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Articoli e note
n. 12-2002

TAR LAZIO, SEZ. I - Sentenza 3 dicembre 2002 n. 11193 - Pres. Calabrò, Est. Mele - Roma Ovest Costruzioni Edilizie s.r.l., Basileus s.p.a. e Investimenti Immobiliari Lombardi s.p.a. (Avv.ti Lavatola e Carlevaris) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della Sanità (Avv.ra Stato) e Comune di Roma (Avv. Lorusso) - (accoglie).

Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Derivanti da lesione di interessi legittimi - Provvedimento di revoca dell'approvazione di un contratto - Annullamento in s.g. - Danno prodotto da tale provvedimento - E’ da ritenere ingiusto - Responsabilità che sorge in capo all’Amministrazione in tale ipotesi - E’ da ritenere extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

L’annullamento in sede giurisdizionale di un atto che si inserisce nella scansione procedimentale di conclusione di un contratto della P.A. già stipulato ma non ancora efficace e che impedisce al contratto stesso di conseguire la sua efficacia, fa sì che il danno che è conseguito da tale atto è un danno ingiusto, in quanto prodotto da un’attività che non doveva essere esercitata. In tale ipotesi non può, però, parlarsi, né di responsabilità pre-contrattuale, in quanto il contratto era stato già stipulato, né di responsabilità contrattuale, in quanto non vi è stato inadempimento di prestazioni contrattualmente assunte, ma di responsabilità extra-contrattuale di cui all’art. 2043 del codice civile (alla stregua del principio è stato ritenuto che l’annullamento in s.g. di un provvedimento di revoca del precedente nulla-osta emanato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri era da considerare un fatto illecito di cui all’art. 2043 del codice civile, in forza del quale si era determinato un danno ingiusto) (1).

L’illegittimo ordine di sospensione dei lavori emesso in conseguenza di un provvedimento di revoca dell’assenso a stipulare il contratto, non può che essere considerato anch’esso causa illecita di un danno che, solo per questo, assume i caratteri dell’ingiustizia (2).

(1-2) Commento di

OTTAVIO CARPARELLI

Sul risarcimento del danno, ex art.2043 c.c., da provvedimenti illegittimi della P.A. e da ritardo

1. Il fatto.

Le società ricorrenti ottenevano dal Comune di Roma regolare atto di assenso edificatorio, per la costruzione, su terreno di proprietà, di un immobile da destinare a sede del Ministero della Sanità, e da cedere in locazione al medesimo Ministero.

In virtù di nulla-osta di massima, rilasciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e di conseguente approvazione del Ministro della Sanità, veniva regolarmente stipulato il prefato contratto di locazione.

Tuttavia, successivamente alla stipula, la Presidenza del Consiglio dei Ministri revocava il precedente nulla-osta, così determinando, da un lato, l’interruzione del procedimento di acquisizione di definitiva efficacia del medesimo contratto, e, dall’altro, l’impossibilità di utilizzazione in concreto dell’accordo, e quindi, del realizzando immobile.

Il Comune di Roma - che aveva rilasciato la concessione edilizia - a seguito di quanto innanzi, provvedeva, dal canto suo, con propria autonoma determinazione, a sospendere i lavori di costruzione dell’immobile, essendo venuto meno - a suo dire - il presupposto fondamentale della destinazione d’uso dello stesso, su cui era fondato il permesso di costruire.

Avverso entrambi i provvedimenti negativi emessi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Comune di Roma, le società istanti proponevano tempestivamente gravame.

L’impugnazione aveva successo e la sentenza di accoglimento del ricorso acquisiva autorità di cosa giudicata.

Le società istanti, dopo molto tempo, individuavano altro soggetto interessato a stipulare contratto di locazione avente ad oggetto il medesimo immobile, e procedevano in tal senso; tuttavia, sopportavano, per tale motivo, significativi oneri finanziari aggiuntivi connessi non soltanto al torno di tempo nel frattempo decorso, ma anche alle differenti opere di adattamento dell’immobile richieste dal nuovo locatario.

