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n. 5-2003 - © copyright.

TAR LAZIO, SEZ. I – Sentenza 5 maggio 2003 n. 3861 - Pres. Calabrò, Est. Gaviano - Società Fondiaria Industriale Romagnola – S.F.I.R. s.p.a. (Avv.ti V. Cerulli Irelli, F. Vassalli e D. Iannicelli) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Stato D. Del Gaizo), Associazione Nazionale Bieticoltori (Avv. I. Minguzzi) e Società Esercizi Commerciali Industriali – S.E.C.I. s.p.a. ed altri (Avv.ti G. M. Roberti, M. De Vita, P. Galli, A. Maffei Alberti e G. Pittalis) - (dichiara inammissibile il ricorso).

1. Giustizia amministrativa - Legittimazione attiva - Nel caso di provvedimenti adottati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato o dalla Banca d’Italia in materia di controllo, ai sensi della legge n. 287/1990, su operazioni di concentrazione - Spetta ai soggetti direttamente contemplati nei provvedimenti - Soggetti terzi rispetto a detti provvedimenti - Difettano di legittimazione attiva - Ragioni.

2. Giustizia amministrativa - Legittimazione attiva - Circostanza che il ricorrente abbia partecipato al procedimento - Irrilevanza ai fini della legittimazione ad impugnare il provvedimento conclusivo.

1. Sono inammissibili i ricorsi proposti da soggetti terzi, diversi da quelli direttamente menzionati, avverso i provvedimenti adottati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato o dalla Banca d’Italia in materia di controllo, ai sensi della legge n. 287/1990, su operazioni di concentrazione, atteso che i poteri di cui alla legge n. 287/1990 cit. sono preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nell’ambito del libero mercato e non alla garanzia di posizioni, individuali o associate, di soggetti fruitori del mercato. A fronte dell’esplicazione dei detti poteri, tutti i soggetti diversi da quelli direttamente incisi, quindi, sono da ritenere titolari di un mero interesse indifferenziato rispetto alla posizione di pretesa della generalità dei cittadini a che le autorità preposte alla repressione dei comportamenti illeciti esercitino correttamente e tempestivamente i poteri loro conferiti a tale specifico fine (1).

2. Il ricorrente non può trarre la propria legittimazione ad agire in giudizio dalla circostanza che egli abbia domandato di intervenire nel procedimento che è sfociato nel provvedimento impugnato, atteso che il mero fatto della partecipazione al procedimento non costituisce titolo acquisitivo di legittimazione attiva al ricorso avverso il suo provvedimento conclusivo, in quanto una cosa è la partecipazione procedimentale ed altro è la legittimazione processuale (2).

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(1) Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I, sent. 26 settembre 2001, n. 7797 7 settembre 2001, n. 7286, 13 luglio 1999 n. 1558 e 15 ottobre 1998, n. 2952.

V. anche in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza T.A.R. Lazio, Sez. I, sentenze 28 marzo 2002, n. 2639, 23 dicembre 1997, n. 2216; in materia di di abuso di posizione dominante v. id., sentenze 29 settembre 1998, n. 2746 e 9 aprile 2001, n. 3056; in materia di pubblicità ingannevole v. T.A.R. Lazio, Sez. I, sent. 5 maggio 2001, n. 3858.

Tale orientamento, secondo il T.A.R. Lazio, trae fondamento dal più generale principio secondo cui, in tutti i procedimenti repressivi, neppure il soggetto denunciante assume legittimazione ad essere parte necessaria del giudizio amministrativo (v. in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 1996, n. 1972).

Alla stregua del principio è stato ritenuto che il singolo concorrente che non sia destinatario diretto dell’attività istituzionale dell’Autorità Garante, se indubbiamente ne può avvertire gli effetti, è titolare di una sfera giuridica che non è tuttavia incisa in via immediata e diretta dall’attività medesima e, pertanto, non è legittimato a proporre ricorso.

Nell’ampia motivazione della sentenza in rassegna, alla quale si fa rinvio, si confutano i vari argomenti adotti dalla difesa della società ricorrente, tendenti ad affermare invece la sussistenza di una legittimazione dei soggetti terzi in materia.

(2) Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2000; n. 2185 e T.A.R. Lazio, Sez. I, 13 luglio 1999, n. 1558.

 

 

(omissis)

per l’annullamento

della deliberazione n. 11040 del 1°\8\2002 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, notificata alla ricorrente in data 9\8\2002.

(omissis)

F A T T O

Le società S.e.c.i. s.p.a., Co.Pro.B. s.c.a.r.l. e Finbieticola s.p.a., con atto trasmesso in data 12 marzo 2002, sottoponevano all’esame dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 287 del 1990, l’operazione di concentrazione da loro concepita.

L’operazione consisteva nell’acquisizione congiunta da parte delle predette, attraverso la comune impresa Sacofin s.p.a., cui partecipavano in parti uguali, del 100 % delle azioni di Eridania s.p.a. (principale operatore nella produzione nazionale di zucchero con una quota del 46,13 %), messe in vendita dalla società controllante di diritto francese Beghin Say.

Gli accordi tra le parti prevedevano, inoltre, che in una seconda fase si sarebbe proceduto alle seguenti operazioni: la costituzione di un’impresa comune, denominata Newco B, destinata alla liquidazione delle attività di Eridania non strettamente saccarifere; la suddivisione della Sacofin, entro un periodo massimo di 18-24 mesi, in favore di due ulteriori costituende società: Newco C, controllata dalla Seci\Sadam, e Newco D, partecipata pariteticamente da Coprob e Finbieticola.

A conclusione di tutto questo si sarebbero perciò realizzati due distinti effetti concentrativi, consistenti nell’acquisto del controllo esclusivo di parte delle attività Eridania in testa a Seci\Sadam, e nell’acquisto congiunto della parte restante in capo a Coprob e Finbieticola attraverso un’impresa comune, e pertanto due concentrazioni, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettere b) e c), della legge n. 287\1990.

L’Autorità Garante, raggiunta nel frattempo anche da segnalazioni della società S.F.I.R. s.p.a. (titolare di una quota di produzione nazionale di zucchero del 21,1 %) del 13 maggio e 3 giugno del 2002, nonché dell’Associazione Bieticultori Marsicani, con delibera del 20 giugno 2002 avviava l’istruttoria di cui all’art. 16, comma 4, della legge n. 287\1990 sull’operazione che le era stata notificata.

