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Giurisprudenza
n. 7/8-2001 - © copyright.  N.b.: in calce al presente documento sono riportati i testi delle sentenze dello stesso TAR Lazio, Sez. II, di contenuto analogo, depositate sempre il 25 agosto 2001,  riguardanti il Comune di Roma (sent. 7024/2001) e la Regione Lazio (sent. 7105/2001).

TAR LAZIO, SEZ. II - Sentenza 25 agosto 2001 n. 7025 - Pres. Marzano, Est. Politi - Telecom Italia Mobile - TIM S.p.a. (Avv.ti Francesco Braschi e Carlo Celani) c. Comune di Viterbo (Avv. Filippo Lubrano), Regione Lazio (Avv.ti Aldo Rivela ed Elisa Caprio) e Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Generale dello Stato).

1. Ambiente - Inquinamento - Derivante da onde elettromagnetiche - Poteri dei Comuni in materia - Riguardano solo l’attività di vigilanza e/o di attuazione - Possibilità di fissare, con norme regolamentari difformi rispetto a quelle statali, limiti alla emissione di onde elettromagnetiche o distanze minime che le stazioni radio base per telefonia cellulare debbono osservare - Impossibilità - Ragioni.

2. Ambiente - Inquinamento - Derivante da onde elettromagnetiche - Poteri dei Comuni in materia -Disciplina autonoma fissata con disposizioni regolamentari - Presupposti - Acquisizione di riscontrabili ed oggettivi elementi di valutazione - Necessità - Mancanza - Illegittimità.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - A seguito dell’annullamento di un atto amministrativo - Presupposti - Dimostrazione del pregiudizio subìto e del nesso di causalità - Necessità - Mancanza - Inammissibilità della domanda.

1. La fissazione di limiti di emissione di onde elettromagnetiche o l'individuazione di una distanza minima delle stazioni radio base (SRB) da particolari tipologie di insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinate a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento (o, comunque, di pregiudizio), non costituiscono attribuzioni che l'Amministrazione comunale può legittimamente esercitare, dato che, nell’attuale quadro normativo, ai Comuni spetta in materia solo l'esercizio di compiti di vigilanza e/o di attuazione che, con ogni evidenza, non involgono la titolarità di un'autonoma funzione decisoria (1).

L'unitarietà della tutela del bene-salute, invero, giustifica la persistenza di una concentrata attribuzione statale in materia di inquinamento derivante da emissioni elettromagnetiche, venendo, altrimenti, in considerazione una variegata disciplina che, lungi dall'armonizzare su tutto il territorio nazionale i parametri fondamentali di tutela dei cittadini, verrebbe ad atteggiarsi con carattere di intuibile disarmonia, in evidente contrasto con i postulati costituzionali di cui agli artt. 3 e 32 della Costituzione.

2. In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui si ritenga che l’Autorità comunale possa fissare una disciplina autonoma in materia di inquinamento derivate da onde elettromagnetiche, il potere esercitato dall’Autorità comunale stessa, per essere legittimo, deve essere necessariamente esercitato in presenza della (preventiva) acquisizione di riscontrabili ed oggettivi elementi di valutazione alla stregua dei quali una diversa disciplina della materia si dimostrasse (non solo necessaria, ma anche meramente) opportuna (2).

3. La domanda di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi deve essere accompagnata dalla dimostrazione dell'effettivo pregiudizio patrimoniale e del necessario nesso eziologico con i provvedimenti dei quali si assuma l'illegittimità (3), dovendosi ritenere inammissibile una domanda di risarcimento formulata in modo del tutto generico e senza alcuna concreta dimostrazione degli elementi probatori a fondamento della pretesa fatta valere (4).

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(1) Alla stregua del principio, nella specie, il T.A.R. del Lazio ha annullato una deliberazione consiliare la quale l'Amministrazione comunale di Viterbo aveva adottato nuove disposizioni in tema di rilascio di autorizzazioni e concessioni relative all'installazione di impianti radiotelefonici o di telecomunicazione nonchè il provvedimento con il quale, in applicazione delle medesime disposizioni, era stato negato il rilascio di un'autorizzazione richiesta per l'installazione di una Stazione Radio Base (SRB) per telefonia radiomobile alla società TIM S.p.A.

Nella motivazione della sentenza vengono richiamati a sostegno della tesi propugnata alcuni recenti orientamenti della giurisprudenza (segnatamente in sede cautelare, atteso che - in considerazione della novità del thema decidendum - non è allo stato dato rinvenire un consistente novero di pronunzie di merito) ed in particolare gli orientamenti espressi:

a) dal Consiglio di Stato (sez. VI, ord.za n. 865 del 6 febbraio 2001), secondo cui "non spetta ai Comuni la disciplina dell'installazione degli impianti di radiocomunicazione sotto il profilo della compatibilità con la salute umana (di competenza dello Stato ed anche delle Regioni e delle Province autonome)" ai sensi del III comma dell'art. 4 del D.I. 381/98.

b) dal T.A.R. Marche (con ord.za n. 205 del 19 aprile 2001) e dal T.A.R. Toscana (sent. n. 412 dell'8 marzo 2001), secondo cui "in materia di rilascio di concessioni edilizie per l'installazione di impianti di telefonia mobile, l'attività del Comune deve … limitarsi alla verifica dei profili urbanistici e all'accertamento del rispetto delle soglie di emissioni prescritte dal D.M. n. 381/98".

c) T.A.R. Marche (con sent. 913 del 23 giugno 2000), secondo cui " il decreto interministeriale n. 381/98, allorché definisce i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici generati dagli impianti fissi di telecomunicazione …, demanda … alle Regioni, non al Comune, il compito di emanare la disciplina relativa alla loro installazione e modifica, … allo scopo di garantire il rispetto dei valori limite prefissati, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità e le attività di controllo e vigilanza".

(2) In applicazione del principio nella specie il TAR Lazio ha rilevato che l'assunzione della deliberazione impugnata "avrebbe dovuto essere necessariamente preceduta dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori, per effetto dei quali venisse ad emersione, sulla base di condotte valutazioni di carattere tecnico-scientifico, l'esigenza di approntare interventi cautelativi per la pubblica salute aventi carattere di integrazione e/o sostituzione rispetto alle misure fissate a livello nazionale. Altrimenti, l'esercizio del potere sostanziatosi nell'adozione dell'atto gravato viene a dimostrarsi privo di attendibili (o, quanto meno, dimostrabili) referenti di fatto".

Ha osservato in proposito il TAR Lazio che, anche laddove si è ritenuto non esclusa l'esercitabilità, ad opera dei Comuni, del potere urbanistico ed edilizio che si traduca - anche con riferimento ed esigenze di cautela sanitaria - nell'individuazione di distanze determinate per la realizzazione di impianti radio base di telefonia mobile rispetto ad ambienti abitativi, nondimeno è stata ribadita l'esigenza di verificare "sul piano sostanziale la ragionevolezza della misura e l'adeguatezza della motivazione, dell'istruttoria e della previa verifica del fondamento fattuale" (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 19 aprile 2001 n. 1738).

(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 gennaio 2000 n. 244.

(4) Cfr. T.A.R, Lazio, sez. I-ter, 17 gennaio 2001 n. 252.

Con la sentenza in rassegna è stato riassuntivamente precisato che le coordinate "minime" identificative dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria vanno individuate:

a) nella presenza di un pregiudizio suscettibile di ristoro;

b) nella derivazione causale del danno da un atto, ovvero da una condotta riferibile alla Pubblica Amministrazione;

c) nonché nella ascrivibilità, sotto il profilo eziolologico, del danno stesso ad un comportamento almeno colposo osservato dalla Pubblica Autorità.

Tali elementi di ammissibilità della domanda debbono necessariamente formare oggetto di compiuta dimostrazione ad opera della parte che intenda far valere in giudizio la pretesa stessa, non potendosi invece ritenere che il Giudice amministrativo possa, in difetto dell'offerta del benché minimo riscontro dimostrativo a conforto della sussistenza e consistenza di un pregiudizio asseritamente sentito, "supplire" all'omessa ostensione del necessario fondamento probatorio della pretesa risarcitoria a mezzo dell'esercizio di poteri istruttori e/o cognitori.

In applicazione del principio nella specie il TAR Lazio ha dichiarato la inammissibilità della domanda di risarcimento del danno avanzata dalla società ricorrente, in quanto sfornita della benché minima prova.

Il testo della sentenza in rassegna è riportato in calce al presente documento, subito dopo la nota di commento dell'Avv. LAIS; clicca qui per consultarlo.

 

TAR LAZIO, SEZ. II - Sentenza 25 agosto 2001 n. 7015 - Pres. Marzano, Est. Politi - Telecom Italia Mobile - TIM S.p.a. (Avv.ti Giuseppe De Vergottini e Mario Sanino) c. Regione Lazio (Avv. Aldo Rivela) e Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Generale dello Stato).

Ambiente - Inquinamento - Derivante da onde elettromagnetiche - Poteri delle Regioni in materia - Possibilità di fissare, con norme difformi rispetto a quelle statali, limiti alla emissione di onde elettromagnetiche o distanze minime che le stazioni radio base (SRB) debbono osservare - Impossibilità - Ragioni.

La fissazione di limiti di emissione di onde elettromagnetiche o l'individuazione di una distanza minima delle stazioni radio base (SRB) da particolari tipologie di insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinate a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento (o, comunque, di pregiudizio), non costituiscono attribuzioni che l'Amministrazione regionale possono autonomamente esercitare se non all'interno del quadro di riferimento statale, del quale va ribadita la vincolatività quanto al rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità ivi disciplinati (1).

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(1) Il testo della sentenza in rassegna è riportato in calce al presente documento; clicca qui per consultarlo.

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Commento di

NICOLA LAIS (Avvocato del Foro di Roma)

Con le due sentenza in rassegna nn. 7025 e 7015 (e con le analoghe sentenze della stessa Sezione nn. 7020, 7022, 7023, 7024 e 7026 depositate sempre in data 25 agosto 2001, il cui testo è riportato dopo la motivazione della sentenza n. 7025) il T.A.R. Lazio, Sez. II, ha praticamente azzerato la disciplina dell'installazione delle stazioni radio base per telefonia mobile nella Regione Lazio, annullando le delibere del Comune di Viterbo n. 10/00 e 116/00,  il Regolamento Regionale n. 1/01, la delibera di Giunta Regionale n. 1138/00 nonchè la delibera del Comune di Roma n. 211/00.

Il T.A.R. Lazio, dopo aver compiuto una dettagliata ricognizione del panorama normativo di riferimento, usando quali referenti ermeneutici gli artt. 3 e 32 della Costituzione, ha affermato che la disciplina dell'installazione delle stazioni radio base per telefonia mobile sotto il profilo della tutela sanitaria delle popolazioni dalle emissioni elettromagnetiche deve ritenersi preclusa all'autorità regionale ed a quella comunale in quanto queste difettano di competenza nelle materie di cui sopra.

Secondo i giudici della II sezione del Tar Lazio, difatti, il quadro normativo di riferimento (la legge 15 marzo 1997, n. 59; il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112; la legge 31 luglio 1997, n. 249; il D.M. 10 settembre 1998, n. 381; la legge 22 febbraio 2001, n. 36) evidenzia chiaramente che rientra nella competenza dello Stato la fissazione dei limiti di esposizione, la determinazione dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità e ciò anche e soprattutto per l'esigenza di fissare, su tutto il territorio nazionale, principi e criteri unitari e normative omogenee che assicurino la tutela della salute della popolazione dagli effetti dell'esposizione a determinati livelli di campi elettromagnetici (cfr. art. 1, comma 1, lett. a) e art. 4, comma 1, lett. a) della legge n. 36/01).

Allo stesso modo deve ritenersi preclusa alle amministrazioni comunali la possibilità di prescrivere distanze minime delle stazioni radio base dai cd. edifici "sensibili" quali ospedali, scuole, case di cura, lì dove tale previsione sia giustificata dalla necessità di garantire la tutela della pubblica salute da fonti di inquinamento.

Alle Regioni ed ai Comuni, quindi, sempre secondo il T.A.R. adito, spetterebbero dei compiti di carattere attuativo, esecutivo, di controllo e di vigilanza, senza possibilità alcuna di derogare a tali competenze, anche nel caso in cui lo Stato non abbia ancora provveduto a disciplinare la materia delle emissioni elettromagnetiche.

Le sentenze in questione, se hanno l'indiscutibile pregio di affermare chiaramente un principio troppe volte calpestato dalle Regioni e dalle amministrazioni comunali, e cioè quello che è lo Stato l'unico soggetto competente a regolamentare su tutto il territorio nazionale i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, sembrano però andare troppo oltre quando ritengono di attribuire alle amministrazioni comunali solo "compiti di vigilanza e/o di attuazione che ... non involgono la titolarità di un'autonoma funzione decisoria".

L'art. 8, comma 6, della legge n. 36/01, difatti, nel prevedere espressamente che "i Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici" apre una strada ai comuni per disciplinare, sia pure a livello urbanistico, l'installazione delle stazioni radio base e, facendo riferimento alla necessità di "minimizzare l'esposizione" (definizione questa ambigua e che potrebbe far pensare anche ad aspetti di natura sanitaria), conferisce agli stessi un'ampia ed automa funzione decisoria che comunque non potrà prescindere da un confronto con i Gestori di telefonia per contemperare i vari interessi in gioco; solo una corretta lettura del termine "minimizzare" (che dovrà essere compiuta alla luce degli artt. 3 e 32 Cost.) potrà evitare di ricominciare l'eterna querelle tra Comuni e Gestori circa l'installazione degli impianti per la telefonia mobile.

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Per ulteriori riferimenti si fa rinvio all'apposita pagina nella sezione degli approfondimenti.

 

 

Motivazione della sentenza n. 7025 riguardante il Comune di Viterbo.

(omissis)

per l'annullamento

I) RICORSO N. 6191/00:

della delibera del Consiglio Comunale di Viterbo n. 10 del 25 gennaio 2000, recante la disciplina per l'installazione di SRB per telefonia cellulare;

nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale

II) RICORSO N. 9989/00:

della determinazione dirigenziale del 30 maggio 2000 con la quale è stato negato alla TIM il rilascio di un'autorizzazione di una Stazione Radio Base pe rtelefonia radiomobile in località "Cappuccini";

nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compreso il parere reso dalla Commissione zone A n. 72 del 3 maggio 2000, il regolamento edilizio comunale, il regolamento approvato con deliberazione C.C. n. 190/94 e successive modifiche, la deliberazione di C.C. n. 96/99

III) RICORSO N. 12047/00:

della nota del Settore Edilizia Pubblica e Privata del 19 maggio 2000, con cui la TIM è stata diffidata ad adeguare i propri impianti entro 90 giorni secondo quanto stabilito dalla delibera del Consiglio comunale di Viterbo n. 10/2000;

nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compresa la stessa delibera n. 10/2000.

