TAR FRIULI-VENEZIA GIULIA - Sentenza 22 dicembre 2001 n. 933 - Pres. Sammarco, Est. Farina - Nicolosi (Avv.ti C. ed L. Pellegrini) c. Comune di Duino Aurisina (Avv. F. Donolato) e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (Avv. B. Croppo).
1. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Scelte urbanistiche - Destinate a tutelare l’ambiente - Particolare motivazione in ordine alla scelta effettuata - Non occorre.
2. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Scelte urbanistiche - Motivazione - Aspirazione dei privati ad ottenere una migliore destinazione - Irrilevanza - Possibilità di far riferimento per le scelte effettuate agli elaborati tecnici che accompagnano il P.R.G. - Sussiste.
3. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Scelte urbanistiche - Sindacabilità in sede giurisdizionale - Possibilità - Limiti.
4. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Scelte urbanistiche - Motivazione - Generalmente non occorre nemmeno nel caso di variante - Espresso riferimento alla relazione d'accompagnamento al progetto di variante - Sufficienza.
5. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Scelte urbanistiche - Motivazione Occorre nel caso di particolari situazioni abbiano creato aspettative qualificate o concreti affidamenti nei privati.
6. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Scelte urbanistiche - Motivazione - Non occorre nel caso in cui i privati abbiano una generica aspettativa ad una reformatio in melius.
7. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Variante od adozione di un nuovo P.R.G. - Motivazione - Individuazione dei casi in cui occorre.
8. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Reiterazione di vincoli preordinati all’espropriazione - Motivazione - Occorre.
9. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Reiterazione di vincoli preordinati all’espropriazione - Motivazione - Contenuto - Individuazione - Riferimento ai criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano e non già in uno specifico apparato giustificativo - Possibilità.
10. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Reiterazione di vincoli preordinati all’espropriazione - Nozione di "vincoli preordinati all’espropriazione" - Individuazione.
11. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Reiterazione di vincoli preordinati all’espropriazione - Vincoli di zonizzazione o di «azzonamento del territorio» - Non possono essere equiparati ai vincoli preordinati ad una successiva espropriazione od ai vincoli di inedificabilità.
1. Le scelte urbanistiche destinate a tutelare l’ambiente - anche quando consistono nell’imprimere ad un’area il connotato di zona agricola o di parco privato o di verde privato - non richiedono una diffusa analisi argomentativa con riguardo al valore del paesaggio, a mente dell’art. 9 della Costituzione (1).
2. La destinazione data con lo strumento urbanistico ad un’area o ad una zona del territorio comunale e le connesse valutazioni dell'Amministrazione non necessitano di apposita motivazione che tenga conto delle aspirazioni dei privati (2); tale motivazione in ogni caso si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano stesso: criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, richiamati dal provvedimento conclusivo (3).
3. La insussistenza di un generale obbligo di motivazione per scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la disciplina del territorio comunale comunque non preclude al Giudice amministrativo di verificare se le scelte stesse siano irrazionali o manifestamente illogiche e contraddittorie e quindi non siano inficiate da errori di fatto, da travisamento, o da abnormi illogicità e contraddittorietà (4)
4. Il principio secondo cui le scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la disciplina del territorio comunale non vanno motivate è operante anche quando l'Amministrazione stessa adotti una variante, anche generale, al piano vigente (5), sulla base di una diversa valutazione delle esigenze pubbliche (6), essendo in tal caso sufficiente l'espresso riferimento alla relazione d'accompagnamento al progetto di modificazione (7), pur quando essa disponga vincoli sulla proprietà privata, prevedendone l'espropriazione o la inedificabilità assoluta.
5. Il principio secondo cui non occorre motivazione per le scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la disciplina del territorio comunale, ribadito dall'art. 3, secondo comma, della legge 7 agosto 1990 n. 241 (ai sensi del quale "la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale"), subisce un correttivo quando particolari situazioni abbiano creato aspettative qualificate o concreti affidamenti (8) in favore di soggetti, le cui posizioni appaiono meritevoli di speciale considerazione (9).
6. I proprietari di aree interessate dal piano regolatore non hanno tuttavia una aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell’Amministrazione, ma soltanto una aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario che aspiri ad una utilizzazione più proficua dell’immobile (10).
7. L'Autorità urbanistica può esercitare i propri poteri di modifica di un piano urbanistico, solo se sussistono adeguate ragioni di pubblico interesse, da esternare in una specifica motivazione, quando: a) intenda superare gli impegni già presi con la stipula di una convenzione di lottizzazione (11); b) intenda incidere sulle posizioni di coloro che hanno ottenuto una sentenza dichiarativa dell'obbligo di predisporre la convenzione, dopo che questa sia stata autorizzata (12); c) debba tener conto di un giudicato di annullamento di un diniego di concessione urbanistica (13); d) intenda superare gli standards minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968 (14).
8. La motivazione è inoltre necessaria quando un vincolo preordinato alla espropriazione o comportante inedificabilità assoluta è decaduto per il decorso del quinquennio, ai sensi dell'art. 2 della legge 19 novembre 1968 n. 1187 (15), e l'Amministrazione intenda reiterarlo (16).
9. Affinché la reiterazione del vincolo non costituisca atto vessatorio o comunque ingiusto, in quanto «sospetto di sviamento di potere » (17), ma una attività volta alla effettiva cura di un pubblico interesse, l'Amministrazione deve indicare la ragione che la induce a scegliere nuovamente proprio l'area sulla quale la precedente scelta si era appuntata. La reiterazione del vincolo espropriativo, sic et simpliciter, non è dunque consentita, dovendo l'Amministrazione evidenziare l'attualità dell'interesse pubblico da soddisfare, in quanto si va ad incidere sulla sfera giuridica di un proprietario, che già per un quinquennio è stato titolare di un bene suscettibile di dichiarazione di pubblica utilità e successivamente di esproprio. Questa motivazione, peraltro, può essere individuata nei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano, e non già in uno specifico apparato giustificativo (18).
10. L’obbligo di motivare la reiterazione di un vincolo sussiste solo nel caso di « vincoli che comportino l'inedificabilità », nei quali - secondo l’orientamento della Corte costituzionale (v. sentenze 20 gennaio 1966, n. 6, punto 4 della motivazione e 29 maggio 1968, n. 55) - vanno ricomprese tutte quelle limitazioni «tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione sul suo valore di scambio »,ossia quelle limitazioni che, pur non importando il trasferimento coattivo del bene, non consentono al suo titolare la coltivazione o comunque la possibilità di utilizzarlo; tra le quali rientrano, ad esempio, le imposizioni di servitù militari (19).
11. Tutti gli altri vincoli di inedificabilità, che non siano preordinati all'espropriazione e che consentano al titolare del bene di utilizzarlo in qualche modo (compreso il vincolo a verde privato, o un vincolo preordinato alla tutela di prevalenti esigenze di natura ambientale), non costituiscono altro che espressione del potere di pianificazione, cioè del potere della Autorità urbanistica di zonizzare il territorio comunale, al fine di programmare l'ordinato sviluppo delle aree abitate e di salvaguardare i valori urbanistici e ambientali esistenti.
In particolare, i vincoli di zonizzazione o di « azzonamento del territorio » non possono essere equiparati ai vincoli preordinati ad una successiva espropriazione od ai vincoli di inedificabilità ai fini dell’obbligo di motivazione previsto per la reiterazione dei vincoli (20), atteso che i vincoli di destinazione, propri della zonizzazione, costituiscono manifestazioni della potestà conformativa, non di quella espropriativa.
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 febbraio 2001, n.4 20; id., 8 maggio 2000, n. 2639 e 19 gennaio 2000, n. 245.
(2) V. per tutte Cons.Stato, Ad. plen., 21 ottobre 1980 n. 37; Sez. IV, 11 gennaio 1985 n. 2; Sez. IV, 2 luglio 1983 n. 488.
(3) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999, n. 24 ,cit.; Sez. IV, 25 luglio 2001,n. 4077, cit.; 9 gennaio 2000,n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121,cit.; IV,12 giugno 1995, n.439; 4 marzo 1993 n. 240; Sez. IV Sez., 11 dicembre 1979 n. 1141.
(4) Cfr. tra le tante, Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999,n. 24; Sez. IV, 25 luglio 2001,n. 4077; 22 maggio 2000, n. 2934; 9 gennaio 2000, n. 245, cit.; 8 febbraio 1999,n. 121;T.A.R. Lombardia, Brescia 28 giugno 1990 n. 770, T.A.R. Toscana, I Sez., 27 gennaio 1994 n. 39; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia,24 settembre 1994,n. 349; T.A.R. Abruzzo-Pescara,11 luglio 1998, n. 496.
(5) Cfr.Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 1993 n. 642; Sez. IV, 2 luglio 1983 n. 488.
(6) Cfr.,Cons. Stato,Sez. IV , 20 marzo 1985, n. 96.
(7) Cfr. Cons. Stato,Sez. IV, 4 marzo 1993, n. 240; Sez. IV, 11 dicembre 1979, n. 1141.
(8) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 1985, n. 328; Sez. IV, 13 aprile 1984 n. 243.
(9) Cfr. Cons. Stato,Sez. IV , 13 maggio 1992, n. 511; Sez. IV, 27 aprile 1989 n. 267.
(10) Cfr., Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4077 cit.
(11) Cfr. Cons.Stato,Sez. IV , 13 luglio 1993, n. 711; Sez. IV, 14 maggio 1993, n. 531; IV Sez., 1 luglio 1992 n. 653; IV Sez., 22 gennaio 1990, n. 24; IV Sez., 30 marzo 1987, n. 183; IV Sez., 19 giugno 1985 n. 239; IV Sez., 28 gennaio 1985, n. 27; IV Sez., 18 ottobre 1984, n. 767; IV Sez., 27 giugno 1984 n. 486; IV Sez., 7 marzo 1984 n. 134; IV Sez., 13 febbraio 1984, n. 82; V Sez., 12 febbraio 1976 n. 239.
(12) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8 settembre 1992, n. 776.
(13) Cfr.Cons.Stato, Ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1.
(14) Cfr., Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24; Sez. IV , 22 maggio 2000, n. 2934, cit.
(15) Cfr. Corte Cost., 12 maggio 1982 n. 92; Cons. Stato, Ad. plen., 2 aprile 1984 n. 7; Ad. plen., 30 aprile 1984 n. 10; Corte Cass., Sez. Un., 10 giugno 1983 n. 3987.
(16) Cfr. Cons. Stato, Sez. II, 24 ottobre 1990 n. 438/90; Sez. IV, 3 maggio 1990 n. 330; v. anche Corte cost., 22 dicembre 1989 n. 575.
(17) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 giugno 1992 n. 592.
(18) Cfr., Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999,n. 24; IV, n. 2934/2000, cit.
(19) Corte cost., 6 aprile 1993, n. 138, secondo cui le imposizioni di servitù militari configurano «un caso analogo a quello dell'occupazione parziale e temporanea del fondo».
(20) Corte Cass., Sez. I, 29 novembre 1989, n. 5215.