Faceva istanza di partecipare al procedimento anche la società SFIR, che vi veniva ammessa con provvedimento del 9 luglio.

In base all’analisi complessiva di tutti gli elementi raccolti l’Autorità valutava negativamente l’operazione, sottolineando: che questa ridefiniva la struttura dell’industria nazionale dello zucchero, comportando una riduzione del numero delle imprese ed il rafforzamento delle aziende Sadam e Coprob; che queste ultime, con quote finali rispettivamente del 35 % e del 39 % (laddove in partenza detenevano il 19,65 % ed il 7,72 %), avrebbero raggiunto la leadership di un mercato divenuto ancora più concentrato; che le medesime avrebbero altresì beneficiato di un’integrazione verticale con il mercato dell’approvvigionamento di barbabietole grazie alla partecipazione all’operazione di Finbieticola (rispettivamente, nel capitale di alcune imprese del gruppo Sadam e in Newco D), espressione delle associazioni dei bieticultori, le quali apparivano in grado di condizionare ed orientare i flussi di approvvigionamento della materia prima in modo tale da poter favorire le due imprese risultanti dalla concentrazione rispetto agli altri produttori nazionali; che l’operazione avrebbe aumentato, altresì, il grado di concentrazione nel mercato della distribuzione del seme di barbabietola (nel quale agivano, attraverso società controllate, gli stessi zuccherifici e le medesime associazioni di bieticultori).

L’Autorità riteneva quindi che l’operazione, nei termini concepiti, fosse in grado di determinare la creazione di una posizione dominante collettiva in capo a Sadam e a Coprob\Finbieticola nel mercato italiano dello zucchero (con una quota del 73,5 %), suscettibile di produrre effetti anticompetitivi anche sul mercato a monte dell’approvvigionamento delle barbabietole, ed infine su quello della distribuzione del seme.

Le parti presentavano, peraltro, in data 26 giugno e 1° agosto 2002, delle dichiarazioni di impegno intese a modificare alcuni aspetti della concentrazione onde circoscriverne l’impatto anticoncorrenziale. E l’Autorità, valutati analiticamente i nuovi termini della fattispecie sottopostale (paragr. 117 del provvedimento), riteneva che i detti impegni risultassero nel loro complesso adeguati a rimuovere il pericolo della creazione di una posizione dominante collettiva tale da ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza.

In conclusione, pertanto, con la deliberazione in epigrafe l’operazione veniva autorizzata ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge, con la prescrizione del pieno rispetto degli impegni assunti dalle imprese che ad essa davano vita.

Avverso questo provvedimento veniva proposto dalla società SFIR il presente ricorso, notificato in data 4-7\10\2002 e ritualmente depositato.

La ricorrente (anch’essa partecipante, ma senza fortuna, all’asta per rilevare il Gruppo Eridania) contestava l’autorizzazione alla concentrazione così rilasciata alle concorrenti svolgendo i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, della legge 10 ottobre 1990 n. 287; motivazione perplessa e contraddittoria; irragionevolezza manifesta; travisamento dei fatti; difetto di presupposti in fatto e in diritto; eccesso di potere: con tale motivo, richiamandosi alle valutazioni compiute dall’Autorità in merito alle conseguenze anticompetitive della concentrazione quale fonte di una posizione dominante collettiva, la ricorrente operava una disamina analitica degli impegni proposti dalle parti e recepiti dal provvedimento impugnato e deduceva la loro inidoneità a fugare le preoccupazioni espresse dalla stessa Autorità circa gli effetti della concentrazione e a ricondurre questa al rispetto del diritto antitrust, da ciò desumendo l’incongruenza ed irragionevolezza del provvedimento;

2) carenza istruttoria, difetto assoluto di motivazione; eccesso di potere: con tale mezzo si assumeva che la stessa deliberazione, in disparte i suoi profili di merito, era carente di istruttoria sull’affidabilità dei suddetti impegni e circa la loro idoneità a rendere l’operazione accettabile, istruttoria che l’Autorità non aveva avuto il tempo materiale di espletare (dato il momento in cui tali impegni le erano stati sottoposti); l’atto non conteneva poi neppure alcuna valutazione circa la effettiva bontà delle misure correttive proposte dalle interessate (che pure la SFIR nel procedimento aveva puntualmente contestato).

Si costituivano in giudizio in resistenza all’impugnativa, oltre all’Associazione Nazionale Bieticoltori - A.N.B. (che eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva adducendo di essere soltanto una socia, sia pure la principale, della Finbieticola), le imprese protagoniste dell’operazione di concentrazione e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Queste ultime eccepivano il difetto di legittimazione all’impugnativa da parte della SFIR (richiamandosi alla giurisprudenza del Tribunale formatasi in casi simili), ed altresì l’inammissibilità del ricorso in quanto involgente valutazioni di merito riservate all’Autorità Garante. Nel merito, le resistenti deducevano l’infondatezza del gravame.

La ricorrente replicava alle eccezioni e deduzioni avversarie con successive note, con le quali insisteva per l’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 26\2\2003 la difesa della SFIR depositava un’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee sull’argomento della legittimazione all’impugnativa; indi, dopo la discussione orale la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T T O

1 Il Tribunale è stato di recente investito di impugnativa analoga a questa, su iniziativa di un’impresa che parimenti si adoperava per ottenere l’invalidazione del favorevole pronunciamento emesso su di una concentrazione dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Tale gravame è stato dichiarato inammissibile sulla base di argomentazioni che, anche per la loro concisione, possono essere qui di seguito opportunamente riportate (T.A.R. Lazio, I, n. 420/2003).

"Questo Tribunale, anche nella specifica materia del controllo ai sensi della legge n. 287\1990 su operazioni di concentrazione, in occasione di impugnative proposte da terzi avverso i provvedimenti dell’Autorità –o della Banca d’Italia, ma nell’esercizio delle stesse competenze- favorevoli alle operazioni di volta in volta esaminate (decisione di non avviare l’istruttoria; autorizzazione condizionata ex art. 6 c. 2° della legge), ha costantemente avuto modo di concludere, in casi simili a quello formante oggetto di controversia, per l’inammissibilità dei relativi gravami.

La giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le prime: C.d.S., VI, n. 1972 del 30\12\1996; T.A.R. Lazio, I, nn. 2216 del 23\12\1997, 2746 del 29\9\1998 e 2952 del 15\10\1998), invero, è concorde nel ritenere che i poteri di cui alla legge n. 287 del 1990 siano preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nell’ambito del libero mercato, e non alla garanzia di posizioni, individuali o associate, di soggetti fruitori del mercato. Ciò porta alla conseguenza che, a fronte dell’esplicazione dei detti poteri, tutti i soggetti diversi da quelli direttamente incisi siano titolari di un mero interesse indifferenziato rispetto alla posizione di pretesa della generalità dei cittadini a che le autorità preposte alla repressione dei comportamenti illeciti esercitino correttamente e tempestivamente i poteri loro conferiti a tale specifico fine.

Questo indirizzo ha indotto ad accogliere l’eccezione di inammissibilità opposta dalle resistenti difese a ricorsi simili a quelli in esame (sentenze nn. 7797 del 26\9\2001, 7286 del 7\9\2001, 1558 del 13\7\1999 e 2952 del 15\10\1998). E gli stessi principi hanno portato ad analoghe decisioni a proposito delle competenze dell’Autorità in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza (sentenze n. 2639 del 28\3\2002 n. 2216 del 23\12\1997) e di abuso di posizione dominante (sentenze n. 2746 del 29\9\1998 e n. 3056 del 9\4\2001), oltre che di pubblicità ingannevole (cfr., di recente, la n. 3858 del 5\5\2001).

Dall’orientamento indicato, che trae fondamento dal più generale principio secondo cui, in tutti i procedimenti repressivi, neppure il soggetto denunciante assume legittimazione ad essere parte necessaria del giudizio amministrativo (C.d.S., VI, n. 1792\1996 cit. e giurisprudenza ivi richiamata), il Tribunale non ritiene di doversi discostare neppure con riferimento alla presente vicenda.

... Ciò posto, non può non valere anche per la odierna ricorrente la conclusione che il singolo concorrente che non sia destinatario diretto dell’attività istituzionale dell’Autorità, se indubbiamente ne può avvertire gli effetti, è titolare di una sfera giuridica che non è tuttavia incisa in via immediata e diretta dall’attività medesima, in rapporto alla quale si registra l’emersione differenziata dellel’emersione differenziata dellasente vicenda.

sole situazioni soggettive proprie dell’impresa destinataria dell’atto. Sempre sul punto della legittimazione, infine, non giova nemmeno richiamare la circostanza di fatto che la ricorrente aveva domandato di poter intervenire nel procedimento che è sfociato nel provvedimento impugnato, pacifico essendo che, in difetto della titolarità di una posizione di interesse legittimo, neppure il mero fatto della partecipazione al procedimento costituisce titolo acquisitivo di legittimazione attiva al ricorso avverso il suo provvedimento conclusivo, in quanto altro è la partecipazione procedimentale ed altro è la legittimazione processuale (C.d.S., VI, nn. 1792 del 1996 e 2185 del 12\4\2000; T.A.R. Lazio, I, n. 1558 del 13\7\1999)."

2 Pur tenendo conto della prossimità di questo precedente e della nutrita serie di pronunzie nel cui alveo esso si inserisce, il Tribunale ritiene che l’ampiezza e la profondità delle argomentazioni critiche rivolte dalla odierna ricorrente contro l’indirizzo esposto esigano un sereno riesame ab imis della problematica, scevro da ogni preconcetto.

3 La società SFIR allega di subire dal provvedimento impugnato, che altererebbe il corretto funzionamento del mercato bieticolo-saccarifero, un pregiudizio diretto, immediato ed attuale, e di vantare una posizione differenziata a vederlo annullato.

Se già prima dell’operazione di concentrazione il detto mercato presentava una scarsa concorrenzialità, a causa del ridotto numero di competitori (cinque imprese saccarifere), l’autorizzazione dell’operazione renderebbe vieppiù ardua la posizione concorrenziale della ricorrente, che resterebbe l’unica impresa sul mercato di una certa rilevanza a dover competere con il polo formato dalle odierne resistenti. Di qui l’ascrivibilità alla stessa deducente sia di un interesse imprenditoriale ad operare in condizioni di libero mercato e piena concorrenza, sia della lesione di questo per effetto della concentrazione autorizzata.

In ragione dell’interesse sostanziale così allegato e a sua difesa la SFIR ricorda di avere già partecipato al procedimento istruttorio dinanzi all’Autorità, rappresentando le proprie ragioni con memorie ed in sede di audizione: del tutto coerente e logico, quindi, sarebbe a suo avviso il riconoscimento della tutelabilità dello stesso interesse anche in sede di impugnativa giurisdizionale.

La relativa legittimazione ad agire, conclude la ricorrente, potrebbe essere negata solo a prezzo di negare al detto interesse sostanziale la dignità di interesse giuridicamente protetto, il che sarebbe però a suo dire incompatibile con i principi costituzionali e con quelli del Trattato europeo, nonché con l’esistenza di una legge nazionale appositamente finalizzata proprio alla tutela del valore della concorrenza.

Per munire di fondamento la propria legittimazione a ricorrere la S.F.I.R. ha tratto argomento, nei suoi scritti, da due distinti sistemi di riferimento: l’ordinamento positivo della legge italiana sulla concorrenza (e, sullo sfondo, il diritto amministrativo nazionale), e la giurisprudenza comunitaria antitrust. All’uno e all’altro ordine di valori si dovrà quindi avere riguardo.

4 Nella prima delle prospettive indicate la società ricorrente assume che numerose norme nazionali in materia di difesa della concorrenza dimostrerebbero l’esistenza di soggetti diversi dai destinatari del provvedimento finale, e nondimeno titolari di un interesse differenziato al corretto esercizio dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge all’Autorità Garante.

Viene fatto riferimento, in particolare: all’art. 12, comma 1, della legge n. 287 del 1990, che, richiamandosi ai poteri di indagine dell’Autorità in merito ai divieti posti dagli artt. 2 e 3 della stessa fonte (in tema di intese restrittive e abusi di posizione dominante), riconosce espressamente a "chiunque vi abbia interesse" la possibilità di denunciare alla medesima Amministrazione la sussistenza di un’infrazione a tali norme; all’art. 6, comma 4, del regolamento di cui al d.P.R. n. 217 del 1998, dove si stabilisce che il provvedimento di avvio dell’istruttoria, nei casi di presunta infrazione agli artt. 2 (comma 2), 3 e 6 (comma 1) della legge n. 287, è notificato, oltre che alle imprese e agli enti interessati, anche "ai soggetti che ai sensi dell'art. 12, comma 1, della legge, avendo un interesse diretto, immediato ed attuale, hanno presentato denunce o istanze utili all’avvio dell’istruttoria"; all’art. 7, comma 1, dello stesso regolamento, che ammette a partecipare all’istruttoria anche " b) i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché le associazioni rappresentative dei consumatori, cui possa derivare un pregiudizio diretto, immediato ed attuale dalle infrazioni oggetto dell’istruttoria o dai provvedimenti adottati in esito alla stessa …".