Conseguentemente, le società insorte, sulla base del giudicato formatosi in precedenza, promuovevano azione giudiziaria per ottenere il risarcimento dei danni subiti - specificamente quantificati - e consistenti:

-) nei canoni locativi non percepiti, e relativi interessi pari al "prime rate";

-) nei maggiori costi connessi ai lavori di adattamento dell’immobile, e relativi interessi pari al "prime rate";

-) nei maggiori costi connessi alla sospensione dei lavori, e relativi interessi, pari al "prime rate";

-) negli esborsi sostenuti relativi ai contributi concessori, e relativi interessi pari al "prime rate".

2. La questione in diritto e la decisione del T.A.R. Lazio.

La questione sottoposta all’attenzione dei Giudici amministrativi del Lazio, è, in sostanza, la seguente:

se, un volta acclarata, con autorità di giudicato, l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi, rispettivamente, di revoca del nulla-osta di massima rilasciato da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e di sospensione dei lavori del Comune di Roma - sicuramente illegittimi e certamente determinativi di un danno - detti provvedimenti siano stati forieri, nei confronti delle società ricorrenti, di un danno patrimoniale qualificabile come ingiusto, ex art.2043 c.c.

*^*^*

Il T.A.R. del Lazio, con la sentenza in rassegna, ha, innanzitutto, distinto le posizioni delle due amministrazioni pubbliche.

Con riguardo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, i Giudici amministrativi laziali hanno, tra l’altro, considerato che l’atteggiarsi in concreto della fattispecie, era rilevante sotto il profilo dell’intervento della Presidenza nel segmento procedimentale in cui il contratto di locazione era sì perfetto, ma non ancora efficace, perché, per un verso, assistito dalla prima condicio juris coincidente con l’approvazione del Ministero; per altro verso, privo della seconda condizione, rappresentata dal definitivo visto e della registrazione degli organi di controllo.

Sicché, essendo intervenuto il giudicato sull’illegittimità del provvedimento di secondo grado costituito dalla revoca del nulla-osta rilasciato in precedenza, i Giudici capitolini hanno affermato che alla declaratoria di illegittimità, calata nella questione esaminata, non poteva attribuirsi altro significato se non quello che trattavasi di provvedimento amministrativo (revoca nulla-osta di massima) che non poteva essere emanato.

Con l’ulteriore conseguenza che l’illegittima adozione del prefato provvedimento aveva incontrovertibilmente determinato un danno ingiusto; e ciò tanto più - precisa l’Organo Giurisdizionale - se si considera che in ordine alla suddetta adozione v’era stata la totale estraneità delle società ricorrenti.

Il Collegio ha, inoltre, chiarito, sotto il profilo della natura degli addebiti imputabili, che, nella specie, non poteva essere ascritta alle due PP.AA. resistenti:

- responsabilità precontrattuale, essendosi il contratto di locazione perfezionatosi con la stipula;

- responsabilità contrattuale, non essendo stato acclarato alcune inadempimento delle parti contraenti

- bensì, responsabilità extracontrattuale, che trovava la sua fonte nel fatto illecito, ex art.2043 c.c., costituito dal provvedimento di revoca del nulla-osta emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la cui illegittimità era stata acclarata con autorità di giudicato.

Per quel che concerne il Comune di Roma il T.A.R. Lazio ha osservato.

L’ente locale, nell’erronea convinzione secondo cui, una volta revocato il nulla osta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, non poteva essere più realizzato l’immobile assentito, ha illegittimamente adottato, in autotutela, un provvedimento di sospensione dei lavori, che - accertato come illegittimo - non può non reputarsi anch’esso come fonte autonoma e causa illecita di un danno.

Detto evento dannoso, solo per tale ragione, deve considerarsi ingiusto.

Hanno motivato detto avviso, operando segnatamente ulteriore netta distinzione tra la posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quella del Comune di Roma.

