TAR LAZIO, SEZ. I - Ordinanza 22 novembre 2000 n. 295 (in G.U. n. 17 del 02.05.2001) - Pres. Schinaia, Est. Branca - Cardarelli (Avv.ti A. Soda, G. Cugurra e G. Pellegrino) c. Ministero di grazia e giustizia ed altro (Avv. Stato Quadri).
Pubblico impiego - Magistrati - Magistrati ordinari - Cessati dal servizio a seguito di dimissioni - Riammissione in servizio - Esclusione ex art. 211 dell’Ordinamento giudiziario - Ingiustificata diversa disciplina rispetto agli impiegati civili dello Stato e ai magistrati amministrativi - Questione di legittimità costituzionale - Va sollevata.
R.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 211.
Costituzione, art. 3.
Va sollevata questione di legittimità costituzionale - in relazione all'art. 3 della Costituzione - dell'art. 211 del r.d. n. 12 del 1941 (Ordinamento giudiziario) il quale dispone che "il magistrato che ha cessato di far parte dell'ordine giudiziario a sua domanda, da qualsiasi motivo determinata, ... non può essere riammesso in magistratura". Invero, per effetto dell'art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957, applicabile a tutto il pubblico impiego, il magistrato che sia dichiarato decaduto, per assenza dal servizio per almeno 15 giorni, può essere riammesso in servizio non ostandovi alcun divieto, mentre il magistrato dimissionario non può esserlo in forza dell'art. 211 dell'o.g..
F A T T O
Con deliberazione 10 marzo 1999 il Consiglio Superiore della Magistratura accolse l'istanza di riammissione in servizio del dr. Vittorio Cardarelli, già presidente di sezione presso il Tribunale di Reggio Emilia e cessato dal servizio a seguito di dimissioni.
In sede di registrazione del conseguente decreto ministeriale 5 luglio 1999 di riammissione in servizio, l'ufficio centrale del bilancio presso il Ministero di grazia e giustizia, con nota del 15 luglio 1999, chiedeva al detto Ministero di conoscere se l'art. 211 del r.d. n. 12 del 1941, recante il divieto di riassumere in servizio il magistrato dimissionario, dovesse ritenersi ancora vigente e in base a quale disposizione l'interessato veniva riammesso in servizio.
Il Ministero condivideva il rilievo e trasmetteva la nota al Consiglio superiore della magistratura, il quale in data 6 aprile 2000 deliberava la revoca della precedente deliberazione e respingeva l'istanza di riammissione in servizio.
Alla deliberazione faceva seguito il decreto ministeriale dello stesso contenuto. Avverso tali provvedimenti il dr. Cardarelli ha proposto il ricorso in epigrafe deducendo i seguenti motivi.
1. - Violazione dell'art. 17 della legge n. 195 del 1958. Il rilievo svolto in sede di controllo contabile costituirebbe lesione delle prerogative dell'organo di autogoverno della magistratura.
2. - Violazione dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990 - difetto di motivazione.
3. - Falsa applicazione di norme di legge. L'art. 211 dell'ordinamento giudiziario deve ritenersi abrogato dall'art. 385 del d.P.R. n. 3 del 1957 in quanto disposizione incompatibile con le norme del medesimo d.P.R., ed in particolare con l'art. 132 di detto d.P.R., che consente la riammissione in servizio dell'impiegato cessato dal servizio per dimissioni.
4. - Illegittimità costituzionale dell'art. 211 dell'ordinamento giudiziario per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Si osserva che per effetto dell'art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957, applicabile a tutto il pubblico impiego, il magistrato che sia dichiarato decaduto, per assenza dal servizio per almeno 15 giorni, può essere riammesso in servizio non ostandovi alcun divieto, mentre il magistrato dimissionario non può esserlo in forza dell'art. 211 dell'o.g..
Sebbene sia le dimissioni che la decadenza dipendano da una scelta volontaria dell'interessato, il beneficio della riammissione è assentito solo nel secondo caso, con evidente ingiustificata disparità di trattamento di situazioni eguali. L'amministrazione si è costituita in giudizio ed ha depositato documenti. Alla pubblica udienza del 22 novembre 2000 la causa veniva trattenuta per la decisione.
