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n. 1-2001 - © copyright.

TAR LAZIO, SEZ. I – Sentenza 18 gennaio 2001 n. 297 - Pres. Schinaia, Est. Branca - Unione Petrolifera (Avv.ti Maresca, Cataudella e Romano), Associazione nazionale imprese e servizi autostradali (Avv.ti Clarich, Cadeddu e Fonderico) ed altri c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv.ra Generale dello Stato), Codacons (Avv.ti Rienzi, Triggiani, Saporito, Amato, Orlando, Mario Marconi, Viti, Masullo e Sanitate), Figisc-Confcommercio (n.c.) e Anonima Petroli Italiana S.p.a. (avv.ti Carabba, Albanese, Crisci e Sanino).

Industria e commercio – Società petrolifere – Partecipazioni a riunioni tra imprese aventi ad oggetto la fissazione dei prezzi dei loro prodotti – Dimostra la partecipazione all’intesa.

Industria e commercio – Società petrolifere – Conclusione di accordi interprofessionali e "colore" per la determinazione del "margine" da riconoscere ai gestori degli impianti di distribuzione - Delibera dell’8 giugno 2000 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con la quale si irrogano sanzioni pecuniarie – Legittimità.

Conformemente alla giurisprudenza comunitaria (Tribunale di Primo Grado, sent. 2 aprile 1995, causa T141-89, Trefileurope), deve ritenersi che qualora un’impresa partecipi, pur senza svolgervi un ruolo attivo, a riunioni tra imprese aventi ad oggetto la fissazione dei prezzi dei loro prodotti e non prenda pubblicamente le distanze dal loro oggetto, inducendo così gli altri partecipanti a ritenere che essa approvi il risultato delle riunioni e che intenda attenervisi, può considerarsi dimostrata la sua partecipazione all’intesa (alla stregua del principio nella specie è stata ritenuta legittima la deliberazione dell’8 giugno 2000 con la quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - accertato che Agip Petroli S.p.A., Erg Petroli S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia S.p.A., Shell Italia S.p.A., Tamoil Petroli S.p.A. Totalfina Italia S.p.A. avevano posto in essere, in violazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 287/90, una complessa intesa orizzontale, costituita da una pratica concordata tra imprese concorrenti, avente ad oggetto la conclusione di accordi interprofessionali e "colore" per la determinazione del "margine" da riconoscere ai gestori degli impianti di distribuzione - ha applicato nei riguardi delle società stesse le sanzioni amministrative pecuniarie meglio indicate nel testo della sentenza) (1).

L’art. 13 della legge n. 287/90, in combinato disposto con l’art. 2 del Regolamento sulle procedure istruttorie di cui al d.P.R. 10 settembre 1991 n. 416, configura un vero e proprio procedimento destinato ad offrire alle imprese, mediante la decadenza posta a carico dell’Autorità che non avvia l’istruttoria nel termine prescritto, il dato obiettivo e certo della liceità dell’intesa comunicata sotto il profilo della regole della libera concorrenza. A norma del citato art 2 del Regolamento, sia l’Autorità sia le imprese interessate siano gravate da specifici oneri di diligenza, in omaggio al principio di leale cooperazione, l’una per evitare la decadenza dal potere di avviare l’istruttoria, le altre per conseguire il beneficio della certezza sulla liceità dell’intesa (2).

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(1) Ha aggiunto il TAR che "non è condivisibile la tesi di alcune ricorrenti, secondo cui l’"ingessamento" del mercato petrolifero sarebbe da imputare integralmente proprio all’eccesso di regolamentazione che lo contraddistingueva. Ne è la prova l’obiettivo del controllo del prezzo finale, perseguito dalle imprese mediante il coordinamento delle politiche commerciali, secondo quanto è emerso dall’indagine condotta dall’Autorità. Il menzionato regime normativo, in altri termini, non è stato ritenuto dalle società sufficientemente protettivo dello status quo ante liberalizzazione, tanto da indurle ad assumere i comportamenti censurati; ma si è rivelato un fattore coadiuvante dell’efficacia dell’intesa anticoncorrenziale".

In ordine al preteso di difetto di concreti effetti ostativi della concorrenza è stato affermato che tale difetto è irrilevante ai fini della configurazione dell’infrazione, alla stregua della giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale avviso è ancorato ad un preciso dettato normativo, nel Trattato CE (art. 81) e nella legge n. 287/90 (art. 2, comma), laddove si dispone il divieto delle intese che abbiano per effetto o per oggetto la restrizione della concorrenza.

Fattori di aggravamento dell’infrazione, inoltre sono stati rinvenuti, oltre che nella strumentalizzazione dei contatti istituzionali in sede di Unione petrolifera, nella struttura oligopolistica del mercato e nella chiusura dell’accesso ad esso di nuove imprese, quale derivava dal regime della concessione, risalente al 1970 (d.l. 26 ottobre n. 745) ed in parte conservato anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs n.32 del 1998, che ha sostituito la concessione con l’autorizzazione.

(2) TAR Lazio, Sez. I, sent. 2 luglio 1999, n. 1485.

 

 

per l’annullamento

previa sospensione dell'esecuzione

della deliberazione dell’AGMC 8 giugno 2000 recante l’accertamento di infrazione dell’art. 2 della legge n. 287/90 e conseguenti sanzioni;

Visti gli atti e documenti depositati col ricorso;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato, del Codacons e dell’Anonima Petroli Italiana Spa;

Data per letta, nella pubblica udienza del 7 novembre 2000, la relazione del cons. Marzio Branca e uditi gli avv.ti Salvatore Alberto Romano, Antonino Cataudella, Maurizio Maresca, Mario Sanino, Stefano Crisci, Luca Albanese, Ferdinando Carabba, Pietro Cavasola, Aurelio Pappalardo, Alessandro Pace, Massimiliano Danusso, Silvia D’Alberti, Lorenzo Federico Pace, Lorenzo Acquarone, Giovanni Di Gioia, Luigi Lambo, Mario Siragusa, Laura De Sanctis, Eduardo De Simone, Riccardo Villata, Vincenzo Cerulli Irelli, Cristoforo Osti, Gian Paolo Zanchini, Marcello Clarich, Massimo Cerniglia, Carlo Rienzi e gli avvocati dello Stato Ivo Braguglia e Francesco Sclafani.

FATTO

Con deliberazione del 8 giugno 2000 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito Autorità), a conclusione di una istruttoria aperta il 7 ottobre 1999 per possibili violazioni dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, ha deciso:

a) che le società aderenti Unione Petrolifera Agip Petroli S.p.A., Erg Petroli S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia S.p.A., Shell Italia S.p.A., Tamoil Petroli S.p.A. Totalfina Italia S.p.A. hanno posto in essere, in violazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 287/90, una complessa intesa orizzontale, costituita da una pratica concordata tra imprese concorrenti che, per il tramite degli accordi interprofessionali del 29 aprile 1994, del 29 luglio 1997 e del 23 luglio 1998, ha trovato successiva attuazione negli "accordi colore" sottoscritti dalle società con i propri CNC a partire dal giugno 1995;

b) che la società Anonima Petroli Italia S.p.A. ha partecipato fin dal febbraio 1994 all’attività di concertazione orizzontale in seno ad Unione Petrolifera, pur non risultando agli atti che essa abbia successivamente sottoscritto "accordi colore" con i propri CNC;

c) che alle società Agip Petroli, Anonima Petroli Italia S.p.A., Erg Petroli S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia S.p.A., Shell Italia S.p.A., Tamoil Petroli S.p.A., Totalfina Italia S.p.A. per le infrazioni da loro commesse, venga applicata la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di seguito indicata (lire):

Agip Petroli S.p.A. 216.006.770.000

Anonima Petroli Italia S.p.A. 21.168.580.000

Erg Petroli S.p.A. 56.018.195.963

Esso Italiana S.r.l. 147.019.119.971

Kuwait Petroleum Italia S.p.A. 77.101.045.000

Shell Italia S.p.A. 35.662.587.754

Tamoil Petroli S.p.A. 42.602.014.896

Totalfina Italia S.p.A. 45.379.320.000

d) che l’associazione Unione Petrolifera e le società ad essa aderenti: Agip Petroli S.p.A., Anonima Petroli Italia S.p.A., Erg Petroli S.p.A., Esso Italiana S.r.l., Kuwait Petroleum Italia S.p.A., Shell Italia S.p.A., Tamoil Petroli S.p.A. e Totalfina Italia S.p.A. cessino dall’attuazione e dalla continuazione delle infrazioni accertate.

Avverso il provvedimento sono stati proposti i ricorsi in epigrafe, con i quali sono stati dedotti motivi di impugnazione in gran parte coincidenti, che, pertanto, verranno qui indicati in forma unitaria e sintetica, salva la più compiuta esposizione nella parte in diritto.

1. Solo alcune delle Società ricorrenti (Shell e Kuwait) propongono una censura di violazione dell’art. 1 della legge n. 287 del 1990 e dell’art. 54 della legge n. 52 del 1996, sostenendo che l’infrazione contestata rientrava nella previsione dell’art. 81 e/o 82 del Trattato CE, e pertanto illegittimamente l’Autorità avrebbe applicato la legge n. 287 del 1990.