Alla stregua dei suesposti principi il TAR Veneto ha ritenuto che la variante impugnata non abbisognava di una specifica motivazione in ordine alla comparazione tra gli interessi pubblici e quelli privati coinvolti, in quanto non aveva inciso su preesistenti aspettative qualificate della ricorrente, atteso che nella specie l'Amministrazione non aveva reiterato un vincolo a contenuto espropriativo o di inedificabilità assoluta, ma aveva attribuito una destinazione urbanistica ad un'area,confermando, sostanzialmente, la vocazione non residenziale della medesima.
Andava conseguentemente esclusa una compressione dello ius aedificandi, realizzata dal mutamento della disciplina urbanistica del piano regolatore generale introdotto dalla variante, non ravvisandosi quella situazione di affidamento particolarmente protetta di cui si è parlato.
In realtà, nella fattispecie era ravvisabile - ad avviso del TAR - solo una aspettativa generica ad una reformatio in melius , analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una più proficua utilizzazione dell’immobile (Cfr., Cons. Stato, Sez. IV , 22 maggio 2000, n. 2934 ).
Con riferimento alla fattispecie de quo è stato peraltro ribadito che:
a) le scelte urbanistiche destinate a tutelare l’ambiente (anche quando consistono nell’imprimere ad un’area il connotato di zona agricola o di parco privato o di verde privato), non richiedono una diffusa analisi argomentativa con riguardo al valore del paesaggio, a mente dell’art. 9 della Costituzione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1° febbraio 2001, n. 420; 8 maggio 2000, n. 2639 e 19 gennaio 2000, n. 245).
b) le scelte urbanistiche costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto, da travisamento, o da abnormi illogicità e contraddittorietà (cfr. tra le tante, Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999, n. 24; IV, 25 luglio 2001,n. 4077; 9 gennaio 2000,n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121;T.A.R. Lombardia, Brescia 28 giugno 1990 n. 770, T.A.R. Toscana, I Sez., 27 gennaio 1994 n. 39; T.A.R.Friuli-Venezia Giulia,24 settembre 1994,n. 349; T.A.R.Abruzzo-Pescara,11 luglio 1998,n.496);
c) la destinazione data con lo strumento urbanistico ad un’area o ad una zona del territorio comunale e le connesse valutazioni dell'Amministrazione non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano stesso: criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano,richiamati dal provvedimento conclusivo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999,n. 24 ,cit.; IV, 25 luglio 2001,n. 4077, cit.; 9 gennaio 2000,n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121,cit.; IV,12 giugno 1995,n.439; 4 marzo 1993 n. 240; IV Sez., 11 dicembre 1979 n. 1141).
per l’annullamento:
1)della deliberazione del Consiglio comunale di Duino Aurisina n. 36 del 29-30 settembre 1999,con la quale l’intimato Comune ha approvato la variante generale n. 18 al vigente P.R.G.C., nonché degli atti prodromici, presupposti, conseguenziali e comunque connessi;
2)del decreto n.0173/Pres. del 25.5.2000,con il quale il Presidente della Giunta regionale ha confermato la esecutività della cennata deliberazione consiliare n.36/1999,disponendo l’introduzione delle modifiche indispensabili per il totale superamento delle riserve formulate in ordine alla variante con deliberazione della Giunta regionale n.2472 del 28.8.1998, nonchè degli atti prodromici, presupposti,conseguenziali e comunque connessi;
3)della cennata deliberazione n.36/1999,nella parte in cui si è previsto l’inserimento degli immobili di cui alle pp.cc. nn.62/300 e 62/95,in P.T. 1414 del C.C. di Aurisina (terreni di proprietà della ricorrente)in parte in zona "E3-area agricola di connessione biologica e funzionale del sistema naturalistico", e in parte in zona "F2a-area di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici".
per la fissazione
di idonea misura riparatoria anche in senso specifico per l’omessa previsione di indennizzo, o, in subordine,di un congruo indennizzo per le illegittime reiterazioni del vincolo di inedificabilità assoluta sugli immobili di proprietà della deducente;
Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria generale con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 27.11.2001 la relazione del consigliere Vincenzo Farina ed uditi i difensori delle parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Il ricorso mira all’annullamento : 1) della deliberazione del Consiglio comunale di Duino Aurisina n.36 del 29-30 settembre 1999,con la quale l’intimato Comune ha approvato la variante generale n.18 al vigente P.R.G.C.,nonchè degli atti prodromici,presupposti,conseguenziali e comunque connessi;
2)del decreto n. 0173/Pres. del 25.5.2000,con il quale il Presidente della Giunta regionale ha confermato la esecutività della cennata deliberazione consiliare n.36/1999,disponendo l’introduzione delle modifiche indispensabili per il totale superamento delle riserve formulate in ordine alla variante con deliberazione della Giunta regionale n.2472 del 28.8.1998,nonchè degli atti prodromici,presupposti,conseguenziali e comunque connessi;
3)della cennata deliberazione n.36/1999,nella parte in cui si è previsto l’inserimento degli immobili di cui alle pp.cc. nn.62/300 e 62/95,in P.T. 1414 del C.C. di Aurisina(terreni di proprietà della ricorrente)in parte in zona "E3-area agricola di connessione biologica e funzionale del sistema naturalistico",e in parte in zona "F2a-area di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici".
La ricorrente ha chiesto,altresì,che il Tribunale fissi una idonea misura riparatoria, anche in senso specifico, per l’omessa previsione di indennizzo ,o,in subordine,di un congruo indennizzo per le illegittime reiterazioni del vincolo di inedificabilità assoluta sugli immobili di sua proprietà.
Dopo aver ricordato le vicende che hanno riguardato le proprietà sopra indicate(inizialmente edificabili),a sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto i seguenti mezzi:
1.Violazione di legge:artt.36 e 39 della L.R.52/91;Prima Circolare applicativa prot.P.T./10961/4.101 del 2/12/1991,par.4;Quarta Circolare applicativa prot.P.T.79769/4.102 del 5/10/1992,par.3.3.1-Eccesso di potere:difetto di motivazione –difetto e/o insufficienza di istruttoria-errore di fatto e travisamento-illogicità-difetto di previsione di equo indennizzo sull’opposizione presentata nonchè nella reiterazione del vincolo di inedificabilità.
La ricorrente lamenta che il Comune ,con la gravata variante,abbia reiterato,senza indennizzo,un vincolo di inedificabilità assoluta sui propri terreni,originariamente edificabili,ed in presenza di un ingenerato affidamento sulla edificabilità.
1.2-Difetto di motivazione e di istruttoria,ecc.nella risposta alla opposizione presentata dalla ricorrente.
La ricorrente contesta la esistenza di un elevato valore paesaggistico-ambientale sui terreni de quibus,tale da determinare un vincolo di inedificabilità assoluta.
1.3-Errore di fatto nella rappresentazione cartografica 1:5000 del perimetro delle aree di cui alla legge 442/1971,sul rilievo che i ripetuti terreni non rientrerebbero nel Parco del Carso.
1.4-Illogicità,ulteriore profilo di carenza di istruttoria e violazione ed errata applicazione dei criteri metodologici vincolanti contenuti nell’Allegato "A" al D.P.G.R. 15.9.1978 n.0826/Pres.(norme di attuazione del PURG).
La ricorrente assume che non esistono motivi ostativi al riconoscimento della edificabilità degli immobili de quibus.
2.VIOLAZIONE DELL’ART.55 L.R.39/9/1996,N.42.INCOMPETENZA ASSOLUTA DEL COMUNE E DELLA REGIONE A INDICARE LA ZONA DI ESTENSIONE DEL PARCO DEL CARSO.ECCESSO DI POTERE.CARENZA DI PRESUPPOSTI.IN SUBORDINE,INCOSTITUZIONALITA' ’EL COMBINATO DISPOSTO DI CUI AGLI ARTT.55,COMMA 6 E 69,COMMA 1,LETT.A ) E B),DELLA L.R.2/1996 IN RELAZIONE AGLI ARTT.3,42 COMMA 3 E 97 DELLA COSTITUZIONE.
La deducente lamenta che gli Enti intimati hanno indebitamente individuato l’area del Parco del Carso,creando una situazione di vincolo a tempo indeterminato dei beni immobili ivi insistenti.
3.DIRITTO ALL’INDENNIZZO PER LE ILLEGITTIME REITERAZIONI DEL VINCOLO ESPROPRIATIVO SENZA CONTESTUALE PREVISIONE DELLO STESSO,sul rilievo che nei confronti dei terreni della ricorrente è stato imposto un vincolo di inedificabilità senza indennizzo,malgrado l’originaria,e tuttora esistente,vocazione edificatoria dei medesimi terreni.
4.VIOLAZIONE DI LEGGE:ART.5 DPGR 20/4/1995 N.0126/PRES.ANCHE IN RAPPORTO AL TITOLO IV,CAPO I,E IN PARTICOLARE ALL’ART.30,COMMI 1/F E 5/A/1 DELLA L.R.52/91 PER DIFETTO DEGLI "STRUMENTI NORMATIVI"DELLA VARIANTE GENERALE-ART.32,COMMA 3,DELLA L.R.52/91-ECCESSO DI POTERE:VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA "PAR CONDICIO" DEI CITTADINI,DEL GIUSTO PROCEDIMENTO E DELLA TRASPARENZA DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA IN RAPPORTO ALLA PARI POSSIBILITA’ DEI CITTADINI DIRETTAMENTE INTERESSATI DI PRESENTARE OSSERVAZIONI ED OPPOSIZIONI AL PRGC PRIMA DELLA APPROVAZIONE DI UN PIANO VARIATO SOSTANZIALMENTE ANCHE D’UFFICIO DAL COMUNE.
La ricorrente si duole del fatto che il Comune ha mantenuto la situazione di inedificabilità dei terreni in questione,disattendendo lo spirito e la lettera delle disposizioni rubricate..
5.ECCESSO DI POTERE:DIFETTO DI MOTIVAZIONE SUL SOVRADIMENSIONAMENTO DEGLI STANDARD URBANISTICI-VIOLAZIONE DI LEGGE:ART.32 COMMA B) DELLA L.R.52/91 E DEL PURG,TITOLO III,ART.33.
La deducente lamenta la mancata motivazione da parte del Comune in ordine al rubricato sovradimensionamento.
6.ULTERIORI PROFILI DI ILLEGITTIMITA’:ECCESSO DI POTERE:GRAVE ILLOGICITA’ INTERNA TRA I PRINCIPI E LE DIRETTIVE PER IL NUOVO PRG CONTENUTI NELLA DELIBERA CONSILIARE N.64 DD.26/6/1995 ED I PRINCIPI ENUNCIATI NELLA RELAZIONE ,NONCHE’ LE NORME DI ATTUAZIONE E LA ZONIZZAZIONE-CARENZA E/O INSUFFICIENZA DI ISTRUTTORIA-IRRAZIONALITA’.VIOLAZIONE DI LEGGE(ART.30 COMMA 1 LETT.A)DELLA L.R.52/91 IN RAPPORTO ALL’ART.31,COMMA 2,DELLA L.R.52/91)PER PARZIALE CONTRASTO FRA LE DIRETTIVE E IL PROGETTO DI PIANO.
