del danno conseguente alla lesione di interessi legittimi con la quale il ricorrente si limiti genericamente a lamentare un danno conseguente allo sviamento della clientela che sarebbe stato provocato da un provvedimento amministrativo, senza indicare specificamente le prove che dimostrano l’esistenza del danno citato ed il suo ammontare, nonchè il nesso causale tra i provvedimenti impugnati ed il danno lamentato.
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(1) Cfr. Cass. Sez. Unite, 22 luglio 1999, n. 500; Sez. I, 24 maggio 1991, n. 5883.
In materia di risarcibilità degli interessi legittimi, v. l'apposita pagina, nella sezione degli approfondimenti della presente rivista.
Ric. n. 713/00 R.G.R. N. 179/2001Reg. Sent.
Repubblica italiana
In nome del popolo italiano
Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, nelle persone dei magistrati:
Vincenzo Sammarco – Presidente
Enzo Di Sciascio – Consigliere, relatore
Vincenzo Farina - Consigliere
ha pronunciato la seguente
S e n t e n z a
sul ricorso n. 713/00 proposto dalla Friulmarket di Bertuzzi & C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Rigo, con domicilio eletto presso di lui in Trieste, via Giustiniano 8, come da mandato a margine del ricorso;
c o n t r o
la Regione Friuli – Venezia Giulia, in persona del Presidente in carica della Giunta Regionale, non costituita in giudizio;
il Comune di Basiliano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Paviotti e Luca De Pauli, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R., come da deliberazione giuntale n. 198 del 21.11.2000 e da mandato a margine dell’atto di costituzione;
e nei confronti
della IN.CE.CO. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Placidi, con domicilio legale presso la Segreteria del T.A.R.;
e nei confronti
di Bulfon Brigida, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
della deliberazione della Giunta regionale n. 1948 del 4.7.2000, con cui viene assentito alla controinteressata il nulla osta regionale di cui all’art. 3 della L.R. 7.9.1990 n. 41;
del presupposto parere della Commissione regionale per il commercio del 28.6.2000;
della deliberazione consiliare n. 60 del 23.6.2000, che esprime parere favorevole in ordine alla realizzazione del centro commerciale minore, gestito dalla controinteressata, in base alle premesse dell’atto medesimo;
delle autorizzazioni amministrative n. 156, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180 e 181, tutte del 10.7.2000, assentite alla controinteressata;
per il risarcimento
del danno subito dalla ricorrente, per sviamento della clientela e diminuzione del valore dell’azienda, a causa dell’illegittima apertura del centro commerciale della controinteressata;
Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria generale con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale intimata e della controinteressata IN.CE.CO. s.r.l.;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 23 marzo 2001 la relazione del consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresì i difensori delle parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F a t t o
La società ricorrente rappresenta che questo Tribunale amministrativo, con sentenza n. 435 del 29.5.2000, ha accolto in parte due dei ricorsi che essa ha proposto, in particolare annullando tutte le autorizzazioni amministrative rilasciate alla controinteressata per l’attività di vendita nel centro commerciale da questa gestito, constatando la sopravvenuta inefficacia, per decadenza, del nulla osta regionale, su cui dette autorizzazioni si fondavano.
Ancorché la sentenza sia stata gravata da appello, il Comune intimato ha provveduto ad iniziare il provvedimento per la rinnovazione degli atti annullati, in quanto la controinteressata ha richiesto al Sindaco il rilascio di nuovo nulla osta regionale, allegando peraltro alla domanda la stessa documentazione prodotta in calce alla precedente domanda di nulla osta del 1995 o facendo rinvio alla stessa (in particolare per quel che concerne l’allegato E sulla superficie complessiva di vendita).
A mezzo degli atti, oggetto del presente gravame, l’esercizio della controinteressata è stato autorizzato a riprendere l’attività di vendita.
Essi peraltro vanno annullati, in quanto illegittimi per:
1) Violazione degli artt. 86 della L.R. 19.11.1991 n. 52 e successive modificazioni, 221 del R.D. 27.7.1934 n. 1265, come modificato dal D. Lgs. 30.12.1999 n. 507, 3 della L. 7.8.1990 n. 241. Eccesso di potere per sviamento, vizio del procedimento, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, violazione del principio di imparzialità.