2. Per la generalità delle ricorrenti, l’Autorità, innanzi tutto, sarebbe incorsa nella decadenza dal potere di avviare l’istruttoria per aver lasciato trascorrere inutilmente il termine di cui all’art.13 della legge n. 287, posto che le ricorrenti avevano comunicato gli accordi interprofessionali del 1994 e del 1997.

Risulterebbe anche violato l’art. 13 del Regolamento di procedura di cui al d.P.R. n. 461 del 1991, allora vigente, nonché l’art. 14 della legge n. 689 del 1981, per non aver contestato l’infrazione né "tempestivamente" né "immediatamente", in relazione alla completa conoscenza delle presunte infrazioni, acquisita con l’indagine conoscitiva avviata del 1994.

Si deduce inoltre la violazione dell’art. 28 della legge n. 689 del 1981 che dispone la prescrizione quinquennale del diritto di riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa.

3. Con riferimento più specifico al merito della valutazione di illiceità dei comportamenti aventi ad oggetto la conclusione di accordi interprofessionali e "colore" per la determinazione del "margine" da riconoscere ai gestori degli impianti di distribuzione, le ricorrenti, deducendo la violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, osservano: a) la conclusione di tali accordi doveva considerarsi lecita perché provvista di copertura normativa, sia in relazione alla sopravvivenza del punto 18 della delibera CIP 31 luglio 1991, n. 20, sia alle norme del d.lgs. n. 32 del 1998; b) le negoziazioni giudicate illecite si sono sempre svolte sotto l’egida della mediazione governativa e per corrispondere a costanti pressioni del Ministero dell’industria commercio e agricoltura, per cui le società potevano nutrire un legittimo affidamento circa la legalità dei loro comportamenti; c) la giurisprudenza comunitaria (sentenza Albany) ha ritenuto sottratte alla normativa antitrust gli accordi conclusi nell’ambito di trattative collettive per conseguire obiettivi di politica sociale

4. Si propongono poi censure di violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposti e di istruttoria, contraddittorietà, con riguardo all’individuazione da parte dell’Autorità di una intesa anticoncorrenziale nella forma della pratica concordata tra imprese nello stesso mercato che, per il tramite degli accordi interprofessionali del 1994, del 1997 e del 1998, ha trovato successiva attuazione negli "accordi colore" sottoscritti dalle Società con i rispettivi comitati nazionali dei gestori (CNC).

Si afferma, in particolare: a) che nessuna prova dell’intesa potrebbe ricavarsi dalla documentazione raccolta dall’Autorità nel corso delle ispezioni eseguite presso le ricorrenti, per l’inidoneità oggettiva degli atti, consistenti in appunti informali e spesso non firmati; b) che, in ogni caso, il coordinamento orizzontale aveva uno scopo lecito, essendo finalizzato alla ricerca di una posizione comune in vista della trattativa con le rappresentanze dei gestori; c) che la individuazione di meccanismi per la determinazione del margine da riconoscere ai gestori degli impianti di distribuzione non aveva lo scopo di conservare il controllo del prezzo finale del prodotto, ma rispondeva, invece, all’esigenza di garantire condizioni di redditività uniformi per i gestori; d) che, comunque, non è stato provato che i sistemi di attribuzione dei margini, sia nella contrattazione diretta che nella contrattazione articolata, potessero realmente avere un effetto disincentivante delle scelte di riduzione del prezzo da parte del gestore, essendo mancata una adeguata indagine circa: 1) gli effetti della riduzione dello sconto sul prezzo dell’acquisto del carburante, anziché sui costi, sui redditi del gestore; 2) i contenuti reali della contrattazione di terzo livello, ossia società-gestore, onde verificare che le società hanno posto in atto accordi particolari capaci di correggere gli effetti negativi del conto economico e del "salto di fascia", così accertando che il meccanismo di determinazione del margine è una semplice indicazione di metodo, all’interno del quale il gestore poteva conservare la propria libertà di fissare il prezzi di vendita del prodotto.

5) Il provvedimento sarebbe anche affetto da eccesso di potere per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, per aver considerato esenti da responsabilità circa l’illecito contestato le organizzazioni dei gestori, ossia le controparti degli accordi sia interprofessionali che di colore, sebbene i sistemi di determinazione del margine siano stati stabiliti con il concorso della loro attiva partecipazione alla trattativa ed alle pressioni esercitate anche mediante minacce di scioperi.

6) Un ultimo gruppo si censure si appunta alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie.

Il provvedimento sarebbe illegittimo: a) per non aver indicato il termine entro il quale le imprese avrebbero dovuto porre termine al comportamento sanzionato; b) per difetto dell’elemento psicologico richiesto dalla legge n. 689 del 1981; c) perché l’infrazione non avrebbe presentato il carattere della gravità richiesto dall’art.15 della legge n. 287 del 1990; d) per mancata valutazione dell’attenuante rappresentata dalla disponibilità delle imprese a modificare le pratiche commerciali in atto; e) per errore nel computo della sanzione, essendo stato incluso nel fatturato anche l’importo dell’IVA.

Si sono costituiti in giudizio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il Codacons, e la Figisc-Confcommercio; ha spiegato intervento ad opponendum l’ADUSBEF e ad adjuvandum la FEGICA e l’ANISEA.

Alla camera di consiglio del 13 luglio 2000 la Sezione, con ordinanza n. 713/C, preso atto dell’accordo delle parti per un rinvio al merito delle istanze cautelari, ha riunito i ricorsi ed ha fissato l’udienza di discussione a 7 novembre 2000. Ha inoltre disposto alcuni incombenti istruttori, ulteriormente specificati con ordinanza presidenziale del 1 agosto 2000.

Con nota del 14 giugno 2000, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato alle società ricorrenti la copia corretta dei paragrafi 147 2 345 del provvedimento, al fine di eliminare alcuni materiali riscontrati nel testo notificato.

Avverso tale provvedimento hanno presentato un atto integrativo dell’originario ricorso, nonché motivi aggiunti, le ricorrenti Shell, Kuwait e Agip Petroli.

Nei detti atti si lamenta che l’Autorità: a) non abbia fissato termini per l’adempimento dell’ingiunzione a cessare dai comportamenti sanzionati; b) non abbia proceduto alla rideterminazione della sanzione pecuniaria in relazione alle correzioni apportate con la nota impugnata; c) non abbia adottato un apposito nuovo provvedimento.

Tutte le parti, in vista della trattazione orale delle cause, hanno depositato ampie memorie.

Alla pubblica udienza del 7 novembre 2000, al termine di ampia discussione, le cause venivano trattenute dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. La riunione dei ricorsi ai fini di un’unica decisione, disposta con ordinanza del 13 luglio 2000, va estesa agli atti integrativi successivamente depositati.

2. Solo alcune delle Società ricorrenti (Shell, Kuwait e Totalfina) propongono una censura di violazione dell’art. 1 della legge n. 287 del 1990 e dell’art. 54 della legge n. 52 del 1996, sostenendo che l’infrazione contestata rientrava nella previsione dell’art. 81 e/o 82 del Trattato CE, e pertanto illegittimamente l’Autorità avrebbe applicato la legge n. 287 del 1990.

La censura viene ampiamente trattata nella memoria depositata da Shell e Kuwait il 31 ottobre 2000, per sottolineare che: a) la presunta infrazione alle regole della concorrenza addebitata alle ricorrenti è certamente qualificabile come fattispecie di rilevanza comunitaria, producendo effetti sul commercio tra gli Stati membri; b) la medesima infrazione, pertanto, in forza dell’art. 1 comma 1, della legge n. 287 del 1990, ricadeva nell’ambito di applicazione degli artt 85 e/o 86 del Trattato CE e non della legge n. 287 cit.; c) risulterebbe fuorviante la tesi, sostenuta dall’Autorità sulla scorta della giurisprudenza della Sezione (sent. n. 96 del 1998), secondo cui la medesima Autorità potrebbe esercitare la sua competenza anche nei confronti delle infrazioni di rilevanza comunitaria fino a quando la Commissione CE non abbia iniziato alcuna procedura per la stessa infrazione, posto che l’assunto delle ricorrenti aveva riguardo alla diversa questione della applicabilità alla fattispecie della normativa del Trattato e non della normativa nazionale.

A quest’ultimo riguardo si ricorda che l’art. 54, comma 5, della legge 6 febbraio 1996, n. 52, impone all’Autorità di applicare gli articoli 85 e 86 del Trattato, utilizzando i poteri ed agendo secondo le procedure di cui alla legge n. 287 del 1990, sicché la medesima Autorità non potrebbe operare alla stregua della normativa nazionale ove intenda reprimere infrazioni di rilevanza comunitaria.

In conclusione il provvedimento impugnato sarebbe radicalmente illegittimo in quanto assunto in applicazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e non dell’art. 85 (poi 81) del Trattato.