L’istante denuncia la contraddittorietà della variante con le direttive impartite dal Consiglio comunale,nonchè la erroneità,illogicità e financo inintelleggibilità di svariate previsioni della medesima variante in relazione alla situazione fattuale e giuridica di riferimento.
7.VIOLAZIONE DELLA NORMATIVA DELLA L.109/94 E 157/95 PER LA DELIBERA DI INCARICO URBANISTICO,sul riflesso che non è stata esperita la gara per l’affidamento dell’incarico per la redazione della variante.
Si sono costituiti in giudizio gli intimati Comune e Regione,chiedendo il rigetto del gravame.
D I R I T T O
1. Il ricorso mira all’annullamento : 1)della deliberazione del Consiglio comunale di Duino Aurisina n.36 del 29-30 settembre 1999,con la quale l’intimato Comune ha approvato la variante generale n. 18 al vigente P.R.G.C.,nonchè degli atti prodromici,presupposti,conseguenziali e comunque connessi;
2)del decreto n. 0173/Pres. del 25.5.2000,con il quale il Presidente della Giunta regionale ha confermato la esecutività della cennata deliberazione consiliare n.36/1999,disponendo l’introduzione delle modifiche indispensabili per il totale superamento delle riserve formulate in ordine alla variante con deliberazione della Giunta regionale n.2472 del 28.8.1998,nonchè degli atti prodromici,presupposti,conseguenziali e comunque connessi;
3)della cennata deliberazione n.36/1999,nella parte in cui si è previsto l’inserimento degli immobili di cui alle pp.cc. nn.62/300 e 62/95,in P.T. 1414 del C.C. di Aurisina(terreni di proprietà della ricorrente)in parte in zona "E3-area agricola di connessione biologica e funzionale del sistema naturalistico",e in parte in zona "F2a-area di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici".
La ricorrente ha chiesto,altresì,che il Tribunale fissi una idonea misura riparatoria, anche in senso specifico, per l’omessa previsione di indennizzo ,o,in subordine,di un congruo indennizzo per le illegittime reiterazioni del vincolo di inedificabilità assoluta sugli immobili di sua proprietà.
2. Ragioni di economia processuale inducono il Collegio ad esaminare congiuntamente tutti i motivi del gravame.
Preliminarmente, al fine di inquadrare in modo idoneo la materia del contendere,si rende necessario svolgere alcune considerazioni di carattere generale.
Sotto un primo profilo, vanno esaminati i poteri pianificatori locali in materia di tutela ambientale, giacchè la impugnata disposizione pianificatoria, concernente la proprietà attorea, è chiaramente preordinata ad assicurare questa tutela.
Al riguardo appare utile ricordare che l'introduzione nel nostro ordinamento degli strumenti di pianificazione urbanistica fu originariamente operata con riguardo alla sola attività edilizia dei nuclei abitati, e che entro tale limite detti strumenti vennero mantenuti per lungo tempo: basti in proposito ricordare che l'art. 70 del regolamento della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 8 giugno 1865, n. 2321, ebbe ad annoverare fra le materie proprie dei regolamenti edilizi comunali i « piani regolatori dell'ingrandimento e della livellazione o di nuovi allineamenti delle vie, piazze o passeggiate pubbliche »; che la legge 25 giugno 1865, n. 2359 consentì ai Comuni di dotarsi di «piani regolatori edilizi » e di « piani di ampliamento », indicando i primi (art. 86) come destinati a tracciare «le linee da osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell'abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli edifici, per raggiungere l'intento » e i secondi (art. 93) come destinati di contro a tracciare « le norme da osservarsi nell'edificazione di nuovi edifici, al fine di provvedere alla salubrità dell'abitato ed alla più sicura, comoda e decorosa sua disposizione ».
Né, d'altro canto, più ampio oggetto ebbero le successive leggi che, con procedura speciale, approvarono gli strumenti urbanistici di talune città, dalla legge 11 aprile 1889, n. 60, relativa al « piano regolatore edilizio e di ampliamento » della città di Bologna, alla legge 5 aprile 1908, n. 141 relativa al « piano regolatore unico » per la città di Torino, al R.D.L 6 luglio 1931, n. 981 convertito nella legge 24 marzo 1932, n. 355 relativo al piano regolatore della città di Roma, alla legge 19 febbraio 1934, n. 433 relativa al «piano regolatore di massima edilizio e di ampliamento » della città di Milano, ecc.
In presenza di siffatta situazione normativa, appare di tutta evidenza la portata innovativa - puntualmente, del resto, sottolineata nei lavori preparatori (v. la relazione al disegno di legge n. 2038 della Camera dei fasci e delle corporazioni, XXX legislatura, Raccolta di atti e documenti, vol. XXI) - dell'art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 ("Legge urbanistica"), là dove stabilì, al primo comma, che « il piano regolatore generale di un Comune deve considerare la totalità del territorio comunale ».
Vero è che la correlazione di detto art. 7, primo comma, con la definizione che della disciplina urbanistica la stessa legge del 1942 forniva all'art. 1, sembrava voler continuare a limitare l'ambito di tale disciplina, e, di riflesso, degli strumenti pianificatori attuativi di essa, alla sola attività edilizia; così come è vero che ciò trovava sostanziale riscontro negli elementi indicati al secondo comma del menzionato art. 7, destinati a concretizzare le indicazioni essenziali dei piani regolatori generali: tanto da indurre la giurisprudenza ad affermare, in più occasioni, la legittimità delle previsioni di classificazioni a verde agricolo solo in quanto dirette a contenere l'ampliamento dei nuclei abitati (Cfr. Cons.St., Sez. IV, 19 ottobre 1960, n. 855; Sez. IV, 27 febbraio 1959, n. 269).
Simile limitazione, però, deve intendersi venuta meno allorché l'art. 1 della legge 19 novembre 1968 n. 1187, alla necessaria considerazione da parte del piano dell'intero territorio comunale, ampliò lo spettro di intervento pianificatorio ai <<vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico>>: in tal modo, infatti, allo sganciamento avvenuto nel 1942 dei piani regolatori generali dal loro originario stretto riferimento ai nuclei abitati, ha finito col saldarsi un elemento funzionalizzato alla difesa da possibili fattori pregiudizievoli di ogni tipo, e pertanto anche svincolati dall'attività edilizia in sé e per sé considerata.
E che proprio tale portata debba attribuirsi a detto elemento risulta chiaramente dalla circostanza che là dove, come nell'art. 17, quinto comma, della legge 6 agosto 1967, n. 765, in sede di regolamentazione urbanistica il legislatore ha voluto circoscrivere la tutela dei caratteri storici, artistici ed ambientali ai soli nuclei abitati, lo ha fatto usando non già il generico termine di « zone », bensì quello specifico di «agglomerato urbano ».
A quanto precede va, poi, aggiunto che, parallelamente, anche la nozione di urbanistica andava progressivamente evolvendosi; in particolare, la legge 28 gennaio 1977, n. 10, all'art. 1 considerava, in un unico ambito concettuale, la trasformazione urbanistica e l'edilizia del territorio. Questa tendenza si accentuava con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che, all'art. 80, definiva la materia come disciplina dell'uso del territorio comprensivo di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali, afferenti la salvaguardia e la trasformazione del suolo, nonché la protezione dell'ambiente.
A quest’ultimo proposito, è a dirsi che le funzioni attribuite alle Regioni dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 in tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale condizionano la regolamentazione soltanto perché rappresentano le condizioni minime di salvaguardia, non riducibili dagli strumenti urbanistici, con la conseguenza che il Comune ha il potere di introdurre un'autonoma disciplina urbanistica di salvaguardia ispirata a fini di tutela ambientale, volta a rafforzare i vincoli già esistenti o ad introdurne di nuovi ( Cfr., fra le tante, T.A.R. Lazio, I Sez., 30 novembre 1989, n. 1729 e 3 giugno 1995, n. 960).
In questo contesto, la giurisprudenza ha avvertito che le scelte urbanistiche destinate a tutelare l’ambiente (anche quando consistono nell’imprimere ad un’area il connotato di zona agricola o di parco privato o di verde privato), non richiedono una diffusa analisi argomentativa con riguardo al valore del paesaggio, a mente dell’art. 9 della Costituzione (Cfr.,Cons.St., IV, 1°.2.2001, n.420; 8 maggio 2000, n. 2639 e 19 gennaio 2000,n. 245).
Sotto altro aspetto,sempre di ordine generale, va ricordato che le scelte urbanistiche costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto, da travisamento, o da abnormi illogicità e contraddittorietà (Cfr. tra le tante, Cons.St., Ad. plen., 22 dicembre 1999,n. 24; IV, 25 luglio 2001,n. 4077; 22 maggio 2000, n. 2934; 9 gennaio 2000, n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121;T.A.R. Lombardia, Brescia 28 giugno 1990 n. 770, T.A.R. Toscana, I Sez., 27 gennaio 1994 n. 39; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia,24 settembre 1994,n.349;T.A.R.Abruzzo,Pescara,11 luglio 1998,n.496);in particolare, è stato deciso che la destinazione data con lo strumento urbanistico ad un’area o ad una zona del territorio comunale e le connesse valutazioni dell'Amministrazione non necessitano di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano stesso: criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano,richiamati dal provvedimento conclusivo (Cfr.Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999,n. 24 ,cit.; IV, 25 luglio 2001,n. 4077, cit.; 9 gennaio 2000,n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121,cit.; IV,12 giugno 1995,n.439; 4 marzo 1993 n. 240; IV Sez., 11 dicembre 1979 n. 1141).
Detto questo, ritiene il Collegio di dovere, altresì, richiamare il consolidato - e risalente - orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la disciplina del territorio comunale non comportano di regola la necessità di una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni dei privati (Cfr.per tutte,Cons.St., Ap., 21 ottobre 1980 n. 37; IV Sez., 11 gennaio 1985 n. 2; IV Sez., 2 luglio 1983 n. 488).
Tale principio (che comunque non preclude al giudice amministrativo di verificare se le scelte operate siano irrazionali o manifestamente illogiche e contraddittorie) è operante anche quando l'Autorità urbanistica adotti una variante, anche generale, al piano vigente (Cfr.Cons.St.,IV Sez., 30 giugno 1993 n. 642; IV Sez., 2 luglio 1983 n. 488), sulla base di una diversa valutazione delle esigenze pubbliche (Cfr.,Cons.St.,IV Sez., 20 marzo 1985 n. 96), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione d'accompagnamento al progetto di modificazione (Cfr.Cons.St.,IV Sez., 4 marzo 1993 n. 240; IV Sez., 11 dicembre 1979 n. 1141), pur quando essa disponga vincoli sulla proprietà privata, prevedendone l'espropriazione o la inedificabilità assoluta.
I suesposti principi in tema di motivazione degli strumenti urbanistici, ribaditi dall'art. 3, secondo comma, della legge 7 agosto 1990 n. 241(in base al quale :" …….La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale"…), subiscono, però, un correttivo – così è stato stabilito da una giurisprudenza lontana nel tempo, ma che ancora oggi incontra un significativo seguito - quando particolari situazioni abbiano creato aspettative qualificate o concreti affidamenti (Cfr.Cons.St.,IV Sez., 4 settembre 1985 n. 328; IV Sez., 13 aprile 1984 n. 243) in favore di soggetti, le cui posizioni appaiono meritevoli di speciale considerazione (Cfr.,Cons.St.,IV Sez., 13 maggio 1992 n. 511; IV Sez., 27 aprile 1989 n. 267).