IV) RICORSO N. 18188/00:

della deliberazione del Consiglio Comunale n. 116 del 29 giugno 2000;

della delibera del Consiglio Comunale n. 10 del 25 gennaio 2000;

nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compresa la delibera della Giunta Regionale 1138/2000, nonché, per quanto di ragione, del D.M. 381/98, artt. 4, comma III e 5, comma I e della delibera del Consiglio Comunale di Roma n. 5187/97

Visti i ricorsi con la relativa documentazione;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti delle cause;

Relatore alla pubblica udienza del 27 giugno 2001 il dr. Roberto POLITI; uditi altresì gli avv.ti Sanino e Celani per la parte ricorrente, l'avv. Lubrano per l'Amministrazione comunale resistente, l'avv. Caprio, in sostituzione dell'avv. Rivela, per l'Amministrazione regionale e l'avv. dello Stato Cesaroni per il Ministero dell'Ambiente.

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Premette parte ricorrente di rivestire la qualità di concessionaria per l'installazione e l'esercizio di impianti di telecomunicazioni per l'espletamento del servizio pubblico radiomobile di comunicazione con il sistema GSM.

I) Con il primo dei predetti ricorsi (n. 6191 del 2000) viene contestata la legittimità della deliberazione consiliare n. 10 del 25 gennaio 2000, con la quale l'Amministrazione comunale di Viterbo ha adottato nuove disposizioni in tema di rilascio di autorizzazioni e concessioni relative all'installazione di impianti radiotelefonici o di telecomunicazione.

Le relative censure possono così riassumersi:

I.1) Violazione dell'art. 7 della legge 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.

Nel lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.

I.2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione e falsa applicazione del D.I. 391/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione e di istruttoria, falsità della causa, difetto dei presupposti, sviamento, illogicità manifesta e disparità di trattamento. Incompetenza.

Nell'osservare come la materia dell'inquinamento elettromagnetico rientrerebbe nelle competenze statali, assume la Società ricorrente che la resistente Amministrazione comunale non avrebbe alcuna attribuzione.

La determinazione di un coefficiente di protezione basato sulla localizzazione avrebbe, inoltre, carattere arbitrario ed irragionevole, dimostrandosi priva di rilevanza sanitaria.

Piuttosto, rileverebbero ai fini del controllo del rischio elettromagnetico i valori limite di esposizione, che nel caso in esame non sarebbero stati tenuti in alcuna considerazione.

I.3) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per illogicità ed ingiustizia manifesta.

La deliberazione impugnata, nel prevedere l'osservanza di una serie di particolari prescrizioni per la realizzazione di stazioni radio base (SRB), si rivelerebbe inficiata sotto il profilo dell'incompetenza, in quanto la disciplina in tema di adeguamento e realizzazione degli impianti è espressamente riservata dalla legge alle determinazioni degli organi statali (nell'ambito del generale principio di assicurare omogeneità di disciplina nell'ambito dell'intero territorio nazionale).

I.4) Violazione della l. 31 luglio 1997 n. 249 e del D.M. 24 ottobre 1997 e della l. 59/97. Violazione dei principi in materia di procedimenti di secondo grado e del diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare per irragionevolezza, difetto dei presupposti e di motivazione, falsità della causa, carenza di istruttoria. Incompetenza.

Nel ribadire l'illegittimità dell'intento "programmatorio" - quanto alla localizzazione e distribuzione di tutti gli impianti per le telecomunicazioni radiomobili - rileva parte ricorrente che la determinazione avversata non sia stata preceduta da alcuna concreta valutazione circa le reali potenzialità nocive per la salute dei cittadini assunte dall'installazione dell'impianto di che trattasi (per le relative attribuzioni, risultando tra l'altro competente l'Ispettorato Territoriale del Ministero della Sanità).

I.5) Violazione e falsa applicazione della l. 1150 del 1942 e successive modifiche, della l. 10/77, della l. 457/78, della l. 47/85, del D.M. 1444/68, degli artt. 873-899 c.c e di tutte le norme disciplinanti l'edificazione; violazione dell'art. 3 della l. 241/90; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, confusione e perplessità dell'azione amministrativa, falsità della causa, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta; violazione dell'art. 41 Cost.

L'avversata deliberazione risulta inoltre priva - in assenza di alcuna disposizione che vieti la realizzazione di siffatte opere - della necessaria indicazione delle ragioni di carattere urbanistico e/o edilizio aventi, in proposito, valenza ostativa; dimostrandosi, al riguardo, insufficienti considerazioni di carattere esclusivamente estetico, ambientale, o di tutela della salute pubblica.

I.6) Violazione e falsa applicazione della l. 142/90. Incompetenza.

Viene sostenuta, ferma restando l'attribuzione della materia alla competenza statale, la carenza di attribuzioni specifiche in capo al Consiglio Comunale quanto alla disciplina del procedimento per l'installazione e la realizzazione di impianti di SRB.

I.7) Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per erroneità, confusione, perplessità, contraddittorietà dell'azione amministrativa.

L'avversata deliberazione consiliare, nel prevedere un termine di 90 giorni ai fini dell'adeguamento degli impianti esistenti a quanto in essa stabilito, non solo avrebbe tenuto presente un presupposto inconferente (accordo fra ISPESL e network italiani dell'ottobre 1998, ormai superato e pertanto inapplicabile), ma avrebbe altresì fissato un arco temporale avente carattere asseritamente irrazionale.

I.8) Violazione dell'art. 3, I comma, della legge 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione della l.r. 11 settembre 1989 n. 56. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per indeterminatezza dei contenuti della delibera comunale. Violazione del principio di ragionevolezza.

Il richiamo alle disposizioni dettate dall'epigrafata normativa regionale si dimostrerebbe non corretto, in quanto la relativa disciplina concerne le sole antenne per impianti radiotelevisivi (e non quelle per impianti radiomobile)

II) Con il secondo ricorso (n. 9989 del 2000) si duole la S.p.A. TIM della determinazione con la quale l'Autorità comunale ha negato il rilascio di un'autorizzazione richiesta per l'installazione di una Stazione Radio Base (SRB) per telefonia radiomobile in località "Cappuccini".

I relativi profili di doglianza concernono:

II.1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.

Nel lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.

II.2) Violazione e falsa applicazione della l. 1150 del 1942 e successive modifiche, della l. 10/77, della l. 457/78, della l. 47/85, del D.M. 1444/68, degli artt. 873-899 c.c. e di tutte le norme disciplinanti l'edificazione. Violazione dell'art. 3 della l. 241/90. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, confusione e perplessità dell'azione amministrativa, falsità della causa, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta Violazione dell'art. 41 Cost. Illegittimità derivata.

L'avversata deliberazione risulta inoltre priva - in assenza di alcuna disposizione che vieti la realizzazione di siffatte opere - della necessaria indicazione delle ragioni di carattere urbanistico e/o edilizio aventi, in proposito, valenza ostativa; dimostrandosi, al riguardo, insufficienti considerazioni di carattere esclusivamente estetico, ambientale, o di tutela della salute pubblica.

III) Il terzo dei predetti gravami (n. 12047 del 2000) ha ad oggetto la determinazione comunale con la quale la TIM è stata diffidata ad adeguare - entro il termine di giorni 90 - i propri impianti a quanto stabilito dalla (precedentemente impugnata) deliberazione consiliare n. 10/2000.

III.1) Si assume - in primo luogo - che la predetta determinazione sarebbe derivativamente inficiata con riferimento all'illegittimità della delibera di Consiglio Comunale n. 10 del 25 gennaio 2000: in proposito riportandosi parte ricorrente alle doglianze già esposte in sede di gravame avverso siffatto atto deliberativo.

L'avversata diffida sarebbe inoltre illegittima anche per vizi "propri", rappresentati dalla:

III.2) Violazione dell'art. 7 della legge 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.

Nel lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.

III.3) Violazione e falsa applicazione del D.M. 10 settembre 1998 n. 381, dell'art. 38 della l. 142/90, della l. 47/85, della l. 10/77, della l. 431/85 e di tutte le norme in materia edilizia ed urbanistica. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione e di istruttoria, difetto assoluto dei presupposti, illogicità manifesta, sviamento di potere.

Il disposto "risanamento" degli impianti esistenti, dall'Amministrazione comunale giustificato in ragione di esigenze di tutela della salute pubblica, non sarebbe stato invero preceduto dal necessario approfondimento dei relativi presupposti; non tenendosi, da parte dell'Amministrazione procedente, in alcun conto la circostanza che la relativa materia ha trovato disciplina in sede di regolamentazione statale.

Nel ribadire il pieno rispetto della normativa da ultimo indicata - i cui valori, quanto alle emissioni elettromagnetici, sarebbero dalla ricorrente pienamente rispettati - rileva TIN S.p.A. come il Comune resistente abbia omesso indicazione alcuna in ordine alle disposizioni che essa avrebbe asseritamente violato.

Né l'esercizio dei poteri contingibili ed urgenti di cui all'art. 38 della l. 142/90 si dimostrerebbe assistito dai necessari presupposti giustificativi.

IV) L'ultimo dei ricorsi in precedenza indicati (n. 18188 del 2000) è rivolto avverso la deliberazione comunale n. 116 del 29 giugno 2000, con la quale l'intimata Amministrazione viterbese ha inteso dare applicazione al precedente atto deliberativo consiliare n. 10/2000, nonché alla delibera della Regione Lazio n. 1138/2000.

Articola parte ricorrente le proprie doglianze sotto quattro diversi profili, così riassumibili:

A) Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivata dall'illegittimità della delibera della Giunta Regionale n. 1138 del 2000;

B) Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivata dall'illegittimità del D.I. 381/98, artt. 4, III comma e 5, I comma;

C) Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivata dall'illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 10 del 25 gennaio 2000

D) Illegittimità propria della delibera consiliare n. 116 del 29 giugno 2000

Gli specifici argomenti di doglianza dedotti mutuano - quanto ai primi tre profili sopra indicati - il relativo fondamento giustificativo dalle censure dalla parte ricorrente articolate a proposito dei mezzi di tutela precedentemente esperiti, ai quali pertanto si rinvia.

Per quanto attiene invece ai vizi propri della deliberazione consiliare n. 116 del 2000, parte ricorrente assume ricorrano le seguenti tipologie inficianti:

IV.1) Violazione dell'art. 7 della legge 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.

Nel lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.

IV.2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione e falsa applicazione del D.I. 391/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione e di istruttoria, falsità della causa, difetto dei presupposti, sviamento, illogicità manifesta e disparità di trattamento. Incompetenza.

Nell'osservare come la materia dell'inquinamento elettromagnetico rientrerebbe nelle competenze statali, assume la Società ricorrente che la resistente Amministrazione comunale non avrebbe alcuna attribuzione.

La determinazione di un coefficiente di protezione basato sulla localizzazione avrebbe, inoltre, carattere arbitrario ed irragionevole, dimostrandosi priva di rilevanza sanitaria.

Piuttosto, rileverebbero ai fini del controllo del rischio elettromagnetico i valori limite di esposizione, che nel caso in esame non sarebbero stati tenuti in alcuna considerazione.

IV.3) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per illogicità ed ingiustizia manifesta.

La deliberazione impugnata, nel prevedere l'osservanza di una serie di particolari prescrizioni per la realizzazione di stazioni radio base (SRB), si rivelerebbe inficiata sotto il profilo dell'incompetenza, in quanto la disciplina in tema di adeguamento e realizzazione degli impianti è espressamente riservata dalla legge alle determinazioni degli organi statali (nell'ambito del generale principio di assicurare omogeneità di disciplina nell'ambito dell'intero territorio nazionale).

IV.4) Violazione della l. 31 luglio 1997 n. 249 e del D.M. 24 ottobre 1997 e della l. 59/97. Violazione dei principi in materia di procedimenti di secondo grado e del diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare per irragionevolezza, difetto dei presupposti e di motivazione, falsità della causa, carenza di istruttoria. Incompetenza.

Nel ribadire l'illegittimità dell'intento "programmatorio" - quanto alla localizzazione e distribuzione di tutti gli impianti per le telecomunicazioni radiomobili - rileva parte ricorrente che la determinazione avversata non sia stata preceduta da alcuna concreta valutazione circa le reali potenzialità nocive per la salute dei cittadini assunte dall'installazione dell'impianto di che trattasi (per le relative attribuzioni, risultando tra l'altro competente l'Ispettorato Territoriale del Ministero della Sanità).

IV.5) Violazione e falsa applicazione della l. 1150 del 1942 e successive modifiche, della l. 10/77, della l. 457/78, della l. 47/85, del D.M. 1444/68, degli artt. 873-899 c.c e di tutte le norme disciplinanti l'edificazione; violazione dell'art. 3 della l. 241/90; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, confusione e perplessità dell'azione amministrativa, falsità della causa, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta; violazione dell'art. 41 Cost.

L'avversata deliberazione risulta inoltre priva - in assenza di alcuna disposizione che vieti la realizzazione di siffatte opere - della necessaria indicazione delle ragioni di carattere urbanistico e/o edilizio aventi, in proposito, valenza ostativa; dimostrandosi, al riguardo, insufficienti considerazioni di carattere esclusivamente estetico, ambientale, o di tutela della salute pubblica.

IV.6) Violazione e falsa applicazione della l. 142/90. Incompetenza.

Viene sostenuta, ferma restando l'attribuzione della materia alla competenza statale, la carenza di attribuzioni specifiche in capo al Consiglio Comunale quanto alla disciplina del procedimento per l'installazione e la realizzazione di impianti di SRB.

IV.7) Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per erroneità, confusione, perplessità, contraddittorietà dell'azione amministrativa.

L'avversata deliberazione consiliare, nel prevedere un termine di 90 giorni ai fini dell'adeguamento degli impianti esistenti a quanto in essa stabilito, non solo avrebbe tenuto presente un presupposto inconferente (accordo fra ISPESL e network italiani dell'ottobre 1998, ormai superato e pertanto inapplicabile), ma avrebbe altresì fissato un arco temporale avente carattere asseritamente irrazionale.

I.8) Violazione dell'art. 3, I comma, della legge 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione della l.r. 11 settembre 1989 n. 56. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per indeterminatezza dei contenuti della delibera comunale. Violazione del principio di ragionevolezza.

Il richiamo alle disposizioni dettate dall'epigrafata normativa regionale si dimostrerebbe non corretto, in quanto la relativa disciplina concerne le sole antenne per impianti radiotelevisivi (e non quelle per impianti radiomobile)

Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento dei proposti gravami, con conseguente annullamento degli atti con essi rispettivamente impugnati.

Sollecita ulteriormente la parte ricorrente - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - il riconoscimento del pregiudizio asseritamente sofferto a seguito dell'esecuzione degli atti impugnati, con riveniente accertamento del danno e condanna dell'Amministrazione intimata alla liquidazione della somma a tale titolo spettante.

La resistente Amministrazione comunale di Viterbo, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

Limitatamente al solo ricorso n. 18188 del 2000, si sono altresì costituiti in giudizio l'Amministrazione regionale ed il Ministero dell'Ambiente, parimenti insistendo per la reiezione del relativo gravame

I ricorsi vengono ritenuti per la decisione alla pubblica udienza del 27 giugno 2001.

DIRITTO

Evidenti ragioni di connessione - rilevanti sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo - consentono al Collegio di procedere alla riunione degli epigrafati ricorsi.