Va preliminarmente accertata l’ammissibilità della censura alla stregua dell’incidenza effettiva sulla materia del contendere, e cioè sulla domanda di annullamento del provvedimento impugnato, e del conseguente interesse alla deduzione del motivo in esame.

Al riguardo le ricorrenti si limitano ad accennare incidentalmente (pag. 17 della Memoria cit.), che "applicando gli artt. 81 e 82 TCE, l’AGCM ha la possibilità di disapplicare le normative nazionali in contrasto con il combinato disposto degli artt 10 e 81 TCE …in quanto persegue i fini previsti dall’art. 2 TCE; al contrario, qualora applichi la l. n. 287/90, l’AGCM non può disapplicare le leggi e i provvedimenti amministrativi e, soprattutto, deve perseguire i fini previsti dall’art. 41 Cost. ( secondo quanto richiamato dall’art. 1, comma 1, l. n. 287/90)".

L’argomentazione è però priva di qualunque svolgimento in ordine alle conseguenze concrete che l’applicazione della normativa TCE avrebbe avuto sulla determinazione impugnata, e in particolare, circa le ragioni per le quali le infrazioni contestate sarebbero risultate insussistenti se i comportamenti accertati fossero stati esaminati alla luce della normativa comunitaria.

La censura va quindi dichiarata inammissibile per genericità.

Ma è da aggiungere che il motivo risulta anche inammissibile per difetto di interesse proprio in relazione all’invocato potere di disapplicazione degli atti normativi interni, del quale l’Autorità – come si assume - avrebbe potuto avvalersi intervenendo in applicazione diretta del Trattato.

A sostegno dell’illegittimità del provvedimento, infatti, si afferma, con altri motivi di ricorso, che i comportamenti censurati dall’Autorità

sarebbero stati assistiti da ineludibile "copertura" normativa, derivante dalla deliberazione CIP n. 20 del 1991, dalla deliberazione CIPE 30 settembre 1993 e dal d.lgs. 11 febbraio 1998 n. 32, e si lamenta, appunto, che l’Autorità abbia illegittimamente violato tale quadro normativo. Ma non si tiene conto che l’applicazione diretta dell’art. 81 TCE avrebbe autorizzato l’Autorità ad ignorare proprio quelle norme interne su cui le ricorrenti fondano una parte consistente delle loro doglianze, con evidente pregiudizio delle loro ragioni.

3.1- Con altro motivo, ancora di ordine pregiudiziale, si sostiene che l’Autorità sarebbe incorsa nella decadenza dal potere di avviare l’istruttoria per aver lasciato trascorrere inutilmente il termine di cui all’art.13 della legge n. 287, posto che le ricorrenti avevano comunicato gli accordi interprofessionali del 1994 e del 1997.

Risulterebbe anche violato l’art. 13 del Regolamento di procedura di cui al d.P.R. n. 461 del 1991, allora vigente, nonché l’art. 14 della legge n. 689 del 1981, per non aver contestato l’infrazione né "tempestivamente" né "immediatamente", in relazione alla completa conoscenza delle presunte infrazioni, acquisita con l’indagine conoscitiva avviata del 1994.

Si deduce inoltre la violazione dell’art. 28 della legge n. 689 del 1981 che dispone la prescrizione quinquennale del diritto di riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria.

3.2 - Le censure non sono fondate.

Con riguardo alla pretesa violazione dell’art. 13 della legge n. 287/90 va richiamato l’orientamento espresso dalla Sezione con la sent. 2 luglio 1999, n. 1485, con la quale è stato messo in evidenza che il detto art. 13, in combinato disposto con l’art. 2 del Regolamento sulle procedure istruttorie di cui al d.P.R. 10 settembre 1991 n. 416, configura un vero e proprio procedimento destinato ad offrire alle imprese, mediante la decadenza posta a carico dell’Autorità che non avvia l’istruttoria nel termine prescritto, il dato obiettivo e certo della liceità dell’intesa comunicata sotto il profilo della regole della libera concorrenza. Si è anche osservato, in tale occasione, come, a norma del citato art 2 del Regolamento, sia l’Autorità sia le imprese interessate siano gravate da specifici oneri di diligenza, in omaggio al principio di leale cooperazione, l’una per evitare la decadenza dal potere di avviare l’istruttoria, le altre per conseguire il beneficio della certezza sulla liceità dell’intesa.

L’Autorità, infatti, è tenuta ad attivarsi per informare le imprese della incompletezza o della non veridicità delle comunicazioni dalle stesse fornite, oppure per valutare sollecitamente la rilevanza delle modificazioni apportate alla comunicazione originaria ai fini della decorrenza di un nuovo termine decadenziale (art. 2 comma 4, d.P.R. n. 461 del 1991 cit.).

Agli obblighi posti a carico dell’Autorità non può non corrispondere per le imprese interessate l’onere di rendere esplicito l’intento di avvalersi della facoltà di cui all’art. 13 in questione avviando il relativo procedimento, che si traduce nella necessità di una comunicazione spontanea dell’intesa, diretta in modo non equivoco a provocarne la valutazione di conformità alle norme sulla libera concorrenza.

L’anzidetta connotazione dell’istituto ex art. 13 in termini di procedimento ad istanza di parte risulta coerente, del resto, con l’esigenza di differenziare sul piano sistematico la comunicazione qualificata, ora in esame, dalla attività di generica informazione compiuta "da chiunque vi abbia interesse", ai sensi dell’art. 12 comma 1, della legge n. 287/90, che consente l’avvio dell’istruttoria senza previsione di alcun termine decadenziale.

E’ pacifico che nella specie i detti principi non sono stati osservati. La bozza di accordo interprofessionale del 29 aprile 1994 fu trasmessa in base ad una richiesta di informazioni avanzata dall’Autorità all’Unione Petrolifera nel quadro dell’indagine conoscitiva avviata sul settore della distribuzione dei carburanti per autotrazione. L’accordo interprofessionale del 1997 fu inviato "per opportuna conoscenza" senza alcuna richiesta di valutazione ai fini dell’art. 13 della legge n. 287.

In entrambi i casi si versa, quindi, nell’ipotesi di acquisizione di elementi portati a conoscenza da chiunque vi abbia interesse, che, a norma dell’art. 12 della legge n. 287/90, come accennato, consente all’Autorità di procedere ad istruttoria nell’esercizio degli ordinari poteri repressivi, non soggetto ad alcun termine decadenziale.

Può dunque concludersi, sul punto, che la tesi della pretesa decadenza risulta destituita di fondamento.

Tanto premesso, è da aggiungere che la comunicazione degli accordi interprofessionali, anche se ritualmente effettuata ai sensi dell’art. 13 della legge n. 287/90, non avrebbe fatto decorrere alcun termine decadenziale rilevante nella specie, posto che, come emerge dalla deliberazione di avvio dell’istruttoria del 7 ottobre 1999, e come sarà meglio chiarito più oltre, l’infrazione che l’Autorità intendeva accertare si riferiva, non già alla stipula degli accordi interprofessionali, bensì all’"intesa orizzontale tra imprese concorrenti, finalizzata ad eliminare l’incertezza sul rispetto dei livelli di <<prezzo consigliato>> da parte di tutte le società petrolifere".

 

3.3- Due diversi motivi, come accennato, afferiscono alla pretesa violazione della legge 24 novembre 1981, n. 689, applicabile in materia di sanzioni pecuniarie per violazioni di norme sulla concorrenza in virtù del rinvio operato dall’art. 31 della legge n. 287 del 1990.

Si deduce in primo luogo la violazione dell’art. 28, a norma del quale la prescrizione dell’illecito si compie nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione, osservandosi che se il comportamento sanzionato è stato compiuto nel febbraio 1994 (n. 315 del provvedimento) esso si è prescritto nel febbraio 1999. Esclusa la possibilità di configurare l’illecito in questione secondo i principi del reato continuato, che neppure l’Autorità avrebbe tentato, si rileva che si è prospettata una infrazione di struttura incerta, frutto di carenza di istruttoria e perplessità di motivazione.

La tesi va disattesa.

Il provvedimento chiarisce al n. 315 che le condotte sanzionate sono consistite in una complessa intesa anticoncorrenziale, protrattasi dal febbraio 1994 sino all’apertura dell’istruttoria (ottobre 1999).

Si è dunque trattato di una illecito di natura permanente, per il quale il termine quinquennale di prescrizione, invocato dalle ricorrenti, è cominciato a decorrere dal giorno della cessazione della condotta (art. 158 c.p.).

L’altra censura fa leva sull’art. 14 della legge n. 689/81, lamentando la mancata osservanza del termine di 90 giorni per la notificazione dell’infrazione.

Si assume che l’Autorità era a conoscenza di tutti gli elementi poi confluiti nella contestazione dell’infrazione fin dal 1995, per cui risulterebbe largamente superato quel ragionevole lasso di tempo che, anche secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, è concesso all’Amministrazione per procedere alla valutazione dell’illecito.

La censura va disattesa, in relazione alla circostanza che il comportamento illecito era ancora in atto al momento dell’avvio dell’istruttoria, e quindi non erano ancora disponibili, a tale data, tutti gli elementi di valutazione indispensabili, quale ad es. la durata, per definire l’entità dell’infrazione ai fini della quantificazione della sanzione.