Occorre , tuttavia, precisare, che i proprietari di aree interessate dal piano regolatore non hanno una aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell’Amministrazione, ma soltanto una aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario che aspiri ad una utilizzazione più proficua dell’immobile(Cfr., Cons. St., IV, 25 luglio 2001, n. 4077 cit.)
La giurisprudenza ha da tempo avvertito che l'Autorità urbanistica può esercitare i propri poteri di modifica di un piano urbanistico, solo se sussistono adeguate ragioni di pubblico interesse, da esternare in una specifica motivazione, quando:
-intenda superare gli impegni già presi con la stipula di una convenzione di lottizzazione (Cfr. Cons.St.,IV Sez., 13 luglio 1993 n. 711; IV Sez., 14 maggio 1993 n. 531; IV Sez., 1 luglio 1992 n. 653; IV Sez., 22 gennaio 1990 n. 24; IV Sez., 30 marzo 1987 n. 183; IV Sez., 19 giugno 1985 n. 239; IV Sez., 28 gennaio 1985 n. 27; IV Sez., 18 ottobre 1984 n. 767; IV Sez., 27 giugno 1984 n. 486; IV Sez., 7 marzo 1984 n. 134; IV Sez., 13 febbraio 1984 n. 82; V Sez., 12 febbraio 1976 n. 239), ovvero intenda incidere sulle posizioni di coloro che hanno ottenuto una sentenza dichiarativa dell'obbligo di predisporre la convenzione, dopo che questa sia stata autorizzata (Cfr.Cons.St.,V Sez., 8 settembre 1992 n. 776);
-debba tener conto di un giudicato di annullamento di un diniego di concessione urbanistica (Cfr.Cons.St., Ad. plen., 8 gennaio 1986 n. 1);
intenda superare gli standards minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968 (Cfr., Cons. St., Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24; IV Sez., 22 maggio 2000, n. 2934 cit.).Non sembra superfluo ricordare che la motivazione è stata, inoltre, ritenuta necessaria quando un vincolo preordinato alla espropriazione o comportante inedificabilità assoluta è decaduto per il decorso del quinquennio, ai sensi dell'art. 2 della legge 19 novembre 1968 n. 1187 ( Cfr.,Corte cost., 12 maggio 1982 n. 92; Cons. Stato, Ap., 2 aprile 1984 n. 7; Ap., 30 aprile 1984 n. 10; Corte cass., Sez. Un., 10 giugno 1983 n. 3987), e l'Amministrazione intenda reiterarlo (Cfr.Cons.St.,II Sez., 24 ottobre 1990 n. 438/90; IV Sez., 3 maggio 1990 n. 330; v. anche Corte cost., 22 dicembre 1989 n. 575).
In tal caso, infatti, perché appaia chiaro che la reiterazione del vincolo non si pone come atto vessatorio o comunque ingiusto, in quanto «sospetto di sviamento di potere » (Cfr.Cons.St.,IV Sez., 8 giugno 1992 n. 592), bensì come attività volta alla effettiva cura di un pubblico interesse, l'Amministrazione deve indicare la ragione che la induce a scegliere nuovamente proprio l'area sulla quale la precedente scelta si era appuntata: la reiterazione del vincolo espropriativo, sic et simpliciter, non è dunque consentita, dovendo l'Amministrazione evidenziare l'attualità dell'interesse pubblico da soddisfare, in quanto si va ad incidere sulla sfera giuridica di un proprietario, che già per un quinquennio è stato titolare di un bene suscettibile di dichiarazione di pubblica utilità e successivamente di esproprio.
Questa motivazione è stata , peraltro, individuata dalla più recente giurisprudenza(Cfr., Cons. Stato, Ad. plen.,22 dicembre 1999,n. 24; IV, n. 2934/2000 cit.) nei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano, e non già in uno specifico apparato giustificativo.
Ordunque, come si è detto, le scelte urbanistiche non sono sindacabili se non per errori di fatto, per travisamento, o per abnormi illogicità e contraddittorietà .
Nel caso di cui alla attuale controversia le figure sintomatiche di eccesso di potere testè indicate non sono - de plano - ravvisabili, alla stregua delle considerazioni che saranno svolte di qui a poco.
Ciò posto, venendo alle singole censure, la ricorrente ha,innanzitutto, dedotto il vizio di difetto di motivazione, in relazione a quel tradizionale indirizzo giurisprudenziale, sopra ricordato, per il quale la motivazione specifica degli strumenti urbanistici s'imporrebbe allorché particolari situazioni abbiano creato qualificate aspettative o concreti affidamenti in capo a privati, le cui posizioni appaiono pertanto meritevoli di particolare considerazione (Cfr., ancora, Cons. Stato, IV Sez., 14 aprile 1998,n. 605 ; 12 giugno 1995, n. 439; 5 dicembre 1994, n. 992; 12 dicembre 1990, n. 1002 , 13 maggio 1992 n. 511; id. V Sez., 27 aprile 1989 n. 267 ; IV, 4 settembre 1985 n. 328;13 aprile 1984 n. 243).
Occorre, perciò, procedere all'individuazione - in relazione alla situazione soggettiva evidenziata dal gravame - di eventuali posizioni consolidate da precedenti atti amministrativi, ovvero di ingenerate condizioni di affidamento (quanto alla vocazione edilizia del terreno di proprietà della ricorrente), delle quali la variante de qua abbia determinato il sacrificio o la compromissione; con successiva riserva di (eventuale) verifica della effettiva configurazione di una congrua esternazione a conforto delle determinazioni adottate.
La disamina oggetto del presente punto viene esplicitata rappresentando i presupposti di riferimento rispetto al preesistente assetto urbanistico, a raffronto con le modificazioni, o, più esattamente, con le sostanziali conferme operate dagli atti oggetto di censura.
Il Collegio esprime l’avviso che la variante impugnata non abbisognava di una specifica motivazione in ordine alla comparazione tra gli interessi pubblici e quelli privati coinvolti, in quanto non ha inciso su preesistenti aspettative qualificate della ricorrente.
Occorre prendere le mosse dalla considerazione formulata dal Comune intimato in sede di esame dell'osservazione prodotta dalla deducente (che mirava a far imprimere all'area una vocazione residenziale), per la quale: «l’area in questione possiede un elevato valore paesaggistico-ambientale,così come ampiamente illustrato dalle analisi condotte sulla vegetazione,sulla fauna,sull’assetto e le dinamiche del paesaggio e sulla vulnerabilità dell’ambiente.Inoltre ricade all’interno delle aree soggette ai vincoli di salvaguardia introdotti dalle disposizioni della legge regionale 42/1996 e della legge 442/1971".
Come ha posto in evidenza la stessa ricorrente:
-al momento dell’acquisto la particella catastale n.62/300 ricadeva in zona classificata "E1-ville", edificabile;
-con la variante n.10 del 1986 l’area in parola era stata "inserita in zona di tutela boschiva "F2", vincolata a preventivi piani di conservazione e di sviluppo[....]gli interventi ammessi "erano unicamente quelli sul patrimonio edilizio esistente[....]"; più esattamente, come cennato dal resistente Comune, l’area, ricadente in un ambito di tutela ambientale, era stata inserita nelle zone E3 ed F2, aventi carattere agricolo-paesaggistico in forza dell'art.4, comma 4 del decreto del Presidente della Giunta regionale 15 settembre 1978,n.0826/Pres (zone E3: zone agricole e forestali ricadenti negli "ambiti silvo-zootecnici";zone F2: ambiti di tutela ambientale ricadenti negli ambiti boschivi ": ciò ai sensi, rispettivamente, degli artt.38,comma 1 e 39,comma 1 di detto decreto);
-con la variante de qua(in sede di approvazione definitiva) l’area è stata destinata in parte a zona "F2a-area di tutela della complessità dei sistemi naturalistici",ed in parte( ciò in sede di approvazione:la deliberazione di adozione aveva inserito questa parte nella zona "F4a-area di connessione biologica e funzionale del sistema naturalistico" ) a zona "E3-aree agricole di connessione biologica e funzionale del sistema naturalistico".Questa seconda parte,sottolinea l’istante,è stata assoggettata,quanto alla edificazione,alla previa approvazione di PRPC (piani regolatori particolareggiati comunali)di iniziativa privata, limitatamente ad edifici e manufatti edilizi funzionali alla conduzione di fondi rustici.
Come risulta dalle norme della variante ,nelle aree E3 sono, altresì,consentiti numerosi interventi(taluni dei quali di una certa rilevanza): le trasformazioni funzionali alla coltivazione del suolo e ad altre attività produttive, la manutenzione degli elementi viari, la realizzazione di percorsi e spazi di sosta, di strade poderali ed interpoderali, di impianti per l’approvvigionamento idrico , le trasformazioni dei manufatti esistenti, la nuova edificazione di edifici e di altri manufatti edilizi funzionali alla conduzione dei fondi rustici,ecc.
Anche per quanto concerne le aree classificate "F2a-area di tutela della complessità dei sistemi naturalistici", le ripetute norme prevedono la possibilità di svariati interventi edilizi.
Sempre in relazione alle aree F2a, è d’uopo sottolineare che il Comitato tecnico regionale, in sede di parere sulla variante(n. 88/1-T/98 del 15.6.1998), ha, tra l’altro, affermato che:"In queste aree la tutela della complessità naturalistica e del paesaggio, assume un carattere prioritario".
L’aspetto testè trattato, inerente alla destinazione impressa al terreno in questione dai cennati strumenti urbanistici comunali induce a fare una puntualizzazione preliminare.
Contrariamente a quanto opina la deducente, non è revocabile in dubbio che l'Amministrazione,in relazione ad entrambe le aree di cui si è detto (F2a ed E3), non ha reiterato un vincolo a contenuto espropriativo o di inedificabilità assoluta, ma ha attribuito una destinazione urbanistica ad un'area,confermando,sostanzialmente, la vocazione non residenziale della medesima:ed invero,la destinazione impressa dalla variante n.10 del 1986 non era soggetta,de plano,alla decadenza per decorso del quinquennio, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (che prevede la decadenza per « le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità »).Il significato dell'espressione « vincoli che comportino l'inedificabilità » va individuato-rileva il Collegio- alla luce delle ragioni che hanno indotto il legislatore a formulare la norma, e dunque alla luce dei principi enucleati dalla Corte costituzionale con la sentenza 29 maggio 1968, n. 55,la quale si è a sua volta richiamata alla sua precedente sentenza 20 gennaio 1966, n. 6.
Secondo il Giudice delle leggi, ai vincoli preordinati all'esproprio vanno equiparate (ai fini dell'applicabilità dei principi concernenti la temporaneità dei vincoli) solo quelle limitazioni «tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione sul suo valore di scambio » (in tal senso, v. Corte cost., 20 gennaio 1966, n. 6, cit., punto 4 della motivazione),ossia quelle limitazioni che, pur non importando il trasferimento coattivo del bene, non consentono al suo titolare la coltivazione o comunque la possibilità di utilizzarlo; tra le quali rientrano, ad esempio, le imposizioni di servitù militari (in quanto configuranti « un caso analogo a quello dell'occupazione parziale e temporanea del fondo »: Corte cost., 6 aprile 1993, n. 138).
