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n. 5-2002 - © copyright.

TAR LAZIO, SEZ. II – Sentenza 17 maggio 2002 n. 4477 - Pres. Marzano, Est. Giordano - WIND Telecomunicazioni s.p.a. (Avv.ti G. Tremonti, M. Clarich, G. Pizzonia e F. Macaluso) c. Ministero del Tesoro ed altri (Avv. Stato Polizzi).

Autorizzazione e concessione - Autorizzazione per l’esercizio di attività di telecomunicazione - Contributo previsto dall’art. 20 della L. n. 448/1998 e dal successivo D.M. 21 marzo 2000 - Dubbi circa la sua compatibilità con la normativa comunitaria - Deferimento di varie questioni alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

Vanno rimesse alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 (ex 177) del Trattato CE, di cui alla legge n. 1203/52 e successive modificazioni le seguenti questioni in ordine alla corretta applicazione della vigente normativa comunitaria concernente la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni:

a) se gli artt. 6 e 11 della Direttiva 97/13/CE consentano agli Stati membri di imporre a carico delle sole imprese titolari di autorizzazione o licenza per l’esercizio di attività di telecomunicazioni, prestazioni patrimoniali coattive, in qualunque modo denominate, diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dalla stessa direttiva, verificandone il rispetto con il principio di non discriminazione;

b) se gli artt. 6 e 11 della Direttiva 97/13/CE consentano agli Stati membri di introdurre imposte, tasse od altri prelievi di natura fiscale sulle attività di installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, di fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazione mobile e personale, determinati in misura percentuale e variabile ed aventi effetti equivalenti a quelli vietati dalla normativa comunitaria;

c) se gli artt. 2, 3 e 95 del Trattato e 12 della Direttiva 97/13/CE possano essere interpretati nel senso che non è consentito agli Stati membri introdurre oneri economici difformi da quanto previsto dalla normativa di armonizzazione, assoggettando gli operatori del mercato italiano a condizioni più gravose rispetto a quelle previste negli altri Paesi dell’Unione, in forza di detta normativa comunitaria (1).

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(1) Come risulta dalla sottriportata sentenza, le questioni sono state rimesse in relazione ad una ricorso con il quale era stato impugnato decreto emesso, in data 21 marzo 2000, dal Dicastero del Tesoro di concerto con quello delle Comunicazioni, mediante il quale sono state dettate le modalità attuative del versamento del contributo istituito dall’art. 20, comma 2° della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

Dispone l’art. 20 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (collegata alla legge finanziaria 1999), rubricato "Servizi pubblici e servizi a rete" che:

a) per un biennio (1999-2000), tutti i corrispettivi a qualsiasi titolo dovuti in misura fissa dalle imprese titolari di concessione, autorizzazione, licenza, ecc., per l’esercizio di servizi pubblici ovvero di servizi a rete, con esclusione di quelli di cui al comma 2, continuano ad essere corrisposti nella misura prevista per il 1998, aumentata di una percentuale pari al tasso programmato di inflazione (comma 1°);

b) è istituito un contributo, a carico dei titolari di concessioni e licenze, sulle attività di installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, di fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazioni mobili e personali, in misura decrescente nell’arco del quinquennio compreso fra il 1999 ed il 2003, calcolata sul fatturato relativo a tutti i servizi e prestazioni di telecomunicazioni dell’anno precedente. Le modalità attuative di tali disposizioni sono disciplinate con decreto del Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro delle comunicazioni (comma 2°);

c) dal 1° gennaio 1999 agli esercenti dei servizi pubblici di telecomunicazioni non si applicano le disposizioni di cui all’art. 188 del Codice postale (comma 3°);

d) sono abrogati i commi 2, 3, 4 e 5 dell’art. 21 del D.P.R. n. 318/97 (comma 4°).

Sulla scorta, di tale norma è stato emanato il decreto ministeriale 21 marzo 2000 (impugnato con il ricorso de quo), che ha dettato le modalità attuative del versamento del contributo istituito ai sensi del predetto art. 20, assoggettando al prelievo le attività riguardanti l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di telecomunicazioni, nonchè la fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazioni mobili e personali (art. 1), ed identificando nel volume d’affari, di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 633/72, la nozione di fatturato indicata ai fini della determinazione del contributo (art. 2)

Ha rilevato il T.A.R. Lazio che il contributo introdotto dall’art. 20, comma 2°, della legge n. 448/98, si atteggia, sia quantitativamente che funzionalmente, alla stregua del vecchio canone tipico del pregresso regime concessorio, e, in quanto tale, non sembra potersi conciliare con l’attuale liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e con la piena apertura dei relativi mercati alla concorrenza di un’ampia platea di operatori economici.