Il procedimento di accertamento disciplinato dalla legge n. 287/80 per le violazioni del diritto della concorrenza, d’altra parte, come già affermato dalla Sezione (sent.n. 763/2000), costituisce normativa speciale, e perciò derogatoria rispetto alla normativa generale, richiamata in quanto applicabile (art. 31).

4. Con riferimento più specifico al merito della valutazione di illiceità dei comportamenti aventi ad oggetto la conclusione di accordi interprofessionali e "colore" per la determinazione del "margine" da riconoscere ai gestori degli impianti di distribuzione, le ricorrenti, deducendo la violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, osservano: a) la conclusione di tali accordi doveva considerarsi lecita perché provvista di copertura normativa, sia in relazione alla sopravvivenza del punto 18 della delibera CIP 31 luglio 1991, n. 20, sia alle norme del d.lgs. n. 32 del 1998; b) le negoziazioni giudicate illecite si sono sempre svolte sotto l’egida della mediazione governativa e per corrispondere a costanti pressioni del Ministero dell’industria commercio e agricoltura, sicché le società potevano nutrire un legittimo affidamento circa la legalità dei loro comportamenti; c) la giurisprudenza comunitaria (sentenza Albany) ha ritenuto sottratte alla normativa antitrust gli accordi conclusi nell’ambito di trattative collettive per conseguire obiettivi di politica sociale.

Con riguardo al detto gruppo di motivi va condivisa la posizione espressa dalla difesa dell’Amministrazione (pag. 15, prima Memoria) secondo cui si tratta di censure che incidono su un aspetto irrilevante del provvedimento, posto che gli accordi interprofessionali, in quanto tali, non contengono autonomi profili restrittivi della concorrenza e non formano, di per sé, oggetto di sanzione .

Il provvedimento (parag. 316) chiarisce che "A fronte di accordi interprofessionali che si limitavano ad ipotizzare, per la negoziazione diretta, una serie di relazioni tra grandezze contabili e, per la negoziazione articolata, il ricorso al metodo del price cup, le modalità attuative contenute negli accordi colore sono state congegnate in modo da disincentivare i gestori dal discostarsi dal prezzo consigliato stabilito dalle società petrolifere.".

Gli accordi interprofessionali, quindi, sono coinvolti nella fattispecie anticoncorrenziale accertata, non per il loro contenuto, ma per aver rappresentato il "tramite" per realizzare, come sarà chiarito più avanti, la pratica concordata consistente nel coordinamento orizzontale tra imprese concorrenti che ha trovato successiva attuazione negli accordi "colore" sottoscritti dalle singole società petrolifere con le organizzazioni dei gestori dei rispettivi impianti.

La semplice lettura degli accordi interprofessionali, risulta decisiva per concludere che negli stessi non vi è traccia dell’infrazione contestata, afferente, come subito si vedrà, al coordinamento delle politiche commerciali ed alla adozione di un identico meccanismo contrattuale per determinare l’entità dei margini da riconoscere ai gestori con modalità disincentivanti verso qualsiasi scostamento dal prezzo consigliato. Solo in base agli accordi colore ed alla ulteriore documentazione acquisita, infatti, è stato possibile ricostruire i connotati effettivi dell’infrazione contestata

5.1 - Le censure di violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposti e di istruttoria, contraddittorietà, vengono dunque riproposte con riguardo all’individuazione da parte dell’Autorità di una intesa anticoncorrenziale nella forma della pratica concordata tra imprese nello stesso mercato che, per il tramite degli accordi interprofessionali del 1994, del 1997 e del 1998, ha trovato successiva attuazione negli "accordi colore" sottoscritti dalle Società con i rispettivi comitati nazionali dei gestori (CNC).

Si afferma, in particolare: a) che nessuna prova dell’intesa potrebbe ricavarsi dalla documentazione raccolta dall’Autorità nel corso delle ispezioni eseguite presso le ricorrenti, per l’inidoneità oggettiva degli atti, consistenti in appunti informali e spesso non firmati; b) che, in ogni caso, il coordinamento orizzontale aveva uno scopo lecito, essendo finalizzato alla ricerca di una posizione comune in vista della trattativa con le rappresentanze dei gestori; c) che la individuazione di meccanismi per la determinazione del margine da riconoscere ai gestori degli impianti di distribuzione non aveva lo scopo di conservare il controllo del prezzo finale del prodotto, ma rispondeva, invece, all’esigenza di garantire condizioni di redditività uniformi per i gestori; d) che, comunque, non è stato provato che i sistemi di attribuzione dei margini, sia nella contrattazione diretta che nella contrattazione articolata, potessero realmente avere un effetto disincentivante delle scelte di riduzione del prezzo da parte del gestore, essendo mancata una adeguata indagine circa: 1) gli effetti della riduzione dello sconto sul prezzo dell’acquisto del carburante, anziché sui costi, sui redditi del gestore; 2) i contenuti reali della contrattazione di terzo livello, ossia società-gestore, onde verificare che le società hanno posto in atto accordi particolari capaci di correggere gli effetti negativi del conto economico e del "salto di fascia", così accertando che il meccanismo di determinazione del margine è una semplice indicazione di metodo, all’interno del quale il gestore poteva conservare la propria libertà di fissare il prezzi di vendita del prodotto.

5.2 – Per l’esame delle dette doglianze è necessario premettere un rapido richiamo all’evoluzione del quadro normativo in materia di prezzi dei carburanti per autotrazione, avvenuta proprio tra il 1991 e il 1994, anno quest’ultimo preso in considerazione dall’Autorità quale momento iniziale delle condotte sanzionate.

Come correttamente riferisce anche il provvedimento impugnato, con deliberazione del 30 luglio 1991 del Comitato per la Programmazione Economica (CIPE), i prezzi in questione, fino ad allora fissati in via amministrativa con deliberazione del Comitato Interministeriale Prezzi (CIP), furono assoggettati al regime dei prezzi c.d. sorvegliati. Il provvedimento realizzava una prima forma di liberalizzazione attribuendo alle imprese il potere di stabilire il prezzo di vendita dei prodotti petroliferi, salvo il controllo di un Comitato Tecnico secondo la disciplina dettata dal CIP con deliberazione 31 luglio 1991 n. 20.

Già con tale deliberazione, al punto 15, si sanciva il principio del rispetto della libera concorrenza tra le imprese produttrici, stabilendosi che il Comitato Tecnico trasmettesse all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato gli elementi in suo possesso, ai sensi dell’art. 12, comma 1, della legge n. 287/90, ove "l’evoluzione degli scambi, l’andamento dei prezzi, la struttura dei listini o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza si impedita, ristretta o falsata.".

Il regime dei prezzi "sorvegliati" è cessato con la deliberazione CIPE 30 settembre 1993, con la quale si è stabilito che "i prezzi di tutti i prodotti petroliferi sono … determinati liberamente dagli operatori", salvo l’obbligo delle imprese di depositare presso il Ministero dell’industria i rispettivi listini prezzi, peraltro fino al 30 aprile 1994.

Il regime effettivo della disposta liberalizzazione viene poi a chiarirsi a seguito dell’adozione di successivi provvedimenti.

Si tratta, in particolare, della deliberazione CIPE 13 aprile 1994 e del connesso decreto del Ministro dell’industria 7 maggio 1994, dalla stessa previsto. Con la prima si impose che "ferma restando la libertà di determinazione dei prezzi dei prodotti petroliferi da parte dei soggetti interessati al ciclo produttivo e distributivo, gli operatori che forniscono carburanti per autotrazione ai punti vendita della rete di distribuzione contrassegnati dal proprio marchio, indicheranno ai gestori degli stessi punti vendita i prezzi da loro consigliati per la vendita al pubblico dei diversi prodotti". Con il secondo si stabilì che: - che i prezzi consigliati "dovranno essere esposti in ogni punto vendita ….in modo visibile dalla carreggiata stradale" (art. 3, comma 1); - che "nel caso in cui i prezzi effettivamente praticati differiscano, anche per le specifiche caratteristiche del servizio, da quelli consigliati esposti ai sensi del comma 1, dovranno essere altresì esposti nel medesimo contesto e con identico rilievo i prezzi effettivamente praticati e/o gli scostamenti fra prezzo consigliato ed effettivamente praticato" (art. 3, comma 2).

Dalle disposizioni che precedono emerge dunque: a) che si è riconosciuto al gestore il diritto di fissare il prezzo di vendita al pubblico del carburante da lui acquistato dall’impresa produttrice; b) che tale libertà di prezzo risultava controllabile, sia pure a dichiarati fini di trasparenza, attraverso la pubblicizzazione del prezzo consigliato dalle imprese.

Il riferito quadro normativo rimane immutato fino al 30 settembre 1999, allorché, con decreto del Ministro dell’industria, l’obbligo della doppia cartellonistica è stato abolito, imponendosi al gestore di pubblicizzare solo il prezzo effettivamente praticato.

