TAR LAZIO, SEZ. I BIS – Sentenza 19 giugno 2002 n. 5596 - Pres. Mastrocola, Est. Morabito - Muscatello (Avv. U. Sgueglia) c. Ministero della Difesa (Avv.ra generale Stato) - (accoglie).
1. Pubblico impiego - Infermità e lesioni - Equo indennizzo - Per infarto al miocardio - Diniego - Riferimento al fatto che il dipendente non rivestiva qualifica apicale - Illegittimità.
2. Pubblico impiego - Infermità e lesioni - Equo indennizzo - Diniego - Dimostrazione che l’infermità è effettivamente indipendente dall’attività lavorativa - Necessità - Sussiste.
3. Pubblico impiego - Infermità e lesioni - Equo indennizzo - Riconoscimento - Nesso di causalità tra prestazione del servizio e infermità - Dimostrazione - Non occorre in termini di certezza ma di apprezzabile grado di probabilità.
4. Giustizia amministrativa - Ricorso gerarchico - Decisione - Nel caso di rigetto - Non si sostituisce al provvedimento impugnato.
5. Giustizia amministrativa - Ricorso gerarchico - Decisione - Suo annullamento in sede giurisdizionale - Effetti - Travolgono anche la caducazione del provvedimento impugnato in sede gerarchica - Obbligo dell’Amministrazione di rinnovare il procedimento - Sussiste.
1. E’ illegittimo il diniego di concessione dell'equo indennizzo per una infermità (nella specie il dipendente era affetto da una malattia cardiaca, a seguito della quale era deceduto per "arresto cardiaco da infarto miocardico antero inferiore") espresso sulla base di un parere del C.p.p.o. che ha escluso ogni efficienza concausale all’attività lavorativa resa dal dipendente, in considerazione della qualifica non apicale da questi rivestita; tale criterio deduttivo – secondo il quale lo stress lavorativo sarebbe ricollegabile solo alla titolarità di gravi responsabilità decisionali finisce per sottovalutare e non tenere conto della rilevanza che, nel determinismo che ha indotto all’infermità, possono avere spesso le circostanze di fatto in cui l’attività lavorativa si è svolta (es. pendolarismo, fattori ambientali legati all’ufficio in cui viene espletata la prestazione, continuità, gravosità e particolare impegnatività della stessa legate a elementi di fatto peculiari, ecc.).
2. Il rapporto di causa-effetto tra lavoro e infermità può essere negato solo se si dimostra dettagliatamente che lo sviluppo della malattia è effettivamente indipendente dall’attività lavorativa, non potendosi, in linea di principio, escludere l’incidenza di fattori esterni, ovvero concause capaci di concorrere all’insorgenza della patologia, anche in caso di infermità di natura endocostituzionale e degenerativa.
3. In sede di riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio, non è necessario che risulti assolutamente certo il nesso di causalità tra prestazione del servizio e infermità, essendo sufficiente che tale nesso sia desumibile con apprezzabile grado di probabilità (2).
4. In sede di decisione del ricorso gerarchico, il potere di riesame, da parte dell’autorità sovraordinata, dell’atto impugnato tende a fini giustiziali e dunque la decisione gerarchica, in caso di reiezione del gravame, non si sostituisce al provvedimento impugnato, ma si limita a riconoscere insussistenti i vizi denunciati col ricorso; pertanto, la decisione di rigetto ha l’effetto di confermare la validità del provvedimento di amministrazione attiva dopo averne valutata la conformità alle norme, giuridiche o di merito, la cui violazione è stata posta a fondamento dell’atto di impugnazione.
5. L’annullamento in sede giurisdizionale della decisione gerarchica, per vizi non propri (es. incompetenza), ma per vizi legati al provvedimento di base importa la caducazione anche di quest’ultimo provvedimento, con il conseguente obbligo per l’amministrazione di rinnovare il relativo procedimento.
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(1) Come risulta dal testo della sentenza in rassegna, nella specie il C.p.p.o. (e la concorde C.m.l.), si erano limitati ad affermare che le mansioni svolte dal dipendente (nella specie, connesse alla posizione di Coadiutore presso l’UITS), deceduto a causa di "arresto cardiaco da infarto miocardico antero inferiore", non potevano importare, per loro natura, un carico stressogeno tale da contribuire al danno ischemico che, dunque, doveva ritenersi legato esclusivamente a fattori costituzionali. Avevano quindi attribuito l’infermità a fattori costituzionali del dipendente.
Occorreva invece, secondo il T.A.R. Lazio una motivazione più diffusa da parte dell’amministrazione, non potendo la stessa sottrarsi dal chiarire, sul piano scientifico, anche mediante l’eventuale ausilio di integrazione documentale sulle obiettive condizioni e circostanze inerenti la situazione lavorativa del dipendente, quali fossero gli elementi da cui ha tratto la conclusione che la malattia era attribuibile unicamente a fattori costituzionali del soggetto interessato e perché nel caso di specie era da escludere una interazione di cause genetiche con gli specifici fattori di servizio che avevano contraddistinto la prestazione del dipendente e la preponderanza delle prime cause nel determinismo dell’infermità che ha condotto al decesso l’impiegato.