Tutti gli altri vincoli di inedificabilità, che non siano preordinati all'espropriazione e che consentano al titolare del bene di utilizzarlo in qualche modo(compreso il vincolo a verde privato, o, per fare il caso di cui alla presente controversia, un vincolo preordinato alla tutela di prevalenti esigenze di natura ambientale), non costituiscono altro che espressione del potere di pianificazione, cioè del potere della Autorità urbanistica di zonizzare il territorio comunale, al fine di programmare l'ordinato sviluppo delle aree abitate e di salvaguardare i valori urbanistici e ambientali esistenti.
Tale interpretazione del primo comma del citato art. 2 L.n.1187/1968 è confermata dal fatto che la decadenza per il decorso del quinquennio ha luogo qualora entro tale termine « non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati ».
Va osservato,in questo contesto, che anche la Corte di cassazione (I Sez., 29 novembre 1989, n. 5215) ha precisato che i vincoli di zonizzazione o di « azzonamento del territorio » non possono essere equiparati ai vincoli preordinati ad una successiva espropriazione od ai vincoli di inedificabilità.La Corte, dovendosi occupare della questione se l'indennità di espropriazione (nel regime antecedente alla emanazione dell'art. 5 bis del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, come convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359) debba essere calcolata tenendo conto dell'incidenza negativa dei vincoli di destinazione che vengono fissati dagli strumenti urbanistici, ha chiarito che l'art. 2, primo comma, della ripetuta legge n. 1187 del 1968 prevede la decadenza, per il decorso del quinquennio, delle sole prescrizioni « specifiche riguardanti singoli immobili interessati alla realizzazione di opere pubbliche previste nel piano e da effettuare nell'interesse della collettività », e non anche delle prescrizioni « dirette a regolamentare l'attività edilizia dei privati in funzione delle diverse zone in cui è stato suddiviso il territorio comunale » (concludendo nel senso che, per determinare il valore di mercato di un immobile espropriato, deve tenersi conto dell'incidenza negativa dei vincoli di destinazione).
La giurisprudenza della Corte costituzionale ha inoltre affermato che : "il problema di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici - come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia del vincolo (sent. n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995; n.179 del 1999) - si può porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:
- siano preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati (sent. n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del 1968, e, tra le più recenti, le sentt. nn. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta, qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal Legislatore dello Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto speciale, sent. n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);
- superino la durata che dal Legislatore sia stata determinata come limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga l'espropriazione (sent. n. 186 del 1993), ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata all'esproprio) attraverso l'approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati dalla legge;
superino sotto un profilo quantitativo (« per la maggiore o minore incidenza che il sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto »: sent. n. 6 del 1966) la normale tollerabilità secondo una concezione della priorità, che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42 comma 2 della Costituzione) ".In particolare, in relazione al caso di cui alla attuale controversia, il Giudice delle leggi,con la richiamata sentenza n.179/1999 del 20 maggio 1999(la quale ha rappresentato un fondamentale punto di approdo nella materia in argomento), ha stabilito che non sono inquadrabili negli schemi dell'espropriazione, dei vincoli indennizzabili(quelli, cioè,comportanti inedificabilità assoluta) e dei termini di durata i beni immobili aventi valore paesistico ambientale, «in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge » (v. sentt. n. 417 del 1995; n. 56 del 1968, da interpretarsi in maniera unitaria con la coeva sent. n. 55 del 1968, cit.; n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).
Il Collegio non può non condividere tali argomentazioni,che si riassumono nella considerazione essenziale per cui i vincoli di destinazione, propri della zonizzazione, costituiscono manifestazioni della potestà conformativa, non di quella espropriativa.
Pertanto,alla stregua della surriferita giurisprudenza,può stabilirsi che l'art. 2, primo comma, della legge n. 1187 del 1968 prevede la decadenza per il decorso del quinquennio (oltre che dei vincoli preordinati all'espropriazione) dei soli vincoli che, pur non portando all'alienazione del bene, precludono al titolare di utilizzarlo.
Nel caso di cui alla controversia in esame, risulta per tabulas dalla normativa della variante impugnata che l’area di proprietà della ricorrente conserva una congrua possibilità utilizzatoria, anche a fini edificatori, sia pure in relazione a specifici interventi: ne consegue che l’area stessa non può considerarsi assolutamente inedificabile.
In buona sostanza, la previsione urbanistica di zonizzazione consente al titolare dell'area di utilizzarla in base alla sua naturale vocazione.
Dunque,non essendo l’area neppure soggetta a vincolo espropriativo, è dato concludere che non ricorre nel caso di specie la ipotesi di cui all’art.2 della L.n.1187/1968.
Inoltre, ed in modo ancor più risolutivo, è a dirsi che i beni immobili sui quali insistono i terreni della deducente hanno un valore paesistico ambientale, in virtù della loro localizzazione, di talchè esula del tutto lo schema di cui all’art.2 della L.n.1187/1968 nella previsione pianificatoria impugnata.
Erroneamente, quindi, la ricorrente ha richiamato i principi in materia di vincoli espropriativi o comportanti inedificabilità assoluta enunciati dalla giurisprudenza.
Tutte le considerazioni attoree fondate su questo assunto si appalesano, dunque, prive di pregio.
Svolte queste considerazioni sulla inapplicabilità dei principi testè ricordati, e ritornando alla problematica relativa alla asserita situazione di affidamento che si sarebbe creata in capo alla deducente in conseguenza della originaria condizione di edificabilità dell’area,e,precisamente,del terreno di cui alla p.c. n.62/300 (edificabilità - consistente in una casa non di lusso - non posta in essere a causa della asserita inadempienza del Comune,che non avrebbe costruito la prevista strada di accesso),è a dire che la sola preesistente capacità edificatoria, annullata da un vincolo di destinazione(ripetesi:non da un vincolo ex L.n.1187/1968) , in origine e in sede di sostanziale conferma, in relazione alla vocazione naturalistica dell’area- puntualmente motivato –questo vincolo - da esigenze di pubblico interesse,non è suscettibile di configurare una situazione del privato particolarmente meritevole di tutela: tale da ingenerare il convincimento che la situazione iniziale avrebbe costituito un limite preciso per la attività pianificatoria dell'Amministrazione.
Stante la pregressa destinazione non edificatoria (ora confermata) non può, de plano, affermarsi che i suoli di proprietà della parte ricorrente, già suscettibili di vocazione edificatoria privata, abbiano subito una variazione di questa destinazione.
Quest’ultima è rimasta invariata.
Non sembra inutile osservare,in questo contesto argomentativo,che non risulta dagli atti di causa che la ricorrente si sia gravata,a suo tempo,contro i cennati vincoli.
Per la porzione di territorio sulla quale la parte ricorrente vanta dei diritti dominicali non è dunque ravvisabile una posizione legittimante, rappresentata dalla passata vocazione edificatoria, quale risultante dalle indicazioni di piano vigenti anteriormente all'adozione della variante.Va conseguentemente esclusa una compressione dello ius aedificandi, realizzata dal mutamento della disciplina urbanistica del piano regolatore generale introdotto dalla variante, non ravvisandosi quella situazione di affidamento particolarmente protetta di cui si è parlato.
In realtà, nella fattispecie è ravvisabile solo una aspettativa generica ad una reformatio in melius , analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una più proficua utilizzazione dell’immobile(Cfr., Cons. St., IV Sez., 22 maggio 2000, n. 2934 ).
Come corollario,va detto che la variante, in parte qua, non doveva essere assistita dalla coordinata di legittimità rappresentata da una congrua esternazione , che fornisse compiuta evidenza all'operata comparazione dell'interesse pubblico con quello privato in relazione alla destinazione di zona originariamente stabilita: era bastevole una congrua motivazione della persistenza delle ragioni giustificatrici iniziali, ancorate alla accertata valenza paesaggistico-ambientale della zona considerata.
Sotto il profilo motivazionale, peraltro, si è già detto che le scelte urbanistiche destinate a tutelare l’ambiente (anche quando consistono nell’imprimere ad un’area il connotato di zona agricola o di parco privato o di verde privato), non richiedono una diffusa analisi argomentativa con riguardo al valore del paesaggio, a mente dell’art. 9 della Costituzione (Cfr.,Cons.St., IV, 1°.2.2001,n.420; 8 maggio 2000,n. 2639 e 19 gennaio 2000,n. 245).
Quanto alla motivazione effusa dal Comune a sostegno del rigetto della osservazione n.298 presentata dalla ricorrente,di cui si è già parlato,non sembra inutile ricordare che le osservazioni e le opposizioni al piano regolatore generale di un Comune si riferiscono a due distinte sfere di interessi; le prime, infatti, si sostanziano in suggerimenti di modifica o delle linee generali del piano o di previsioni specifiche di esso, che incidono su situazioni di interesse diffuso di tutti i residenti nella zona; le seconde, invece, si concretizzano in vere e proprie censure a specifiche previsioni urbanistiche che, riguardando in modo diretto l'opponente, incidono su posizioni di interesse legittimo del proprietario leso dall'atto di pianificazione e non rientrano, quindi, nel modello partecipativo ma costituiscono, al contrario, esercizio di un vero e proprio interesse oppositivo (Cfr.T.A.R. Puglia,II,20 ottobre 1994,n.1379).
Detto questo,è pacifico che le suddette osservazioni ed opposizioni impongono all'Amministrazione ,anche in ossequio al citato art.3 della legge 7 agosto 1990,n.241,l’obbligo di motivare adeguatamente la loro reiezione, in modo che sia assicurata l'esigenza che le scelte urbanistiche siano non soltanto formalmente legittime, ma anche in concreto razionali ed opportune nell'interesse reale della popolazione.
(Cfr.Csi,1° giugno 1993,n.227;T.R.G.A.,Bolzano,25 febbraio 1998,n.42).
Ora,nel caso di specie,l’Amministrazione non si è sottratta a questo obbligo,dato che ha esternato in modo appropriato le ragioni a sostegno del rigetto delle osservazioni,collegandole all’"elevato valore paesaggistico-ambientale" dell’area de qua,nonchè alle disposizioni delle leggi nn.42/1996 e 442/1971.
Si è già detto che il piano regolatore generale può autonomamente imporre limiti all'edificazione per la salvaguardia delle zone ritenute di interesse ambientale( Cfr.,tra le tante, T.A.R. Marche, 2 ottobre 1998,n.1127).
Non pare al Collegio che l’Amministrazione – alla luce del ripetuto indirizzo giurisprudenziale - fosse tenuta ad ulteriori e più puntuali ragguagli motivazionali: anche perchè la vocazione naturalistica dell’area, conosciuta dalla ricorrente (la quale ,però,non aveva fatto valere giudiziariamente,all’epoca,i propri asseriti diritti), era già stata accertata in precedenza, in sede di variante n.10/1986.