Se dunque la determinazione del prezzo di vendita al pubblico dei carburanti per autotrazione è formalmente attribuita al gestore del singolo impianto, nell’esercizio della propria libertà imprenditoriale, la scelta del prezzo da praticare risulta però influenzata in concreto dall’entità del "margine" che viene riconosciuto al gestore in sede di stipula di appositi accordi tra le associazioni di categoria dei gestori e le aziende petrolifere e le loro associazioni, come prescritto dalla delibera CIP n. 20 del 1991, punto 18.

Premesso che, fin dal primo accordo interprofessionale concluso in epoca successiva alla liberazione (verbale di intesa 29 aprile 1994), si seguirono due diverse metodologie di determinazione del margine, l’una riferita alla negoziazione diretta, riservata agli impianti con elevata erogazione (oltre 2800 Kl/anno), l’altra per la negoziazione articolata, riguardante tutti gli altri impianti, per "margine", in prima approssimazione, deve intendersi, in entrambe le negoziazioni, il ricavo assicurato al gestore, del quale la parte essenziale è rappresentata dallo sconto tra il prezzo consigliato di vendita al pubblico e lo sconto sul prezzo di acquisto del carburante dall’impresa

5.3 – E’ agevole osservare che l’ampio ventaglio delle doglianze riferite sub 5.1 tende, con la deduzione del vizio di eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, alla contestazione del ragionamento svolto nel provvedimento impugnato: le imprese produttrici hanno posto in essere un’intesa nella forma della pratica concordata, consistente nel coordinamento orizzontale delle loro politiche commerciali, al fine di non perdere il controllo sul prezzo vendita del prodotto, che si è realizzata in una regolamentazione fortemente omogenea dei rapporti con i rispettivi gestori, contrassegnata da sistemi di determinazione del margine capaci di impedire la pratica di prezzi di vendita al pubblico diversi da quelli consigliati dalle imprese.

La astratta valenza anticoncorrenziale di comportamenti del genere indicato non richiede particolare dimostrazione nel quadro dei principi del diritto comunitario e nazionale comunemente riconosciuti, che presidiano lo svolgimento di una libera competizione imprenditoriale nell’interesse del consumatore. Ne consegue che non potrà pervenirsi all’accoglimento delle riferite contestazioni se nel provvedimento impugnato sia data una ragionevole dimostrazione dei fatti affermati, dovendo il giudice amministrativo limitarsi, nel sindacato sull’eccesso di potere, all’accertamento di palesi vizi di logicità e di coerenza della motivazione, astenendosi dal decretare la preferenza o il rifiuto per una diversa ricostruzione del fenomeno oggetto di esame. In tal caso, infatti, il giudice finirebbe per sostituire le proprie valutazioni di merito a quelle rimesse alla esclusiva competenza dell’autorità amministrativa.

5.4 – In conformità ai suddetti principi ritiene il Collegio che doglianze in esame non siano fondate.

Secondo quanto emerge dal quadro normativo di riferimento, sopra richiamato, quanto meno a partire dalla deliberazione CIPE del 30 settembre 1993, nel mercato dei prodotti petroliferi, in particolare in quello dei carburanti per autotrazione, le società petrolifere avrebbero dovuto seguire le regole della libera concorrenza, che implicano la determinazione di politiche commerciali frutto di autonome scelte imprenditoriali, al fine di conseguire la preferenza dei consumatori e la conseguente affermazione sul mercato.

L’Autorità ha invece sostenuto, sulla base di precise evidenze documentali, che le imprese produttrici si sono adoperate per impedire il libero giuoco della concorrenza nel settore, coordinando le loro politiche commerciali in seno all’Unione Petrolifera.

La valenza probatoria della documentazione addotta non risulta scalfita dalle censure in esame.

Innanzi tutto, i documenti dell’Unione Petrolifera del 17 febbraio 1994 e del 2 marzo 1994 (parag. 69 e 70 del provvedimento), nel loro riferimento ad una "condizione preliminare" per avviare la trattativa con i gestori, consistente nella pubblicizzazione del prezzo consigliato, onde impedire che il prezzo di vendita sia "stabilito dagli stessi gestori", denunciano che il coordinamento si realizzò e che ebbe un preciso fine anticoncorrenziale.

Va chiarito, al riguardo, come sia da ammettere che, in vista della conclusione degli accordi interprofessionali previsti dalla delibera CIP n. 20/91, le imprese si consultassero ai fini della elaborazione di una piattaforma comune da sostenere nella trattativa. Ma poiché l’accordo doveva consistere nella determinazione di margini da riconoscere ai gestori, le esigenze della trattativa non offrivano alcuna copertura ad un coordinamento che si spingesse fino a concertare esplicitamente la conservazione alle imprese del controllo sul prezzo al pubblico e la sottrazione ai gestori della determinazione del prezzo.

Tanto ciò è vero che l’accordo del 1994, recepisce bensì il principio della pubblicizzazione del prezzo consigliato, ma accampando esigenze di trasparenza, e ben guardandosi dall’esternare le finalità effettive della misura.

L’accordo raggiunto dalle imprese petrolifere sulla conservazione del controllo sul prezzo al pubblico risulta lesivo della libera concorrenza sotto due diversi profili. In via diretta, perché, sebbene la determinazione del prezzo sia riconosciuta al gestore dalle fonti normative e ufficialmente dallo stesso accordo del 1994, l’accordo stesso tende ad espropriare al medesimo le libertà di scelta sul prezzo da praticare, ossia lo strumento principale della competizione concorrenziale. In via indiretta perché presuppone anche l’accordo tra le imprese sul prezzo da "consigliare", accordo che costituisce il presupposto logico di ogni strumento di controllo del prezzo alla pompa.

L’Autorità ha infatti accertato, a quest’ultimo proposito, con dati non contestati (parag. 61 e 62, tabelle 2 e 3) che i prezzi consigliati dalle otto imprese, osservati per circa sei anni, hanno presentato un elevatissimo coefficiente di omogeneità, anche superiore al coefficiente rilevabile nel periodo in cui i prezzi in questione erano soggetti a sorveglianza.

Ma i documenti appena considerati non esauriscono le fonti di prova della concertazione volta a definire una politica commerciale unitaria da parte delle società ricorrenti.

Viene infatti in considerazione il documento Esso EF4 (parag. 290) che riflette l’atteggiamento concordato nella riunione del 25 gennaio 1995 in ordine all’applicazione dell’accordo del 1994 nella contrattazione articolata.

Va premesso che l’accordo suddetto, con riguardo alla contrattazione da condurre con le rappresentanze dei gestori di impianti di non grandi dimensioni (negoziazione articolata), aveva indicato un metodo di fissazione del margine, in pratica dello sconto sul prezzo consigliato, c.d. di "price cup", ossia influenzato dalla produttività di ogni azienda di distribuzione. In una corretta logica concorrenziale, secondo la previsione contrattuale lo sconto avrebbe dovuto essere maggiore se più elevato fosse stato il volume delle vendite. Anche per tale ragione l’accordo interprofessionale è stato ritenuto, in sé e per sé, esente da censure sul piano del rispetto della libera concorrenza.

Il documento suddetto dà conto del fatto che le società ricorrenti si sono rese conto che, applicando alla lettera l’accordo, si sarebbero determinate "diversità anche apprezzabili di trattamento da azienda ad azienda", come esito naturale di una dinamica concorrenziale. Esse hanno quindi concordato "la possibilità di individuare, almeno per questo primo anno, meccanismi di temperamento della formula".

Gli accordi "colore" del 1995, infatti, riproporranno un sistema di sconti nella negoziazione articolata basato sulle fasce di prodotto erogato, che, come si vedrà, prevedeva sconti decrescenti in caso di incremento del carburante venduto.

Al di là delle obiezioni sollevate dalle ricorrenti circa la portata anticoncorrenziale della metodologia suddetta, su cui si tornerà fra breve, il documento prova ancora una volta il costante coordinamento realizzato dalle imprese produttrici in merito alle loro politiche commerciali, coordinamento protrattosi fino al 1999 come il provvedimento dimostra nei paragrafi 291-297, che qui non occorre richiamare in dettaglio.

5.5 – Come emerge chiaramente dal provvedimento (parag. 316), l’illecito accertato dall’Autorità è consistito in una fattispecie complessa di intesa manifestatasi come pratica concordata nella realizzazione degli accordi colore di contenuto uniforme e anticoncorrenziale. "A fronte di accordi interprofessionali che si limitavano ad ipotizzare, per la negoziazione diretta, una serie di relazioni tra grandezze contabili e, per la negoziazione articolata, il ricorso al metodo del price cup, le modalità attuative contenute negli accordi colore sono state congegnate in modo da disincentivare i gestori dal discostarsi dal prezzo consigliato stabilito dalle società petrolifere."

Con riguardo ai contenuti degli accordi colore, le ricorrenti, come si è visto, negano la loro valenza anticoncorrenziale, negano di averli applicati alla lettera nei rapporti concreti con i gestori, affermano di aver apportato dei correttivi idonei stimolare l’incremento dei volumi erogati.