Sarebbe stata autorizzata l’apertura della struttura commerciale, che ne occupa, senza che mai si fosse riscontrata, nel corso dell’iter procedimentale, la mancanza del certificato di agibilità dei relativi locali, dimodoché le autorizzazioni commerciali, che detto procedimento concludono, condizionano espressamente l’esercizio dell’attività all’osservanza di norme igienico – sanitarie, che sarebbero state già da tempo violate, onde gli atti impugnati sarebbero viziati per i profili di eccesso di potere e violazione di legge evidenziati in rubrica.
2) Violazione dell’art. 11 del D.P.G.R. 9.4.1991 n. 130/Pres. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio del procedimento.
Il Consiglio comunale, con la deliberazione impugnata, ha espresso parere favorevole sulla domanda di nulla osta regionale, proposta dalla controinteressata, dando atto che essa, in base agli allegati prodotti, risponde ai requisiti di legge.
Peraltro il competente ufficio regionale ha rilevato che la superficie di vendita complessiva, calcolata in 7.332 mq., non era, come dichiarato nella domanda, corrispondente a quella della precedente domanda del 1995, indicata invece in 8000 mq.
Tempestivamente la controinteressata ha depositato una scheda integrativa E1, che è stato fatto pervenire alla Regione stessa, con la superficie corretta.
Peraltro, trattandosi di modificare quanto deliberato dal Consiglio, si sarebbe dovuto sottoporre allo stesso organo l’elaborato correttivo della domanda, su cui esso aveva espresso il proprio parere favorevole.
Averne invece modificato gli allegati, trasmettendo alla Regione una domanda in parte diversa, determinerebbe eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio del procedimento, oltre che violazione dell’art. 11 del D.P.G.R. n. 0130/91, che espressamente prevederebbe la compilazione delle tabelle E e l’obbligo di allegarle alla domanda.
3) Violazione dell’art. 4 del D.P.G.R. 9.4.1991 n. 130/Pres., Eccesso di potere per difetto ed errore nei presupposti e vizio del procedimento.
In ogni caso sarebbe illegittimo avvalersi, come ha fatto la società controinteressata nella domanda, sottoposta al Consiglio comunale e alla Regione, della stessa documentazione allegata alla precedente istanza di cinque anni prima.
Invero si sarebbero verificati i seguenti mutamenti nell’assetto del centro commerciale:
· la superficie complessiva sarebbe diminuita da 8000 a 7332 mq.;
· sarebbe altresì diminuita la superficie a parcheggio (da 16.100 a 14.682 mq);
· sarebbe variato il rapporto fra la superficie per la grande distribuzione (diminuita dal 70% al 66, 6%) e quella per il piccolo e medio dettaglio (aumentata dal 30% al 34,4%);
· sarebbe stata inserita nel centro commerciale una nuova attività prima non presente (ristorante Mac Donald’s);
· sarebbe stata ristrutturata completamente, come si evincerebbe dalle planimetrie, la distribuzione degli spazi all’interno;
Del resto la stessa IN.CE.CO., che ha dichiarato di rifarsi alla medesima relazione tecnica descrittiva presentata per l’ottenimento del precedente nulla osta, ne avrebbe allegato alla domanda una nuova e diversa da quella precedente, che a sua volta farebbe riferimento all’allegato E che, come si è visto, è stato sostituito nel corso del procedimento.
Inoltre, in violazione della disposizione del D.P.G.R. indicato in rubrica, che dispone che, qualora sia necessario concentrare, per l’apertura di un centro commerciale, precedenti autorizzazioni amministrative in capo a chi lo realizza, queste debbono essere revocate, pur essendo avvenuta detta revoca per ottenere quelle, poi annullate dal T.A.R., in occasione della nuova domanda qui in discussione la società controinteressata pretenderebbe di avere a disposizione le autorizzazioni già a suo tempo revocate, per conferirle una seconda volta nel centro commerciale, con il consenso del Comune intimato, che avrebbe pertanto illegittimamente espresso il suo parere favorevole.
Sarebbero inoltre diverse anche le planimetrie, allegate alla domanda, che ha dato inizio al procedimento conclusosi con gli atti, poi annullati da questo Tribunale amministrativo, che danno conto della situazione urbanistico – edilizia, e quelle allegate alla domanda qui in discussione, in quanto l’ubicazione e la distribuzione degli spazi interni e la viabilità sarebbero modificate.
4) Eccesso di potere per contraddittorietà.