Richiamata così la trama della normativa procedimentale, la ricorrente ne desume che anche soggetti diversi dai destinatari dei –futuri- provvedimenti finali dell’Autorità possono ricevere da questi un pregiudizio "diretto, immediato ed attuale" (il legislatore si è dimostrato del resto tanto convinto del fatto che il verificarsi, innanzitutto, delle fattispecie vietate dalla legge n. 287 possa cagionare dei pregiudizi per i terzi da prevedere espressamente, all’art. 33, l’esperibilità di appositi rimedi inibitori e risarcitori).

L’attribuzione a costoro del diritto di partecipare al procedimento andrebbe allora considerata, più ampiamente, quale segno del riconoscimento, da parte delle stesse norme, della titolarità di un sottostante interesse sostanziale al corretto esercizio dei poteri previsti dalla legge in materia. In capo alle imprese concorrenti esisterebbe, cioè, un interesse qualificato ad operare in un contesto economico funzionale, immune da condotte suscettibili di alterare il libero gioco della concorrenza. E tale interesse si appunterebbe anche sull’attività provvedimentale dell’Autorità (l’unico soggetto che avrebbe il potere di assicurare la funzionalità concorrenziale del mercato), ai cui procedimenti le concorrenti sarebbero abilitate a partecipare anche a salvaguardia del loro personale interesse a vedere tutelate le dinamiche concorrenziali.

5 Osserva in primo luogo il Tribunale che affinché un interesse individuale possa assurgere al rango di interesse legittimo occorre, oltre ai requisiti dell’individualità e della personalità dell’interesse stesso, anche quello della sua qualificazione normativa: diversamente l’interesse individuale, ancorché differenziato, resterebbe un interesse di mero fatto, e come tale un dato pre-giuridico.

Occorre, dunque, che l’interesse individuale riceva considerazione, in funzione di una sua tutela, dalla normativa relativa all’esercizio del potere amministrativo del quale si tratta.

Su questa strada sembra essersi posta la stessa ricorrente, quando ha operato un’attenta ricognizione della normativa di settore alla ricerca dei possibili indici di qualificazione normativa ivi reperibili. Sono, tuttavia, i risultati ai quali la stessa è pervenuta che non possono essere condivisi.

5a La ricorrente, come si è visto, sottolineata la significatività di determinati indici normativi, ne postula la riferibilità alla fattispecie concreta.

E’ proprio questo presupposto, però, che fa difetto.

La normativa nazionale antitrust (tanto la legge n. 287\1990 quanto, anche se con minore nettezza, il d.P.R. n. 217\1998), dalla ricorrente considerata in modo strettamente unitario, in realtà delinea separatamente e diversamente la disciplina procedimentale in materia di intese restrittive e di abusi di posizione dominante (Titolo II, Capo II, della legge) da quella in materia di operazioni di concentrazione (Tit. II, Capo III). E va sin d’ora evidenziato che mentre gli indici valorizzati dalla ricorrente appartengono in gran parte al corpus delle norme regolatrici dei procedimenti del primo gruppo, la fattispecie controversa, riguardando una concentrazione, ricade sotto la disciplina del secondo.

Ora, le norme regolatrici dei procedimenti di controllo delle concentrazioni, a differenza di quelle relative al primo gruppo di procedimenti, non contengono alcuna previsione che autorizzi a cogliere una volontà legislativa di qualificazione giuridica di interessi di soggetti terzi concorrenti. Ché, semmai, proprio l’accostamento delle normative procedimentali dei due moduli, se permette forse delle aperture, proprio in considerazione della presenza degli indici normativi richiamati dalla SFIR, a proposito della materia delle intese e degli abusi di posizione dominante, induce a un atteggiamento ermeneutico del tutto opposto proprio sul versante delle concentrazioni, dove nessun indice del genere è stato contemplato.

La prima delle previsioni richiamate dalla ricorrente, come si è visto, è l’art. 12, comma 1, della legge n. 287 del 1990. Questo, peraltro, oltre ad essere di scarso significato intrinseco ai fini in discussione, limitandosi a riconoscere a "chiunque vi abbia interesse" la possibilità di denunciare all’Autorità Garante la sussistenza di un’infrazione, appare soprattutto ultroneo ai fini di causa, in quanto appartiene al Capo della legge che si occupa dei "Poteri dell’Autorità in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante", e, coerentemente, fa testuale riferimento ai soli divieti posti dagli artt. 2 e 3 della stessa legge.

La ricorrente richiama, inoltre, dei punti del regolamento di cui al d.P.R. n. 217 del 1998.

In primo luogo il disposto del suo art. 6, comma 4.

Questo stabilisce che il provvedimento di avvio dell’istruttoria, nei casi di presunta infrazione agli artt. 2 (comma 2), 3 e 6 (comma 1) della legge n. 287, è notificato, oltre che alle imprese e agli interessati, anche "ai soggetti che ai sensi dell'art. 12, comma 1, della legge, avendo un interesse diretto, immediato ed attuale, hanno presentato denunce o istanze utili all’avvio dell’istruttoria".

Indubbiamente la previsione si presenta riferibile (benchè non interamente, come si vedrà), oltre che ai casi di intese restrittive ed abusi di posizione dominante, anche al controllo sulle concentrazioni, cui del resto rinvia espressamente il comma di apertura dell’articolo (a riprova vale notare che l’art. 16 del regolamento, che riguarda ex professo l’istruttoria per le operazioni di concentrazione, presuppone già regolato in altra sede il momento dell’avvio dell’istruttoria stessa).

Non si può negare, inoltre, che il riconoscimento che un soggetto, ancorché terzo, possa ciononostante essere portatore di "un interesse diretto, immediato ed attuale" costituisca, specialmente per il fatto di provenire da una norma specificamente concepita per la materia della concorrenza, un argomento di indubbio peso a favore di un allargamento della legittimazione all’impugnativa giurisdizionale.