I. Ciò preliminarmente posto, viene in primo luogo in considerazione - atteso il carattere di evidente priorità logico-giuridica - la questione concernente la disciplina adottata dall'intimata Amministrazione comunale in materia di installazione di apparecchiature per stazioni radio base (SRB), di cui al ricorso n. 6191 del 2000.

I.1 Relativamente all'anzidetto gravame, si dimostra fondata - con attitudine, invero, assorbente rispetto ai rimanenti profili di doglianza dalla parte ricorrente dedotti - la censura con la quale viene contestata la competenza dell'Autorità comunale ai fini della disciplina della materia di installazione e mantenimento di impianti radio base per telefonia cellulare, segnatamente sotto i profili della tutela ambientale e della salute pubblica.

Si impone, al riguardo, una necessaria ricognizione del quadro normativo di riferimento.

Va in primo luogo osservato come l'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 15 marzo 1997 n. 59 abbia escluso dall'applicazione delle disposizioni dettate ai primi due precedenti commi (riguardanti il conferimento alle Regioni e agli Enti locali di "funzioni e compiti amministrativi" "relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché" quelli "… localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici, "i compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la difesa del suolo, per la tutela dell'ambiente e della salute, per gli indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo, per la ricerca, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia".

In attuazione della citata l. 59 del 1997 veniva poi emanato il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112; il cui art. 69 ha stabilito che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, sono compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente quelli relativi alla determinazione di valori limite, standard, obiettivi di qualità e sicurezza e norme tecniche necessari al raggiungimento di un livello adeguato di tutela dell'ambiente sul territorio nazionale (lett. e).

Il successivo art. 83 del citato Decreto ha poi specificato che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, hanno rilievo nazionale i compiti relativi:

alla disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati (lett. a);

alla fissazione di valori limite e guida della qualità dell'aria (lett. b);

alla fissazione e aggiornamento delle linee guida per il contenimento delle emissioni, dei valori minimi e massimi di emissione, metodi di campionamento, criteri per l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili e criteri di adeguamento degli impianti esistenti (lett. e);

alla determinazione dei criteri per l'elaborazione dei piani regionali di risanamento e tutela della qualità dell'aria (lett. h);

alla definizione di criteri generali per la redazione degli inventari delle fonti di emissione (lett. i).

È quindi intervenuta la l. 31 luglio 1997 n. 249 (recante istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo); la quale ha disposto (art. 1, comma XV) che:

l'Autorità "vigila sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana e verifica che tali tetti, anche per effetto congiunto di più emissioni elettromagnetiche, non vengano superati, anche avvalendosi degli organi periferici del Ministero delle comunicazioni" (il rispetto di tali indici rappresentando condizione obbligatoria per le licenze o le concessioni all'installazione di apparati con emissioni elettromagnetiche);

e che "il Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero della sanità e con il Ministero delle comunicazioni, sentiti l'Istituto superiore di sanità e l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), fissa entro sessanta giorni i tetti di cui al presente numero, tenendo conto anche delle norme comunitarie".

Il decreto ministeriale al quale ha operato rinvio la disposizione da ultimo riportata risulta essere stato poi emanato (dal Ministro dell'ambiente, d'intesa con i Ministri delle Comunicazioni e della sanità) in data 10 settembre 1998 con il n. 381.

Con la relativa disciplina sono stati fissati:

i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz (art. 1);

i limiti di esposizione (art. 3, con rinvio alla Tabella 1);

le misure di cautela e gli obiettivi di qualità (art. 4);

le azioni di risanamento (art. 5);

ulteriormente procedendosi (allegati A e B) alla individuazione dei relativi concetti definitoti e delle applicabili unità di misura, nonché delle modalità ed esecuzione delle misure e delle valutazioni.

Di particolare interesse si rivelano, ai fini del decidere, le disposizioni di cui al II e III comma dell'art. 4 del citato Decreto interministeriale, laddove si precisa che:

in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore non devono essere superati i seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza, mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti: 6 V/m per il campo elettrico, 0,016 A/m per il campo magnetico intesi come valori efficaci e, per frequenze comprese tra 3 Mhz e 300 GHz, 0,10 W/m2 per la densità di potenza dell'onda piana equivalente;

"nell'ambito delle proprie competenze, fatte salve le attribuzioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le Regioni e le Province autonome disciplinano l'installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione al fine di garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità, nonché le attività di controllo e vigilanza in accordo con la normativa vigente, anche in collaborazione con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per quanto attiene all'identificazione degli impianti e delle frequenze loro assegnate".

Va senz'altro osservato, quanto alla disposizione da ultimo riportata, che l'attribuzione alle Regioni ed alle Province autonome di attribuzioni relative al raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità non appare giustificare l'introduzione di limiti (ulteriori e/o diversi) rispetto a quanto nel Decreto stesso stabilito; e ciò in quanto il perseguimento dell'anzidetta finalità - e, con esso, la consentita disciplina dell'installazione e della modifica degli impianti di radiocomunicazione - risulta delimitato dall'esigenza di "garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma II".

Né può fondatamente sostenersi che un siffatto potere "derogatorio" - rispetto alla delineazione della materia fornito dal quadro normativo statale di riferimento - sia individuabile nell'ambito delle applicabili disposizioni di legge regionale.

Rilevano, in tal senso, le previsioni dettate dagli artt. 113, 114 e 115 della l.r. 6 agosto 1999 n. 14, dai quali è data evincere la tripartizione di attribuzioni di seguito esplicitata:

innanzi tutto, alla Regione sono riservati (art. 113) le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti:

a) il rilascio del parere sullo schema di piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze per la radiodiffusione, ai sensi della l. 6 agosto 1990, n. 223

b) l'adozione di metodi e di procedure per l'esecuzione delle azioni di risanamento dall'inquinamento elettromagnetico;

c) la valutazione dei progetti di risanamento, nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di radiocomunicazione destinati all'emittenza radiotelevisiva;

alle Province è invece attribuita (ex art. 114) la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione a talune tipologie di impianti (impianti di radio comunicazione destinati alle telecomunicazioni satellitari ed alla radar-localizzazione ad uso civile; impianti di tratta di ponti-radio e ripetitori di ponti-radio; elettrodotti aventi tensione inferiore a 150 KV);

mentre ai Comuni residuano (art. 115) "le funzioni ed i compiti amministrativi non espressamente riservati alla Regione e non conferiti agli altri enti locali"; ad essi risultando, in particolare, rimesso l'esercizio delle funzioni e dei compiti "attribuiti dalla presente legge concernenti la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di telefonia mobile".

Argomentare dalle disposizioni di legge regionale testé riportate l'attribuzione di una potestas (evidentemente) normativa avente carattere implementativo - se non addirittura derogatorio - rispetto al quadro di disciplina dettato a livello nazionale appare invero azzardato: piuttosto venendo in considerazione un generale assetto della materia che - ferma l'individuazione statale di limiti e parametri di esposizione e/o di emissione - demanda alle Autorità locali le conseguenziali attribuzioni di vigilanza (sul rispetto di questi ultimi) e di esecuzione.

I.2 Se dal quadro come sopra delineato emerge con convincente chiarezza la sussumibilità nel novero della attribuzioni statali della disciplina delle emissioni elettromagnetiche - evidentemente nel quadro dell'esigenza di fissare, nell'ambito del territorio nazionale, principi e criteri informati a carattere di uniformità ed omogeneità, onde evitare la presenza di parcellizzati (e potenzialmente dissonanti) interventi di regolamentazione che, ove lasciati alla mera iniziativa delle Autorità locali, ben sarebbero suscettibili di presentare tratti significativamente disarmonici) - l'introduzione della normativa di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) appieno assevera la fondatezza dell'esposto convincimento.

Nell'osservare come, fra le finalità dell'anzidetta normativa, l'art. 1, I comma, lett. a) ricomprenda l'esigenza di assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell'esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell'art. 32 della Costituzione, va rilevato che il successivo art. 4, I comma, lett. a), ha innanzi tutto attribuito allo Stato l'esercizio delle funzioni relative "alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità … in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'art. 1".

Il successivo II comma, lett. a), ha quindi demandato la fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché delle tecniche di misurazione e rilevamento dell'inquinamento elettromagnetico ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro della Sanità.

Quanto alle attribuzioni riservate alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, l'art. 8 della l. 36/2001 ha stabilito che:

rientra nella competenza delle Regioni, "nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato … l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, ai sensi della legge 31 luglio 1997 n. 249 e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5" (I comma, lett. a);

le Regioni, "nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997 n. 249" (comma IV);

"i Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici" (comma VI).

Appare del tutto evidente come le disposizioni precedentemente illustrate - ancorché vada dato atto della inapplicabilità della legge quadro 36 del 2001 alla presente vicenda contenziosa, sviluppatasi anteriormente all'entrata in vigore della normativa da essa introdotta - contribuisca a fornire utili elementi di giudizio che asseverano il convincimento dal Collegio esposto quanto alla ripartizione di attribuzioni in subiecta materia fra Stato, Regioni ed Amministrazioni comunali.

La legge 36, infatti, si pone quale coerente punto d'arrivo di un complesso di disposizioni - talora succedutesi con carattere di non sempre apprezzabile organicità, anche in relazione al rapido sviluppo di forme di comunicazioni (e connesse tecnologie) in precedenza non diffuse - nell'ambito delle quali sono ravvisabili due coerenti - e costantemente ribaditi - principi di carattere generale, individuabili:

in primo luogo, nell'esclusiva attribuzione allo Stato della funzione di fissazione dei criteri e dei limiti rilevanti al fine della protezione della popolazione dalle potenzialità nocive insite nell'esposizione a campi elettromagnetici (funzione che, significativamente, la legge quadro ricongiunge ad un'esigenza di attuazione dell'art. 32 della Costituzione);

e, secondariamente, nel conferimento alle Regioni ed ai Comuni di compiti aventi rilievo attuativo, esecutivo, di controllo e di vigilanza; dal novero dei quali la pertinente disciplina appare aver sempre ribadito la non sussumibilità di attribuzione aventi autonoma valenza decisionale e, conseguentemente, attitudine potenzialmente derogatoria rispetto alla normativa fissata a livello statale.

I.3. L'avversato atto, alla stregua di quanto precedentemente osservato, non sfugge a giudizio di illegittimità in relazione alle seguenti considerazioni.

I.3. In primo luogo, nel disciplinare la materia delle emissioni elettromagnetiche, l'Autorità comunale ha esercitato attribuzioni che il quadro normativo vigente al momento dell'adozione dell'atto riservava ad organi statali e regionali; per l'effetto non potendo non darsi atto della carenza di potestas decidendi in capo alla resistente Amministrazione comunale.

La fissazione di limiti di emissione, ovvero, ancora, l'individuazione di una distanza minima delle stazioni radio base (SRB) da particolari tipologie di insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinata a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento (o, comunque, di pregiudizio) non costituisce, infatti, attribuzione che l'Amministrazione comunale possa autonomamente esercitare; siffatta considerazione ricevendo ulteriore conferma laddove le prescrizioni dettate in sede locale si pongano in contrasto con le indicazioni rivenienti da fonte normativa superiore.

L'individuazione di limiti, parametri e/o requisiti "diversi" da quelli rinvenibili nella normativa di promanazione statale non può, dunque, essere considerata legittima: all'Amministrazione comunale residuando, giusta quanto precedentemente osservato, l'esercizio di compiti di vigilanza e/o di attuazione che, con ogni evidenza, non involgono la titolarità di un'autonoma funzione decisoria.

In tal senso, l'assunto propugnato dal Collegio trova conforto anche negli orientamenti maturati in giurisprudenza (segnatamente in sede cautelare, atteso che - in considerazione della novità del thema decidendum - non è allo stato dato rinvenire un consistente novero di pronunzie di merito).

Può, in primo luogo, significativamente osservarsi come il Consiglio di Stato (sez. VI, ord.za n. 865 del 6 febbraio 2001) abbia affermato che "non spetta ai Comuni la disciplina dell'installazione degli impianti di radiocomunicazione sotto il profilo della compatibilità con la salute umana (di competenza dello Stato ed anche delle Regioni e delle Province autonome)" ai sensi del III comma dell'art. 4 del D.I. 381/98.

Analoga posizione interpretativa risulta essere stata assunta non soltanto dal T.A.R. Marche in sede cautelare (cfr. ord.za n. 205 del 19 aprile 2001), ma anche dal T.A.R. Toscana (sent. n. 412 dell'8 marzo 2001), laddove viene rilevato che "in materia di rilascio di concessioni edilizie per l'installazione di impianti di telefonia mobile, l'attività del Comune deve … limitarsi alla verifica dei profili urbanistici e all'accertamento del rispetto delle soglie di emissioni prescritte dal D.M. n. 381/98".

Ulteriore conferma di quanto sostenuto in precedenza riviene poi dal contenuto della pronunzia resa dal T.A.R. Marche (sent. 913 del 23 giugno 2000), segnatamente per quanto concerne la finalità di tutela della salute pubblica: alla quale "è diretto proprio il decreto interministeriale n. 381/98, allorché definisce i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici generati dagli impianti fissi di telecomunicazione …, demandando … alle Regioni, non al Comune, il compito di emanare la disciplina relativa alla loro installazione e modifica, … allo scopo di garantire il rispetto dei valori limite prefissati, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità e le attività di controllo e vigilanza".

L'unitarietà della tutela del bene-salute giustifica, giusta quanto precedentemente osservato, la persistenza di una concentrata attribuzione statale in subiecta materia; venendo, altrimenti, in considerazione una variegata disciplina che, lungi dall'armonizzare su tutto il territorio nazionale i parametri fondamentali di tutela dei cittadini, verrebbe ad atteggiarsi con carattere di intuibile disarmonia, in evidente contrasto con i postulati costituzionali - che il Collegio intende in questa sede ribadire quali fondamentali referenti ermeneutici - di cui agli artt. 3 e 32 della Costituzione.

Se pure deve darsi atto dell'apprezzabile intento perseguito dalla singola Amministrazione comunale al fine di pervenire ad una migliore tutela del bene-salute dei cittadini residenti sul suo territorio, non può tuttavia il Collegio omettere di valutare - ai fini dell'apprezzamento della ratio insita nell'unitarietà della disciplina di che trattasi - la potenzialità pregiudizievole intrinseca all'eventuale ammissibilità di un generalizzato potere derogatorio in capo ai singoli Comuni.

Ad un siffatto "decentramento" decisionale - e non già meramente esecutivo e di vigilanza, come invece postulato dalla normativa applicabile - inevitabilmente finirebbe per accedere un complessivo quadro di disciplina (degli insediamenti degli impianti; dei limiti di emissione; dei parametri di tollerabilità; degli obiettivi di qualità) che, in quanto intuibilmente eterogeneo, di fatto introdurrebbe una differenziata tutela della salute dei cittadini in ragione dell'insediamento di essi su un (particolare) territorio comunale, il luogo che all'interno di un altro; ulteriormente, potendo dar luogo a fenomeni di concentrazione degli insediamenti di impianti in ambiti territoriali nei quali l'Autorità comunale abbia posto parametri e limiti meno rigidi, con riveniente incremento dell'esposizione della popolazione ivi residente ad un'accresciuta irradiazione elettromagnetica.