D I R I T T O
Con sentenza in pari data, la sezione ha rigettato i primi tre motivi di ricorso.
La questione di legittimità costituzionale dell'art. 211 del r.d. n. 12 del 1941 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, proposta con il quarto motivo, appare rilevante e non manifestamente infondata.
Con riguardo alla rilevanza, risulta evidente che, se la norma impugnata fosse espunta dall'ordinamento, la revoca della deliberazione di riammissione in servizio sarebbe privata di ogni supporto normativo, e il ricorso dovrebbe essere accolto.
Di qui l'incidenza imprescindibile della norma sul thema decidendum.
La sezione, d'altra parte, ha già escluso, respingendo il terzo motivo del ricorso con la decisione assunta in pari data sullo stesso ricorso, che possa aderirsi alla tesi della abrogazione dell'art. 211 dell'O.G. a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 3 del 1957.
Sul punto, quindi, non appare opportuno intrattenersi in questa sede, ritenendosi di poter rinviare alla decisione anzidetta.
Circa la non manifesta infondatezza, i rilievi formulati dal ricorrente sono da condividere.
Il quadro normativo inerente la riammissione in servizio del magistrato presenta la coesistenza di due discipline che dettano soluzioni opposte di un evento sostanzialmente unitario, ossia la cessazione dallo status di magistrato a seguito di una scelta volontaria dell'interessato.
Secondo l'art. 211 del r.d. n. 12 del 1941, "il magistrato che ha cessato di far parte dell'ordine giudiziario a sua domanda, da qualsiasi motivo determinata, ... non può essere riammesso in magistratura".
Secondo l'art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957, l'impiegato che sia cessato dal servizio, oltre che per dimissioni, per essere decaduto dal servizio per assenza ingiustificata (art. 127, lett. c)), può essere riammesso.
La norma è pacificamente applicata al personale di magistratura, in forza dell'art. 384 del medesimo d.P.R. n. 3 del 1957, non ostandovi alcun divieto analogo a quello previsto dall'art. 211 dell'O.G..
È anzi da rilevare che l'ufficio studi e documentazione dello stesso Consiglio superiore della magistratura, nel parere reso in data 23 dicembre 1999 sulla vicenda in esame, ha avuto modo di accennare al "possibile e noto espediente di ricorrere all'istituto della decadenza dal servizio (istituto in origine di carattere eccezionale) in luogo delle dimissioni al fine di precostituirsi una possibilità di rientro in magistratura ordinaria", ed ha riconosciuto l'esigenza di porre riparo ad una evidente incongruenza della normativa vigente.
Appare infatti evidente che la sopravvivenza del divieto di riassunzione del magistrato dimissionario, a fronte della possibilità di riammissione in caso di decadenza per assenza ingiustificata, determini una illegittima disparità di trattamento di situazioni eguali.
La volontarietà della scelta operata dall'interessato, che caratterizza entrambe le ipotesi di cessazione dal servizio, non consente più di giustificare il diverso regime di cui all'art. 211 cit. in base al carattere di norma speciale connesso al radicamento in convinzioni storicamente risalenti, che valorizzavano le motivazioni morali ed ideali dell'ingresso nella magistratura come scelta definitiva di vita, secondo l'orientamento seguito in passato dalla giurisprudenza amministrativa.
Occorre infatti prendere atto dell'irragionevolezza di un divieto non previsto per una ipotesi sostanzialmente coincidente con la cessazione dall'appartenenza alla magistratura a domanda.
La ingiustificata disparità di trattamento assume poi una accentuazione di gravità alla stregua del diverso regime vigente per le dimissioni del personale di magistratura amministrativa, che non costituisce ostacolo alla riammissione in servizio (r.d. 12 ottobre 1933 n. 1364, art. 60 e r.d. 21 aprile 1942 n. 444, art. 10).
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 211 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12;
Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 novembre 2000
Il Presidente: Schinaia
Il consigliere estensore: Branca