Non sarebbe dato comprendere se l’impugnato parere della Commissione regionale del commercio intenda sostituire quello precedente, come presupposto di un nuovo nulla osta (come sostiene l’Assessore al commercio) o si presenti come meramente integrativo di un parere e di un nulla osta che la sentenza di questo Tribunale non avrebbe annullato e che non sarebbe decaduto, il che giustificherebbe perché si tiene conto della documentazione preesistente, senza acquisirne una nuova (come sostiene il Direttore regionale per il commercio) con l’effetto di considerare, al tempo stesso e per quanto rispettivamente occorreva, la domanda sia come identica alla precedente, sia come nuova, in base ad asserite ragioni d’urgenza.
5) Eccesso di potere per difetto dei presupposti e contraddittorietà della motivazione.
Illegittimamente la predetta Commissione avrebbe autonomamente rilevato ragioni d’urgenza, che non sono state fatte presenti dal Comune intimato.
6) Eccesso di potere per errore nei presupposti e difetto di motivazione.
La Giunta regionale fonderebbe la deliberazione impugnata su presupposti erronei, già evidenziati con i precedenti motivi e precisamente:
· il riferimento ai dati contenuti in un allegato E, che non sarebbe quello, su cui si è espresso il parere del Consiglio comunale di Brasiliano;
· il dare atto che la superficie di vendita risulta dal trasferimento di aziende preesistenti, che non potrebbe essere invocato, essendo state revocate le autorizzazioni commerciali di dette aziende, la cui superficie non sarebbe, pertanto, attualmente disponibile;
· il considerare i contenuti e le superfici individuate con il precedente nulla osta del 1996 immutate (salvo che per la superficie complessiva) mentre sarebbero intervenute ulteriori modificazioni;
· la mancata pronunzia sulla parte del parere della Commissione regionale del commercio, con cui si assume che il nulla osta, che la Giunta concede, si aggiunge e non si sostituisce al precedente nulla osta;
Ne conseguirebbe l’illegittimità dell’impugnata deliberazione.
7) Violazione dell’art. 3 della L. n. 241/90
Illegittimamente il rilascio delle impugnate autorizzazioni non sarebbe motivato in base alle risultanze dell’istruttoria.
8) Violazione degli artt. 86 della L.R. 19.11.1991 n. 52 e successive modificazioni, 221 del R.D. 27.7.1934 n. 1265, come modificato dal D. Lgs. 30.12.1999 n. 507. Eccesso di potere per difetto di presupposto e di istruttoria.
La domanda, che ha dato inizio al procedimento, i cui atti sono oggetto del presente gravame, è accompagnata da un’autocertificazione del legale rappresentante della società controinteressata, che attesta l’agibilità dei locali commerciali.
Tale presupposto, su cui si è fondato l’intero procedimento, sarebbe peraltro del tutto insussistente, come del resto attestato dallo stesso Comune intimato, su istanza della ricorrente.
Tale vizio travolgerebbe tutti gli atti impugnati.
La società ricorrente chiede altresì una pronunzia che attesti l’esistenza di un danno ingiusto da essa subito, per effetto degli atti impugnati, la cui quantificazione andrà rimandata a separato giudizio.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato, che ha preliminarmente eccepito:
· l’irricevibilità del ricorso nella parte in cui contesta la legittimità della deliberazione consiliare n. 60 del 23.6.2000, tardivamente impugnata rispetto all’ultimo giorno di affissione all’albo pretorio;
· inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in quanto diretto ad ottenere la chiusura del centro commerciale, di cui si controverte, senza peraltro aver mai fatto oggetto di gravame i provvedimenti, in base ai quali esso è stato realizzato;
Ha quindi controdedotto ai motivi di gravame e alla richiesta di risarcimento del danno, concludendo per la loro infondatezza, così palese da giustificare la richiesta di condanna alle spese ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria.
Si è altresì costituita la controinteressata, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione, non sussistendo in capo alla Friulmarket un interesse differenziato, che la abiliti all’impugnazione di atti che non la concernono.
Ha quindi replicato alle censure avversarie, che ritiene prive di pregio.
Con successive memorie le parti hanno ribadito le rispettive prospettazioni.
D i r i t t o
Ritiene il Collegio di dover anzitutto verificare se il contraddittorio, in relazione al petitum della causa, di annullamento e di risarcimento del danno, sia stato regolarmente istituito.
In proposito al primo aspetto rileva che sono stati ritualmente intimati il Comune e la Regione Friuli – Venezia Giulia, oltre alla società che, avendo promosso il relativo procedimento, è direttamente interessata alla conservazione degli atti endoprocedimentali e di quelli di esso conclusivi.