Osserva il Collegio che la contestazione delle ricorrenti non smentisce quanto emerso dal contenuto degli accordi colore (parag. 96-112), ossia che è stato adottato, sia per la contrattazione diretta che per la contrattazione articolata, un meccanismo di determinazione del margine facente leva sulla misura dello sconto rispetto al prezzo consigliato del carburante, e che tale sconto si riduceva in caso di incremento del volume del prodotto venduto. E poiché, secondo un principio di economia elementare, l’incremento delle vendite è determinato, allorché il prodotto non presenti rilevanti differenze qualitative o di impiego, in misura pressoché esclusiva dalla riduzione del prezzo, l’operatore è portato a non ridurre il prezzo per evitare che la conseguente lievitazione delle vendite lo costringa ad sostenere un più alto costo del carburante che deve acquistare dal produttore.

Tale sistema di attribuzione del margine denuncia il preciso fine di controllare la determinazione del prezzo di vendita riscontrando puntualmente gli intenti anticoncorrenziali concertati tra le società produttrici, secondo quanto visto più sopra, e soprattutto si colloca in una prospettiva diametralmente opposta alla comune logica di mercato, nella quale all’aumento delle quantità acquistate corrisponde una riduzione del prezzo unitario.

Risulta quindi immune dalla censura di eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria la determinazione con la quale l’Autorità ha individuato nella condotta in esame una pratica concordata ostativa della libera concorrenza.

Le obiezioni delle ricorrenti, secondo le quali si sarebbe reso necessario un accertamento in concreto dell’effetto disincentivante dei meccanismi in questione, oppure dell’effetto neutralizzante derivante da misure compensative messe in atto dalle singole imprese, non corroborano la fondatezza delle censure.

Va ribadito al riguardo, in primo luogo, l’orientamento della Sezione (sent. n. 873 del 1999; n. 1541 del 2000), confortato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui ai fini della sussistenza di una intesa vietata dalla legge n. 287 del 1990 non è necessario accertare il verificarsi di concreti effetti restrittivi o ostativi della concorrenza in quel determinato mercato, essendo sufficiente che la pratica concordata si sia tradotta in una condotta anche solo potenzialmente idonea ad impedire la concorrenza.

Vanno inoltre richiamate le risultanze documentali relative agli sforzi dei gestori per modificare il sistema di determinazione del margine influenzato negativamente dagli incrementi delle vendite (parag. 97-101), quale prova indiretta dell’effettivo prodursi di effetti restrittivi rispetto ad autonome scelte imprenditoriali.

Risulta condivisibile, d’altra parte, il rilievo (parag. 313) secondo cui i comportamenti, cui si appellano le ricorrenti, indicativi di un loro allontanamento da una rigida applicazione delle metodologie di calcolo dei margini, lungi dall’escluderne la portata restrittiva della concorrenza, suonano conferma che, in assenza di ulteriori interventi della società petrolifera, attraverso strumenti extracontrattuali od applicazioni difformi della suddetta metodologia, la medesima è idonea a dissuadere da autonome politiche di prezzo volte ad incrementare i volumi erogati.

Se, dunque, in base alla documentazione illustrata nel precedente paragrafo, è stato possibile individuare il coordinamento degli intenti a finalità anticoncorrenziali, le specifiche condotte concretatesi negli accordi colore rappresentano il momento attuativo dell’intesa, assumendo il ruolo di componente essenziale dell’infrazione accertata.

6. Il provvedimento sarebbe anche affetto da eccesso di potere per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, per aver considerato esenti da responsabilità circa l’illecito contestato le organizzazioni dei gestori, ossia le controparti degli accordi sia interprofessionali che di colore, sebbene i sistemi di determinazione del margine siano stati stabiliti con il concorso della loro attiva partecipazione alla trattativa e delle pressioni esercitate anche mediante minacce di scioperi.

La censura è infondata.

Il provvedimento impugnato ha accertato che è stata posta in essere una violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 consistente in una "fattispecie complessa" di pratica concordata anticoncorrenziale, strutturata sul concorso integrato di due fattori: a) la concertazione finalizzata a mantenere il controllo del prezzo di vendita del carburante; b) gli accordi colore nella parte relativa alla determinazione del margine secondo meccanismi disincentivanti autonome politiche di prezzo da parte dei gestori.

Il provvedimento stesso, in merito alla responsabilità delle associazioni dei gestori nella consumazione dell’illecito, ha affermato, che "Considerata la natura e l’oggetto dell’intesa, è da escludere che le associazioni dei gestori vi abbiano avuto un ruolo attivo nel caratterizarne i profili anticoncorrenziali."(parag. 317).

Tale motivazione, invero assai succinta, intende esprimere un concetto chiaramente desumibile dall’argomentazione complessiva del provvedimento, e cioè che la comprovata preoccupazione nutrita dalle società petrolifere di ridurre l’incertezza circa il livello del prezzo finale del prodotto, ossia una delle componenti essenziali dell’infrazione accertata, risultava del tutto estranea alla categoria dei gestori.

Si è già fatto cenno ai tentativi dei gestori di modificare i metodi di determinazione del margine in modo da acquisire una maggior libertà nella fissazione del prezzo di vendita (parag. 97 e segg.).

Può aggiungersi come sia emerso dalla documentazione acquisita, e precisamente dal resoconto ufficiale della riunione tenutasi presso l’Unione Petrolifera il 25 gennaio 2995 (parag. 110), che l’iniziativa di "individuare, almeno per questo primo anno, meccanismi di temperamento della formula" price cup, in modo da non differenziare il livello dei margini tra gestore e gestore, che poi si è tradotta negli accordi colore, sia stata assunta dalle società petrolifere, nell’auspicio che "l’orientamento fosse condiviso anche dalle associazioni dei gestori".

In tale contesto, la sottoscrizione da parte dei vari Comitati Nazionali Colore dei sanzionati accordi aziendali, in difetto del necessario collegamento strumentale con la finalità anticoncorrenziale di controllo del prezzo, oggetto della concertazione dalle società petrolifere, pur integrando un comportamento di cooperazione al venire in essere di meccanismi oggettivamente illeciti per il diritto della concorrenza, ha indotto l’Autorità ad escludere la responsabilità delle associazioni dei gestori.

Ritiene il Collegio che tale valutazione non sia affetta da eccesso di potere per disparità di trattamento e manifesta ingiustizia, poiché risulta coerente con la struttura dell’illecito accertato, configurato dall’Autorità come fattispecie complessa costituita dall’integrazione dei due distinti e concorrenti fattori, entrambi essenziali alla realizzazione della fattispecie sanzionata.

7. Per ragioni non dissimili, ma inverse, merita accoglimento il ricorso proposto dalla Società API, che il provvedimento ha considerato partecipe della pratica concordata sebbene non abbia sottoscritto alcun accordo aziendale in ordine alla determinazione del margine. Per tale circostanza l’Autorità ha riconosciuto alla ricorrente soltanto una attenuazione di responsabilità, manifestatasi nell’irrogazione di una sanzione pecuniaria di minore entità.

Si è già messo in evidenza come l’intesa censurata dal provvedimento impugnato si componesse di diversi comportamenti illeciti: la concertazione sul controllo del prezzo finale e l’adozione di sistemi di calcolo del margine ostativi della libera concorrenza tra le aziende della distribuzione.

Va disattesa la doglianza con la quale API vorrebbe negare la propria partecipazione al primo comportamento, in base ad una ricostruzione della fattispecie polarizzata sugli accordi colore dalla stessa non sottoscritti.

Si è già detto che l’illecito coordinamento sul controllo del prezzo finale ha assunto autonoma rilevanza anticoncorrenziale nella fattispecie, secondo quanto emerso dalla documentazione raccolta circa la volontà delle imprese di strumentalizzare l’istituto del prezzo consigliato e la pubblicizzazione dello stesso (parag. 69 e 70).

Il Collegio, quindi, non ha motivo discostarsi, al riguardo, dall’orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria (Tribunale di Primo Grado, sent. 2 aprile 1995, causa T141-89, Trefileurope), secondo cui "qualora un’impresa partecipi, pur senza svolgervi un ruolo attivo, a riunioni tra imprese aventi ad oggetto la fissazione dei prezzi dei loro prodotti e non prenda pubblicamente le distanze dal loro oggetto, inducendo così gli altri partecipanti a ritenere che essa approvi il risultato delle riunioni e che intenda attenervisi, può considerarsi dimostrata la sua partecipazione all’intesa".

Mentre è pacifica , quindi, la partecipazione di API alla concertazione mirata al mantenimento del controllo del prezzo di vendita dei carburanti, il provvedimento, pur dando ripetutamente atto della circostanza che la stessa Società non aveva sottoscritto alcun accordo colore, non ha fornito alcuna prova che, ciò nonostante, poteva essere ritenuta responsabile anche dell’adozione da parte delle altre compagnie dei noti meccanismi disincentivanti di determinazione dei margini dalla stessa non applicati.