In questo ambito,appare del tutto infondato il cenno attoreo alla presunta inedificabilità assoluta dell’area,che,come si è visto,non sussiste(in relazione al paradigma dell’art.2 L.n.1187/1968).
Per quanto riguarda la censura relativa all’asserito illegittimo ampliamento dell’area interessata dalla legge 1 giugno 1971, n. 442(c.d. legge Belci), essa può essere assorbita, in quanto ,come si è visto, la zonizzazione è stata effettuata sulla base di più motivi, e, segnatamente, dell’"elevato valore paesaggistico-ambientale" dell’area de qua, nonché delle previsioni delle leggi nn.42/1996 e 442/1971: pertanto, trova applicazione il principio generale secondo il quale,nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell'atto la fondatezza anche di una sola di esse(Cfr, ex pluribus, T.A.R. Valle d’Aosta, 14 settembre 1988, n.60).
Circa il motivo rubricato al n.1.4,con il quale è stata dedotta la violazione dell’allegato "A" al D.P.G.R. 15 settembre 1978,n.0826/Pres(Norme di attuazione al P.U.R.G.),per non avere il Comune consentito una limitata edificazione nelle zone F di tutela ambientale, in direzione della zona artigianale già urbanizzata, il Collegio osserva che la proprietà della ricorrente ricade pienamente nella zona di tutela ambientale, di talchè non si vede come possa esserne esclusa in base alla disposizione regolamentare regionale citata.Ques’ultima, d’altra parte, si limita a prevedere la possibilità, non la necessità, che i perimetri delle zone F possano subire ("con adeguata motivazione")delle variazioni rispetto ai perimetri degli ambiti di tutela ambientale: tanto basta per escludere la cogenza di detta norma, e,conseguentemente,un diritto, o,tampoco, una aspettativa qualificata da parte della ricorrente.
Inutile aggiungere che l’operato comunale ,attesa la formulazione della norma, che demanda alla discrezionalità del Comune l’introduzione(eccezionale) di un correttivo alla perimetrazione delle zone F, non può essere censurato sotto il profilo della grave illogicità.
In conclusione,tutte le censure(trattasi dei motivi rubricati ai nn.1.1;1.2;3)dedotte dalla ricorrente in ordine alle previsioni contenute nella impugnata variante n.18/1999 , relative ai terreni di sua proprietà(compresa quella con cui è stato denunciata la omessa previsione dell’indennizzo per la reiterazione del vincolo de quo) sono destituite di fondamento.
3. Ne discende,come corollario,che tutte le ulteriori doglianze dedotte sia nei confronti di aspetti generali della variante, che nei confronti delle singole autonome previsioni,sono da ritenersi – a rigore - inammissibili, in quanto il loro eventuale accoglimento non arrecherebbe alcun vantaggio alla ricorrente.
Ed invero, una volta accertata -come è stato sopra fatto- la legittimità della zonizzazione dei terreni della ricorrente, l’Amministrazione sarebbe tenuta a riesaminare,in seguito all’eventuale annullamento giurisdizionale,solo le parti oggetto dell’annullamento,e non quella relativa alla zonizzazione in parola.
In ogni caso, quanto ai rilievi attorei che involgono alcuni aspetti generali della variante o, tampoco, singole autonome previsioni,è a dire che quand’anche,per inconcessa ipotesi, potessero avere ingresso, nell’ottica di un interesse strumentale finalizzato alla riadozione della variante nella sua totalità(con la riconsiderazione della zonizzazione operata: il che, ripetesi, non appare ipotizzabile), essi risultano comunque destituiti di fondamento.
Innanzitutto, va detto , in ordine alle censure riguardanti aree diverse da quelle di proprietà del ricorrente, che l'interesse a ricorrere contro gli strumenti di pianificazione urbanistica, che riguardano, appunto, dette aree, sussiste allorché la nuova destinazione urbanistica incida sul godimento o sul valore di mercato dell'area interessata, perché altrimenti dall'eventuale annullamento delle scelte effettuate per le aree diverse nessun beneficio deriverebbe al titolare dell'area non interessata (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., 1 luglio 1992, n. 653 e 3 febbraio 1998 n. 207;T.A.R. Marche,n.1127/1998 cit.).
Nel caso di specie, questo presupposto – ossia l’incidenza della nuova destinazione sul godimento o sul valore di mercato dell'area de qua - non è ravvisabile, né la ricorrente ha dimostrato la sussistenza di esso.
Queste censure , pertanto, vanno disattese.
Circa le altre doglianze, sembra opportuno, in via preliminare, richiamare la normativa entro la quale si colloca la fattispecie all’esame del Collegio.
La legge regionale 19 novembre 1991, n. 52(ad oggetto:"Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica"),all’art.30( Contenuti ed elementi), ha previsto che: " 1. Il PRGC, che considera la totalità del territorio comunale, deve contenere:
a) gli obiettivi e le strategie, anche suddivisi per ambiti territoriali, che l'Amministrazione comunale intende perseguire con il piano……. b) il recepimento, con le necessarie verifiche, precisazioni ed integrazioni, delle direttive e delle prescrizioni dei piani e delle normative sovraordinate;
c) la definizione degli interventi per la tutela e valorizzazione delle risorse naturali, ambientali, agricole, paesistiche e storiche, con l'indicazione dei vincoli di conservazione imposti da normative sovraordinate;
d) la ricognizione delle zone di recupero e gli elementi che giustifichino, in subordine, l'eventuale previsione di zone di espansione in relazione alle esigenze insediative previste dal PRGC;
e) lo studio della situazione geologica, idraulica e valanghiva del territorio al fine di poter valutare la compatibilità ambientale delle previsioni di piano;
f) le aree del territorio comunale adibite a zone con caratteristiche omogenee in riferimento all'uso, alla preesistente edificazione, alla densità insediativa, alle infrastrutture ed alle opere di urbanizzazione con l'indicazione degli ambiti territoriali all'interno dei quali la modifica di destinazione d'uso degli immobili attuata senza opere è soggetta ad autorizzazione edilizia; tali elementi sono definiti con riferimento alle destinazioni d'uso prevalenti ed a quelle compatibili indicate dal PRGC per ciascuna zona;[……..] h) la disciplina delle aree destinate alla realizzazione di servizi pubblici ed attrezzature di interesse collettivo e sociale;….2. Con il PRGC possono essere posti vincoli di inedificabilità relativamente a:
a) protezione delle parti del territorio e dell'edificato di interesse ambientale, paesistico e storico-culturale;
b) protezione funzionale di infrastrutture ed impianti di interesse pubblico;
c) salvaguardia da potenziali situazioni di pericolo per l'incolumità di persone e cose[……. ] 4. Il PRGC contiene l'individuazione degli ambiti in cui l'attuazione avviene attraverso la predisposizione dei piani regolatori
particolareggiati comunali.
5. Il PRGC disciplina l'uso del territorio con strumenti grafici e normativi:
a) strumenti grafici:
1) stato di fatto dei luoghi e dell'edificato aggiornato, nonché perimetrazione delle aree soggette a rischio naturale;
2) rappresentazione schematica della strategia del Piano che risulti dalla sintesi degli elementi strutturali del territorio relazionati alle previsioni del piano;
3) planimetrie di progetto;
b) strumenti normativi:
1) schede quantitative dei dati urbanistici e territoriali;
1 bis) relazione con l'indicazione motivata dei limiti di flessibilità, riferiti agli specifici contenuti del piano, per l'attuazione, la revisione o l'aggiornamento del piano medesimo; la flessibilità non può consentire l'incremento di aree destinate alle funzioni di piano superiore al 10 per cento, in relazione alla quantità complessiva delle superfici previste per le diverse funzioni, attuabile anche con più interventi successivi, con esclusione di riduzioni delle superfici delle zone forestali e di tutela ambientale ;
2) relazione con l'illustrazione del progetto e con il programma di attuazione delle previsioni del piano ;
3) norme tecniche di attuazione.
6. Gli elaborati grafici e le schede sono redatti su basi cartografiche e su modelli definiti dall'Amministrazione regionale con decreto del Presidente della Giunta regionale".
L’art.31 ( Direttive per la formazione) così recita:" 1. La formazione di un nuovo PRGC e le variante al PRGC in vigore non sono soggette alla preventiva autorizzazione dell'Amministrazione regionale.
2. Il Consiglio comunale impartisce, con propria deliberazione, le direttive da seguire nella predisposizione di un nuovo PRGC e delle varianti al PRGC in vigore che incidono sugli obiettivi e sulle strategie di cui all'articolo 30, comma 1, lettera a)[…..]"
L’ art.32 ( Adozione ed approvazione) prevede che :"1. Sono soggetti alle procedure di adozione ed approvazione stabilite dal presente articolo il PRGC e le varianti allo strumento urbanistico in vigore:
a) di adeguamento alle direttive del Piano urbanistico regionale generale o del PTRG;
b) di introduzione delle modifiche necessarie a seguito della cessazione dell'efficacia dei vincoli di cui all'articolo 36, comma 2;
c) di contenuto che esorbiti dal limite della flessibilità definita ed indicata nella relazione di cui all'articolo 30, comma 5, lettera b), numero 1 bis);
c bis) aventi contenuto diverso da quello individuato all'articolo 32 bis.
1. Il progetto di PRGC o di variante allo strumento urbanistico in vigore è adottato dal Consiglio comunale ed è inviato all'Amministrazione regionale che ne dà avviso nel Bollettino Ufficiale della Regione.
2. Il PRGC adottato, subito dopo la pubblicazione dell'avviso nel Bollettino Ufficiale della Regione, deve essere depositato presso la Segreteria comunale per la durata di trenta giorni effettivi, affinché chiunque possa prenderne visione in tutti i suoi elementi. Del deposito viene data notizia con apposito avviso pubblicato nel l'Albo comunale e mediante inserzione su almeno un quotidiano locale. Nei Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti tale forma di pubblicità può essere sostituita dall'affissione di manifesti.
3. Entro il periodo di deposito, chiunque può presentare al Comune osservazioni. Nel medesimo termine i proprietari degli immobili vincolati dal PRGC possono presentare opposizioni sulle quali il Comune è tenuto a pronunciarsi specificatamente.
4. Nei novanta giorni successivi alla data di ricezione della deliberazione esecutiva di cui al comma 1, la Giunta regionale, sentiti il Comitato tecnico regionale, nonché, qualora siano interessati beni vincolati ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089, il Ministero per i beni culturali ed ambientali, può comunicare al Comune le proprie riserve vincolanti motivate:
a) dall'eventuale contrasto fra il piano e le norme vigenti o le indicazioni degli strumenti urbanistici sovraordinati;
b) dalla necessità della tutela del paesaggio, qualora siano interessati beni e località sottoposti al vincolo paesaggistico di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e di quella di complessi storici monumentali ed archeologici, sottoposti al vincolo della legge 1 giugno 1939, n. 1089, secondo le prescrizioni del Ministero per i beni culturali ed ambientali.
5. Nel corso del medesimo periodo, il Comune deve raggiungere con le Amministrazioni competenti le intese necessarie ai fini di eventuali mutamenti di destinazione dei beni immobili, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato o della Regione, che fossero previsti dal PRGC adottato, nonché le intese necessarie con gli enti di cui all'articolo 3, comma 2, ai fini di eventuali mutamenti di destinazione di beni immobili rientranti nella competenza degli enti stessi.