(2) V. nello stesso senso Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 1999, n. 159, in Foro amm. 1999, 392 ed in Il Cons. Stato 1999, I, 259.
Sulla sindacabilità in s.g. della discrezionalità tecnica v. in questa Rivista Internet:
G. SAPORITO, Discrezionalità tecnica e buona amministrazione.
ID., Consulenze tecniche e discrezionalità.
L. IEVA, Valutazioni tecniche e decisioni amministrative.
V. VITIELLO, A proposito della discrezionalità dell’amministrazione,
FATTO
La ricorrente, vedova dell’ex coadiutore Fiorello Pollara, già in servizio presso l’U.I.T.S. (ente vigilato dall’amministrazione della Difesa), in esito al decesso del coniuge, avvenuto in costanza d’impiego, ed al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di tale evento (verbale C.m.o. di Roma dell’8.10.1987), ebbe a chiedere la corresponsione di equo indennizzo ai sensi della vigente normativa.
L’istanza de qua venne respinta con d.d. del 1991 sulla base del concorde parere del C.p.p.o. e della C.m.l. che esclusero che l’attività lavorativa condotta dal de cuius potesse importare un carico stressogeno tale da incidere, quale efficiente concausa, nel determinismo dell’evento mortale.
Il diniego in questione venne impugnato in via amministrativa con ricorso gerarchico, anch’esso respinto col provvedimento in epigrafe indicato previo ulteriore parere del C.m.l. che ha confermato le conclusioni raggiunte in prime cure.
Con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio la vedova Pollara rivendica la pretesa indennitaria esibendo documentazione degli ex superiori del coniuge attestante lo zelo, l’efficienza e la non comune dedizione con cui assolveva all’impiego, in mansioni superiori a quelle inrente il suo profilo professionale.
Analoghe conclusioni vengono ribadite in memoria conclusionale depositata il 10.2.2000.
La difesa erariale si è costituita, nell’interesse dell’amministrazione della Difesa, depositando mero atto di stile senza allegare memoria o nota difensiva alcuna.
All’udienza del 27.5.2002 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
DIRITTO
La vedova Pollara contesta, con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio, la legittimità dei provvedimenti di reiezione dell’istanza di equo indennizzo da essa presentata di seguito al riconoscimento della natura professionale (id est: dipendente da causa di servizio) dell’infermità "arresto cardiaco da infarto miocardico antero inferiore".
Il Collegio concorda con la tesi prospettata in gravame che ritiene meritevole di accoglimento.
Infatti l’iter logico che ha indotto il C.p.p.o. ad escludere ogni efficienza concausale all’attività lavorativa resa dal dipendente, riposa, di fatto, nella qualifica da questi rivestita (coadiutore) cui non si correlano mansioni idonee a produrre stress emozionali di livello tale da scatenare una simtomatologia stenocardica.
Tale criterio deduttivo – secondo il quale lo stress lavorativo sarebbe ricollegabile solo alla titolarità di gravi responsabilità decisionali – non trova concorde il Collegio in quanto sottovaluta, se non esclude, la rilevanza che nel determinismo che ha indotto all’infermità possono avere speso le circostanze di fatto in cui l’attività lavorativa (di dipendente non rivestente posizione apicale o dirigenziale) si è svolta (es. pendolarismo, fattori ambientali legati all’ufficio in cui viene espletata la prestazione, continuità, gravosità e particolare impegnatività della stessa legate a elementi di fatto peculiari, ecc…).
Altrimenti detto il rapporto di causa-effetto tra lavoro e infermità può essere negato solo se si dimostra dettagliatamente che lo sviluppo della malattia è effettivamente indipendente dall’attività lavorativa, non potendosi, in linea di principio, escludere l’incidenza di fattori esterni, ovvero concause capaci di concorrere all’insorgenza della patologia, anche in caso di infermità di natura endocostituzionale e degenerativa. Ed è appena il caso di ricordare , a tal proposito, che in sede di riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio, non è necessario che risulti assolutamente certo il nesso di causalità tra prestazione del servizio e infermità, essendo sufficiente che tale nesso sia desumibile con apprezzabile grado di probabilità (Cons. St., Sez. VI, n. 159 del 17 febbraio 1999).
I principi dianzi esposti non hanno trovato applicazione nel caso di specie, essendosi il C.p.po. ( e la concorde C.m.l.), limitato ad escludere che le mansioni connesse alla posizione di Coadiutore presso l’UITS non possono importare, per loro natura, un carico stressogeno tale da contribuire al danno ischemico che, dunque, deve ritenersi legato esclusivamente a fattori costituzionali.