Il ricorso è stato peraltro notificato anche al responsabile dell’Ufficio commercio del Comune che, per quanto riguarda la fase procedimentale di competenza di quest’ultimo, è responsabile del procedimento a’sensi dell’art. 5 della L. 7.8.1990 n. 241 e che, a’sensi dell’art. 53, 1° comma, della L. 8.6.1990 n. 142, ha espresso il proprio parere in ordine alla deliberazione comunale impugnata e ha sottoscritto le autorizzazioni commerciali oggetto di gravame.
Ritiene peraltro il Collegio che detto funzionario non sia parte del presente giudizio.
Invero qualsiasi organo comunale è in rapporto di immedesimazione con l’ente locale, onde l’impugnazione diretta all’annullamento di un atto, adottato da qualsivoglia di detti organi, deve essere notificata in ogni caso soltanto al Comune, che sta in giudizio in persona del Sindaco in carica, suo legale rappresentante, e pertanto va escluso che possa essere ritenuto distinta autorità emanante chi (Sindaco, assessore, dirigente ecc.) materialmente sottoscrive un provvedimento di competenza del Comune stesso.
L’autorità o l’organo che, come nel caso di specie, interviene nel procedimento con l’espressione di un parere, in funzione ausiliaria della determinazione finale nemmeno assume la figura di controinteressato, non avendo un interesse distinto da quello dell’autorità, che emana il provvedimento conclusivo.
Ad identiche conclusioni è necessario giungere anche per la distinta domanda, avanzata con il presente ricorso, di risarcimento del danno, in tesi derivante da atti illegittimi, posti in essere anche dal predetto responsabile.
Se, infatti, si volesse ritenere altrimenti, chi intenda agire contro l’amministrazione, deducendone la responsabilità aquiliana, per la lesione di un suo interesse legittimo, dovendo dimostrare che il danno gli è stato arrecato con dolo o colpa dell’agente, si troverebbe di fronte ad una sorta di probatio diabolica, dal momento che gli incombe l’onere innanzitutto di identificare, nell’intrico delle varie competenze, a chi, fra i vari soggetti a diverso titolo intervenuti, l’atto lesivo è imputabile, per poi ulteriormente dover provare, nei suoi confronti, la sussistenza dell’elemento psicologico.
Nemmeno tale dimostrazione sarebbe facilitata dalla necessaria identificazione ex lege di un "responsabile del procedimento", cui spettano indubbiamente vasti compiti, anche officiosi, di impulso e coordinamento, nonché la funzione di punto di riferimento per il contraddittorio procedimentale, ma le cui competenze necessariamente si intrecciano con quelle dell’organo volitivo, onde le rispettive responsabilità non sono sempre di agevole identificazione.
Per questa ragione autorevole giurisprudenza (cfr. Cass. SS. UU. 22.7.1999 n. 500; I Sez. 24.5.1991 n. 5883) - che il Collegio condivide – ha ritenuto che chi si ritiene danneggiato deve dimostrare soltanto la responsabilità dell’amministrazione come apparato, e non del singolo funzionario agente, onde anche l’azione di risarcimento si propone nei confronti delle autorità emananti i provvedimenti lesivi, in persona dei legali rappresentanti (nel caso di specie, nei confronti del Comune e della Regione) e non dei singoli loro funzionari.
Se dall’agire di questi ultimi deriverà poi un pregiudizio economico all’amministrazione, qualora debba risarcire il soggetto danneggiato, competerà a questa ovvero all’organo chiamato dalla legge a promuovere l’azione per il ristoro del danno erariale agire per il recupero di quanto sborsato.
Non a caso l’art. 53, 1° comma, della L. n. 142/90, sostituito dall’art. 49 del D. Lgs. 18.8.2000 n. 267, che la ricorrente invoca a sostegno della chiamata in causa del più volte ricordato funzionario, in quanto avrebbe espresso un parere illegittimo e ad essa pregiudizievole, dispone che il responsabile del servizio interessato risponde del parere espresso "in via amministrativa e contabile", cioè dinanzi al giudice, che ha giurisdizione in detta materia, e non in sede di responsabilità civile.
Va pertanto estromessa dal presente giudizio l’intimata responsabile dell’ufficio commercio del Comune di Basiliano.
Vanno ora esaminate le eccezioni pregiudiziali, proposte dalle parti intimate.