Senonchè, ancora una volta si deve notare che il dato normativo potenzialmente utile alle tesi della ricorrente non può giovarle, per il fatto di riferirsi, nella sua specificità, unicamente alle fattispecie di intese restrittive della concorrenza e di abuso di posizione dominante.

La lettura del comma 4 dell’art. 6 rivela, infatti, che l’obbligo di notifica dell’avvio dell’istruttoria, di norma imposto nei riguardi delle imprese e degli enti interessati, si estende oltre tale ambito solo nei confronti dei soggetti che " … ai sensi dell’art. 12, comma 1, della legge, avendo un interesse diretto, immediato ed attuale, hanno presentato denunce o istanze utili all’avvio dell’istruttoria".

E’ l’art. 12 della legge, pertanto, a segnare i confini del riconoscimento normativo invocato dalla ricorrente: ma questo articolo, come già rilevato, riguarda soltanto i poteri dell’Autorità in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante, e non si vede come potrebbe essere estrapolato da tale contesto.

La ricorrente si richiama in secondo luogo all’art. 7, comma 1, del regolamento, che ammette a partecipare all’istruttoria anche " b) i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché le associazioni rappresentative dei consumatori, cui possa derivare un pregiudizio diretto, immediato ed attuale dalle infrazioni oggetto dell’istruttoria o dai provvedimenti adottati in esito alla stessa …".

Questa norma effettivamente si applica anche alla materia delle concentrazioni: ciò è confermato dal rinvio ad essa fatto dall’art. 16 dello stesso regolamento, peraltro corretto dalla riduzione a dieci giorni appena del termine di trenta giorni che l’art. 7 assegna per l’esercizio della facoltà di intervento.

Per le ragioni che si esporranno questa mera facoltà di partecipazione al procedimento non risulta però decisiva.

5b Come si è già intravisto, la disciplina regolamentare distingue nettamente, a livello di standard di partecipazione, la posizione dei soggetti legittimati a ricevere l’avvio dell’istruttoria in forza dell’art. 6 comma 4 da coloro che siano semplicemente abilitati ad intervenire nel procedimento. Si deve notare, infatti, che l’art. 7 comma 3 limita il riconoscimento del diritto di essere sentiti ai sensi dell’art. 14 comma 1 della legge ai soli soggetti cui sia stato notificato l’avvio dell’istruttoria ai sensi del detto art. 6 comma 4; i commi 5 e 6 dell’art. 14, inoltre, mentre riconoscono alle "imprese e agli enti interessati" il diritto di essere sentiti in sede di audizione finale, accordano agli altri soggetti una semplice facoltà di motivata richiesta, sottoponendola alla valutazione discrezionale dell’Autorità Garante.

Ora, già a tutta prima appare estremamente difficile considerare l’art. 7 comma 1 lett. b), che attribuisce solo delle facoltà procedimentali, e di portata nettamente affievolita rispetto alle prerogative riconosciute ai soggetti diretti interessati di cui all’art. 7 c. 1 lett. a) del regolamento, alla stregua di una norma sostanziale di qualificazione di interessi in favore dei terzi da essa contemplati. E questo anche per la latitudine della previsione in discorso, che abbraccia uniformemente ed apprezza nella stessa misura interessi pubblici e privati anche diffusi, tendano essi ad ottenere dall’Autorità un provvedimento interdittivo\repressivo o, al contrario, liberatorio.

Quel che più conta, poi, è che la posizione dei possibili interventori è resa ancora più defilata e marginale in materia di concentrazioni, dove la forte contrazione dei tempi ammessi per un possibile intervento dall’art. 16 del regolamento suggerisce come il ruolo di tali soggetti nei procedimenti sia quello di interventori passeggeri (in un tratto del percorso), piuttosto che quello di soggetti tutelati, ed induce a guardare al loro eventuale intervento nel procedimento in un’ottica di partecipazione essenzialmente strumentale e collaborativa, sganciata da un interesse sostanziale di base.

Che le norme procedimentali per lo meno di questa specifica materia abbiano inteso relegare sullo sfondo i terzi è confermato anche dal raffronto tra l’art. 12 della legge, che esplicitamente prevede, come si è visto, che chiunque vi abbia interesse possa portare degli elementi a conoscenza dell’Autorità, e l’art. 16 in materia di concentrazioni, che degrada la possibilità di segnalazioni ad opera di terzi a dato soltanto implicito.

La disciplina procedimentale, dunque, non coinvolge strutturalmente interessi di terzi nell’esercizio del potere di controllo delle concentrazioni. Si rivela perciò condivisibile l’osservazione con cui le resistenti difese hanno messo in luce che la posizione procedimentale assunta dalla SFIR, semplice partecipante all’istruttoria sulla concentrazione (avviata su comunicazione delle imprese parti dell’operazione, e non dietro segnalazione altrui), costituiva "molto meno, sul piano dei ruoli rispetto al procedimento innanzi all’Autorità", della veste di un soggetto denunciante (così la prima memoria delle resistenti private, pag. 17; in senso analogo v. la pag. 7 della memoria erariale).

Da tutto ciò la conclusione che la normativa applicabile alla fattispecie controversa, accordando una mera possibilità di partecipazione spontanea al procedimento, ed in tempi oltremodo ristretti, non può valere a fondare una posizione legittimante in capo alla ricorrente.

5c Né potrebbe essere il mero dato di fatto di un’avvenuta partecipazione procedimentale (attuata in concreto sulla base della norma indicata) a trasformare un interesse procedimentale in un fattore di legittimazione all’impugnativa. Un dato solo fattuale non sarebbe in grado di influire sulla natura intrinseca della situazione soggettiva, così come scolpita in via generale ed astratta dalle norme ordinamentali: la natura delle situazioni giuridiche soggettive non può invero mutare per effetto di un intervento avutosi nel procedimento. La partecipazione endoprocedimentale non può fare altro che lasciare impregiudicata la problematica dei limiti entro i quali in sede contenziosa può assicurarsi una tutela alla relativa posizione, come anche la più recente giurisprudenza ha ribadito (C.d.S., IV, n. 4343 del 29\8\2002). Sicché, in difetto della titolarità di una posizione di interesse legittimo, neppure il mero fatto della partecipazione al procedimento costituirebbe titolo acquisitivo di legittimazione attiva al ricorso avverso il suo provvedimento conclusivo, altro essendo la partecipazione procedimentale ed altro la legittimazione processuale (C.d.S., VI, nn. 1792 del 1996 e 2185 del 12\4\2000; T.A.R. Lazio, I, n. 1558 del 13\7\1999).