Si tratta all’evidenza di una motivazione inesauriente che nessun riferimento opera alle attestazioni offerte dall’Amministrazione di appartenenza del dipendente nelle quali si evidenzia che costui, univa al carico di lavoro derivante dalla propria funzione di Capo dell’Ufficio contabilità, l’ulteriore carico inerente al disbrigo di mansioni superiori alla qualifica posseduta; mansioni protrattesi nel tempo a causa della mancanza dei relativi titolari e disimpegnate non episodicamente anche oltre il normale orario d’ufficio, trascurando la cura di personali indisposizioni o riprendendo servizio prima della data suggerita dal medico curante. Tutte le relazioni dell’amministrazione, unite in atti dalla ricorrente, si soffermano poi sulla automatizzazione delle procedure di contabilità realizzata presso l’Ente, col significativo contributo del Pollara, durante gli ultimi dodici mesi di vita dello stesso.
La particolarità del caso richiedeva pertanto una motivazione più diffusa da parte dell’amministrazione, non potendo la stessa sottrarsi dal chiarire, sul piano scientifico, anche mediante l’eventuale ausilio di integrazione documentale da parte dell’UITS sulle obiettive condizioni e circostanze inerenti la situazione lavorativa del dipendente, quali fossero gli elementi da cui ha tratto la conclusione che la malattia era attribuibile unicamente a fattori costituzionali del soggetto interessato e perché nel caso di specie era da escludere una interazione di cause genetiche con gli specifici fattori di servizio che avevano contraddistinto la prestazione del dipendente e la preponderanza delle prime cause nel determinismo dell’infermità che ha condotto a morte l’impiegato.
Essa invece si è limitata a supportare il proprio giudizio con la preesistenza di fattori (costituzionali) di rischio e con il mancato riscontro di responsabilità dirigenziali; conclusione questa che in fattispecie in cui sia documentata l’attività continuativa particolarmente stressante del dipendente (anche non avente qualifica apicale) costituisce affermazione di criterio tecnico inadeguato a fondare il giudizio di esclusione della dipendenza da causa di servizio dell’infarto miocardico (cfr., in tal senso, Cons.St., IV^, n.601 del 1999).
Le considerazioni svolte portano alla conclusione che l’atto impugnato sia da ritenere inficiato dai dedotti vizi di istruttoria e motivazione carenti, per cui il ricorso proposto merita di essere accolto.
Soluzione questa che impone all’Amministrazione di provvedere al rinnovo del procedimento, sulla base delle argomentazioni sopra evidenziate e fermo restando che la natura particolarmente stressante ed impegnativa dell’attività svolta dal dipendente non può desumersi solamente da dichiarazioni ricognitive e postume rese da funzionari dell’UITS ma deve trarsi, con sostanziale prevalenza, da riscontri documentali obiettivi (es. straordinari effettuati dal dipendente, prospetto ferie godute, certificazioni mediche di convalescenza che autorizzavano il rientro in ufficio dopo la data in cui lo stesso si è effettivamente verificato, qualifiche carenti nella dotazione organica dell’Ente le cui mansioni sono state assicurate dal dipendente….ecc.).
Una ulteriore notazione è necessaria.
In sede di decisione del ricorso gerarchico, il potere di riesame, da parte dell’autorità sovraordinata, dell’atto impugnato tende a fini giustiziali e dunque la decisione gerarchica, in caso di reiezione del gravame, non si sostituisce al provvedimento impugnato, ma si limita a riconoscere insussistenti i vizi denunciati col ricorso; pertanto la decisione di rigetto ha l’effetto di confermare la validità del provvedimento di amministrazione attiva dopo averne valutata la conformità alle norme, giuridiche o di merito, la cui violazione è stata posta a fondamento dell’atto di impugnazione. Consegue a tanto, per giurisprudenza consolidata:
1) che gli effetti dispositivi veri e propri – quelli cioè connessi alla gestione concreta dei pubblici interessi inclusi nell’area di esercizio del potere amministrativo – vanno pur sempre collegati al primo provvedimento una volta che di questo risulti confermata la validità in sede di riesame su ricorso gerarchico;
2) che l’annullamento della decisione gerarchica, per vizi non propri ( es. incompetenza) ma per vizi legati al provvedimento di base (come nel caso di specie), importa la caducazione anche di quest’ultimo provvedimento.
Applicando tali pacifici principi alla controversia in esame, ne segue che l’annullamento della decisione gerarchica si estende, ex se, anche al provvedimento di base, e cioè all’atto del 25.1.1991, di diniego della pretesa indennitaria ed importa la rinnovazione del procedimento secondo le normae agendi sopra indicate.
Possono compensarsi tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti di diniego dell’equo indennizzo impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. I^ bis, nella Camera di Consiglio del 27.5.2002,con l’intervento sei sigg.ri Giudici:
Dott. Cesare Mastrocola - Presidente
Dott. Bruno R. POlito - Consigliere
Dott. Pietro Morabito - Giudice rel. ed est.
Depositata in data 19 giugno 2002.