6. Il Consiglio comunale, decorso il termine di cui al comma 4, approva il PRGC, con apposita deliberazione da pubblicarsi, per estratto, a cura dell'Amministrazione regionale, sul Bollettino Ufficiale della Regione, qualora:
a) non vi sia la necessità di raggiungere le intese di cui al comma 5 o le stesse siano già raggiunte;
b) non siano state presentate opposizioni ed osservazioni;
c) non siano state formulate riserve dalla Giunta regionale.
7. Qualora siano state formulate riserve dalla Giunta regionale o siano state presentate opposizioni ed osservazioni sul PRGC, il Consiglio comunale, decorso il termine di cui al comma 4, si pronuncia motivatamente sulle stesse ed approva il PRGC eventualmente modificato in accoglimento di esse, ovvero decide la sua rielaborazione. La riadozione è comunque necessaria quando le modifiche da apportare siano tali da incidere sugli obiettivi e sulle strategie di cui all'articolo 30, comma 1, lettera a), ovvero le intese di cui al comma 5 non siano raggiunte.
8. La deliberazione del Consiglio comunale ed i relativi atti, di cui al comma 7, sono inviati all'Amministrazione regionale. La Giunta regionale ne conferma l'esecutività con apposita deliberazione che viene pubblicata, per estratto, sul Bollettino Ufficiale della Regione.
9. Qualora non risultino superate le riserve di cui al comma 4, il Presidente della Giunta regionale, previa deliberazione della Giunta stessa, sentito il Comitato tecnico regionale, entro 60 giorni dal ricevimento della deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 8, con proprio decreto, dispone l'introduzione nel PRGC approvato delle modifiche ritenute indispensabili e ne conferma l'esecutività, ovvero, nell'ipotesi di cui al comma 7, secondo periodo, ne dispone la rielaborazione. L'avviso del decreto del Presidente della Giunta regionale è pubblicato, per estratto, sul Bollettino Ufficiale della Regione".
Detto questo, si è già sottolineato che le scelte urbanistiche costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto, da travisamento, o da abnormi illogicità e contraddittorietà (Cfr. tra le tante, Cons.St., Ad. plen., 22 dicembre 1999, n. 24; IV, 25 luglio 2001,n. 4077; 9 gennaio 2000,n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121;T.A.R. Lombardia, Brescia 28 giugno 1990 n. 770, T.A.R. Toscana, I Sez., 27 gennaio 1994 n. 39; T.A.R.Friuli-Venezia Giulia,24 settembre 1994,n.349;T.A.R.Abruzzo,Pescara,11 luglio 1998,n.496);in particolare, è stato deciso che la destinazione data con lo strumento urbanistico ad un’area o ad una zona del territorio comunale e le connesse valutazioni dell'Amministrazione non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano stesso: criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano,richiamati dal provvedimento conclusivo (Cfr.Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999,n. 24 ,cit.; IV, 25 luglio 2001,n. 4077, cit.; 9 gennaio 2000,n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121,cit.; IV,12 giugno 1995,n.439; 4 marzo 1993 n. 240; IV Sez., 11 dicembre 1979 n. 1141).
Sulla base di questi principi, vanno, innanzitutto, respinte tutte quelle doglianze che impingono nel merito dell’attività pianificatoria comunale, di cui alla impugnata variante. E’ d’uopo precisare che talune di queste osservazioni sono inserite nel contesto di censure afferenti, invece, profili di legittimità: non per questo possono avere ingresso nel presente giudizio.
Riguardo al riferimento alla legge regionale 30 settembre 1996, n. 42(Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali), di cui è cenno anche nella risposta comunale alla osservazione formulata dalla deducente, vanno riproposte, mutatis mutandis, le considerazioni già fatte in ordine alla censura relativa all’asserito ampliamento dell’area interessata dalla legge 1 giugno 1971, n. 442 (c.d. legge Belci): censura assorbita, in quanto la zonizzazione è stata effettuata sulla base di più motivi, e, segnatamente, dell’"elevato valore paesaggistico-ambientale" dell’area de qua,nonché delle previsioni delle leggi nn.42/1996 e 442/1971. Anche in relazione a questo rilievo, trova, pertanto, applicazione il principio generale secondo il quale,nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell'atto la fondatezza anche di una sola di esse (cfr, ex pluribus, T.A.R. Valle d’Aosta, 14 settembre 1988, n.60).
Come corollario, consegue la manifesta non rilevanza della questione di costituzionalità dedotta(in modo per la verità generico) contro la L.R. n.42 del 1996: essa si incentra sul fatto che l’art.69,comma 1,lett.a) e b) della L.R.n.42/1996 non ha posto un termine alle misure di salvaguardia(vincolo alla edificazione), omettendo la contestuale previsione di un indennizzo
Non sembra inutile aggiungere che trattasi, comunque, di questione assolutamente infondata, atteso che,come sopra dimostrato, l’area della ricorrente non è stata assoggettata ad un vincolo espropriativo o di inedificabilità assoluta. A prescindere dalla inclusione o meno nel ripetuto Parco dell’area attorea, quest’ultima – ribadisce il Collegio - ha le caratteristiche tali da legittimarne l’inserimento nella zona di protezione ambientale.
Anche il quarto mezzo non è fondato.
Con esso si lamenta la mancata predisposizione ed allegazione agli atti della variante della planimetria prevista dall’art. 5 del D.P.G. 20 aprile 1995,n.0126/Pres, relativa alle "Aree edificate e aree urbanizzate".
L’art. 5 si limita a richiedere, da parte dei Comuni, la rappresentazione su di "una planimetria raffigurante uno stato di fatto dell’intero territorio comunale"(che "costituisce documentazione obbligatoria dello strumento urbanistico generale": art. 5, comma 2), delle aree edificate e delle aree urbanizzate , sulla base di determinati criteri.
La formulazione della norma, chiara ed inequivocabile, sta a significare che il piano approvato deve essere necessariamente corredato dalla planimetria.
Ciò porta alle seguenti conclusioni.
In primis, la mancanza della planimetria in sede di adozione del piano , come accaduto nella specie, non impinge sulla legittimità del piano approvato, corredato dalla planimetria, e, segnatamente, sul provvedimento finale di approvazione.
In secondo luogo, dalla mancanza della planimetria in sede di adozione del piano non è dato trarre la automatica conseguenza, come fa l’istante, che l’Autorità procedente, nella predisposizione del piano stesso, non abbia utilizzato i dati di cui all’art. 5 (che vanno trasfusi nella planimetria). Questi dati, infatti, erano in possesso dell’Amministrazione, o, comunque, essa era in grado di procurarseli.
A tutto concedere, occorrerebbe dimostrare che l’Amministrazione , nella elaborazione del piano, abbia omesso di utilizzare questi dati( sul presupposto – peraltro non emergente in modo testuale dalla norma, la quale si limita a richiedere la redazione della planimetria - che dovesse utilizzarli): dimostrazione che , nella specie, non è dato riscontrare.
Sulla base di queste considerazioni, non può, poi, sostenersi – come fa la ricorrente - che la tardiva produzione della cartografia abbia inciso sulla posizione giuridica dei proprietari delle aree vincolate, impediti a presentare le opposizioni previste dalla legge. Ed invero, ripetesi, nessuna disposizione stabilisce che l’elaborato cartografico vada obbligatoriamente allegato alla deliberazione di adozione della variante. Ma, in modo ancor più radicale, è a dirsi che nessuna lesione derivava ai cittadini da un elaborato cartografico, munito di una valenza puramente ricognitiva .
Ordunque, dagli atti di causa risulta che l’intimato Comune ha predisposto ed allegato alla variante la planimetria in parola, sia pure nel corso della procedura di approvazione dello strumento urbanistico, dopo la relativa riserva regionale(n.3), formulata ex art.32 della legge n.52 del 1991.
Tanto basta per non ravvisare la violazione della norma in parola.
Va soggiunto che non può,de plano,affermarsi,come fa la ricorrente,che senza la planimetria il Comune non poteva procedere alla formazione della variante,dato che questo assunto presuppone che il Comune stesso non avesse a disposizione i dati di cui all’art.5(da trasfondere nella planimetria): ma ciò,oltre che indimostrato,appare del tutto inverosimile. E’, infatti, fuori discussione – ripetesi - che l’Amministrazione aveva la possibilità di procurarsi questi dati(se non già in possesso degli Uffici comunali) al momento di formazione dello strumento urbanistico(come vuole la disposizione in parola). Si tratterebbe, quindi, di dimostrare che l’Amministrazione ha omesso di acquisire questi dati, e che la loro mancanza abbia inciso negativamente sulla elaborazione della variante.
La deducente, però, al di là di talune generiche affermazioni, non fornisce, sotto questi profili, alcuna prova; in particolare, non ha dimostrato che la mancanza dei ripetuti dati abbiano impedito una coerente e congrua pianificazione territoriale, segnatamente per la definizione della zona omogenea "B" di completamento( parti del territorio comunale totalmente o parzialmente edificate), e della zona omogenea "C" di espansione(parti inedificate destinate ad insediamenti residenziali). In particolare, la deducente non fornisce alcuna prova che le due zone non hanno le caratteristiche fissate dall’ art. 33 del ripetuto D.P.G.R. 15 settembre 1978,n.0826/Pres(Norme di attuazione al P.U.R.G.),e cioè, per la zona B, una superficie coperta dagli edifici esistenti non inferiore al 12,5 per cento, ovvero ad 1/8 della superficie fondiaria della zona; per la zona C, una edificazione inferiore ai limiti di cui alla zona B.
Quanto alla lamentata esclusione di zone C omogenea "C" di espansione, trattasi di una censura che attiene,de plano, al merito, eppertanto sfugge al sindacato giurisdizionale di legittimità.
Riguardo alle asserite incisive modificazioni della variante introdotte successivamente alla sua adozione,e,precisamente,in sede di approvazione, occorre dire che, alla luce delle vigenti disposizioni, come sopra riportate, nulla vietava questo modus procedendi comunale; nè si rendeva necessario,come pretende l’istante, riadottare e ripubblicare il piano anche per dar la possibilità ai cittadini di intervenire in funzione partecipativa.
Osserva il Collegio -a tal proposito- alla stregua dei principi generali,non contraddetti dalla normativa regionale di riferimento, che nel procedimento di formazione dei piani regolatori generali, la pubblicazione prevista dall'art. 9 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal Comune, ma non è richiesta per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale ;inoltre,il Comune non è tenuto a pubblicare la deliberazione di controdeduzioni alle osservazioni mosse dalla Regione in sede di approvazione del piano regolatore, così riaprendo i termini per nuove osservazioni dei privati, a meno che non abbia introdotto variazioni assolutamente rilevanti al piano adottato, ossia quando la deliberazione si presenta come una sostanziale nuova adozione (Cfr. Cons.St., IV Sez. 11 giugno 1996 n. 777 e 20 febbraio 1998,n.301).Nel caso di specie le modificazioni introdotte in sede di approvazione non appaiono obbiettivamente suscettibili di stravolgere l’impianto complessivo della variante.