Sicchè, non appare ingiustificato dubitare della sua compatibilità con i principi desumibili dalla vigente disciplina comunitaria che, con la direttiva delle licenze, consente di richiedere alle imprese di telefonia fissa e mobile, in quanto titolari di un’autorizzazione generale o di una licenza individuale, soltanto diritti ed oneri aventi carattere remuneratorio, siccome esclusivamente intesi a coprire i costi amministrativi sostenuti per l’espletamento delle procedure istruttorie connesse al rilascio, alla gestione, al controllo ed all’esecuzione delle licenze, fatta eccezione per i contributi indispensabili al finanziamento del servizio universale e tenuto conto dell’esigenza per gli Stati membri, quando siano utilizzate risorse rare, di imporre in deroga prelievi che riflettano la necessità di assicurare l’uso ottimale di tali risorse, conformemente al principio di non discriminazione ed in vista dell’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo di servizi innovativi e della concorrenza.

In ogni caso, anche qualora si dovesse riconoscere natura fiscale al contributo istituito dall’art. 20,comma 2°, della legge n. 448/98, permarrebbero i dubbi circa la sua compatibilità con i principi comunitari posti dalla direttiva n. 97/13/CE, stante che, per costante insegnamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, la qualificazione tributaria (o meno) di un prelievo deve essere compiuta dalla stessa Corte in base alle caratteristiche oggettive del tributo, indipendentemente dalla qualificazione che gli viene attribuita nel diritto nazionale.

In relazione a tali dubbi sono state deferite alla Corte di Giustizia C.E. le questioni indicate nella massima.

 

 

per l’annullamento

del decreto ministeriale 21 marzo 2000 (G.U. n.92 del 19/4/2000), recante le "Modalità attuative del versamento del contributo istituito dall’art.20, comma 2, della legge 23 dicembre 1998, n.448", nonchè di

ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale;

nonchè per l’accertamento

del diritto della ricorrente alla restituzione di quanto indebitamente corrisposto e del correlato obbligo dell’Amministrazione di restituire quanto indebitamente percepito;

(omissis)

FATTO

La Società ricorrente, titolare di licenza per lo svolgimento dell’attività di telecomunicazioni ad uso pubblico, propone l’odierno gravame per ottenere l’annullamento del decreto 21 marzo 2000 -emesso dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, di concerto con il Ministero delle Comunicazioni- con cui sono state dettate le "Modalità attuative del versamento del contributo istituito dall’art. 20, comma 2, della legge 23 dicembre 1998, n. 448."

Nell’affermare di aver pagato il contributo relativo all’anno 1999, l’istante rileva l’illegittimità del prelievo, siccome in contrasto con la normativa comunitaria, in quanto alternativamente qualificabile o come un sostanziale ripristino del canone concessorio previsto dal Codice Postale del 1973 oppure, in via subordinata, come un prelievo a carattere tributario.

In entrambi i casi l’impugnato decreto sarebbe affetto dai seguenti vizi:

1) Illegittimità derivata del D.M. 21 marzo 2000, attuativo di una disposizione legislativa nazionale contrastante con la Direttiva 97/13/CE.

Posto che la nuova prestazione è pressochè identica al vecchio canone, l’interessata contesta che la vigente disciplina comunitaria consenta la generalizzata imposizione di un elevatissimo contributo percentuale commisurato al fatturato, nei confronti delle sole imprese operanti nel settore delle telecomunicazioni, e sostiene che il prelievo imposto non sarebbe raccordato ai costi pubblici di gestione della relativa attività, nè sarebbe finalizzato a garantire l’uso ottimale delle risorse scarse, risultando, oltretutto, privo dei requisiti di trasparenza e proporzionalità imposti dalla direttiva di cui trattasi.

Neppure potrebbe sostenersi la legittimità del contributo, adducendo la sua natura fiscale, atteso che la competenza degli Stati membri in materia tributaria non può costituire un mezzo per aggirare la normativa comunitaria.

Ne consegue che le disposizioni della direttiva sono direttamente applicabili nell’ordinamento italiano, in quanto sufficientemente chiare, precise ed incondizionate (carattere autoapplicativo della fonte normativa sovraordinata).

Peraltro, in linea del tutto subordinata, si chiede che il Tribunale, in via pregiudiziale, investa della questione la Corte di Giustizia, al fine di conoscere se la direttiva 97/13/CE consenta agli Stati membri l’approvazione di una legge istitutiva di un contributo, con caratteristiche analoghe a quelle istituite con l’art.20, comma 2.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art.20, secondo comma L. 23 dicembre 1998, n.448, in relazione ai principi costituzionali di legalità e capacità contributiva ed al divieto della doppia imposizione.