Siffatte conclusioni inevitabilmente confliggono con l'esigenza - di diretta promanazione costituzionale - di omogeneità della disciplina di tutela della salute pubblica sull'intero territorio nazionale; e contribuiscono a confermare l'assunto - scaturente dalla condotta disamina del quadro normativo di riferimento e dal Collegio ribadito nell'ottica di una lettura costituzionalmente compatibile della disciplina di che trattasi - di una necessaria fissazione unitaria (valevole per l'intero territorio nazionale) dei parametri e dei limiti atti a proteggere la salute dei cittadini dalle potenzialità nocive insite nelle radiazioni elettromagnetiche.

Deve quindi escludersi che - ad esempio - la fissazione dei limiti massimi di esposizione della popolazione ai CEM (campi elettromagnetici) possa formare oggetto, avuto riguardo alla determinazione dei relativi standards (di cui al citato D.I. 381/98) di modificazione in sede comunale: vieppiù laddove - come appunto nel caso di specie - non sia dato rinvenire il fondamento giustificativo di una scelta che si ponga in termini significativamente più restrittivi rispetto a quanto stabilito dalla normativa nazionale.

I.3.2 Se, sotto un profilo di carattere generale, è ben difficile sostenere - in carenza di una norma che siffatta attribuzione espressamente riconosca ed attribuisca agli enti locali - la legittima esercitabilità di un potere sostanzialmente "derogatorio" in capo alle diverse Amministrazioni comunali (pena l'evidente vanificazione dell'intento unitario che permea l'individuazione di criteri e limiti stabiliti con incontroversa validità per l'intero territorio nazionale), va poi osservato - specificamente per quanto attiene alla controversia in esame - come la gravata determinazione non si dimostri (alla stregua delle risultanze documentali acquisite agli atti di causa) assistita da incontroversi rilievi di carattere documentale.

Rileva in tal senso il Collegio che, quand'anche potesse astrattamente convenirsi sulla esercitabilità di una potestà "derogatoria" siffatta (ed è ipotesi che, alla stregua di quanto sopra esposto, va in nuce esclusa), comunque la concreta dettagliabilità di forme di tutela e/o di intervento ad opera dell'Autorità comunale non si dimostrerebbe legittimamente esercitata se non in presenza della (preventiva) acquisizione di riscontrabili ed oggettivi elementi di valutazione alla stregua dei quali una diversa disciplina della materia si dimostrasse (non solo necessaria, ma anche meramente) opportuna.

In tal senso, l'assunzione della deliberazione di che trattasi avrebbe dovuto essere necessariamente preceduta dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori, per effetto dei quali venisse ad emersione, sulla base di condotte valutazioni di carattere tecnico-scientifico, l'esigenza di approntare interventi cautelativi per la pubblica salute aventi carattere di integrazione e/o sostituzione rispetto alle misure fissate a livello nazionale.

Altrimenti, l'esercizio del potere sostanziatosi nell'adozione dell'atto gravato viene a dimostrarsi privo di attendibili (o, quanto meno, dimostrabili) referenti di fatto: non potendo evidentemente accedere l'adito organo di giustizia amministrativo ad una esigenza di cautela per la pubblica incolumità:

non solo manifestata all'infuori di (e, secondo quanto in precedenza sottolineato, in contrasto con) il vigente quadro normativo di settore;

ma, vieppiù, esercitata senza alcun riferimento a valutazioni e/o considerazioni che integrino il fondamento delle misure che l'Amministrazione procedente abbia assunto di adottare a fini di salvaguardia della pubblica salute.

Non è chi non veda come l'assenza dei necessari approfondimenti istruttori finisca per risolvere l'intervento di disciplina oggetto del presente gravame in una apodittica manifestazione di volontà: alla carente dimostrabilità dei relativi presupposti di fatto e/o delle sottese esigenze di cautela accedendo l'evidente emersione di profili inficianti, rilevanti sub specie dell'eccesso di potere per omessa e/o carente istruttoria, del difetto dei presupposti, dell'indimostrata presenza dell'interesse pubblico (il quale ultimo, è opportuno sottolineare, lungi dal risolversi in una apodittica postulazione di principio, deve invece dimostrarsi suscettibile di essere illustrato alla stregua di concreti e convincenti elementi di valutazione).

Del resto, anche la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che - ferma restando l'individuazione dei parametri relativi ai valori massimi di esposizione ai CEM ad opera del più volte citato D.I. 381/98 - l'introduzione di una diversa - ed ulteriore - disciplina, ove non ancorata a basi scientifiche, "può apparire insufficiente a legittimare il potere esercitato (cfr. T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 29 maggio 2001 n. 371).

E anche laddove si è ritenuto non esclusa l'esercitabilità, ad opera dei Comuni, del potere urbanistico ed edilizio che si traduca - anche con riferimento ed esigenze di cautela sanitaria - nell'individuazione di distanze determinate per la realizzazione di impianti radio base di telefonia mobile rispetto ad ambienti abitativi, nondimeno è stata ribadita l'esigenza di verificare "sul piano sostanziale la ragionevolezza della misura e l'adeguatezza della motivazione, dell'istruttoria e della previa verifica del fondamento fattuale" (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 19 aprile 2001 n. 1738).

II. Se, alla stregua delle condotte considerazioni, il ricorso n. 6191 del 2000 merita senz'altro accoglimento (con inevitabile assorbimento dei rimanenti argomenti di censura), va parimenti dato atto della fondatezza delle impugnative (alla precedente riunite) distinte al R.G. dell'anno 2000 con il n. 9989, 12047 e 18188, atteso che la carenza di attribuzione, in capo alla resistente Autorità comunale, di poteri autonomamente esercitabili nella materia presa in esame, esclude la legittimità degli atti con gli anzidetti gravami rispettivamente avversati.

III. Viene da ultimo in considerazione la domanda di risarcimento del danno che parte ricorrente - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - ha sottoposto all'attenzione dell'adito organo di giustizia amministrativa in ragione del pregiudizio asseritamente patito per effetto dell'esecuzione degli atti impugnati.

La pretesa risarcitoria onde trattasi non può, invero, essere ammessa a delibazione.

La giurisprudenza ha infatti reiteratamente affermato - con orientamento che la Sezione intende, in questa sede, ribadire - che la domanda di risarcimento del danno deve essere accompagnata dalla dimostrazione dell'effettivo pregiudizio patrimoniale e del necessario nesso eziologico con i provvedimenti dei quali si assuma l'illegittimità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2000 n. 244); dimostrandosi inammissibile la domanda formulata - come appunto nel caso in esame - in modo del tutto generico e senza alcuna concreta dimostrazione degli elementi probatori a fondamento della pretesa fatta valere (cfr. T.A..R Lazio, sez. I-ter, 17 gennaio 2001 n. 252).

Vuole, in altri termini, affermarsi che le coordinate "minime" identificative dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria non possono non essere individuate:

nella presenza di un pregiudizio suscettibile di ristoro;

nella derivazione causale del danno da un atto, ovvero da una condotta riferibile alla Pubblica Amministrazione;

nonché nella ascrivibilità, sotto il profilo eziolologico, del danno stesso ad un comportamento almeno colposo osservato dalla Pubblica Autorità;

siffatti elementi di ammissibilità della domanda dovendo necessariamente formare oggetto di compiuta dimostrazione ad opera della parte che intenda far valere in giudizio la pretesa stessa.

Escluso quindi che l'adito Giudice amministrativo possa, in difetto dell'offerta del benché minimo riscontro dimostrativo a conforto della sussistenza e consistenza di un pregiudizio asseritamente sentito, "supplire" all'omessa ostensione del necessario fondamento probatorio della pretesa risarcitoria a mezzo dell'esercizio di poteri istruttori e/o cognitori, non può esimersi il Collegio dal dare atto dell'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno nella fattispecie dedotta.

IV. Conclusivamente ribadite le considerazioni precedentemente illustrate, rileva il Collegio - anche in ragione della complessità e novità della problematica giuridica sottesa alla definizione del giudizio - la presenza di giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II - preliminarmente riuniti i ricorsi nn. 6191, 9989, 12047 e 18188 del 2000, così dispone:

accoglie i gravami anzidetti e, per l'effetto, annulla gli atti con essi rispettivamente impugnati;

dichiara inammissibile la domanda di risarcimento del danno dalla parte ricorrente avanzata.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 27 giugno e del 4 luglio 2001, con l’intervento dei signori giudici

Dr. Filippo MARZANO - Presidente

Dr. Francesco GIORDANO - Consigliere

Dr. Roberto POLITI - Consigliere, estensore

Depositata il 25 agosto 2001.

Testo della sentenza n. 7024 del 25 agosto 2001 (riguardante il Comune di Roma).

 

SENTENZA

sul ricorso n. 2698 del 2001, proposto da WIND TELECOMUNICAZIONI S.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Sartorio e Luca Di Raimondo presso il cui studio è per il presente giudizio elettivamente domiciliato, in Roma, via della Consulta n. 50

contro

il Comune di Roma, in persona del Commissario straordinario p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Marco Brigato, per il presente giudizio elettivamente domiciliato in Roma, alla via Tempio di Giove n. 21, presso l'Avvocatura comunale;

il Ministero delle Comunicazioni, in persona del Ministro p.t. e l'Autorità Garante delle Comunicazioni, in persona del rappresentante p.t., rappresentati e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono elettivamente domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12

per l'annullamento

della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma n. 211 dell'11 dicembre 2000, con la quale sono state adottate le "Modifiche alla procedura per il rilascio di autorizzazioni e/o concessioni edilizie relative all'installazione degli impianti per reti di telefonia radiomobile e degli impianti di trasmissione radiofonica e televisiva e servizi similari";

nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale.

Visto il ricorso con la relativa documentazione;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 27 giugno 2001 il dr. Roberto POLITI; uditi altresì gli avv.ti Sartorio e Di Raimondo per la parte ricorrente e l'avv. Brigato per l'Amministrazione resistente.

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Espone parte ricorrente - concessionaria per l'installazione e l'esercizio di impianti di telecomunicazioni per l'espletamento del servizio pubblico radiomobile di comunicazione con il sistema GSM - di aver presentato, presso la competente Amministrazione comunale di Civitavecchia, richiesta di rilascio di concessione edilizia per l'installazione di stazioni radio per telefonia cellulare.

Nell'osservare come siano tuttora pendenti dinanzi all'Autorità comunale n. 43 richieste di autorizzazione per l'installazione di impianti di radiocomunicazioni, deduce parte ricorrente l'illegittimità dell'avversato atto deliberativo alla stregua dei motivi di seguito indicati:

1) Violazione di legge. Violazione della l. 7 agosto 1990 n. 241 (in particolare: artt. 7, 8, e 10). Violazione del principio del contraddittorio. Violazione del D.P.R. 300/90. Violazione dell'art. 1, lett. b), della l.r. 6 ottobre 1998 n. 45.

Nel lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che non siano stati, preliminarmente all'adozione del testo regolamentare avversato, attivati i necessari adempimenti atti a garantire l'effettività del principio partecipativo, direttamente postulato dal testo di legge in epigrafe.

2) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell'art. 35 della l. 1150/42 e successive integrazioni e modifiche. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della l. 865/71.

La deliberazione in esame avrebbe apportato - illegittimamente - modificazioni alle previste procedure per la richiesta ed il rilascio dei titoli autorizzatori, introducendo un generalizzato obbligo di concessione edilizia per l'installazione di impianti di radiocomunicazione.

La riveniente modifica al vigente Regolamento edilizio comunale non sarebbe stata sottoposta al necessario controllo dell'Autorità regionale.

3) Violazione degli artt. 31 e 32 della l. 1150/42, 1 e 4 della l. 10/77, 4 della l. 493/93 e successive modifiche (art. 2, LX comma, della l. 662/96). Violazione degli artt. 1 e 3 della l. 241/90. Contraddittorietà con gli artt. 2-bis e 9 della l.r. 42/90. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità.

Ribadisce parte ricorrente la sostenuta illegittimità della delibera impugnata nella parte in cui assoggetta all'obbligo di rilascio di titolo concessorio - in contrasto con le epigrafate disposizioni - qualsiasi attività diretta all'installazione di antenne per telefonia mobile.

4) Incompetenza. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell'art. 115 della l.r. 14/99. Violazione dell'art. 102 del D.P.R. 616/77. Violazione dell'art. 4 della l. 833/78. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. 59/97. Violazione dell'art. 83 del D.Lgs. 112/98. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, XV comma, della l. 249/97. Conformità dell'opera agli strumenti urbanistici vigenti.

Assume poi parte ricorrente, alla stregua delle epigrafate disposizioni, la carenza di potere dell'organo comunale ai fini della disciplina della protezione sanitaria della popolazione dal c.d. inquinamento elettromagnetico: ferme restando le attribuzioni statali in materia, rimanendo riservate alle Amministrazioni comunali le sole funzioni riguardanti la vigilanza e l'esecuzione relative all'osservanza dei limiti e parametri previsti dalla normativa vigente.

5) Violazione di legge. Violazione della l. 249/97. Violazione e falsa applicazione del D.M. 10 settembre 1998 n. 381. Incompetenza assoluta.

Le attribuzioni relative alla installazione e modifica degli impianti di radiocomunicazione al fine di garantire il rispetto dei previsti limiti sono dal citato Decreto assegnate alle Regioni ed alle Province autonome; per l'effetto escludendosi che il Comune intimato potesse legittimamente emanare una propria disciplina in materia.

6) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4 del D.I. 381/98. Violazione e falsa applicazione della l. 249/97.

La fissazione dei valori limite del campo elettrico generato dagli impianti in questione, ad opera della normativa in epigrafe, ha formato oggetto di rideterminazione e riduzione ad opera dell'avversato atto deliberativo, del quale parte ricorrente assume l'illegittimità proprio in relazione al contrasto con la predetta normativa.

7) Violazione e falsa applicazione del D.I. 381/98. Eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, difetto di istruttoria, sviamento. Mancata valutazione dell'interesse pubblico.

Sarebbe anche illegittimo - in quanto non fondato su alcun criterio di carattere tecnico-scientifico - il criterio della "distanza" pari a 100 metri, adottato per l'installazione di impianti della specie, con riferimento ad insediamenti quali asili nido, ospedali, scuole, ecc.

8) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.I. 381/98, nonché del D.P.R. 2 dicembre 1994. Violazione di legge. Violazione dell'art. 4 della l. 10/77. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Sviamento. Eccesso di potere per mancata valutazione dell'interesse pubblico e del diritto di impresa.

L'imposizione ai concessionari di un obbligo di adeguamento al contenuto della delibera anche con riferimento agli impianti già esistenti avrebbe determinato una preclusa applicazione retroattiva dell'atto avversato, nonché una violazione del principio di irrevocabilità del titolo edificatorio in precedenza rilasciato.

9) Violazione di legge. Violazione dell'art. 21, VII comma, della l. 1034/71. Inottemperanza ed elusione dell'ordine della magistratura. Violazione dell'art. 2909 c.c.