Neppure il quinto motivo coglie nel segno.
Esso riguarda gli standards urbanistici di cui al D.M.2 aprile 1968,n.1444, segnatamente quelli relativi ad "aree per verde,sport,spettacoli",che sarebbero stati ampiamente superati senza alcun supporto motivazionale (mq. 180.898 previsti, in luogo dei 118.873 mq. ammissibili).
Come altre analoghe censure, anche questa si appalesa inammissibile,posto che ,quand’anche fosse fondata,l’annullamento della relativa previsione non inciderebbe minimamente sui terreni di proprietà della ricorrente,del tutto estranei alla medesima previsione,in quanto soggetti ad altra ed autonoma destinazione vincolata.
In ogni caso, nell’ottica di un interesse strumentale, va detto che essa è priva di pregio, alla stregua dei principi generali.
L'art. 41 quinquies della legge urbanistica introdottovi con l'art. 11 della L. 6 agosto 1967, n. 765, dopo aver previsto alcune limitazioni riguardanti il volume, l'altezza degli edifici da edificare nei comuni sprovvisti di piano regolatore e di programma di fabbricazione ha stabilito, al penultimo comma, che in tutti i comuni, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, siano da osservare limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza e di distanze dai fabbricati « nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive a verde pubblico o a parcheggio ». In applicazione dell'ultimo comma del predetto articolo, i limiti e rapporti massimi furono in concreto fissati con il D.M. 2 aprile 1968, le cui disposizioni sono applicabili tanto ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggiati, quanto ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione, quanto, infine, alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti. Per ogni abitante, insediato o da insediare, ai sensi dell'art. 3 deve essere assicurata, dagli strumenti urbanistici predetti, una dotazione minima inderogabile di 18 mq. per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio « dei quali: mq. 4,50 destinati all'istruzione (asili nido, scuole materne e scuole dell'obbligo); mq. 2 alle « attrezzature d'interesse comune » (religiose, culturali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi ed altre); mq. 9 destinati ad aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport; mq. 2,50 destinati a parcheggio.
Il D.P.G. 20 aprile 1995,n.0126/Pres., di cui si è parlato più sopra, ha, poi, regolamentato in modo analitico la materia, prevedendo, in particolare,per le zone a destinazione residenziale(Capo II) e per quelle a destinazione produttiva(Capo III), le dotazioni minime inderogabili per i servizi e le attrezzature collettive(spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, ecc.: v. gli artt. 6-19 e tabelle allegate).
Ciò premesso, il Collegio ricorda che, in linea di principio, secondo una giurisprudenza risalente, il superamento degli standards fissati dal D.M. 2 aprile 1968 n. 1444(nel caso di specie bisogna fare riferimento a quelli fissati dal D.P.G. 20 aprile 1995,n.0126/Pres.), non richiede un'adeguata motivazione finché lo scarto tra il livello minimo richiesto dalla norma e quello fissato dal Comune è mantenuto entro limiti modesti; mentre deve ritenersi illegittima la determinazione dell'Amministrazione che abbia individuato un fabbisogno di pubbliche attrezzature di gran lunga superiore al minimo legale qualora manchi in ordine a tale scelta ogni motivazione (Cfr. Cons.St., Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24; IV Sez., 22 maggio 2000, n. 2934 cit.;IV, 5 settembre 1986 n. 586; V, 20 novembre 1987 n. 703; IV, 19 dicembre 1987 n. 784; IV, 9 aprile 1984 n. 226; V, 31 maggio 1983 n. 201;T.A.R. Catania 17 settembre 1984 n. 840;.
Ora, il Collegio ritiene che il fabbisogno di aree per "verde,sport e spettacoli all’aperto" nella variante oggetto del giudizio è stato previsto(in complessivi mq. 180.898: v. tab. 4E) in eccesso (mq. 62.025 in più) rispetto agli standards minimi (complessivamente mq. 118.873) , ma, obbiettivamente non in una misura abnorme , tenuto conto anche del quadro motivazionale complessivo e di dettaglio della relazione alla variante (v. ,in particolare, i punti 2.1.2, 2.2.1. e 4.3.4.) , dal quale sono desumibili le ragioni della previsione in parola.
Va sottolineato che la scelta effettuata dall’Amministrazione comunale appartiene all’area della discrezionalità , e, sotto questo profilo, non si appalesa, come si è detto, manifestamente illogica e sprovvista di una sua giustificazione.
Non miglior sorte ha il sesto mezzo,ove si denuncia il contrasto della variante con le direttive per la sua adozione,enucleate con deliberazione consiliare n.64 del 26.61995.
Ed invero, a parte le asserite incongruenze circa i dati demografici(aumento della popolazione nel ventennio 1971-1991 – in base ai dati ISTAT - di 1000 unità e non di 200, come indicato nella variante),che non sono tali da modificare sostanzialmente l’impianto pianificatorio conclusivo(non è possibile né è previsto dalla legge istituire un confronto matematico, assolutamente ineludibile e categorico, tra popolazione e previsioni pianificatorie),e la denunciata farraginosità ed astrusità delle norme della variante,che non sono suscettibili di influire sulla legittimità di questo strumento, non si vede come le direttive siano state violate,tenuto conto del fatto che trattasi di direttive di massima, non cogenti, come risulta dalla loro formulazione letterale.
Al contrario, come risulta dalla relazione(v., in particolare, il punto 2.2.1.), non può fondatamente disconoscersi che la variante abbia tradotto in termini operativi gli indirizzi dettati dalla deliberazione consiliare n.64 del 26.61995.
Va aggiunto che diverse osservazioni attoree riguardano scelte, non manifestamente irrazionali, incidenti nell’area del merito(viene contestata, essenzialmente, la limitazione degli insediamenti, operata dalla variante in ragione del perseguimento di interessi pubblici legati alla peculiarità soprattutto paesaggistico-ambientale della zona: circostanza, questa, difficilmente confutabile anche in un’ottica di merito).
Anche la lamentata mancanza di raccordo con la precedente variante n.10 non è riscontrabile;e,comunque,non si comprende come possa stabilirsi la illegittimità della variante de qua per questa presunta incoerenza e non conseguenzialità; anche perchè le due varianti sono autonome ,non costituendo la seconda un completamento o una integrazione della prima.
Quanto a tutta l’altra serie di doglianze,afferenti le varie destinazioni di zona, la ricorrente è trasmodata –ritiene il Collegio- in considerazioni che attengono al merito delle scelte urbanistiche: scelte che,in ogni caso,non si appalesano manifestamente illogiche o violative di atti di indirizzo pregressi; questi ultimi,ripetesi ancora una volta,non appaiono e non erano tali da vincolare in modo categorico le scelte comunali.
In particolare,i rilievi attorei che si appuntano su singole previsioni,del tutto disancorate da quelle relative ai terreni della deducente si appalesano,alla stregua della osservazione pregiudiziale sopra svolta,inammissibili per carenza di interesse qualificato in capo alla medesima deducente.Così dicasi per: la previsione dei piani di sviluppo aziendali o interaziendali,di aree di servizio,di "vincoli" di zonizzazione(non specificati),la mancata valutazione dei "bisogni complementari di residenza",la disciplina della circolazione dei veicoli, la limitazione della attività agricola,"la parametrazione dell’incrementabilità edificatoria dell’edificato",la limitazione circa l’attività agricola,la zonizzazione nelle aree prossime al Castello di Duino,le interazioni di frontiera,talune dichiarazioni di principio sul ruolo del Comune di Duino Aurisina,taluni errori di denominazione,gli obblighi di flessibilità(legati ad un tipo di variante diverso da quello approvato,ossia alla variante ex art. 32 bis della legge n.52 del 1991), la mancata previsione delle aree urbanizzate,il collocamento di cavi e di condotte.
Anche il settimo ed ultimo mezzo,afferente l’incarico della redazione della variante,che non sarebbe stato preceduto da apposita gara,come stabilito dalla attuale normativa, non merita ingresso.
Prima ancora che infondata , la censura si appalesa inammissibile, posto che la ricorrente non si è gravata – neppure mediante la proposizione di motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 1, comma 1 della legge 21 luglio 2000, n. 205 - contro la deliberazione della Giunta comunale dell’intimato Comune n. 685 del 5.10.1995 – versata agli atti di causa - con la quale è stato affidato l’incarico de quo.
Tuttavia, sotto forma dell’obiter dictum, possono svolgersi alcune considerazioni circa l’infondatezza della censura.
Va, innanzitutto, detto che le attuali previsioni ordinamentali, e, segnatamente, la legge regionale 19 novembre 1991, n. 52, non comprendono l’incarico ad un professionista per la redazione della variante tra i momenti procedimentali preordinati alla approvazione della variante stessa. Ne consegue che la eventuale illegittimità della deliberazione comunale con la quale è stato affidato l’incarico de quo - trattandosi, per l’appunto, di atto estraneo alla sequela procedimentale - non impinge su quest’ultima, e , in particolare, sul provvedimento finale di approvazione della variante.
D’altra parte, occorre considerare – in astratto - che le regole e le prescrizioni che presiedono all'affidamento dell’ incarico professionale in parola non incidono sulla possibilità, per la Pubblica amministrazione, di valersi di un elaborato tecnico redatto senza il rispetto di quelle regole o di quelle prescrizioni, in quanto l'elaborato stesso viene preso in considerazione nella sua oggettività e per la funzione cui adempie, salvo gli obblighi dell'amministrazione nei confronti dell'autore; pertanto l'eventuale vizio afferente l'incarico di redazione della variante non rileva ai fini della legittimità dell'adozione dello strumento urbanistico ( per un caso analogo,v. Cons. Stato, IV, 2 febbraio 1987, n. 63).
A ciò deve aggiungersi che l’elaborato progettuale non può ritenersi vincolante nei confronti del Consiglio comunale al momento dell'adozione del P.R.G., in quanto ben può l'organo deliberante ritenere meritevole di adozione un piano difforme da quello predisposto dal professionista.
In secondo luogo, va rilevato che la legge 11 febbraio 1994,n.109, citata dalla ricorrente( come anche le sue successive modificazioni, e, segnatamente , con riferimento all’epoca della presente vicenda,la legge 2 giugno 1995, n. 216), non è applicabile al caso di specie, trattandosi di normativa riguardante i lavori pubblici.
Quanto al cenno al decreto legislativo 17 marzo 1995,n.157, ferme restando le considerazioni sopra svolte( e la sottolineatura che il valore dell’incarico non superava i 200.000 Ecu, contrariamente a quanto opina la deducente), è appena il caso di ricordare che l’art. 7 di questo decreto consente, in talune ipotesi, il ricorso alla trattativa privata.
4. In conclusione,alla luce delle complessive considerazioni che precedono,il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo rigetta.
Condanna la ricorrente al rimborso delle spese e competenze giudiziali nei confronti delle Amministrazioni resistenti, che liquida in £. 5.000.000(cinque milioni) a favore di ciascun resistente,e, quindi in complessive £.10.000.000 (dieci milioni).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 27.11.2001.
Vincenzo Sammarco – Presidente
Vincenzo Farina - Estensore
Depositata nella segreteria del Tribunale il 22 dicembre 2001.