Esorbitando dal limitato ambito della discrezionalità tecnica esercitabile a norma di legge, l’Amministrazione avrebbe adottato disposizioni che non trovano fondamento nella legge istitutiva del tributo e ne costituiscono rilevante violazione, ai fini dell’annullamento del censurato provvedimento ministeriale.

In particolare, la nozione di "fatturato imponibile" non si rivela assimilabile al "volume di affari", come risulta disciplinato ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, in quanto, mentre il primo è riferito ad un bilancio approvato e ad uno specifico esercizio sociale (di durata coincidente o meno con l’anno solare) ed assume rilievo solo se relativo a tutti i servizi e prestazioni di telecomunicazioni; il volume di affari prescinde dalla redazione ed approvazione del bilancio, è riferito ad un anno solare ed ha grandezza necessariamente onnicomprensiva, rapportata all’attività aziendale nel suo complesso, senza possibilità di operare alcuna distinzione.

Ove, tuttavia, dovesse ritenersi che l’art.20, comma 2 L.448/98 consente di rimettere ad un atto amministrativo la determinazione di un elemento essenziale di un tributo (qual’è la base imponibile), si eccepisce l’illegittimità costituzionale di tale disposizione normativa per violazione dell’art.23 della Costituzione.

Per quanto, poi, concerne la nozione di capacità contributiva, che costituisce la ratio necessaria e l’elemento indefettibile per l’introduzione di ogni singola imposta, si rileva che l’avversato decreto non prende in considerazione circostanze particolari, quali il c.d. "roaming" ovvero la c.d. "interconnessione", volte a determinare una pratica duplicazione del medesimo contributo.

Conseguentemente, si perviene ad assoggettare a contribuzione una capacità contributiva ormai insussistente, perchè già tassata, con violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva (artt.3 e 53 Cost.), nella forma specifica della doppia imposizione sugli oneri per "roaming" ed "interconnessione", in assenza di correttivi volti ad evitare ingiustificate discriminazioni tra operatori di telecomunicazioni, dipendenti dal fatto che ricorrano o meno al "roaming" ed alla "interconnessione".

3) Illegittimità costituzionale dell’art.20 L. n.448/98, citata, in relazione al principio di uguaglianza ex art.3 Cost. e di ragionevolezza del prelievo tributario ex art.53 Costituzione.

Posto che l’esclusione da contribuzione è prevista in presenza di due requisiti consistenti in un fatturato inferiore a 200 miliardi e nella sussistenza di perdite di esercizio, si deduce che il riferimento alle perdite altererebbe l’equilibrio della fattispecie, introducendo un fattore estrinseco ed eterogeneo, con disparità di trattamento irrazionale a parità di situazione economica di base (il fatturato).

Conclude parte ricorrente con la richiesta di annullamento del contestato decreto ministeriale, in subordine, quanto meno, nella parte relativa ai criteri di determinazione della base imponibile; con l’accertamento, in entrambi i casi, del diritto della ricorrente alla restituzione di quanto indebitamente corrisposto e del correlato obbligo dell’Amministrazione di restituire quanto indebitamente percepito; in subordine, con la formulazione di un quesito alla Corte di Giustizia, volto a conoscere, in via pregiudiziale, se la direttiva n.97/13/CE consenta agli Stati membri l’introduzione di un contributo con caratteristiche analoghe a quelle del contributo previsto dall’art.20, comma 2° della legge n.448/98; in ulteriore subordine, con la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per la declaratoria dell’illegittimità costituzionale dell’art.20, comma 2 della legge n.448/98, per violazione degli artt.3, 23 e 53 della Costituzione.

Il tutto, con vittoria di spese, diritti ed onorari.

In successive memorie difensive l’attuale ricorrente ha ulteriormente illustrato alcuni aspetti della controversia oggetto di causa, insistendo nelle conclusioni a suo tempo rassegnate nell’atto introduttivo del giudizio.

In resistenza al gravame le Amministrazioni intimate hanno controdedotto alle tesi avversarie, formulando l’eccezione pregiudiziale d’inammissibilità della proposta impugnativa per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, e, quanto al merito, insistendo per il rigetto del ricorso per infondatezza delle dedotte censure.

Con sentenza n. 6609 del 18/7/2001 la Sezione giudicante ha ravvisato l’infondatezza dell’eccezione pregiudiziale, sollevata dalla difesa erariale, ed ha disposto incombenti istruttori ritenuti necessari ai fini del decidere.

Dopo un breve rinvio, la causa, già iscritta nel ruolo di udienza del 12 dicembre 2001, è stata spedita in decisione alla successiva udienza pubblica del 23 gennaio 2002.

DIRITTO

La società ricorrente impugna il decreto emesso, in data 21 marzo 2000, dal Dicastero del Tesoro di concerto con quello delle Comunicazioni, mediante il quale sono state dettate le modalità attuative del versamento del contributo istituito dall’art.20, comma 2° della legge 23 dicembre 1998, n.448.