Hanno, infatti, osservato che, da un canto, ogni ente pubblico persegue suoi interessi pubblici, che sono diversi da quelli perseguiti da altri enti pubblici, con la conseguenza che i provvedimenti devono essere adottati per tutelare i propri interessi pubblici; e che, per altro verso, nella specie, gli interessi pubblici che la P.A. comunale doveva tutelare erano soltanto quelli di carattere urbanistico ed edilizio e non di politica allocazionale delle sede ministeriali.

In sostanza, secondo i Giudici amministrativi capitolini, il Comune di Roma non avrebbe dovuto adottare l’ordinanza di sospensione dei lavori, atteso che, a seguito del provvedimento di secondo grado avente ad oggetto la revoca del nulla-osta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, non veniva in rilievo alcun interesse dell’ente locale connesso al regolare ed armonioso sviluppo dell’assetto urbanistico ed edilizio del territorio.

Hanno così accolto la domanda delle società istanti, condannando le due PP.AA. resistenti al risarcimento dei danni, quantificandoli nel mancato introito dei canoni (nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri), e nei costi per la riconversione dell’originario immobile (nei confronti sia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sia del Comune di Roma, in solidarietà passiva).

3. Brevi considerazioni conclusive.

In conclusione il provvedimento giurisdizionale in rassegna appare di non secondaria importanza.

E ciò per le due brevi ragioni appresso esplicitate:

I) da un canto, conferma, ancora una volta, implicitamente, in materia di "pregiudiziale amministrativa", l’orientamento secondo cui, per avanzare fondatamente una domanda risarcitoria, appare necessaria la preventiva impugnazione ed il conseguente annullamento, per illegittimità, degli atti gravati;

II) dalla lettura della sentenza in commento, emerge chiaramente, che l’Organo Giurisdizionale, evidentemente, ha considerato la posizione originaria delle società ricorrenti insorte, come posizione di diritto soggettivo.

Sul punto non sembra possano sorgere significative perplessità se si valuta che le istanti, erano, al tempo stesso, contraenti del Ministero della Sanità, in virtù di un perfezionato contratto di locazione, e beneficiarie di un titolo abilitivo, ampliativo della loro sfera di interessi giuridici patrimoniali, regolarmente rilasciato dal Comune di Roma.

Ne consegue che entrambi i provvedimenti negativi adottati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Comune di Roma, adottati non jure, hanno riverberato i propri effetti dannosi in relazione ad una situazione preesistente, consistente in un diritto soggettivo.

Dunque, appare corretta la decisione che si annota, nella parte in cui individua il fatto illecito di cui all’art.2043 c.c., nel provvedimento di revoca del nulla-osta Presidenziale, proprio in considerazione del fatto che detto provvedimento ha leso una posizione originaria di diritto soggettivo.

*^*^*

Due perplessità.

I) La prima attiene alla pronuncia della condanna in solido della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Comune di Roma, in relazione ai costi per la riconversione dell’originario immobile, nei quali - secondo l’avviso del T.A.R. Lazio - vanno a confluire anche i costi derivanti dalla sospensione dei lavori.

Dalla lettura della decisione, emerge che l’unico presupposto in virtù del quale è stata accolta la domanda risarcitoria, è quello della declaratoria di illegittimità, con autorità di giudicato, dei provvedimenti di revoca del nulla-osta della Presidenza, e di sospensione dei lavori dell’ente locale.

Dunque, le ricorrenti avrebbero chiesto la condanna delle resistenti, sull’unico presupposto dell’illegittima e/o illecita attività provvedimentale delle PP.AA., definitivamente accertata con decisione passata in giudicato.

Sul punto - senza tralasciare che la cosa giudicata amministrativa non costituisce diretta disciplina del rapporto sostanziale, ma afferma la legittimità o illegittimità della determinazione amministrativa - non può non evidenziarsi che essenziali alla solidarietà tra "condebitori" sono l’unicità della fonte e del titolo, nonché l’identità e unicità della prestazione ("…medesima prestazione…" ex art.1292 c.c.), al cui adempimento ciascuno dei condebitori può essere "costretto" per intero, con l’effetto di liberare gli altri (art.1292 c.c.).