La deliberazione impugnata si porrebbe, ulteriormente, in contrasto con una precedente pronunzia cautelare resa da questo Tribunale, con la quale, sancita l'irrevocabilità del titolo concessorio rilasciato dalla pubblica autorità, veniva inoltre affermata la mancanza di inoppugnabili elementi di valutazione in ordine ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici.

10) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione del d.l. 115/97, convertito in l. 189/97 (art. 2-bis). Violazione e falsa applicazione della l. 146/94 (art. 40, I comma). Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 12 aprile 1996 e successive modificazioni ed integrazioni. Eccesso di potere. Erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Sviamento.

Il rinvio, contenuto nell'atto deliberativo impugnato, all'obbligatorietà della pronunzia di valutazione dell'impatto ambientale (V.I.A.), per la quale è competente l'Autorità regionale non soltanto si pone in contrasto con pacifici principi in materia di attribuzioni delle pubbliche autorità, ma risulterebbe peraltro estraneo al vigente quadro normativo.

L'adempimento di che trattasi determinerebbe, inoltre, un inutile - quanto non previsto - aggravamento dell'iter procedimentale.

11) Violazione di legge. Violazione dell'art. 1136 c.c.

Illegittima si rivelerebbe inoltre, per contrasto con l'epigrafata disposizione, la previsione dell'unanime consenso dell'assemblea condominiale ai fini dell'installazione di antenne su edifici.

12) Violazione di legge. Violazione dell'art. 3 della l. 10/77.

Anche la previsione di un contributo per il rilascio di concessioni per l'installazione degli impianti in questioni si dimostrerebbe inficiata in ragione del rilevato contrasto con l'epigrafata disposizione, che disciplina con carattere di esaustività gli oneri concessori incombenti sul richiedente un titolo edificatorio.

Con motivi aggiunti notificati in data 16 marzo 2001 parte ricorrente ha poi impugnato la nota n. 202 del 26 febbraio 2001, con la quale il Comune di Roma, con riferimento alla deliberazione consiliare n. 211 del 2000, ha chiesto alla Società WIND che venissero forniti - entro il termine di 15 giorni - tutti i files necessari per la realizzazione di una mappa informatizzata con sistema geografico georeferenziato (estensione dig.) contenente la localizzazione di tutti gli impianti in esercizio, degli impianti in corso di realizzazione e dei piani di sviluppo delle reti fino a tutto il 2002; specificando che per gli impianti non inclusi in detta comunicazione sarebbe stata avviata la procedura di revoca delle relative autorizzazioni.

13 - 14) Assume la ricorrente l'invalidità di siffatta nota - oltre che sotto il profilo dell'illegittimità derivata dall'illegittimità degli atti presupposti - anche per violazione di legge, violazione dell'art. 4 della l. 28 gennaio 1977 n. 10, eccesso di potere, difetto di istruttoria, sviamento.

Ravvisa la Wind S.p.A. nella revoca delle autorizzazioni e concessioni edilizie già assentite - disposta nel caso di mancato invio della relativa documentazione riguardante gli impianti installati - un'ulteriore violazione del principio di irrevocabilità del titolo edificatorio; peraltro osservandosi come la richiesta documentazione già sia in possesso della procedente Amministrazione comunale.

L'annullamento o la revoca di una concessione edilizia non può, inoltre, trovare giustificazione in interessi estranei al settore urbanistico-edilizio: per l'effetto censurandosi che l'atto impugnato sia inficiato sotto il profilo dell'eccesso di potere.

Con ulteriori motivi aggiunti notificati alle controparti in data 15 maggio 2001 la parte ricorrente ha poi impugnato il provvedimento con il quale l'Amministrazione comunale di Roma ha fornito "orientamenti applicativi" in ordine alla deliberazione n. 211 dell'11 dicembre 2000.

15) Tale nota si assume inficiata, oltre che per invalidità derivata - con riferimento alla presupposta delibera 211/00, anche per vizi propri, così sintetizzabili:

16) Violazione di legge (art. 1, VI comma, lett. A), n. 15, della l. 249/97 - D.M. 381/98 - l. 36/01). Incompetenza eccesso di potere per sviamento.

Esula dalle attribuzioni comunali - in quanto riservata allo Stato - l'esercizio di poteri in materia di indirizzi per la tutela della salute dai rischi di inquinamento elettromagnetico; ulteriormente soggiungendosi come, alla stregua dell'epigrafata normativa, rientri nelle competenza regionali la disciplina dell'installazione degli impianti di telecomunicazione.

L'illegittimità, in parte qua, della nota impugnata rileva anche alla luce dell'art. 115 della l.r. 14/99, che ha riservato ai Comuni meri poteri di vigilanza ed esecuzione in ordine all'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente; le considerazioni ora esposte trovando conferma anche nella recente legge 36 del 2001, che ha ribadito le attribuzioni in subiecta materia riservate allo Stato ed alle Regioni.

17) Violazione artt. 31 e 32 della l. 1150/42, 1 e 4 l. 10/77, 4 l. 493/93 e successive modificazioni (art. 2, comma LX, l. 662/96). Violazione artt. 1 e 3 l. 241/90. Contraddittorietà con gli artt. 2-bis e 9 l.r. 42/90. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità. Incompetenza.

Nell'osservare come non sempre le antenne per telefonia cellulare - segnatamente ove trattisi di impianti di microcelle - sono idonee a determinare una stabile trasformazione dell'assetto del territorio (non comportando l'esecuzione di opere edili), rileva parte ricorrente l'illegittimità dell'assoggettamento anche di codesti manufatti a regime concessorio.

Osserva poi la Società WIND come l'applicabile normativa regionale preveda, ai fini della realizzazione di opere edilizie relative ad impianti tecnologici un regime meramente autorizzatorio; ulteriormente contestandosi la previsione di un onere concessorio - aggiuntivo rispetto a quanto previsto dalla l. 10/77 - pari a lire 5 milioni a fronte della richiesta per ottenere il rilascio della concessione da parte dell'Autorità comunale.

18) Violazione di legge. Violazione della l. 241/90 e della l. 340/00. Violazione del giusto procedimento. Eccesso di potere. Illegittimo aggravamento del procedimento.

Contesta parte ricorrente che la positiva valutazione di impatto ambientale - la cui esigibilità è stata già confutata in linea di principio - debba addirittura accompagnare la richiesta di rilascio del titolo concessorio.

19) Violazione di legge. Violazione dell'art. 11 delle preleggi. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Sviamento. Eccesso di potere per mancata valutazione dell'interesse pubblico e del diritto di impresa.

L'intero punto D) dell'atto impugnato si rivelerebbe illegittimo in quanto volto a sottolineare il carattere di retroattività impresso alle relative prescrizioni.

Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del proposto gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

Sollecita ulteriormente la parte ricorrente - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - il riconoscimento del pregiudizio asseritamente sofferto a seguito dell'esecuzione degli atti impugnati, con riveniente accertamento del danno e condanna dell'Amministrazione intimata alla liquidazione della somma a tale titolo spettante.

La resistente Amministrazione comunale di Roma, nonché le intimate Autorità statali, costituitesi in giudizio, hanno eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 27 giugno 2001.

DIRITTO

1. Si dimostra fondata - con attitudine, invero, assorbente rispetto ai rimanenti profili di doglianza dalla parte ricorrente dedotti - la censura con la quale viene contestata la competenza dell'Autorità comunale ai fini della disciplina della materia di installazione e mantenimento di impianti radio base per telefonia cellulare, segnatamente sotto i profili della tutela ambientale e della salute pubblica.

Si impone, al riguardo, una necessaria ricognizione del quadro normativo di riferimento.

Va in primo luogo osservato come l'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 15 marzo 1997 n. 59 abbia escluso dall'applicazione delle disposizioni dettate ai primi due precedenti commi (riguardanti il conferimento alle Regioni e agli Enti locali di "funzioni e compiti amministrativi" "relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché" quelli "… localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici, "i compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la difesa del suolo, per la tutela dell'ambiente e della salute, per gli indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo, per la ricerca, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia".

In attuazione della citata l. 59 del 1997 veniva poi emanato il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112; il cui art. 69 ha stabilito che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, sono compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente quelli relativi alla determinazione di valori limite, standard, obiettivi di qualità e sicurezza e norme tecniche necessari al raggiungimento di un livello adeguato di tutela dell'ambiente sul territorio nazionale (lett. e).

Il successivo art. 83 del citato Decreto ha poi specificato che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, hanno rilievo nazionale i compiti relativi:

alla disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati (lett. a);

alla fissazione di valori limite e guida della qualità dell'aria (lett. b);

alla fissazione e aggiornamento delle linee guida per il contenimento delle emissioni, dei valori minimi e massimi di emissione, metodi di campionamento, criteri per l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili e criteri di adeguamento degli impianti esistenti (lett. e);

alla determinazione dei criteri per l'elaborazione dei piani regionali di risanamento e tutela della qualità dell'aria (lett. h);

alla definizione di criteri generali per la redazione degli inventari delle fonti di emissione (lett. i).

E' quindi intervenuta la l. 31 luglio 1997 n. 249 (recante istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo); la quale ha disposto (art. 1, comma XV) che:

l'Autorità "vigila sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana e verifica che tali tetti, anche per effetto congiunto di più emissioni elettromagnetiche, non vengano superati, anche avvalendosi degli organi periferici del Ministero delle comunicazioni" (il rispetto di tali indici rappresentando condizione obbligatoria per le licenze o le concessioni all'installazione di apparati con emissioni elettromagnetiche);

e che "il Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero della sanità e con il Ministero delle comunicazioni, sentiti l'Istituto superiore di sanità e l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), fissa entro sessanta giorni i tetti di cui al presente numero, tenendo conto anche delle norme comunitarie".

Il decreto ministeriale al quale ha operato rinvio la disposizione da ultimo riportata risulta essere stato poi emanato (dal Ministro dell'ambiente, d'intesa con i Ministri delle Comunicazioni e della sanità) in data 10 settembre 1998 con il n. 381.

Con la relativa disciplina sono stati fissati:

i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz (art. 1);

i limiti di esposizione (art. 3, con rinvio alla Tabella 1);

le misure di cautela e gli obiettivi di qualità (art. 4);

le azioni di risanamento (art. 5);

ulteriormente procedendosi (allegati A e B) alla individuazione dei relativi concetti definitoti e delle applicabili unità di misura, nonché delle modalità ed esecuzione delle misure e delle valutazioni.

Di particolare interesse si rivelano, ai fini del decidere, le disposizioni di cui al II e III comma dell'art. 4 del citato Decreto interministeriale, laddove si precisa che:

in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore non devono essere superati i seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza, mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti: 6 V/m per il campo elettrico, 0,016 A/m per il campo magnetico intesi come valori efficaci e, per frequenze comprese tra 3 Mhz e 300 GHz, 0,10 W/m2 per la densità di potenza dell'onda piana equivalente;

"nell'ambito delle proprie competenze, fatte salve le attribuzioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le Regioni e le Province autonome disciplinano l'installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione al fine di garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità, nonché le attività di controllo e vigilanza in accordo con la normativa vigente, anche in collaborazione con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per quanto attiene all'identificazione degli impianti e delle frequenze loro assegnate".

Va senz'altro osservato, quanto alla disposizione da ultimo riportata, che l'attribuzione alle Regioni ed alle Province autonome di attribuzioni relative al raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità non appare giustificare l'introduzione di limiti (ulteriori e/o diversi) rispetto a quanto nel Decreto stesso stabilito; e ciò in quanto il perseguimento dell'anzidetta finalità - e, con esso, la consentita disciplina dell'installazione e della modifica degli impianti di radiocomunicazione - risulta delimitato dall'esigenza di "garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma II".

Né può fondatamente sostenersi che un siffatto potere "derogatorio" - rispetto alla delineazione della materia fornito dal quadro normativo statale di riferimento - sia individuabile nell'ambito delle applicabili disposizioni di legge regionale.

Rilevano, in tal senso, le previsioni dettate dagli artt. 113, 114 e 115 della l.r. 6 agosto 1999 n. 14, dai quali è data evincere la tripartizione di attribuzioni di seguito esplicitata:

innanzi tutto, alla Regione sono riservati (art. 113) le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti:

a) il rilascio del parere sullo schema di piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze per la radiodiffusione, ai sensi della l. 6 agosto 1990, n. 223

b) l'adozione di metodi e di procedure per l'esecuzione delle azioni di risanamento dall'inquinamento elettromagnetico;

c) la valutazione dei progetti di risanamento, nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di radiocomunicazione destinati all'emittenza radiotelevisiva;

alle Province è invece attribuita (ex art. 114) la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione a talune tipologie di impianti (impianti di radio comunicazione destinati alle telecomunicazioni satellitari ed alla radar-localizzazione ad uso civile; impianti di tratta di ponti-radio e ripetitori di ponti-radio; elettrodotti aventi tensione inferiore a 150 KV);

mentre ai Comuni residuano (art. 115) "le funzioni ed i compiti amministrativi non espressamente riservati alla Regione e non conferiti agli altri enti locali"; ad essi risultando, in particolare, rimesso l'esercizio delle funzioni e dei compiti "attribuiti dalla presente legge concernenti la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di telefonia mobile".

Argomentare dalle disposizioni di legge regionale testé riportate l'attribuzione di una potestas (evidentemente) normativa avente carattere implementativo - se non addirittura derogatorio - rispetto al quadro di disciplina dettato a livello nazionale appare invero azzardato: piuttosto venendo in considerazione un generale assetto della materia che - ferma l'individuazione statale di limiti e parametri di esposizione e/o di emissione - demanda alle Autorità locali le conseguenziali attribuzioni di vigilanza (sul rispetto di questi ultimi) e di esecuzione.

2. Se dal quadro come sopra delineato emerge con convincente chiarezza la sussumibilità nel novero della attribuzioni statali della disciplina delle emissioni elettromagnetiche - evidentemente nel quadro dell'esigenza di fissare, nell'ambito del territorio nazionale, principi e criteri informati a carattere di uniformità ed omogeneità, onde evitare la presenza di parcellizzati (e potenzialmente dissonanti) interventi di regolamentazione che, ove lasciati alla mera iniziativa delle Autorità locali, ben sarebbero suscettibili di presentare tratti significativamente disarmonici) - l'introduzione della normativa di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) appieno assevera la fondatezza dell'esposto convincimento.

Nell'osservare come, fra le finalità dell'anzidetta normativa, l'art. 1, I comma, lett. a) ricomprenda l'esigenza di assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell'esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell'art. 32 della Costituzione, va rilevato che il successivo art. 4, I comma, lett. a), ha innanzi tutto attribuito allo Stato l'esercizio delle funzioni relative "alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità … in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'art. 1".

Il successivo II comma, lett. a), ha quindi demandato la fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché delle tecniche di misurazione e rilevamento dell'inquinamento elettromagnetico ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro della Sanità.