5d La soluzione emersa, che in materia di concentrazioni in linea di principio disconosce la titolarità di interessi legittimi in capo ai terzi concorrenti, oltre a rispecchiare la oggettiva differenziazione esistente tra i moduli procedimentali di cui alla legge n. 287\1990, appare anche del tutto coerente con la tipologia funzionale di procedimento disegnata dalla disciplina positiva della materia.

Come è noto, mentre per le intese esiste una semplice facoltà (o meglio un onere) di comunicazione preventiva, le operazioni di concentrazione soggiacciono ad un vero e proprio obbligo di notifica ex ante. Ciò per conferire al mercato una maggiore trasparenza, ma soprattutto per ridurre al minimo le devastanti incidenze che un divieto ex post altrimenti avrebbe sugli effetti di operazioni già dispiegatesi: una concentrazione, difatti, non pone dei semplici vincoli di comportamento, ma agisce normalmente modificando le fisionomie strutturali delle imprese che vi prendono parte (non stupisce, quindi, nemmeno che per le intese anticompetitive esista alla base una previsione legislativa di nullità, che rende l’intervento dell’Autorità di indole fondamentalmente accertativa, mentre sul versante delle concentrazioni la normativa configura un potere di divieto esercitabile mediante un provvedimento costitutivo). Nell’ambito di questo sistema di controllo preventivo e generalizzato delle concentrazioni (che possiedano, naturalmente, il requisito dimensionale minimo previsto dalla legge) è imposta all’Autorità, correlativamente, l’osservanza di termini perentori, nel quadro di un disegno di accelerazione delle procedure che ha la funzione di assicurare la certezza dei rapporti connessi alle concentrazioni, evitando di asservire le dinamiche di mercato ad indefinite attese (sul tema cfr. C.d.S., VI, n. 1038 del 20\2\2002).

Questi essendo i lineamenti essenziali del controllo sulle concentrazioni, si può allora comprendere come i procedimenti in materia possano essere stati concepiti dal legislatore condensando l’attenzione sulla posizione delle imprese che, per il fatto di addivenire alla concentrazione, si devono sottoporre al controllo preventivo dell’Autorità, e come quindi gli stessi procedimenti siano stati strutturati su basi essenzialmente bilaterali. In questo ambito, d’altra parte, l’impresa terza non solo non subirebbe nella sua sfera alcun effetto giuridico in senso proprio in conseguenza dell’esercizio del potere di controllo dell’Autorità, ma la lesione che essa potrebbe allegare sarebbe (come ha ben evidenziato la difesa erariale) solo "indiretta, futura ed eventuale, essendo ricollegabile al fatto che la concentrazione potrebbe accrescere il potere di mercato dell’impresa che si concentra, compromettere la struttura concorrenziale del mercato e, per tale via, solo mediatamente pregiudicare anche la posizione del concorrente".

Si può quindi confermare, per lo meno rispetto ai procedimenti avviati -come questo- dalla debita notificazione delle parti della concentrazione, la conclusione che la tutela del diritto di iniziativa economica e del mercato assicurata dall’Autorità Garante è operata in questa materia su basi solo oggettive, a salvaguardia dell’interesse pubblico generale.

6 La ricorrente, a sostegno della propria legittimazione a ricorrere, ha pure attinto, come si è accennato, alla giurisprudenza comunitaria, formulando all’udienza di discussione un’istanza, in via gradata, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee sul tema.

La parte ha ricordato che, secondo un consolidato orientamento della Corte di Giustizia, un soggetto può pretendere di essere considerato individualmente interessato da un atto del quale non è destinatario solo se l’atto stesso incida su di lui, a causa di sue determinate qualità individuali o di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, con il risultato di renderlo identificabile alla stessa stregua del destinatario. Nell’ambito dello stesso orientamento la Corte ha ripetutamente affermato che tra le particolari circostanze suscettibili di rilevare ai fini anzidetti rientra il coinvolgimento procedimentale dello stesso soggetto, vale a dire il fatto dell’avvenuta partecipazione attiva, da parte sua, al procedimento sfociato nell’atto della cui impugnativa si tratterebbe.

La giurisprudenza comunitaria, dunque, è orientata a qualificare la partecipazione al procedimento come fattore di possibile differenziazione e qualificazione della posizione di un soggetto individuo rispetto alla generalità, nel senso che ai fini della legittimazione ad agire in giudizio la partecipazione procedimentale costituirebbe un fattore concorrente con la considerazione della posizione del competitore sul mercato e con la valorizzazione del pregiudizio da questi subito.

7 Neppure l’angolazione argomentativa in tal modo proposta permette di sottrarre il ricorso alla conclusione della declaratoria di inammissibilità.

7a Il Tribunale deve in primo luogo cercare di puntualizzare il senso ed i limiti propri di un richiamo al diritto comunitario antitrust in una fattispecie come quella che forma oggetto della presente controversia.

Ora, sicuramente non è necessario indugiare sulla peculiarità della posizione ordinamentale ricoperta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale, oltre a vedersi assegnate determinate attribuzioni quale Amministrazione appartenente al diritto nazionale (ex lege n. 287\1990), è chiamata nel contempo anche ad operare in modo istituzionale e sistematico quale organo comunitario ai fini dell’attuazione decentrata delle regole di concorrenza del Trattato UE.

Fino ad un recente passato, come è noto, l’Autorità operava sulla semplice base giuridica costituita dalla legge nazionale n. 287 del 1990, la quale ne identificava le competenze riferendosi espressamente alle sole "intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione … degli articoli 85 e\o 86 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE), dei regolamenti della CEE o di atti comunitari con efficacia normativa equiparata" (art. 1, comma 1°, legge n. 287). Per quanto, quindi, la detta legge nazionale contenesse, nel suo titolo I, delle definizioni delle diverse figure di turbativa della libertà di concorrenza vicine a quelle proprie della disciplina comunitaria, e da interpretare, inoltre, per espresso invito legislativo, in conformità ai principi propri di essa (art. 1, ult. comma, legge n. 287), la medesima legge, proprio per il fatto di subordinare le competenze dell’Autorità al presupposto che le restrizioni della concorrenza da accertare non ricadessero nel campo di applicazione del diritto comunitario, negava, in pratica, all’organo nazionale la possibilità di fare una diretta applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato.