Ebbene, versosimilmente, per quanto riguarda la componente di danno in ultimo menzionata, potrebbe ritenersi la non "concorrenzialità" dello stesso, e l’insussistenza del vincolo solidale, con particolare riferimento alla posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla stregua della diversità dei titoli fatti valere nei confronti di ciascuna della due PP.AA. resistenti, e, di conseguenza, la diversa dimensione delle rispettive richieste di condanna.

II) La seconda afferisce al riconoscimento del risarcimento del danno, quantificato con il mancato introito dei canoni di locazione, dal momento della prevista consegna dell’immobile fino al momento della nuova locazione.

In merito si osserva, che, per quanto attiene la valutazione della sussistenza del nesso di causalità materiale tra il danno risarcibile e il fatto che è fonte della responsabilità, e, quindi, al nesso che sussiste tra "evento" e "conseguenze dannose", stabilisce l’art.1223 c.c. (cui, fa rinvio, nell’ambito della disciplina della responsabilità extracontrattuale, l’art.2056 c.c.), che le perdite subite dal creditore, come il mancato guadagno, sono risarcibili in quanto siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito.

Il nesso di causalità tra l’evento e il danno deve essere, pertanto, costì stretto da identificare, tra le numerose e diverse conseguenze dell’evento, soltanto quelle che lo seguono "direttamente" e "immediatamente", che cioè sono state prodotte in modo certo da quell’evento.

A tal proposito, si evidenzia che, in giurisprudenza si precisa che si ha danno certo quando, sulla base statistica, e della normalità con la quale gli eventi risultano tra loro concatenati, si può affermare che un certo danno discende dai fatti produttivi che integrano la lesione della vittima (1).

Ebbene, con particolare riferimento al danno conseguente all’impossibilità del godimento di un bene immobile, è stato affermato (2) che, in sede di liquidazione del medesimo danno, è necessario che il locatore fornisca la prova (es. concrete e documentate proposte di locazione proveniente da terzi), della esistenza e dell’ammontare del pregiudizio patrimoniale effettivamente subìto, non essendo sufficiente - salva la possibilità di ottenere una condanna generica - l’utilizzo, come parametro, del probabile canone di locazione corrente nella zona, magari risultante da un’indagine di mercato.

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Note:

(1) Cass.Civ., 20 dicembre 1986, n.7801, in CED Cass.

(2) Cass.civ., Sez.II, 10 febbraio 1999, n. 1133, in Foro It., 1999, I, 791.

 

per il risarcimento

del danno ingiusto seguito alla illegittima mancata efficacia del contratto di locazione (relativamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero della sanità) e all’illegittima ordinanza di sospensione dei lavori (per quanto riguarda il Comune di Roma).

(omissis)

F A T T O

Il presente ricorso è proposto esclusivamente per ottenere il risarcimento dei danni, nei confronti delle amministrazioni statali per la mancata efficacia del contratto di locazione stipulato e perfetto, e nei confronti del Comune di Roma per l’illegittima sospensione dei lavori disposta nei confronti delle ricorrenti.

Rilevano le ricorrenti di aver ottenuto dal Comune di Roma regolare concessione edilizia per la costruzione, su aree di proprietà delle medesime, di un complesso immobiliare da destinare a sede del Ministero della sanità,. con obbligo di ultimazione dei lavori al 16 ottobre 1994.

Senonché, dopo la stipulazione del contratto di locazione, previo nulla-osta di massima della Presidenza del Consiglio dei ministri ed approvazione del Ministro della sanità, la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva revocato il precedente nulla-osta, provocando l’interruzione del procedimento di acquisizione di efficacia delo stesso contratto e determinando la sua inutilizzabilità in concreto; in conseguenza di ciò, il Comune di Roma, con propria autonoma determinazione, sospendeva i lavori per essere venuta meno la destinazione dell’immobile, su cui era basata la concessione edilizia.

La ricorrente impugnava entrambi i provvedimenti sopraindicati che, con sentenza ormai passata in giudicato, venivano annullati, siccome illegittimi.

Dopo di ciò, le ricorrenti riuscivano a reperire un altro locatario, ma molto tempo dopo e con un notevole onere aggiuntivo per i diversi lavori richiesti dal nuovo locatario medesimo.