Esse devono venir tutte disattese.
Invero non sussiste la pretesa tardività del gravame nei confronti dell’impugnata deliberazione del Consiglio comunale di Basiliano, che esprime parere favorevole sulla domanda di nulla osta della controinteressata, prendendo a riferimento la sua data di pubblicazione all’albo pretorio.
Costituendo, infatti, essa atto endoprocedimentale ben possono farsi valere le sue asserite illegittimità nei confronti dell’atto terminale, rispetto al quale il ricorso appare tempestivamente proposto.
Nemmeno sussiste l’eccepito difetto di interesse, sulla base del fatto che il ricorso mirerebbe alla chiusura del centro commerciale concorrente, senza peraltro aver impugnato gli atti, che ne hanno determinato la localizzazione.
Quale che sia l’interesse sotteso al presente gravame quello che espressamente si fa con esso valere è l’illegittimità, per violazione di legge ed eccesso di potere, degli atti con cui vengono assentiti il nulla osta regionale e le autorizzazioni al commercio, indubbiamente lesivi della posizione della ricorrente, che gestisce un supermercato nella stessa area gravitazionale, onde ha un interesse legittimo ad ottenerne l’annullamento.
Il Collegio ritiene quindi di porsi d’ufficio, ancorché non abbia ancora deciso su quella di annullamento degli atti impugnati, la questione dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, proposta con il presente gravame.
Essa non può andare esaminata nel merito.
Invero la ricorrente richiede al giudice adito di accertare, al momento, soltanto l’esistenza di un danno ingiusto, derivante dai provvedimenti oggetto di gravame e di rinviare ad un successivo giudizio la determinazione del pregiudizio subito, con un meccanismo equivalente alla condanna in forma generica nel processo dinanzi al giudice ordinario.
Una simile procedura, peraltro, non è prevista nel giudizio amministrativo.
Invero l’art. 7, 3° comma, della L. 6.12.1971 n. 1034, così come modificato dall’art. 7, 4° comma, della L. 21.7.2000 n. 205, attribuisce, in generale, al giudice amministrativo il potere di conoscere "di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali" onde tale domanda può essere proposta anche in un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, adito in base alla sua giurisdizione generale di legittimità, come nel presente caso, ovvero, purché entro il termine di prescrizione, in un separato giudizio, susseguente a quello di legittimità, favorevolmente concluso.
Essendo, infatti, configurato dalla norma appena menzionata quello al risarcimento nella giurisdizione di legittimità come un diritto patrimoniale consequenziale alla pronuncia di annullamento la relativa azione è ammessa, purché segua a detta pronuncia.
La rimanente disciplina dell’azione suddetta, che non si ritrova altrimenti, può, ad avviso del Collegio, essere ricavata per analogia da quella, stabilita, per la domanda di risarcimento nell’ambito della giurisdizione esclusiva, dall’art. 35 del D. Lgs. 31.3.1998 n. 80, così come sostituito dall’art. 7, 3° comma, lett. c) della predetta L. n. 205/2000.
In entrambi i casi, infatti, il risarcimento è, ove spettante, un diritto, né vi sono ragioni di differenziazione fra la giurisdizione di legittimità e la giurisdizione esclusiva su questo punto, ben potendo quest’ultima riguardare anche interessi legittimi e dispiegarsi quindi nelle forme di un ricorso di annullamento, cui segue l’azione risarcitoria.
Il citato art. 35 prevede, al 2° comma, la possibilità che il giudice amministrativo, invece di provvedere senz’altro a determinare quanto dovuto al danneggiato, si limiti a stabilire dei criteri, in base ai quali l’amministrazione gli proporrà di propria iniziativa, entro un termine stabilito, una somma.
Ove questa non sia accettata si perverrà, a domanda di parte, alla determinazione del dovuto, con le forme del giudizio di ottemperanza.
Tale particolare procedura non è in alcun modo assimilabile alla condanna in forma generica.
Deve, infatti, ritenersi che spetti comunque al proponente l’onere di provare di aver subito un danno e di provare altresì il suo ammontare, pur spettando al giudice la decisione finale, altrimenti non sarebbe dato comprendere in base a quali elementi, diversi da quelli addotti dalla parte nella sua domanda, il giudice possa proporre dei criteri, che portino a un reale risarcimento del danno subito e non ad un’indennità forfettaria, arbitrariamente stabilita.