Quanto alle attribuzioni riservate alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, l'art. 8 della l. 36/2001 ha stabilito che:

rientra nella competenza delle Regioni, "nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato … l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, ai sensi della legge 31 luglio 1997 n. 249 e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5" (I comma, lett. a);

le Regioni, "nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997 n. 249" (comma IV);

"i Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici" (comma VI).

Appare del tutto evidente come le disposizioni precedentemente illustrate - ancorché vada dato atto della inapplicabilità della legge quadro 36 del 2001 alla presente vicenda contenziosa, sviluppatasi anteriormente all'entrata in vigore della normativa da essa introdotta - contribuisca a fornire utili elementi di giudizio che asseverano il convincimento dal Collegio esposto quanto alla ripartizione di attribuzioni in subiecta materia fra Stato, Regioni ed Amministrazioni comunali.

La legge 36, infatti, si pone quale coerente punto d'arrivo di un complesso di disposizioni - talora succedutesi con carattere di non sempre apprezzabile organicità, anche in relazione al rapido sviluppo di forme di comunicazioni (e connesse tecnologie) in precedenza non diffuse - nell'ambito delle quali sono ravvisabili due coerenti - e costantemente ribaditi - principi di carattere generale, individuabili:

in primo luogo, nell'esclusiva attribuzione allo Stato della funzione di fissazione dei criteri e dei limiti rilevanti al fine della protezione della popolazione dalle potenzialità nocive insite nell'esposizione a campi elettromagnetici (funzione che, significativamente, la legge quadro ricongiunge ad un'esigenza di attuazione dell'art. 32 della Costituzione);

e, secondariamente, nel conferimento alle Regioni ed ai Comuni di compiti aventi rilievo attuativo, esecutivo, di controllo e di vigilanza; dal novero dei quali la pertinente disciplina appare aver sempre ribadito la non sussumibilità di attribuzione aventi autonoma valenza decisionale e, conseguentemente, attitudine potenzialmente derogatoria rispetto alla normativa fissata a livello statale.

3. Gli avversati atti, alla stregua di quanto precedentemente osservato, non sfuggono a giudizio di illegittimità in relazione alle seguenti considerazioni.

3.1 In primo luogo, nel disciplinare la materia delle emissioni elettromagnetiche, l'Autorità comunale ha esercitato attribuzioni che il quadro normativo vigente al momento dell'adozione dell'atto riservava ad organi statali e regionali; per l'effetto non potendo non darsi atto della carenza di potestas decidendi in capo alla resistente Amministrazione comunale.

La fissazione di limiti di emissione, ovvero, ancora, l'individuazione di una distanza minima delle stazioni radio base (SRB) da particolari tipologie di insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinata a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento (o, comunque, di pregiudizio) non costituisce, infatti, attribuzione che l'Amministrazione comunale possa autonomamente esercitare; siffatta considerazione ricevendo ulteriore conferma laddove le prescrizioni dettate in sede locale si pongano in contrasto con le indicazioni rivenienti da fonte normativa superiore.

L'individuazione di limiti, parametri e/o requisiti "diversi" da quelli rinvenibili nella normativa di promanazione statale non può, dunque, essere considerata legittima: all'Amministrazione comunale residuando, giusta quanto precedentemente osservato, l'esercizio di compiti di vigilanza e/o di attuazione che, con ogni evidenza, non involgono la titolarità di un'autonoma funzione decisoria.

In tal senso, l'assunto propugnato dal Collegio trova conforto anche negli orientamenti maturati in giurisprudenza (segnatamente in sede cautelare, atteso che - in considerazione della novità del thema decidendum - non è allo stato dato rinvenire un consistente novero di pronunzie di merito).

Può, in primo luogo, significativamente osservarsi come il Consiglio di Stato (sez. VI, ord.za n. 865 del 6 febbraio 2001) abbia affermato che "non spetta ai Comuni la disciplina dell'installazione degli impianti di radiocomunicazione sotto il profilo della compatibilità con la salute umana (di competenza dello Stato ed anche delle Regioni e delle Province autonome)" ai sensi del III comma dell'art. 4 del D.I. 381/98.

Analoga posizione interpretativa risulta essere stata assunta non soltanto dal T.A.R. Marche in sede cautelare (cfr. ord.za n. 205 del 19 aprile 2001), ma anche dal T.A.R. Toscana (sent. n. 412 dell'8 marzo 2001), laddove viene rilevato che "in materia di rilascio di concessioni edilizie per l'installazione di impianti di telefonia mobile, l'attività del Comune deve … limitarsi alla verifica dei profili urbanistici e all'accertamento del rispetto delle soglie di emissioni prescritte dal D.M. n. 381/98".

Ulteriore conferma di quanto sostenuto in precedenza riviene poi dal contenuto della pronunzia resa dal T.A.R. Marche (sent. 913 del 23 giugno 2000), segnatamente per quanto concerne la finalità di tutela della salute pubblica: alla quale "è diretto proprio il decreto interministeriale n. 381/98, allorché definisce i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici generati dagli impianti fissi di telecomunicazione …, demandando … alle Regioni, non al Comune, il compito di emanare la disciplina relativa alla loro installazione e modifica, … allo scopo di garantire il rispetto dei valori limite prefissati, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità e le attività di controllo e vigilanza".

L'unitarietà della tutela del bene-salute giustifica, giusta quanto precedentemente osservato, la persistenza di una concentrata attribuzione statale in subiecta materia; venendo, altrimenti, in considerazione una variegata disciplina che, lungi dall'armonizzare su tutto il territorio nazionale i parametri fondamentali di tutela dei cittadini, verrebbe ad atteggiarsi con carattere di intuibile disarmonia, in evidente contrasto con i postulati costituzionali - che il Collegio intende in questa sede ribadire quali fondamentali referenti ermeneutici - di cui agli artt. 3 e 32 della Costituzione.

Se pure deve darsi atto dell'apprezzabile intento perseguito dalla singola Amministrazione comunale al fine di pervenire ad una migliore tutela del bene-salute dei cittadini residenti sul suo territorio, non può tuttavia il Collegio omettere di valutare - ai fini dell'apprezzamento della ratio insita nell'unitarietà della disciplina di che trattasi - la potenzialità pregiudizievole intrinseca all'eventuale ammissibilità di un generalizzato potere derogatorio in capo ai singoli Comuni.

Ad un siffatto "decentramento" decisionale - e non già meramente esecutivo e di vigilanza, come invece postulato dalla normativa applicabile - inevitabilmente finirebbe per accedere un complessivo quadro di disciplina (degli insediamenti degli impianti; dei limiti di emissione; dei parametri di tollerabilità; degli obiettivi di qualità) che, in quanto intuibilmente eterogeneo, di fatto introdurrebbe una differenziata tutela della salute dei cittadini in ragione dell'insediamento di essi su un (particolare) territorio comunale, il luogo che all'interno di un altro; ulteriormente, potendo dar luogo a fenomeni di concentrazione degli insediamenti di impianti in ambiti territoriali nei quali l'Autorità comunale abbia posto parametri e limiti meno rigidi, con riveniente incremento dell'esposizione della popolazione ivi residente ad un'accresciuta irradiazione elettromagnetica.

Siffatte conclusioni inevitabilmente confliggono con l'esigenza - di diretta promanazione costituzionale - di omogeneità della disciplina di tutela della salute pubblica sull'intero territorio nazionale; e contribuiscono a confermare l'assunto - scaturente dalla condotta disamina del quadro normativo di riferimento e dal Collegio ribadito nell'ottica di una lettura costituzionalmente compatibile della disciplina di che trattasi - di una necessaria fissazione unitaria (valevole per l'intero territorio nazionale) dei parametri e dei limiti atti a proteggere la salute dei cittadini dalle potenzialità nocive insite nelle radiazioni elettromagnetiche.

Deve quindi escludersi che - ad esempio - la fissazione dei limiti massimi di esposizione della popolazione ai CEM (campi elettromagnetici) possa formare oggetto, avuto riguardo alla determinazione dei relativi standards (di cui al citato D.I. 381/98) di modificazione in sede comunale: vieppiù laddove - come appunto nel caso di specie - non sia dato rinvenire il fondamento giustificativo di una scelta che si ponga in termini significativamente più restrittivi rispetto a quanto stabilito dalla normativa nazionale.

3.2 Se, sotto un profilo di carattere generale, è ben difficile sostenere - in carenza di una norma che siffatta attribuzione espressamente riconosca ed attribuisca agli enti locali - la legittima esercitabilità di un potere sostanzialmente "derogatorio" in capo alle diverse Amministrazioni comunali (pena l'evidente vanificazione dell'intento unitario che permea l'individuazione di criteri e limiti stabiliti con incontroversa validità per l'intero territorio nazionale), va poi osservato - specificamente per quanto attiene alla controversia in esame - come la gravata determinazione non si dimostri (alla stregua delle risultanze documentali acquisite agli atti di causa) assistita da incontroversi rilievi di carattere documentale.

Rileva in tal senso il Collegio che, quand'anche potesse astrattamente convenirsi sulla esercitabilità di una potestà "derogatoria" siffatta (ed è ipotesi che, alla stregua di quanto sopra esposto, va in nuce esclusa), comunque la concreta dettagliabilità di forme di tutela e/o di intervento ad opera dell'Autorità comunale non si dimostrerebbe legittimamente esercitata se non in presenza della (preventiva) acquisizione di riscontrabili ed oggettivi elementi di valutazione alla stregua dei quali una diversa disciplina della materia si dimostrasse (non solo necessaria, ma anche meramente) opportuna.

In tal senso, l'assunzione della deliberazione di che trattasi avrebbe dovuto essere necessariamente preceduta dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori, per effetto dei quali venisse ad emersione, sulla base di condotte valutazioni di carattere tecnico-scientifico, l'esigenza di approntare interventi cautelativi per la pubblica salute aventi carattere di integrazione e/o sostituzione rispetto alle misure fissate a livello nazionale.

Altrimenti, l'esercizio del potere sostanziatosi nell'adozione dell'atto gravato viene a dimostrarsi privo di attendibili (o, quanto meno, dimostrabili) referenti di fatto: non potendo evidentemente accedere l'adito organo di giustizia amministrativo ad una esigenza di cautela per la pubblica incolumità:

non solo manifestata all'infuori di (e, secondo quanto in precedenza sottolineato, in contrasto con) il vigente quadro normativo di settore;

ma, vieppiù, esercitata senza alcun riferimento a valutazioni e/o considerazioni che integrino il fondamento delle misure che l'Amministrazione procedente abbia assunto di adottare a fini di salvaguardia della pubblica salute.

Non è chi non veda come l'assenza dei necessari approfondimenti istruttori finisca per risolvere l'intervento di disciplina oggetto del presente gravame in una apodittica manifestazione di volontà: alla carente dimostrabilità dei relativi presupposti di fatto e/o delle sottese esigenze di cautela accedendo l'evidente emersione di profili inficianti, rilevanti sub specie dell'eccesso di potere per omessa e/o carente istruttoria, del difetto dei presupposti, dell'indimostrata presenza dell'interesse pubblico (il quale ultimo, è opportuno sottolineare, lungi dal risolversi in una apodittica postulazione di principio, deve invece dimostrarsi suscettibile di essere illustrato alla stregua di concreti e convincenti elementi di valutazione).

Del resto, anche la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che - ferma restando l'individuazione dei parametri relativi ai valori massimi di esposizione ai CEM ad opera del più volte citato D.I. 381/98 - l'introduzione di una diversa - ed ulteriore - disciplina, ove non ancorata a basi scientifiche, "può apparire insufficiente a legittimare il potere esercitato (cfr. T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 29 maggio 2001 n. 371).

E anche laddove si è ritenuto non esclusa l'esercitabilità, ad opera dei Comuni, del potere urbanistico ed edilizio che si traduca - anche con riferimento ed esigenze di cautela sanitaria - nell'individuazione di distanze determinate per la realizzazione di impianti radio base di telefonia mobile rispetto ad ambienti abitativi, nondimeno è stata ribadita l'esigenza di verificare "sul piano sostanziale la ragionevolezza della misura e l'adeguatezza della motivazione, dell'istruttoria e della previa verifica del fondamento fattuale" (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 19 aprile 2001 n. 1738).

4. Se, alla stregua delle condotte considerazioni, il ricorso - nella sua parte impugnatoria - merita senz'altro accoglimento (con inevitabile assorbimento dei rimanenti argomenti di censura), non può invece ricevere favorevole considerazione la domanda di risarcimento del danno che parte ricorrente - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - ha sottoposto all'attenzione dell'adito organo di giustizia amministrativa in ragione del pregiudizio asseritamente patito per effetto dell'esecuzione degli atti impugnati.

La giurisprudenza ha infatti reiteratamente affermato - con orientamento che la Sezione intende, in questa sede, ribadire - che la domanda di risarcimento del danno deve essere accompagnata dalla dimostrazione dell'effettivo pregiudizio patrimoniale e del necessario nesso eziologico con i provvedimenti dei quali si assuma l'illegittimità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2000 n. 244); dimostrandosi inammissibile la domanda formulata - come appunto nel caso in esame - in modo del tutto generico e senza alcuna concreta dimostrazione degli elementi probatori a fondamento della pretesa fatta valere (cfr. T.A..R Lazio, sez. I-ter, 17 gennaio 2001 n. 252).

Vuole, in altri termini, affermarsi che le coordinate "minime" identificative dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria non possono non essere individuate:

nella presenza di un pregiudizio suscettibile di ristoro;

nella derivazione causale del danno da un atto, ovvero da una condotta riferibile alla Pubblica Amministrazione;

nonché nella ascrivibilità, sotto il profilo eziolologico, del danno stesso ad un comportamento almeno colposo osservato dalla Pubblica Autorità;

siffatti elementi di ammissibilità della domanda dovendo necessariamente formare oggetto di compiuta dimostrazione ad opera della parte che intenda far valere in giudizio la pretesa stessa.

Escluso quindi che l'adito Giudice amministrativo possa, in difetto dell'offerta del benché minimo riscontro dimostrativo a conforto della sussistenza e consistenza di un pregiudizio asseritamente sentito, "supplire" all'omessa ostensione del necessario fondamento probatorio della pretesa risarcitoria a mezzo dell'esercizio di poteri istruttori e/o cognitori, non può esimersi il Collegio dal dare atto dell'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno nella fattispecie dedotta.

5. Conclusivamente ribadite le considerazioni precedentemente illustrate, rileva il Collegio - anche in ragione della complessità e novità della problematica giuridica sottesa alla definizione del giudizio - la presenza di giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II - così dispone in ordine al ricorso indicato in epigrafe:

accoglie il predetto gravame, limitatamente alla dedotta domanda impugnatoria e per l'effetto, annulla gli atti con esso avversati;

dichiara inammissibile la domanda di risarcimento del danno dalla parte ricorrente avanzata.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 27 giugno e del 4 luglio 2001, con l’intervento dei signori giudici

Dr. Filippo MARZANO - Presidente

Dr. Francesco GIORDANO - Consigliere

Dr. Roberto POLITI - Consigliere, estensore

Depositata il 25 agosto 2001.

Testo della sentenza n. 7015 del 25 agosto 2001 (relativa alla Regione Lazio).