L’Autorità infatti non ha dimostrato che la concertazione sul controllo del prezzo finale mediante pubblicizzazione del prezzo consigliato si estendesse anche alla adozione dei suddetti sistemi di determinazione del margine in sede di accordi colore, e, quindi che API, pur dissociandosi dall’applicazione di tali metodologie, fosse a conoscenza che le stesse rientravano nella strategia concertata.

Il provvedimento, al contrario, consente di ritenere che la pratica concordata relativa a i metodi di determinazione del margine sia stata accertata, non in base alla documentazione inerente i contenuti delle riunioni in seno all’Unione Petrolifera in vista della conclusione dell’accordo interprofessionale del 1994, bensì a seguito della valutazione dei contenuti degli accordi colore.

Al parag. 82 si afferma "il calcolo dello sconto unitario (lire litro) è possibile solo a seguito della definizione dei singoli accordi colore di durata biennale".

 

Al parag. 226 si osserva che gli "elementi di possibile distorsione della concorrenza derivanti dalla concreta applicazione degli accordi interprofessionali" non erano "niente affatto desumibili dalla semplice valutazione degli stessi accordi del 29 aprile 1994 e del 29 luglio 1997, con particolare riguardo ala metodologia di calcolo dei margini riconosciuti ai gestori e all’ingerenza delle società petrolifere nelle scelte di prezzo dei gestori stessi". E si aggiunge (parag. 228) "l’osservazione nel tempo della convergente determinazione da parte delle società petrolifere, attraverso gli "accordi colore", dell’entità economica dei parametri oggettivi utilizzati … e l’adozione di identici meccanismi contrattuali, disincentivanti i gestori a deviare dal prezzo consigliato …, hanno indotto l’Autorità a ritenere possibile l’esistenza di un’intesa orizzontale volta ad eliminare ogni apprezzabile differenziazione tra le società petrolifere nella contrattazione con i propri gestori".

Può dunque concludersi che la pratica concordata relativa ai sistemi di determinazione del margine è stata desunta dal comportamento concreto delle società che hanno sottoscritto accordi colore, e pertanto nella stessa condotta infrattiva non poteva essere coinvolta API, che tali accordi non ha sottoscritto e che, a quanto risulta, non ha seguito analoghe metodologie.

Ritiene il Collegio che, in relazione a tale circostanza, non potesse pervenirsi ad una valutazione di semplice attenuazione della responsabilità di API, bensì, in considerazione della natura complessa della fattispecie accertata, caratterizzata dall’inscindibile collegamento tra la concertazione sul controllo dei prezzi con l’adozione degli strumenti idonei a realizzarla, la responsabilità di API dovesse essere esclusa.

Costituisce, infatti, principio più volte ribadito dalla giurisprudenza comunitaria (Tribunale di Primo Grado, 14 maggio 1998, causa T-304/94, Europa Carton AG) che "affinché la Commissione possa imputare a ciascuna delle imprese interessate da una decisione di applicazione delle regole della concorrenza la responsabilità, per un periodo determinato, di una intesa globale comprensiva di diversi comportamenti anticoncorrenziali, essa deve dimostrare che ognuna di esse ha vuoi acconsentito all’adozione di un piano globale che incorporava gli elementi costitutivi dell’intesa, vuoi partecipato direttamente, durante quel periodo, a tutti i detti elementi". La detta giurisprudenza ammette che "un’impresa può altresì essere ritenuta responsabile di una intesa globale anche qualora venga dimostrata la sua partecipazione soltanto ad uno o più degli elementi costitutivi dell’intesa", ma a tal fine occorre che "le fosse noto, o dovesse necessariamente esserle noto, il fatto che la collusione a cui partecipava rientrava in un piano globale e che questo piano globale riguardava il complesso degli elementi costituivi dell’intesa."

Tali principi non risultano nella specie osservati, in relazione all’estraneità di API alle censurate metodologie di determinazione dei margini da riconoscere ai gestori della distribuzione.

8.1 - Un ultimo gruppo si censure si appunta alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie.

Il provvedimento sarebbe illegittimo: a) per non aver indicato il termine entro il quale le imprese avrebbero dovuto cessare dall’attuazione del comportamento sanzionato; b) per difetto dell’elemento psicologico richiesto dalla legge n. 689 del 1981; c) perché l’infrazione non avrebbe presentato il carattere della gravità richiesto dall’art.15 della legge n. 287 del 1990; d) per mancata valutazione dell’attenuante rappresentata dalla disponibilità delle imprese a modificare le pratiche commerciali in atto; e) per errore nel computo della sanzione, essendo stato incluso nel fatturato anche l’importo dell’IVA.

Ancora con riguardo alla sanzione pecuniaria, con gli atti integrativi depositati da Shell, Kuwait e Agip è stato dedotto che l’Autorità: a) non abbia fissato termini per l’adempimento dell’ingiunzione a cessare dai comportamenti sanzionati; b) non abbia proceduto alla rideterminazione della sanzione pecuniaria in relazione alle correzioni apportate con la nota impugnata; c) non abbia adottato un apposito nuovo provvedimento recante le proposizioni relative alle correzioni.

A proposito di tutte le censure, va segnalato in primo luogo che l’Autorità, con provvedimento del 6 luglio 2000, ne ha rettificato l’ammontare delle sanzioni depurando taluni fatturati delle accise e dell’IVA. In precedenza aveva provveduto, con nota del 15 giugno 2000, a rettificare gli importi del cash flow indicati in maniera errata.

Ciò premesso, con riguardo alla censura concernente la mancata indicazione di un termine entro il quale ottemperare alla diffida di cessazione delle infrazioni contestate, in violazione dell’art. 15 della legge n. 287/90, osserva il Collegio che la norma deve essere applicata secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

Se va confermato, infatti, che l’accertamento di una infrazione non può che comportare l’obbligo di porvi termine immediatamente ove la diffida non indichi una data precisa per l’ottemperanza (vedi T.A.R. Lazio, Sez.I, 7 marzo 1997 n. 425), è però da ammettere che l’assenza del termine rifletta la consapevolezza dell’Autorità che la modifica della situazione in atto, per la complessità delle procedure necessarie e per coinvolgimento inevitabile di soggetti terzi, richieda un lasso di tempo imprecisato che sconsiglia l’imposizione di un termine rigido di osservanza.

In relazione alla fattispecie in esame, dunque, la mancata indicazione del termine non costituisce vizio del provvedimento, anche in considerazione del permanente potere dell’Autorità di assumere le iniziative più opportune per contrastare l’eventuale inerzia delle parti interessate.

8. 2 -Con altra censura si lamenta che non sia stata svolta alcuna indagine sull’elemento psicologico quale elemento determinante della responsabilità ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981.

La doglianza non ha pregio.

Va premesso il richiamo alla giurisprudenza del Tribunale di Primo Grado secondo cui " affinché un’infrazione alle regole comunitarie di concorrenza possa considerarsi commessa intenzionalmente non è necessario che l’impresa si sia resa conto di contravvenire al divieto di cui all’art. 85, comma 1 del Trattato; è sufficiente che essa non potesse ignorare che il comportamento incriminato aveva ad oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza nel mercato comune"(sent. 14 maggio 1998, causa T-348/94, Enso Espanola SA).

Nell’ambito della vicenda in esame sono emerse prove documentali della consapevolezza nutrita dalle società ricorrenti della rilevanza anticoncorrenziale delle loro concertazioni (doc. Agip Petroli AN16 e AN22 – parag.155 e 158).

8. 3 - Con altre censure, variamente articolate, si contesta l’entità della sanzione applicata, denunciando che l’Autorità: a) non avrebbe adeguatamente motivato la gravità dell’infrazione, con particolare riguardo al danno sofferto dai consumatori; b) non avrebbe tenuto conto delle reali condizioni economiche delle imprese, specie a seguito della rettifica degli importi del cash flow; c) non avrebbe valutato i comportamenti delle società volti ad eliminare o attenuare le conseguenze della violazione; d) non avrebbe tenuto conto del diverso grado di responsabilità delle diverse società in relazione alla loro dimensione ed al conseguente diverso impatto delle loro condotte sull’interesse tutelato dalla normativa antitrust.

Tali motivi vanno disattesi.

Con riguardo alla gravità dell’infrazione, è opportuno premettere che la valutazione censurata risulta conforme ai criteri adottati dalla Commissione della CE con la Comunicazione 14 gennaio 1998, dal titolo "Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA.

Ai fini dell’apprezzamento circa la gravità delle infrazioni, il documento le classifica in tre categorie: poco gravi, gravi e molto gravi. A proposito di queste ultime si dispone: "trattasi essenzialmente di restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi …o di altre pratiche che pregiudicano il buon funzionamento del mercato …".

Può dunque osservarsi come, anche alla stregua dell’orientamento seguito in sede comunitaria, il coordinamento di politiche commerciali che – come quello qui in esame - sia mirato ad incidere sul prezzo del prodotto, realizzandone l’omogeneità e il controllo, debba essere qualificata di elevata gravità.

Tale circostanza, di per sé, avrebbe ben potuto giustificare l’irrogazione di una sanzione che, nell’ambito delle misure ammesse dall’art. 15 della legge n. 287/90, fosse stata fissata anche oltre il 5% del fatturato.