Non può invero ritenersi che all’istante spetti soltanto di affermare di aver subito un danno, dandone solo qualche elemento, vedendo ridurre il proprio onere probatorio a quello di fornire un principio di prova, come nell’ordinario giudizio di impugnazione, purché sufficiente ad attivare i poteri istruttori, anche d’ufficio, del giudice.
Tale disciplina attenuata dell’onere probatorio nel giudizio amministrativo è, infatti, connessa indissolubilmente ai gravi limiti che la parte privata incontra, fuori dei rari casi di giurisdizione di merito, in materia di prova, essendo assai limitati i mezzi a sua disposizione, quasi esclusivamente documentali, ed essendo del resto non amplissimi quelli a disposizione dello stesso giudice (richiesta di documenti o di chiarimenti alla P.A. e verificazioni).
L’art. 35, comma 3°, del citato D. Lgs. n. 80/98 concede invece al giudice amministrativo, ove chiamato a decidere su una richiesta di risarcimento del danno, di disporre l’assunzione di pressoché tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, il che significa che, di norma, in base al principio dispositivo, che informa di sé, salvo espresse eccezioni, anche il giudizio amministrativo, dev’essere la parte a chiedere che detti mezzi vengano assunti, onde corroborare la sua istanza.
La domanda di risarcimento del danno deve pertanto contenere:
le ragioni in base al quale l’illegittimo provvedimento o comportamento della P.A. o delle altre parti intimate ha comportato un pregiudizio, ad essi legato da nesso causale, al ricorrente;
l’ammontare per equivalente di detto pregiudizio, ove non si chieda la sola reintegrazione in forma specifica;
i mezzi di prova a sostegno sia dell’affermazione che un danno è stato provocato e che sia attribuibile alla parte intimata, sia del suo ammontare.
Nel presente caso la società istante ha genericamente sostenuto che vi è un danno conseguente allo sviamento della clientela, provocato dall’attività, illegittimamente avviata, del centro commerciale della controinteressata e una conseguente diminuzione del valore dell’esercizio, da essa gestito.
La mancata precisa indicazione delle prove, pur agevolmente disponibili, dell’esistenza del danno citato e del suo ammontare, e delle ragioni per cui esso sia in nesso causale con i provvedimenti qui impugnati e non con quelli, oggetto di precedente gravame, che essi si limitano a convalidare, nonché soprattutto dei mezzi di prova sull’an e sul quantum rendono la domanda risarcitoria così generica da non consentire un utile contraddittorio con le parti intimate, che non può, per le ragioni esposte, essere rinviato ad altro giudizio, e da non consentire nemmeno al giudice di indicare criteri per concordare la somma in ipotesi dovuta, sicché va ritenuta inammissibile.
Alla trattazione nel merito del ricorso, cui bisogna ora procedere, vanno premessi alcuni cenni ricostruttivi della vicenda procedimentale, già anticipati nelle premesse di fatto.
Questo Tribunale amministrativo, con precedente sentenza n. 435/00, ha annullato le autorizzazioni amministrative, in forza delle quali la controinteressata gestiva un centro commerciale, in quanto rilasciate in base a un nulla osta, da ritenersi ormai decaduto.
Detta sentenza è stata appellata dalla medesima controinteressata e dal Comune, il quale ultimo ha altresì proposto istanza di sospensione nei suoi confronti, ritenendo gli appellanti valide ed efficaci le predette autorizzazioni.
Peraltro la decisione sulla domanda cautelare non è intervenuta, per rinuncia del proponente.
Invero, nelle more della trattazione nel merito dell’appello, la parte in questa sede controinteressata ha un’altra volta proposto, peraltro senza prestare acquiescenza alla sentenza, contro cui ha proposto appello, l’istanza, volta all’apertura del procedimento diretto ad ottenere, attraverso un nuovo nulla osta regionale, autorizzazioni al commercio che tengano luogo di quelle annullate.
Gli atti del Comune e della Regione intimati, diretti alla rinnovazione di quelli del predetto procedimento, già investiti dalla sentenza appellata, formano oggetto del presente gravame.
In proposito deve osservarsi che la parte controinteressata, proponendo una nuova domanda per ottenere, dalla Regione e dal Comune, provvedimenti sostitutivi di quelli annullati o dichiarati decaduti da questo Tribunale amministrativo, ha l’onere di seguire le norme vigenti e di rappresentare alle amministrazioni competenti la situazione di fatto, così come esistente.