Il quadro appena descritto è mutato, peraltro, con l’avvento della legge n. 52 del 6 febbraio 1996, la quale, con il suo art. 54 ("Cooperazione con la Commissione delle Comunità europee in materia di concorrenza"), ha espressamente disposto che "L’autorità garante della concorrenza e del mercato, in quanto autorità nazionale competente in materia di concorrenza, applica … gli artt. 85, paragrafo 1, ed 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea … ". Ed un decentramento ancora più spinto nell’applicazione dei detti articoli del Trattato è ora imposto dal nuovo regolamento CE n. 1\2003, in linea con la concezione che la Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri formino insieme una rete di autorità preposte all’applicazione delle regole comunitarie di concorrenza in stretta cooperazione tra loro.

Tanto premesso, è importante mettere in evidenza che la fattispecie concreta sulla quale verte il giudizio non ha uno spessore dimensionale tale da farle raggiungere la soglia comunitaria, e pertanto appartiene all’ambito che è proprio del diritto della concorrenza nazionale (si veda sul punto il n. 10 del provvedimento in epigrafe).

Il caso controverso sfugge, quindi, al diritto comunitario della concorrenza, per rientrare nel campo di applicazione della legge n. 287\1990 (art. 1, comma 1, legge cit.).

E’ pur vero che quest’ultima, secondo il disposto del comma 4 del suo art. 1 (sul quale la difesa della ricorrente ha insistito), deve comunque essere interpretata ed applicata con occhio attento al diritto comunitario. Ma in realtà, però, la norma richiamata altro non dice se non che l’interpretazione delle norme del titolo I della stessa legge deve avvenire "in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza".

Con essa, perciò, il legislatore non si è spinto ad imporre una sistematica e totalizzante identità fino al dettaglio tra le normative di settore dei rispettivi livelli. Con il parlare semplicemente di interpretazione "in base ai principi" comunitari (e solo, non va dimenticato, per le norme del titolo I), non è stata posta, cioè, una clausola categorica di adattamento totale ed assoluto del diritto nazionale antitrust a quello comunitario (una sorta di "trasformatore" permanente del diritto comunitario di settore in diritto interno), ma solo un ausilio per l’interpretazione del primo in modo coerente con le linee direttrici del secondo.

In forza di queste considerazioni, dunque, il richiamo alla giurisprudenza comunitaria nella presente vicenda vale solamente nella misura in cui da essa sia enucleabile un "principio" di diritto antitrust europeo, e questo possa giovare all’interpretazione dell’omologo diritto interno ai fini del caso concreto in ossequio al già accennato vincolo di coerenza.

7b Fatta questa puntualizzazione, il Tribunale deve esprimere l’avviso che l’analisi delle decisioni giurisdizionali richiamate dalla ricorrente non si presti a delineare principi utili ai fini del superamento del problema di legittimazione a ricorrere che si agita nel caso concreto.

Non si intende qui revocare in dubbio, naturalmente, il fatto che la giurisprudenza comunitaria inclini ad annettere rilevanza, ai fini della legittimazione all’impugnativa giurisdizionale, anche al dato della partecipazione al procedimento che abbia condotto all’emanazione dell’atto.

Merita di essere chiarito, peraltro, che in questa prospettiva la stessa giurisprudenza non attribuisce valore al mero dato di "fatto che una persona intervenga, in un modo o nell’altro, nel processo che conduce all’adozione di un atto comunitario", dato il quale, viene precisato, "non è tale da contraddistinguere questa persona rispetto all’atto in questione" se non quando "la normativa comunitaria applicabile non le accordi determinate garanzie procedurali" (Tribunale UE, 3 maggio 2002, causa T – 177\01, Jégo-Quéré et Cie SA, punto 35, dove si indica quale precedente conforme la decisione dello stesso Organo 17 gennaio 2002, causa T – 47\00, Rica Foods\Commissione, punto 55; in senso analogo v. anche la sentenza del 5 giugno 1996, causa T – 398\94, Kahn Scheppvaart BV c\ Commissione, punto 42).

Se un principio, dunque, emerge (naturalmente, con la consistenza di cui un "principio" necessita) dalla giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, si può qui già anticipare che esso è quello della legittimazione essenzialmente delle imprese denuncianti\reclamanti avverso infrazioni altrui -imprese che, appunto, nella loro veste, sono assistite da precise "garanzie procedurali", posizione che la SFIR non riveste.

A partire dalla decisione Metro SB\Commissione del 25\10\1977 (causa C – 26\76), infatti, la Corte di Giustizia, adita in quel caso da un’impresa autrice di un reclamo per un’ipotesi di violazione degli artt. 85 ed 86 che la Commissione aveva respinto, ha insegnato che "Nell’interesse di una sana amministrazione della giustizia e di una corretta applicazione degli artt. 85 e 86, è opportuno che le persone fisiche o giuridiche che in forza dell’art. 3, N. 2, lett. b), del regolamento n. 17, hanno facoltà di adire la Commissione per far rilevare le infrazioni dei suddetti artt. 85 e 86, siano legittimate, se la loro domanda viene respinta, totalmente o parzialmente, ad esperire un’azione a tutela dei loro legittimi interessi" (sentenza ult. cit., punto 13; cfr. anche, in senso analogo, Tribunale UE, 30 gennaio 2002, causa T – 54\99, punto 56).

La Corte da allora ha poi "ripetutamente affermato che, nei casi in cui un regolamento offre alle imprese reclamanti garanzie procedurali che consentano loro di chiedere alla Commissione di accertare un’infrazione delle norme comunitarie, dette imprese devono disporre di un’azione a tutela dei loro interessi legittimi" (sentenza del 28\01\1986, causa C – 169\84, Cofaz c\Commissione, punto 23, ed ulteriori citazioni ivi).

Analoga linea interpretativa è stata seguita dallo stesso Giudice con la sentenza Timex Corporation del 20 marzo 1985 (causa 264\82), facendo riferimento alle "garanzie procedurali" attribuite ai denunzianti, in quel settore (difesa dalle importazioni oggetto di dumping), dal regolamento n. 3017\79: in tal caso è stata riconosciuta la legittimazione della ricorrente, le cui censure erano all’origine della denuncia che aveva fatto avviare l’inchiesta, a sottoporre alla Corte "tutte le considerazioni che consentano di controllare se la Commissione abbia rispettato le garanzie procedurali attribuite ai denunzianti dal regolamento n. 3017\79 …".