SENTENZA

sul ricorso n. 16981 del 2000, proposto da TELECOM ITALIA MOBILE - TIM S.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe De Vergottini e Mario Sanino, per il presente giudizio elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli n. 180 , presso lo studio Sanino

contro

la Regione Lazio, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Rivela, per il presente giudizio elettivamente domiciliato in Roma, alla via Marcantonio Colonna, presso l'Avvocatura regionale;

il Ministero dell'Ambiente, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliato, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12

per l'annullamento

della deliberazione della Giunta Regionale n. 1138 del 4 aprile 2001, recante la disciplina per l'installazione di SRB per telefonia cellulare;

nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compresa la delibera della Giunta Regionale recante modifica ed integrazione alla D.G.R. 1138/00, nonché, per quanto di ragione, del D.M. 381/98, artt. 4 comma III e 5 comma I

Visto il ricorso con la relativa documentazione;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti, nonché, in qualità di interventore ad adiuvandum, della ERICSSON Telecomunicazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Alesi e Gennaro Contardi, presso lo studio del primo elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Ponte Lungo n. 11;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 27 giugno 2001 il dr. Roberto POLITI; uditi altresì l'avv. Sanino per la parte ricorrente, l'avv. Caprio, in sostituzione dell'avv. Rivela, per l'Amministrazione regionale resistente, l'avv. dello Stato Cesaroni per il Ministero dell'Ambiente e l'avv. Contardi per il predetto interventore ad adiuvandum.

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Rileva preliminarmente parte ricorrente - concessionaria per l'installazione e l'esercizio di impianti di telecomunicazioni per l'espletamento del servizio pubblico radiomobile di comunicazione con il sistema GSM - che dal contenuto delle avversate determinazioni regionali non è dato evincere, con inoppugnabile concludenza, la materia che l'Autorità ha inteso disciplinare; tuttavia manifestandosi l'intendimento di sottoporre al sindacato giurisdizionale i deliberati di che trattasi, laddove suscettibili di essere interpretati ed applicati anche con riferimento agli impianti dalla ricorrente stessa gestiti.

I relativi profili di censura possono così riassumersi:

1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione e falsa applicazione del D.I. 391/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione e di istruttoria, falsità della causa, difetto dei presupposti, sviamento, illogicità manifesta e disparità di trattamento. Incompetenza.

Nell'osservare come la materia dell'inquinamento elettromagnetico rientrerebbe nelle competenze statali, assume la Società ricorrente che la resistente Amministrazione regionale non avrebbe alcuna attribuzione.

La determinazione di un coefficiente di protezione basato sulla localizzazione avrebbe, inoltre, carattere arbitrario ed irragionevole, dimostrandosi priva di rilevanza sanitaria.

Piuttosto, rileverebbero ai fini del controllo del rischio elettromagnetico i valori limite di esposizione, che nel caso in esame non sarebbero stati tenuti in alcuna considerazione.

2) Violazione e falsa applicazione della legge 10/77, del R.D. 1265/34, nonché della l.r. 56/89. Violazione del principio di buona amministrazione per genericità dell'azione amministrativa. violazione del principio di non aggravamento del procedimento. Carenza di motivazione. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti ed illogicità. Pretestuosità.

Assume poi parte ricorrente l'illegittimità della disposizione con la quale tutti i nuovi impianti di telefonia sono stati assoggettati ad obbligo di rilascio di concessione edilizia; in proposito assumendosi come questi debbano, al contrario, ritenersi soggetti alle vigenti procedure di carattere edilizio ed urbanistico, in ragione delle specifiche caratteristiche di ogni intervento.

Inconferente si dimostrerebbe anche il richiamo alla disposizione di cui all'arte. 220 del Testo Unico sulle leggi sanitarie, di cui al R.D. 1265 del 1934.

3) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per illogicità ed ingiustizia manifesta.

La deliberazione impugnata, nel prevedere l'osservanza di una serie di particolari prescrizioni per la realizzazione di stazioni radio base (SRB), si rivelerebbe inficiata sotto il profilo dell'incompetenza, in quanto la disciplina in tema di adeguamento e realizzazione degli impianti è espressamente riservata dalla legge alle determinazioni degli organi statali (nell'ambito del generale principio di assicurare omogeneità di disciplina nell'ambito dell'intero territorio nazionale).

4) Violazione della l. 31 luglio 1997 n. 249 e del D.M. 24 ottobre 1997 e della l. 59/97. Violazione dei principi in materia di procedimenti di secondo grado e del diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare per irragionevolezza, difetto dei presupposti e di motivazione, falsità della causa, carenza di istruttoria. Incompetenza.

Nel ribadire l'illegittimità dell'intento "programmatorio" - quanto alla localizzazione e distribuzione di tutti gli impianti per le telecomunicazioni radiomobili - rileva parte ricorrente che la determinazione avversata non sia stata preceduta da alcuna concreta valutazione circa le reali potenzialità nocive per la salute dei cittadini assunte dall'installazione dell'impianto di che trattasi (per le relative attribuzioni, risultando tra l'altro competente l'Ispettorato Territoriale del Ministero della Sanità).

5) Violazione e falsa applicazione della l. 1150/42, della l. 47/85, della l. 10/77, della l. 241/90, della l. 457/78, del D.M. 1444/68 e degli artt. 873-899 c.c. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, falsità della causa, confusione e perplessità dell'azione amministrativa, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta. Violazione dell'art. 41 della Costituzione.

La resistente Amministrazione avrebbe omesso di indicare, all'atto dell'adozione dell'avversata determinazione, le norme a che avrebbero permesso di agire nei confronti della ricorrente; assumendosi che siffatta determinazione - nel dare atto dell'assenza di alcuna norma che nel territorio regionale precluda l'inedificabilità assoluta di manufatti quali le SRB, ovvero subordini i procedimenti di rilascio del relativo titolo autorizzatorio alla preventiva acquisizione di pareri e/o nulla osta sanitari - comprima anche il diritto di libertà nell'iniziativa imprenditoriale, postulato dalla norma costituzionale indicata in epigrafe.

6) Violazione e falsa applicazione della l. 142 del 1990

Ferma restando la già affermata competenza esclusiva dello Stato, sostiene parte ricorrente, in ogni caso, la carenza di legittimazione in capo alla Giunta Regionale a deliberare nella materia in esame.

7) Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per erroneità, confusione, perplessità e contraddittorietà dell'azione amministrativa.

Contesta parte ricorrente la disciplina dettata dall'avversata deliberazione quanto all'obbligo di rilascio del nulla osta sanitario da parte della ASL territorialmente competente con riferimento agli impianti esistenti.

Si eccepisce poi l'irrazionalità del termine di 60 giorni previsto per il conseguimento del nulla osta di che trattasi, comunque illegittimo in quanto non disciplinato da alcuna disposizione.

8) Violazione dell'art. 3, I comma, della legge 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione della l.r. 56/89. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare per indeterminatezza dei contenuti della delibera. Violazione del principio di ragionevolezza.

La l.r. 56/89 - alla quale l'avversata deliberazione regionale rinvia - non trova applicazione per quanto concerne le antenne per telefonia radiomobile, bensì solo per quelle riguardanti gli impianti radiotelevisivi.

Assume poi parte ricorrente l'illegittimità del (pure) impugnato Decreto Ministeriale 381 del 1998 (limitatamente agli artt. 4, III comma e 5, I comma) in ragione delle sensure di seguito riportate:

9) Violazione dell'art. 17, III comma, della l. 23 agosto 1988 n. 4000. Incompetenza assoluta.

Nell'osservare come l'epigrafata normativa consenta l'adottabilità di decreti a mezzo di regolamenti ministeriali a condizione che il regolamento rientri nella competenza del Ministro e che la legge gli conferisca espressamente siffatto potere, rileva parte ricorrente che la l. 249 del 1997 assegnerebbe al Ministro dell'Ambiente il solo potere di fissare i tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana.

10) Violazione dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione dei principi costituzionali di uniformità della tutela della salute e di unitarietà dell'interesse ambientale.

L'assegnazione alle Regioni ed alle Province di autonomi poteri di intervento intesi a disciplinare porzioni di materie che la vigente legislazione riserva allo Stato confliggerebbe con gli epigrafati principi, nonché con le pure rammentate indicazioni legislative, con riferimento alla violazione delle prerogative in subiecta materia tuttora esercitabili esclusivamente ad opera dell'Autorità statale.

11) Violazione dei principi che nel Titolo III del D.Lgs. 112/98 regolano la ripartizione di competenze fra Stato e Regioni in materia ambientale. Illogicità e perplessità dell'azione amministrativa.

Rileva parte ricorrente come, alla stregua dell'indicata fonte normativa, rimangano riservate allo Stato le funzioni che si riferiscono alla identificazione dei criteri generali per il monitoraggio ed il controllo dell'ambiente e del territorio, nonché quelle relative alla determinazione di standards tecnici uniformi da applicarsi sull'intero territorio nazionale.

Il trasferimento dei compiti di che trattasi alle Regioni ed alle Province autonome, di per sé illegittimo, si dimostrerebbe ulteriormente viziato in ragione della mancata predisposizione di criteri uniformi da seguirsi in sede applicativa.

12) Violazione del principio di uniformità della disciplina di principio nel settore dell'inquinamento da onde elettromagnetiche. Contraddittorietà con l'indirizzo legislativo in materia di protezione. Violazione del principio di ragionevolezza.

L'intero quadro normativa nel tempo formatosi in materia avrebbe costantemente affermato l'esigenza della uniformità della disciplina del settore; principio che parte ricorrente lamenta non essere stato osservato ad opera delle censurate disposizioni dell'impugnato Decreto Ministeriale.

Con motivi aggiunti alle controparti notificati il 26 - 27 aprile 2001, la S.p.A. T.I.M. ha sollecitato l'ulteriore annullamento del regolamento approvato dalla Giunta Regionale con deliberazione n. 2207 del 3 ottobre 2000.

I profili di censura con siffatto mezzo di tutela proposti all'attenzione dell'adito Giudice amministrativo possono così riassumersi:

13) Violazione dell'art. 7 della legge 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.

Nel lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.

14) Violazione assoluta della legge 22 febbraio 2001 n. 36 e del D.I. 381 del 1998. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare per difetto di motivazione e di istruttoria, perplessità e confusione dell'azione amministrativa difetto assoluto dei presupposti.

Il regolamento regionale, pubblicato tre giorni dopo la legge quadro 36 del 2001, non contiene alcun accenno alla disciplina introdotta da quest'ultimo corpo normativo.

Sarebbero inoltre vigenti due diverse discipline nell'ambito della medesima Regione, atteso che all'adozione del testo regolamentare di cui alla deliberazione 2207 del 2000 non ha fatto seguito l'abrogazione della precedente delibera 1138 del 2000.

Assume poi parte ricorrente che il regolamento ora avversato, lungi dall'applicare il contenuto della citata legge 36 del 2001, ne avrebbe con più disposizioni operato una palese violazione (ad esempio, quanto agli "obiettivi di qualità", all'adottabilità di un "piano di risanamento degli impianti", alle modalità di verifica del livello di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici).

15) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione e falsa applicazione del D.I. 391/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione e di istruttoria, falsità della causa, difetto dei presupposti, sviamento, illogicità manifesta e disparità di trattamento. Incompetenza.

Nell'osservare come la materia dell'inquinamento elettromagnetico rientrerebbe nelle competenze statali, assume la Società ricorrente che la resistente Amministrazione regionale non avrebbe alcuna attribuzione.

La determinazione di un coefficiente di protezione basato sulla localizzazione avrebbe, inoltre, carattere arbitrario ed irragionevole, dimostrandosi priva di rilevanza sanitaria.

Piuttosto, rileverebbero ai fini del controllo del rischio elettromagnetico i valori limite di esposizione, che nel caso in esame non sarebbero stati tenuti in alcuna considerazione.

16) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, della legge 22 febbraio 2001 n. 36, dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l.59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare per illogicità e ingiustizia manifesta.

La Regione Lazio si sarebbe arrogata il potere - riservato allo Stato dalla l. 36 del 2001 e dal D.Lgs. 112 del 1998 - di dettare norme in materia di adeguamento e realizzazione degli impianti, nonché di determinazione dei limiti massimi di esposizione alle emissioni.

Conclude parte ricorrente per l'accoglimento del proposto gravame, insistendo per l'annullamento delle determinazioni regionali con esso avversate; nonché - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - per il riconoscimento del pregiudizio asseritamente sofferto a seguito dell'esecuzione dell'atto impugnato, con riveniente accertamento del danno e condanna dell'Amministrazione intimata alla liquidazione della somma a tale titolo spettante.

La resistente Amministrazione regionale ed il Ministero dell'Ambiente, costituitisi in giudizio, hanno eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

Si è inoltre costituita in giudizio, in qualità di interventore ad adiuvandum, la S.p.A. ERICSSON Telecomunicazioni, sostenendo le ragioni di censura esposte dalla parte ricorrente ed invocando, conseguentemente, l'accoglimento del presente gravame.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 27 giugno 2001.

DIRITTO

1. Si dimostra fondata - con attitudine, invero, assorbente rispetto ai rimanenti profili di doglianza dalla parte ricorrente dedotti - la censura con la quale viene contestata la competenza dell'Autorità regionale ai fini della disciplina della materia di installazione e mantenimento di impianti radio base per telefonia cellulare, segnatamente sotto i profili della tutela ambientale e della salute pubblica.

Si impone, al riguardo, una necessaria ricognizione del quadro normativo di riferimento.

Va in primo luogo osservato come l'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 15 marzo 1997 n. 59 abbia escluso dall'applicazione delle disposizioni dettate ai primi due precedenti commi (riguardanti il conferimento alle Regioni e agli Enti locali di "funzioni e compiti amministrativi" "relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché" quelli "… localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici, "i compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la difesa del suolo, per la tutela dell'ambiente e della salute, per gli indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo, per la ricerca, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia".

In attuazione della citata l. 59 del 1997 veniva poi emanato il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112; il cui art. 69 ha stabilito che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, sono compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente quelli relativi alla determinazione di valori limite, standard, obiettivi di qualità e sicurezza e norme tecniche necessari al raggiungimento di un livello adeguato di tutela dell'ambiente sul territorio nazionale (lett. e).

Il successivo art. 83 del citato Decreto ha poi specificato che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, hanno rilievo nazionale i compiti relativi:

alla disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati (lett. a);

alla fissazione di valori limite e guida della qualità dell'aria (lett. b);

alla fissazione e aggiornamento delle linee guida per il contenimento delle emissioni, dei valori minimi e massimi di emissione, metodi di campionamento, criteri per l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili e criteri di adeguamento degli impianti esistenti (lett. e);

alla determinazione dei criteri per l'elaborazione dei piani regionali di risanamento e tutela della qualità dell'aria (lett. h);

alla definizione di criteri generali per la redazione degli inventari delle fonti di emissione (lett. i).