Chiedono, pertanto, le ricorrenti il risarcimento del danno nelle seguenti misure:

Relativamente alla Roma Ovest s.r.l.

Euro 23.142.129, 20 e interessi pari al "prime rate", per canoni mancati;

Euro 3.873.426, 74 e interessi pari al "prime rate", per costi lavori di adattamento;

Euro 1.864.479, 12 e interessi pari al "prime rate", per la sospensione dei lavori;

Euro 7.584.179,60 e gli interessi pari al "prime rate", per i contributi concessori.

Relativamente alla Basileus S.p.A.:

Euro 11.571.064,60 e gli interessi pari al "prime rate" per i canoni mancati;

Euro 1.936.713, 37 e gli interessi pari al "prime rate" per i costi dei lavori di adattamento;

Euro 1.364.479,12 e gli interessi pari al "prime rate", per la sospensione dei lavori;

Euro 3.574.754, 88 e gli interessi pari al "prime rate", per i contribuiti concessori.

Relativamente alla Investimenti immobiliari lombardi s.p.a.:

Euro 11.571.064, 60 e gli interessi pari al "prime rate", per canoni mancati;

Euro 1.936.713,37 e gli interessi pari al "prime rate", per i costi dei lavori di adattamento;

Euro 3.938.229,66 e interessi pari al "prime rate", per i contributi concessori.

Le amministrazioni statali intimate (Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero della sanità – ora Ministero della salute) si costituiscono in giudizio e rilevano come nella specie, al massimo, si possa parlare di responsabilità pre-contrattuale, non essendosi esaurito il procedimento di approvazione del contratto e, comunque, evidenziano la mancanza di ogni malafede nel comportamento delle stesse amministrazioni.

Anche il Comune di Roma si costituisce in giudizio e resiste al ricorso, facendo presente il ruolo meramente secondario tenuto dallo stesso Comune di Roma, in una vicenda in cui i protagonisti sono stati altri.

Le ricorrenti presentano una successiva memoria illustrativa, nella quale, con ulteriore dovizia di argomentazioni, insistono per l’accoglimento del ricorso e specificano gli importi che ritengono loro dovuti.

La causa è spedita in decisione alla pubblica udienza del 12 giugno 2002, previa discussione della stessa ad opera delle parti.

D I R I T T O

In questa sede, occorre partire dal giudicato formatosi, le cui risultanze sono, ovviamente, indiscutibili.

Si ha, pertanto, la seguente situazione: sia il provvedimento con il quale la Presidenza del Consiglio dei ministri ha revocato il precedente nulla-osta e sia il provvedimento del Comune di Roma che ha ordinato la sospensione dei lavori sono illegittimi.

Ciò premesso, quello che questo giudice è chiamato a decidere è se tali atti, sicuramente illegittimi e certamente determinativi di un danno, abbiano dato luogo a quello che viene denominato una danno ingiusto.

A tal proposito, occorre distinguere la posizione due amministrazioni pubbliche.

Relativamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la fattispecie si atteggia nel modo seguente:

Vi è un contratto di locazione stipulato con il Ministero della sanità (ora Ministero della salute) preventivamente assentito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri; tale contratto era, pertanto, perfetto, ma non efficace, in quanto, pur essendovi stata la prima "condicio juris" (approvazione del Ministro), mancava la seconda (visto e registrazione degli organi di controllo).

Il provvedimento della Presidenza del Consiglio dei ministri si è pertanto inserito, nella scansione procedimentale, proprio tra la prima e la seconda "condicio juris", impedendo al contratto di conseguire la sua efficacia.

La declaratoria di illegittimità di tale provvedimento, tradotta nella fattispecie che ci interessa, non può significare altro che tale atto non poteva essere emanato, di talché la sua illegittima emanazione determina sicuramente che il danno che ne è conseguito è un danno ingiusto, in quanto prodotto da un’attività che non doveva essere esercitata e alla cui emanazione sono rimaste totalmente estranee le ricorrenti, che nessun elemento concorsuale hanno determinato per la produzione di tale atto.