Un’ulteriore indicazione sulla portata delle "garanzie procedurali" influenti ai fini indicati si trae dalle sentenze della Corte 19 maggio 1993 (causa C – 198\91, Cook, punti 22 e 23) e 2 aprile 1998 (causa C – 367\95, Commissione c\ Sytraval) in tema di aiuti di Stato, le quali hanno assegnato rilevanza alla disposizione del Trattato (l’art. 93 par. 2 della vecchia numerazione) che pone a carico della Commissione l’obbligo di invitare gli interessati a presentare le loro osservazioni. Nella relativa possibilità di gravame giurisdizionale, accordata in materia anche alle imprese concorrenti, è stata ravvisata proprio la funzione di assicurare il rispetto delle "garanzie procedurali" appena dette (sentenza Tribunale UE del 5 giugno 1996, Kahn Scheppvaart, cit., punto 49).

La giurisprudenza comunitaria, nel verificare la legittimazione del concorrente all’impugnativa, ha altresì attribuito importanza alla circostanza che delle dette "garanzie procedurali" il singolo si fosse in concreto avvalso. La stessa ha ammesso, infatti, la possibilità di verificare la parte avuta dall’impresa nel procedimento precontenzioso, accertando non solo se questa fosse all’origine del reclamo che aveva dato luogo alle indagini, ma anche se si fosse resa autrice di osservazioni che erano state effettivamente valutate e che avevano "ampiamente determinato" lo svolgimento del procedimento. E queste circostanze, in concorso con le "garanzie procedurali" più volte dette, sono state assunte come indici dell’esistenza di una incisione diretta ed individuale della sua sfera giuridica da parte della decisione della Commissione (Corte di Giustizia, Cofaz cit., punto 24).

7c Secondo quanto emerso, la giurisprudenza comunitaria richiamata individua una "garanzia procedurale" (referente primario, come si è visto, della susseguente legittimazione processuale) nelle posizioni delle imprese cui una norma offra la facoltà di reclamare innanzi alla Commissione affinchè questa accerti un’infrazione delle norme comunitarie, o quantomeno riconosca una loro facoltà partecipativa correlandola ad un obbligo della Commissione di invitarle a presentare delle osservazioni.

Nessuna delle indicazioni giurisprudenziali invocate dalla SFIR attesta, per contro, né autorizza a pensare, che una "garanzia procedurale" possa essere rinvenuta anche in una posizione defilata come quella fatta dalla normativa procedimentale nazionale alle imprese terze rispetto ad una concentrazione ritualmente notificata, la quale fa perno, come si è visto, su una mera facoltà di intervento spontaneo nel procedimento, da compiersi per giunta nell’angusto termine di dieci giorni assegnato dall’art. 16 c. 1 del d.P.R. n. 217\1998. Una posizione siffatta non appare accostabile a quelle che si sono viste valorizzate dai menzionati precedenti della giurisprudenza comunitaria, i quali, del resto, non risultano avere avuto riguardo a terzi concorrenti pregiudicati da operazioni di concentrazione (per le quali neppure la normativa comunitaria, con l’art. 18 comma 4 del regolamento CEE n. 4064\89 del 21\12\1989, contempla uno standard di reali garanzie).

Va debitamente evidenziato, invero, il fatto che tra i pur numerosi precedenti addotti dalla ricorrente a sostegno della rivendicata legittimazione soltanto uno risulta attinente alla materia delle concentrazioni (si tratta della decisione della Corte di Giustizia del 31 marzo 1998, cause riunite C – 68\94 e C – 30\95, richiamata con l’istanza versata all’udienza pubblica): e soprattutto deve essere rimarcato il punto che tale arresto, vertendo su una situazione profondamente diversa e, anzi, diametralmente opposta a quella facente capo alla SFIR, non può giovarle. La detta pronuncia ha riconosciuto, sì, l’ammissibilità del ricorso proposto da una coppia di imprese terze rispetto ad una concentrazione, ma queste, ben diversamente dalla SFIR (che, come si è visto, avversa l’autorizzazione data ad un’operazione del genere lamentandone l’effetto anticompetitivo), impugnavano nient’altro che le condizioni apposte alla dichiarazione di compatibilità di una concentrazione con il mercato comune, reagendo così alla specifica lesività cagionata dai relativi impegni con l’incidere sulle loro sfere giuridiche, mentre lasciavano immune da censure di sorta la concentrazione stessa (cfr. i punti nn. 251- 254 della sentenza). Nella relativa e peculiare vicenda la Commissione aveva ritenuto che la concentrazione avrebbe determinato la creazione di un duopolio capace di dominare il mercato tra le parti dell’operazione, da un lato, e la coppia delle future ricorrenti, dall’altro: di qui una decisione favorevole alla concentrazione a condizione, però, che venissero subito recisi i legami tra le due parti del duopolio, e quindi con l’impegno delle concentranti a porre termine ai rapporti giuridici di collaborazione in corso con i "terzi" allora futuri ricorrenti (segnatamente, ad uscire da una società di cartello da tutti loro partecipata, e a porre termine ad un analogo rapporto di fornitura: punti 13 e 15).

7d Al cospetto dell’esposto panorama giurisprudenziale non sembra perciò possibile condividere l’assunto della ricorrente secondo il quale il riconoscimento della legittimazione all’impugnativa giurisdizionale in casi come il suo, non suffragati da puntuali precedenti, integrerebbe addirittura uno dei "principi dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza", evocati dall’art. 1 della legge n. 287\1990.

E vieppiù arduo sarebbe, infine, immaginare di ribaltare in nome di tale presunto "principio" l’interpretazione delle norme del diritto nazionale che si occupano della materia delle concentrazioni, le quali, come si è visto (al n. 5b), oggettivamente non si prestano ad essere considerate alla stregua di norme di qualificazione degli interessi facenti capo ai terzi concorrenti.

Anche in ragione della discrezionalità di cui dispone in proposito ai sensi dell’art. 234 del Trattato in qualità di giudice di prime cure, pertanto, il Tribunale non ritiene che la presente controversia offra spazio per sollevare la pregiudiziale comunitaria proposta dalla ricorrente mediante l’istanza depositata all’udienza di discussione.

8 Per le ragioni esposte, in conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Si rinvengono ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

La presente decisione sarà eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 26\2 e del 3\3\2003.

Il Presidente

L'estensore

Depositata in segreteria in data 5 maggio 2003.

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