Del pari dette amministrazioni devono provvedere nel rispetto della situazione di fatto e di diritto loro prospettata o dalle stesse altrimenti accertata.
Quanto al diritto, ancorché l’art. 44 della L.R. 19.4.1999 n. 8 abbia formalmente abrogato la L.R. 7.9.1990 n. 41, questa rimane tuttora in vigore, per la presente come per la precedente controversia, per espresso disposto del precedente art. 8, 6° e 7° comma, assieme al suo regolamento attuativo, costituito dal D.P.G.R. 9.4.1991 n. 130/Pres., non essendo ancora entrato in vigore il regolamento di esecuzione della predetta L.R. n. 8/99.
Per quel che concerne, invece, la situazione di fatto essa è indubbiamente mutata rispetto a quella, considerata dalla precedente sentenza, come risulta dalla stessa domanda della controinteressata.
Per effetto della realizzazione, all’interno del centro commerciale, di cui si controverte, di un ristorante Mac Donald’s, si è modificata la superficie adibita a verde e a parcheggio - oltre che la viabilità interna - che è diminuita per far posto alla nuova struttura.
Per il necessario rispetto degli standards urbanistici è stato necessario diminuire, di conseguenza, la superficie complessiva di vendita ed articolarla diversamente, sia sotto il profilo fisico che sotto quello della distribuzione fra spazi destinati alla grande distribuzione e al piccolo e medio dettaglio.
Si sono di conseguenza aggravati i già preesistenti problemi, relativi all’agibilità della struttura, in considerazione della mutata situazione di fatto dei parcheggi, della viabilità e delle aree a verde.
La gran parte delle censure proposte prende a riferimento dette modificazioni per inferirne una serie di illegittimità, nelle varie fasi del procedimento, che dovrebbero condurre all’annullamento degli atti impugnati, essendone stata pretermessa l’evidenziazione, o essendo essa avvenuta in forma inadeguata, contraddittoria o difforme dalla normativa di settore, negli atti di iniziativa o nei successivi atti procedimentali.
Il Collegio ritiene che, nei termini di seguito evidenziati, dette censure siano fondate.
In primo luogo la domanda del 15.6.2000 della ricorrente al Sindaco, che apre il procedimento, se da un lato evidenzia le modificazioni intervenute nella superficie totale di vendita e nella sua suddivisione fra grande dettaglio e piccola e media distribuzione, nella superficie destinata a parcheggio, nell’elencazione degli altri esercizi inseriti nel centro commerciale, dall’altro dichiara che le informazioni richieste, a’sensi degli art. 10 e 11 del D.P.G.R. n. 130/91 sono già contenute nella documentazione predisposta dall’autorità comunale a supporto della precedente richiesta di nulla osta del 1995 e, in particolare, che una serie di atti rimane invariata rispetto a quelli allora prodotti, fra cui, in particolare, i dati di cui all’allegato E-1 del predetto D.P.G.R., che non vengono di conseguenza prodotti, richiamandosi per relationem a quelli già a suo tempo esibiti, e la relazione tecnica descrittiva.
La mancata produzione del menzionato allegato comporta una serie di illegittimità, denunciate dalla ricorrente.
In primo luogo viene violato l’art. 11 del D.P.G.R. n. 130/91 che impone a chi richiede il nulla osta regionale di presentare al Sindaco, che la trasmette alla Regione, la relativa domanda, stabilendo che dette domande "saranno corredate dalla seguente documentazione …. relazione tecnico – economica contenente:
descrizione delle caratteristiche commerciali dell’esercizio e compilazione delle tabelle di cui all’allegato E;"
Nel caso in esame dette tabelle non sono state compilate.
Esse andavano infatti riferite alla domanda qui in esame, rispetto alla quale non è stato redatto alcun allegato E.
In essa invero si fa illegittimamente rinvio all’allegato, inviato con la diversa e precedente domanda riferita al nulla osta, poi decaduto, che non rappresenta l’attuale stato del centro commerciale.
Ad identica conclusione deve pervenirsi per la relazione tecnico – descrittiva, pur allegata all’attuale domanda, ma non riferita al medesimo allegato E, ma a quello precedentemente compilato.
Lo dimostra l’appunto, allegato agli atti, con cui un funzionario regionale prega di "rifare l’allegato E" in quanto la superficie di vendita complessiva, come del resto risulta dalla domanda, non è corrispondente a quella di cui al precedente allegato, cui essa invece rinvia.