Non può, però, parlarsi, né di responsabilità pre-contrattuale, in quanto il contratto era stato già stipulato, né di responsabilità contrattuale, in quanto non vi è stato inadempimento di prestazioni contrattualmente assunte, ma, a parere del Collegio, di responsabilità extra-contrattuale, individuandosi nel provvedimento di revoca del precedente nulla-osta emanato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri quel fatto illecito di cui all’art. 2043 del codice civile, in forza del quale si è determinato un danno ingiusto.

Per quanto concerne la posizione del Comune di Roma, l’ordine di sospensione dei lavori è intervenuto nella illegittima convinzione che, una volta revocato l’assenso della Presidenza del Consiglio dei ministri, nessuna costruzione potesse più essere posta in essere con quella localizzazione.

Esso si colora, pertanto, del tipico atto di autotutela (di natura cautelare) che, una volta accertato essere illegittimo (come è stato nella specie), non può che essere considerato anch’esso causa illecita di un danno che, solo per questo, assume i caratteri dell’ingiustizia.

La difesa del Comune di Roma, di essersi adeguato esso Comune all’esito di un procedimento di revoca del nulla-osta, non ha senso. Ogni ente pubblico persegue suoi interessi pubblici, che sono diversi da quelli perseguiti da altri enti pubblici, per cui i provvedimenti vanno emanati per la tutela dei propri interessi pubblici, che nella specie erano di carattere urbanistico ed edilizio e non di politica di allocazione delle sedi ministeriali.

Nessuna responsabilità può invece essere attribuita al Ministero della sanità che, come risulta dagli atti, nulla ha fatto relativamente alla determinazione del danno ingiusto.

Non può, inoltre, trovare ingresso in questa sede la domanda restitutoria del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione, sia perché domanda non omogenea con il "petitum" principale (che è di natura risarcitoria, a seguito di atti annullati in sede giurisdizionale)e sia perché pende giudizio relativamente alla legittimità o meno della richiesta di tali somme.

Per quanto concerne la quantificazione del danno, questo va individuato nel mancato introito dei canoni di locazione dal momento della prevista consegna dell’immobile fino al momento della nuova locazione, intervenuta nei confronti della Telecom Italia s.p.a., a totale carico della Presidenza del Consiglio dei ministri, e nei costi per la riconversione dell’originario immobile (nei quali vengono a confluire anche i costi derivanti dalla sospensione dei lavori), da porsi a carico, per metà ciascuno, ma in piena solidarietà passiva, della stessa Presidenza del Consiglio dei ministrie del Comune di Roma.

Il risarcimento del danno viene pertanto così liquidato:

- a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri:

Euro 44.809.410,62, a favore della Roma Ovest Costruzioni s.r.l. per il 50%, della Basileus s.p.a. per il 25%, della Investimenti immobiliari lombardi s.p.a. per il 25%;

- a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Comune di Roma, in ragione di metà ciascuno, ma in solidarietà passiva:

Euro 746.853,40, a favore della Roma Ovest Costruzioni s.r.l. per il 50%, della Basileus s.p.a. per il 25%, della Investimenti immobiliari lombardi s.p.a. per il 25%.

Sulle somme suddette dovranno essere corrisposti gli interessi moratori nella misura del saggio legale, dall’epoca della maturazione a quella dell’effettivo pagamento.

Il ricorso va, pertanto, accolto nei termini sopra indicati.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella somma complessiva di Euro 10.000 (diecimila), a carico, per metà ciascuno, della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Comune di Roma e a favore delle società ricorrenti, da liquidarsi nelle stesse misura percentuali previste per gli importi risarcitori.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio

Sezione I

- Accoglie il ricorso indicato in epigrafe nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna le amministrazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Comune di Roma al risarcimento del danno come indicato in motivazione;

- Condanna le stesse amministrazioni al pagamento delle spese di giudizio, secondo quanto specificato in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2002, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, in Camera di consiglio.

Il Presidente

Il Consigliere estensore

Depositata in segreteria in data 3 dicembre 2002.

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