E' quindi intervenuta la l. 31 luglio 1997 n. 249 (recante istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo); la quale ha disposto (art. 1, comma XV) che:

l'Autorità "vigila sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana e verifica che tali tetti, anche per effetto congiunto di più emissioni elettromagnetiche, non vengano superati, anche avvalendosi degli organi periferici del Ministero delle comunicazioni" (il rispetto di tali indici rappresentando condizione obbligatoria per le licenze o le concessioni all'installazione di apparati con emissioni elettromagnetiche);

e che "il Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero della sanità e con il Ministero delle comunicazioni, sentiti l'Istituto superiore di sanità e l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), fissa entro sessanta giorni i tetti di cui al presente numero, tenendo conto anche delle norme comunitarie".

Il decreto ministeriale al quale ha operato rinvio la disposizione da ultimo riportata risulta essere stato poi emanato (dal Ministro dell'ambiente, d'intesa con i Ministri delle Comunicazioni e della sanità) in data 10 settembre 1998 con il n. 381.

Con la relativa disciplina sono stati fissati:

i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz (art. 1);

i limiti di esposizione (art. 3, con rinvio alla Tabella 1);

le misure di cautela e gli obiettivi di qualità (art. 4);

le azioni di risanamento (art. 5);

ulteriormente procedendosi (allegati A e B) alla individuazione dei relativi concetti definitoti e delle applicabili unità di misura, nonché delle modalità ed esecuzione delle misure e delle valutazioni.

Di particolare interesse si rivelano, ai fini del decidere, le disposizioni di cui al II e III comma dell'art. 4 del citato Decreto interministeriale, laddove si precisa che:

in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore non devono essere superati i seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza, mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti: 6 V/m per il campo elettrico, 0,016 A/m per il campo magnetico intesi come valori efficaci e, per frequenze comprese tra 3 Mhz e 300 GHz, 0,10 W/m2 per la densità di potenza dell'onda piana equivalente;

"nell'ambito delle proprie competenze, fatte salve le attribuzioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le Regioni e le Province autonome disciplinano l'installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione al fine di garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità, nonché le attività di controllo e vigilanza in accordo con la normativa vigente, anche in collaborazione con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per quanto attiene all'identificazione degli impianti e delle frequenze loro assegnate".

Va senz'altro osservato, quanto alla disposizione da ultimo riportata, che l'attribuzione alle Regioni ed alle Province autonome di attribuzioni relative al raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità non appare giustificare l'introduzione di limiti (ulteriori e/o diversi) rispetto a quanto nel Decreto stesso stabilito; e ciò in quanto il perseguimento dell'anzidetta finalità - e, con esso, la consentita disciplina dell'installazione e della modifica degli impianti di radiocomunicazione - risulta delimitato dall'esigenza di "garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma II".

Né può fondatamente sostenersi che un siffatto potere "derogatorio" - rispetto alla delineazione della materia fornito dal quadro normativo statale di riferimento - sia individuabile nell'ambito delle applicabili disposizioni di legge regionale.

Rilevano, in tal senso, le previsioni dettate dagli artt. 113, 114 e 115 della l.r. 6 agosto 1999 n. 14, dai quali è data evincere la tripartizione di attribuzioni di seguito esplicitata:

innanzi tutto, alla Regione sono riservati (art. 113) le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti:

a) il rilascio del parere sullo schema di piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze per la radiodiffusione, ai sensi della l. 6 agosto 1990, n. 223

b) l'adozione di metodi e di procedure per l'esecuzione delle azioni di risanamento dall'inquinamento elettromagnetico;

c) la valutazione dei progetti di risanamento, nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di radiocomunicazione destinati all'emittenza radiotelevisiva;

alle Province è invece attribuita (ex art. 114) la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione a talune tipologie di impianti (impianti di radio comunicazione destinati alle telecomunicazioni satellitari ed alla radar-localizzazione ad uso civile; impianti di tratta di ponti-radio e ripetitori di ponti-radio; elettrodotti aventi tensione inferiore a 150 KV);

mentre ai Comuni residuano (art. 115) "le funzioni ed i compiti amministrativi non espressamente riservati alla Regione e non conferiti agli altri enti locali"; ad essi risultando, in particolare, rimesso l'esercizio delle funzioni e dei compiti "attribuiti dalla presente legge concernenti la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di telefonia mobile".

Argomentare dalle disposizioni di legge regionale testé riportate l'attribuzione di una potestas (evidentemente) normativa avente carattere implementativo - se non addirittura derogatorio - rispetto al quadro di disciplina dettato a livello nazionale appare invero azzardato: piuttosto venendo in considerazione un generale assetto della materia che - ferma l'individuazione statale di limiti e parametri di esposizione e/o di emissione - demanda alle Autorità locali le conseguenziali attribuzioni di vigilanza (sul rispetto di questi ultimi) e di esecuzione.

2. Se dal quadro come sopra delineato emerge con convincente chiarezza la sussumibilità nel novero della attribuzioni statali della disciplina delle emissioni elettromagnetiche - evidentemente nel quadro dell'esigenza di fissare, nell'ambito del territorio nazionale, principi e criteri informati a carattere di uniformità ed omogeneità, onde evitare la presenza di parcellizzati (e potenzialmente dissonanti) interventi di regolamentazione che, ove lasciati alla mera iniziativa delle Autorità locali, ben sarebbero suscettibili di presentare tratti significativamente disarmonici) - l'introduzione della normativa di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) appieno assevera la fondatezza dell'esposto convincimento.

Nell'osservare come, fra le finalità dell'anzidetta normativa, l'art. 1, I comma, lett. a) ricomprenda l'esigenza di assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell'esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell'art. 32 della Costituzione, va rilevato che il successivo art. 4, I comma, lett. a), ha innanzi tutto attribuito allo Stato l'esercizio delle funzioni relative "alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità … in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'art. 1".

Il successivo II comma, lett. a), ha quindi demandato la fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché delle tecniche di misurazione e rilevamento dell'inquinamento elettromagnetico ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro della Sanità.

Quanto alle attribuzioni riservate alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, l'art. 8 della l. 36/2001 ha stabilito che:

rientra nella competenza delle Regioni, "nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato … l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, ai sensi della legge 31 luglio 1997 n. 249 e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5" (I comma, lett. a);

le Regioni, "nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997 n. 249" (comma IV);

"i Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici" (comma VI).

Appare del tutto evidente come le disposizioni precedentemente illustrate - ancorché vada dato atto della inapplicabilità della legge quadro 36 del 2001 alla presente vicenda contenziosa, sviluppatasi anteriormente all'entrata in vigore della normativa da essa introdotta - contribuisca a fornire utili elementi di giudizio che asseverano il convincimento dal Collegio esposto quanto alla ripartizione di attribuzioni in subiecta materia fra Stato, Regioni ed Amministrazioni comunali.

La legge 36, infatti, si pone quale coerente punto d'arrivo di un complesso di disposizioni - talora succedutesi con carattere di non sempre apprezzabile organicità, anche in relazione al rapido sviluppo di forme di comunicazioni (e connesse tecnologie) in precedenza non diffuse - nell'ambito delle quali sono ravvisabili due coerenti - e costantemente ribaditi - principi di carattere generale, individuabili:

in primo luogo, nell'esclusiva attribuzione allo Stato della funzione di fissazione dei criteri e dei limiti rilevanti al fine della protezione della popolazione dalle potenzialità nocive insite nell'esposizione a campi elettromagnetici (funzione che, significativamente, la legge quadro ricongiunge ad un'esigenza di attuazione dell'art. 32 della Costituzione);

e, secondariamente, nel conferimento alle Regioni - con il vincolo del rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato - dell'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile (mentre ai Comuni rimangono demandati compiti aventi rilievo attuativo, esecutivo, di controllo e di vigilanza; dal novero dei quali la pertinente disciplina appare aver sempre ribadito la non sussumibilità di attribuzione aventi autonoma valenza decisionale e, conseguentemente, attitudine potenzialmente derogatoria rispetto alla normativa fissata a livello statale).

3. Gli avversati atti, alla stregua di quanto precedentemente osservato, non sfuggono a giudizio di illegittimità in relazione alle seguenti considerazioni.

Va osservato come l'Autorità regionale, nel disciplinare la materia delle emissioni elettromagnetiche, abbia esercitato attribuzioni che il quadro normativo vigente al momento dell'adozione dell'atto (e, come si è avuto modo di constatare, anche il successivo referente rappresentato dalla sopravvenuta legge 36 del 2001) riservava ad organi statali; per l'effetto non potendo non darsi atto della carenza di potestas decidendi in capo alla resistente Amministrazione regionale.

La fissazione di limiti di emissione, ovvero, ancora, l'individuazione di una distanza minima delle stazioni radio base (SRB) da particolari tipologie di insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinata a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento (o, comunque, di pregiudizio) non costituisce, infatti, attribuzione che l'Amministrazione regionale possa autonomamente esercitare se non all'interno del quadro di riferimento statale di cui sopra, del quale va ribadita la vincolatività quanto al rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità ivi disciplinati; siffatta considerazione ricevendo ulteriore conferma laddove le prescrizioni dettate in sede locale si pongano in contrasto con le indicazioni rivenienti da fonte normativa superiore.

L'individuazione di limiti, parametri e/o requisiti "diversi" da quelli rinvenibili nella normativa di promanazione statale non può, dunque, essere considerata legittima: all'Amministrazione regionale residuando - per quanto concerne la presente controversia (relativa ad atti adottati anteriormente all'entrata in vigore della legge 36 del 2001) - l'esercizio di compiti di vigilanza e/o di attuazione (ai quali, alla stregua della sopravvenienza normativa da ultimo citata, anche l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile), i quali, con ogni evidenza, non involgono la titolarità di un'autonoma funzione decisoria.

L'unitarietà della tutela del bene-salute giustifica infatti, giusta quanto precedentemente osservato, la persistenza di una concentrata attribuzione statale in subiecta materia; venendo, altrimenti, in considerazione una variegata disciplina che, lungi dall'armonizzare su tutto il territorio nazionale i parametri fondamentali di tutela dei cittadini, verrebbe ad atteggiarsi con carattere di intuibile disarmonia, in evidente contrasto con i postulati costituzionali - che il Collegio intende in questa sede ribadire quali fondamentali referenti ermeneutici - di cui agli artt. 3 e 32 della Costituzione.

Se pure deve darsi atto dell'apprezzabile intento perseguito dalla singola Amministrazione regionale al fine di pervenire ad una migliore tutela del bene-salute dei cittadini residenti sul suo territorio, non può tuttavia il Collegio omettere di valutare - ai fini dell'apprezzamento della ratio insita nell'unitarietà della disciplina di che trattasi - la potenzialità pregiudizievole intrinseca all'eventuale ammissibilità di un generalizzato potere derogatorio in capo alle singole Regioni, fuori dalle previsioni (in precedenza diffusamente illustrate) dettate dalla normativa statale di riferimento.

Ad un siffatto "decentramento" decisionale - e non già meramente esecutivo e di vigilanza, come invece postulato dalla normativa applicabile - inevitabilmente finirebbe per accedere un complessivo quadro di disciplina (degli insediamenti degli impianti; dei limiti di emissione; dei parametri di tollerabilità; degli obiettivi di qualità) che, in quanto intuibilmente eterogeneo, di fatto introdurrebbe una differenziata tutela della salute dei cittadini in ragione dell'insediamento di essi su un (particolare) territorio regionale, il luogo che all'interno di un altro; ulteriormente, potendo dar luogo a fenomeni di concentrazione degli insediamenti di impianti in ambiti territoriali nei quali l'Autorità regionale abbia individuato - e conseguentemente posto - parametri e limiti meno rigidi, con riveniente incremento dell'esposizione della popolazione ivi residente ad un'accresciuta irradiazione elettromagnetica.

Siffatte conclusioni inevitabilmente confliggono con l'esigenza - di diretta promanazione costituzionale - di omogeneità della disciplina di tutela della salute pubblica sull'intero territorio nazionale; e contribuiscono a confermare l'assunto - scaturente dalla condotta disamina del quadro normativo di riferimento e dal Collegio ribadito nell'ottica di una lettura costituzionalmente compatibile della disciplina di che trattasi - di una necessaria fissazione unitaria (valevole per l'intero territorio nazionale) dei parametri e dei limiti atti a proteggere la salute dei cittadini dalle potenzialità nocive insite nelle radiazioni elettromagnetiche.

4. Se, alla stregua delle condotte considerazioni, il ricorso - nella sua parte impugnatoria - merita senz'altro accoglimento (con inevitabile assorbimento dei rimanenti argomenti di censura), non può invece ricevere favorevole considerazione la domanda di risarcimento del danno che parte ricorrente - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - ha sottoposto all'attenzione dell'adito organo di giustizia amministrativa in ragione del pregiudizio asseritamente patito per effetto dell'esecuzione degli atti impugnati.

La giurisprudenza ha infatti reiteratamente affermato - con orientamento che la Sezione intende, in questa sede, ribadire - che la domanda di risarcimento del danno deve essere accompagnata dalla dimostrazione dell'effettivo pregiudizio patrimoniale e del necessario nesso eziologico con i provvedimenti dei quali si assuma l'illegittimità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2000 n. 244); dimostrandosi inammissibile la domanda formulata - come appunto nel caso in esame - in modo del tutto generico e senza alcuna concreta dimostrazione degli elementi probatori a fondamento della pretesa fatta valere (cfr. T.A..R Lazio, sez. I-ter, 17 gennaio 2001 n. 252).

Vuole, in altri termini, affermarsi che le coordinate "minime" identificative dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria non possono non essere individuate:

nella presenza di un pregiudizio suscettibile di ristoro;

nella derivazione causale del danno da un atto, ovvero da una condotta riferibile alla Pubblica Amministrazione;

nonché nella ascrivibilità, sotto il profilo eziolologico, del danno stesso ad un comportamento almeno colposo osservato dalla Pubblica Autorità;

siffatti elementi di ammissibilità della domanda dovendo necessariamente formare oggetto di compiuta dimostrazione ad opera della parte che intenda far valere in giudizio la pretesa stessa.

Escluso quindi che l'adito Giudice amministrativo possa, in difetto dell'offerta del benché minimo riscontro dimostrativo a conforto della sussistenza e consistenza di un pregiudizio asseritamente sentito, "supplire" all'omessa ostensione del necessario fondamento probatorio della pretesa risarcitoria a mezzo dell'esercizio di poteri istruttori e/o cognitori, non può esimersi il Collegio dal dare atto dell'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno nella fattispecie dedotta.

5. Conclusivamente ribadite le considerazioni precedentemente illustrate, rileva il Collegio - anche in ragione della complessità e novità della problematica giuridica sottesa alla definizione del giudizio - la presenza di giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II - così dispone in ordine al ricorso indicato in epigrafe:

accoglie il predetto gravame, limitatamente alla dedotta domanda impugnatoria e per l'effetto, annulla gli atti con esso avversati;

dichiara inammissibile la domanda di risarcimento del danno dalla parte ricorrente avanzata.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 27 giugno e del 4 luglio 2001, con l’intervento dei signori giudici

Dr. Filippo MARZANO - Presidente

Dr. Francesco GIORDANO - Consigliere

Dr. Roberto POLITI - Consigliere, estensore

Depositata il 25 agosto 2001.

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