Peraltro è stato fatto pervenire alla Regione un nuovo allegato E, da parte del Sindaco, cui l’ha fornito la controinteressata, determinando ulteriori illegittimità.
Invero da un lato risulta che il Consiglio comunale ha espresso un parere su di una domanda di nulla osta diversa, da quella su cui si sono pronunciati la Commissione comunale per il commercio e la Giunta regionale e non in tutto corrispondente allo stato dei luoghi, onde il parere della prima e la deliberazione della seconda sono illegittime per difetto ed erroneità dei presupposti e vizio del procedimento.
D’altro lato la deliberazione impugnata della Giunta regionale, che concede il chiesto nulla osta assume come propria parte integrante un allegato E diverso da quello indicato nella domanda, sulla quale è intervenuto il parere del Consiglio comunale, ed inoltre assume, erroneamente, che "i contenuti e le superfici individuate con la deliberazione giuntale n. 1362 del 29.3.1996 (di concessione del precedente nulla osta, poi decaduto) sono gli stessi del presente provvedimento, ad eccezione della superficie complessiva".
In tal modo si produce un ulteriore vizio del procedimento ed inoltre si fonda il nulla osta su dati erronei, dal momento che è variata, come correttamente rileva la ricorrente, anche la superficie destinata a parcheggio e la percentuale degli spazi destinati rispettivamente al grande dettaglio e alla piccola e media distribuzione, il che risulta dalla domanda.
Le illegittimità segnalate, che di riflesso determinano quella delle impugnate autorizzazioni commerciali, non sono, nella sostanza, negate dalle parti intimate, che le considerano peraltro irrilevanti.
Non concorda con questa valutazione il Collegio che, se pur prende atto che l’assetto complessivo del centro commerciale non ne risulta sconvolto, deve osservare che il D.P.G.R. n. 130/91 impone un procedimento per l’ottenimento del nulla osta in cui l’istante deve fornire, nella domanda, una serie di dati anche attraverso moduli o documenti, e su di essi deve intervenire il parere del Consiglio comunale, quello della Commissione regionale per il commercio e la deliberazione finale della Giunta regionale, senza che venga omessa parte della documentazione necessaria o essa vari nel corso delle singole fasi procedimentali, come invece avvenuto nel caso in esame.
Se così invece accade, come nel caso in esame, ne consegue l’illegittimità degli atti impugnati, indipendentemente dalla maggiore o minore divergenza dei dati che la documentazione esibita, nel corso del procedimento, all’uno piuttosto che all’altro organo, evidenzia, né il Collegio, in presenza di puntuali e fondati motivi di gravame in argomento può pervenire a diverse conclusioni.
Esso ritiene che le rimanenti censure possano essere assorbite, tranne che quelle contenute nel primo e nell’ottavo motivo di gravame, data l’insistenza con cui la ricorrente vi si sofferma, nel corso di tutto il gravame.
Se infatti è vero che il legale rappresentante della controinteressata ha dichiarato, in via sostitutiva dell’atto di notorietà, l’agibilità del centro commerciale, che è esclusa dai documenti depositati in causa, questo può avere rilievo in sede penale e costituisce, fin che il Comune non constati che esso è agibile, un impedimento all’apertura e al funzionamento degli esercizi in esso compresi, ma non influisce sul rilascio delle autorizzazioni commerciali, anche perché detta agibilità, non richiesta dalle disposizioni che governano il procedimento per il rilascio del nulla osta, mai è stata assunta a presupposto dei pareri o delle deliberazioni in esso intervenute.
In conclusione, per le considerazioni che precedono il ricorso, previa l’estromissione dal giudizio dell’intimata Burlon, in parte va dichiarato inammissibile ed in parte dev’essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
p.q.m.
il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, estromette da giudizio l’intimata Bulfon e lo accoglie e, di conseguenza, annulla la deliberazione della Giunta regionale n. 1948 del 4.7.2000, il parere della Commissione regionale per il commercio del 28.6.2000, la deliberazione consiliare n. 60 del 23.6.2000 e le autorizzazioni amministrative n. 156, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180 e 181 del 10.7.2000.
Condanna le amministrazioni intimate e la società controinteressata al rimborso, in parti uguali, delle spese e competenze giudiziali, che liquida in complessive £ 15.000.000 (quindici milioni) a favore della ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 23 marzo 2001
Vincenzo Sammarco - Presidente
Enzo Di Sciascio – Estensore
Depositata nella segreteria del Tribunale il 23 aprile 2001