La percentuale applicata con il provvedimento (3,5%) induce a ritenere che l’Autorità abbia tenuto conto di fattori di attenuazione della responsabilità (parag. 344), in base ai quali, peraltro, le ricorrenti vorrebbero sostenere la radicale illegittimità dell’applicazione dell’ammenda.

La gravità dell’infrazione, invece, risulta adeguatamente motivata con la natura dei comportamenti accertati in relazione alla loro finalità ed al loro effetto di sostanziale eliminazione dell’incertezza, tipica della competizione in libero mercato, circa le politiche commerciali delle imprese concorrenti, con conseguente stabilizzazione delle quote acquisite.

Fattori obiettivi di aggravamento dell’infrazione sono stati rinvenuti, in conformità a principi costantemente riconosciuti dalla giurisprudenza, oltre che nella strumentalizzazione dei contatti istituzionali in sede di Unione petrolifera, nella struttura oligopolistica del mercato e nella chiusura dell’accesso ad esso di nuove imprese, quale derivava dal regime della concessione, risalente al 1970 (d.l. 26 ottobre n. 745) ed in parte conservato anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs n.32 del 1998, che ha sostituito la concessione con l’autorizzazione.

Al riguardo non è condivisibile la tesi di alcune ricorrenti, secondo cui l’"ingessamento" del mercato petrolifero sarebbe da imputare integralmente proprio all’eccesso di regolamentazione che lo contraddistingueva. Ne è la prova l’obiettivo del controllo del prezzo finale, perseguito dalle imprese mediante il coordinamento delle politiche commerciali, secondo quanto è emerso dall’indagine condotta dall’Autorità. Il menzionato regime normativo, in altri termini, non è stato ritenuto dalle società sufficientemente protettivo dello status quo ante liberalizzazione, tanto da indurle ad assumere i comportamenti censurati; ma si è rivelato un fattore coadiuvante dell’efficacia dell’intesa anticoncorrenziale.

In merito al preteso di difetto di concreti effetti ostativi della concorrenza può ribadirsene, preliminarmente, l’irrilevanza ai fini della configurazione dell’infrazione, alla stregua della giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale avviso è ancorato ad un preciso dettato normativo, nel Trattato CE (art. 81) e nella legge n. 287/90 (art. 2, comma), laddove si dispone il divieto delle intese che abbiano per effetto o per oggetto la restrizione della concorrenza.

Ciò premesso, è tuttavia da disattendere la tesi che l’intesa non abbia prodotto effetti ostativi della concorrenza.

Assume rilievo in proposito l’insieme delle acquisizioni documentate dall’Autorità in merito alla costanza delle quote di mercato nel decennio 1990/1999, e la puntuale convergenza dei prezzi di vendita.

Alcune ricorrenti pretendono di utilizzare tale continuità quantitativa per desumerne la prova che l’intesa, attuata solo dal 1994, non avrebbe determinato alcun mutamento rispetto al precedente andamento. Ma l’Autorità ha correttamente messo in rilievo che a partire dal 1993 era intervenuta la liberalizzazione del mercato petrolifero e che, ciò nonostante, grazie alle "contromisure" adottate dalle imprese, l’assetto del mercato non ha subito modificazioni, sia nella distribuzione delle quote, sia nell’andamento uniforme dei prezzi. "In un contesto normativo che conferiva finalmente alle società petrolifere la libertà di differenziare le proprie strategie di prezzo si è dunque constatato che esse hanno preferito coordinarsi per contrastare l’incertezza sui rispettivi comportamenti, che il nuovo assetto regolamentativo avrebbe comportato". (parag. 328). In altri termini, il mutamento del contesto normativo rende non probante l’argomento dell’assenza di mutamenti nel mercato rispetto al periodo anteriore (T.A.R. Lazio, Sez. I, 31 maggio 2000 n. 4505).

8. 4 – Una diversa contestazione investe il criterio di calcolo della riduzione del c.d. benessere dei consumatori, che l’Autorità ha valutato, ai fini della misura dell’ammenda, in circa 1.300 miliardi (al netto delle imposte) ragguagliando il prezzo medio dei carburanti nei Paesi dell’Unione Europea rispetto al prezzo medio italiano. Secondo alcune ricorrenti l’Autorità avrebbe eseguito una operazione troppo semplicistica non tenendo conto di molteplici fattori variabili che influenzerebbero una valutazione analitica più accurata.

Va rilevato preliminarmente che la censura non viene corroborata dalla contrapposizione ai dati dell’Autorità degli esiti difformi di altre analisi condotte con le metodologie giudicate più attendibili.

Ciò premesso, è da aggiungere che non ricevono smentita le considerazioni dell’Autorità circa la sussistenza nei Paesi assunti a raffronto di un aperto giuoco concorrenziale nel mercato petrolifero, come dimostra l’indice di differenziazione tra i prezzi, che raggiunge percentuali elevatissime mentre in Italia è pressoché inesistente (parag. 65). Né va taciuto come l’Autorità non abbia mancato di verificare la praticabilità del confronto effettuato, accertando "le comuni tecnologie nei processi di raffinazione, l’omogeneità dei prodotti venduti ….e le analoghe tecniche di distribuzione" (nota 25 al parag. 65).

Se ne deve dedurre che il computo è stato effettuato secondo criteri ponderati, nell’esercizio di una competenza tecnicamente avvertita e professionalmente responsabile, sicché deve essere ritenuto attendibile fino a prova contraria.

La censura va quindi respinta.

8. 5 -In merito alla irrogazione di una sanzione in percentuale unica per tutte le ricorrenti, ignorando la differenza tra le dimensioni economiche delle stesse, alcune ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 11 della legge n. 689 del 1981, perché non se ne è dedotto un diverso grado di responsabilità.

La censura in sostanza assume che la partecipazione ad un’intesa vietata da parte di un’impresa di ridotte dimensioni dia luogo ad un evento antigiuridico di gravità minore rispetto a quello causato dallo stesso comportamento tenuto da una società di grandi dimensioni.

La tesi non può essere condivisa il perché il comportamento che ha formato oggetto della collusione ha avuto carattere unitario ed ha avuto il fine di pregiudicare l’identico bene pubblico della libera concorrenza. All’interno della condotta sanzionata potevano assumere rilevanza, ai fini della graduazione delle responsabilità, solo diversità di condotta, che nella specie non si sono verificate, né con riguardo alla concertazione sul controllo del prezzo né circa la sottoscrizione degli accordi colore, salvo il caso API.

La circostanza di ordine quantitativo, per cui l’impresa di ridotte dimensioni, in virtù del possesso di una più esigua quota di mercato, ha inciso in misura inferiore sul benessere dei consumatori, risulta adeguatamente valorizzata dall’applicazione di una sanzione pecuniaria, non già di misura fissa, ma calcolata in percentuale al fatturato, venendosi in tal modo a tenere conto degli effetti più limitati dell’infrazione.

Si è anche lamentato che la rettifica dell’errore materiale, effettuata con nota del 15 giugno 2000, in cui è incorsa l’Autorità indicando al parag.345 gli importi del cash flow, con riguardo al quadriennio 1995-1998, anziché, come dichiarato, al triennio 1996-1998, non abbia indotto ad una riduzione della sanzione, assumendosi che in tal modo non si è tenuto conto delle effettive condizioni economiche delle imprese.

La doglianza è frutto di un equivoco, perché le sanzioni vennero effettivamente calcolate, fin dall’inizio, sul cash flow del detto triennio, sicché nella determinazione della sanzione l’Autorità ebbe realmente presente il periodo dichiarato. Risulta, perciò, del tutto giustificato che non si siano modificate, per quel motivo, le sanzioni applicate.

Per la stessa ragione è priva di pregio la pretesa alla adozione di nuovo provvedimento per disporre la rettifica, posto che l’errore non aveva prodotto alcun effetto e la sua correzione non implicava alcuna nuova determinazione di merito.

9. In conclusione, va accolto il ricorso della s.p.a. Anonima Petroli Italiana, e respinti i ricorsi delle altre società ricorrenti.

In considerazione della complessità delle questioni, le spese possono essere compensate in tutti i giudizi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima, riuniti i ricorsi in epigrafe, accoglie il ricorso proposto dalla s.p.a. Anonima Petroli Italiana e per l’effetto annulla in parte qua il provvedimento impugnato;

rigetta i ricorsi proposti dall’UNIONE PETROLIFERA, da Soc. TOTALFINA ITALIA S.p.A., da Soc. KUWAIT PETROLEUM ITALIA S.p.A., da SHELL S.p.A., da ERG PETROLI S.p.A.; da AGIP PETROLI S.p.A., da TAMOIL PETROLI S.p.A:, da ESSO ITALIANA S.r.l..

Dispone la compensazione delle spese i tutti i giudizi;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 novembre 2000 con l'intervento dei magistrati:

Mario Egidio Schinaia Presidente

Marzio Branca Consigliere est.

Alberto Novarese Consigliere

IL PRESIDENTE

L’ESTENSORE

Depositata il 18.1.2001.

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