Ritiene utile, in proposito, il Collegio premettere alcune brevi note in ordine alle fasi essenziali dell’evoluzione ordinamentale, attraverso le quali il quadro normativo di riferimento, concernente lo specifico settore delle telecomunicazioni, si è progressivamente modificato e consolidato fino ad assumere l’attuale configurazione.

Anteriormente alla liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione ed alla completa apertura alla concorrenza dei relativi mercati, vigeva un sistema giuridico imperniato sul monopolio statale e sull’istituto della concessione amministrativa, ad uso pubblico o privato.

L’art.1, primo comma del c.d. Codice postale e delle telecomunicazioni, approvato con D.P.R. 29 marzo 1973, n.156 (e successive modificazioni) riservava in esclusiva allo Stato i servizi di telecomunicazioni, salvo quelli previsti nel successivo comma e concernenti l’attività di diffusione sonora e televisiva.

Correlativamente, l’art.188 di tale testo normativo statuiva l’obbligo per il concessionario di corrispondere allo Stato "un canone annuo nella misura stabilita nel presente decreto o nel regolamento o nell’atto di concessione", quale tipica forma di corrispettivo per la facoltà accordata dall’Amministrazione al concessionario di esercitare, in regime di esclusiva o di specialità, i servizi di telecomunicazioni originariamente riservati allo Stato monopolista.

In base alle convenzioni stipulate negli anni fra i soggetti gestori ed il competente Dicastero, il predetto canone doveva essere commisurato a tutti gli introiti o ricavi lordi del servizio oggetto di concessione, al netto di quanto corrisposto alla concessionaria della rete pubblica.

Il sistema delineato dal Codice postale si è progressivamente e profondamente trasformato, in corrispondenza della rapida evoluzione del quadro normativo comunitario, che ha fatto venir meno il monopolio statale dei servizi di telecomunicazione in ossequio alle normative comunitarie e nazionali di recepimento.

In particolare, la direttiva 96/19/CE della Commissione in data 13 marzo 1996 (che ha modificato la dir. 90/388/CE ed è stata recepita nell’ordinamento italiano con D.L. 23 ottobre 1996, n.545, convertito in legge, con modificazioni, dall’art.1, comma 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 650) ha disposto la completa apertura alla concorrenza dei mercati delle telecomunicazioni e la soppressione di tutti i diritti esclusivi e speciali nella specifica materia; laddove, dal canto suo, la direttiva 97/13/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 10 aprile 1997, ha dettato una disciplina comune in materia di autorizzazioni generali e di licenze individuali nel settore dei servizi di telecomunicazione.

Preme, al riguardo, sottolineare che tale ultima direttiva, all’art.11 (rubricato "Diritti ed oneri per le licenze individuali"), ha testualmente previsto che "i diritti richiesti alle imprese per le procedure di autorizzazione siano esclusivamente intesi a coprire i costi amministrativi sostenuti per il rilascio, la gestione, il controllo e l’esecuzione delle relative licenze individuali" (comma 1°).

E’ stato, peraltro, prescritto, in deroga al comma precedente, che "quando siano utilizzate risorse rare gli Stati membri possono permettere all’autorità di regolamentazione nazionale di imporre diritti che riflettono la necessità di assicurare l’uso ottimale di tali risorse. I diritti devono essere non discriminatori e tener particolare conto della necessità di incoraggiare lo sviluppo di servizi innovativi e la concorrenza." (comma 2°).

Nel contesto generale si è, nel frattempo, inserita la legge 31 luglio 1997, n.249 che ha istituito l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed ha statuito che l’esercizio delle reti di telecomunicazioni e la fornitura di servizi di telecomunicazioni sono subordinati al rilascio di licenze e autorizzazioni da parte della stessa Autorità (comma 1°), rilascio che deve avvenire sulla base delle disposizioni contenute nel regolamento di cui all’art.1, comma 2 del D.L. n.545/96, convertito con modificazioni dalla legge n.650/96 (comma 2°).

Il recepimento nel diritto italiano della menzionata direttiva comunitaria 97/13/CE è avvenuto con l’emanazione del D.P.R. 19 settembre 1997, n.318, con il quale è stato approvato il "Regolamento per l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni".

Mediante la nuova disciplina, il previgente regime basato su una concessionaria esclusivista dei servizi di telefonia fissa è stato sostituito da un sistema caratterizzato da una tendenzialmente illimitata quantità di licenze ed autorizzazioni, da attribuire agli operatori in concorrenza tra loro.

Con l’art.6, commi 5, 20 e 21 del citato D.P.R., si è, infatti, provveduto a dare attuazione agli artt.6 e 11 della direttiva in questione, nel presupposto che ad un’autorizzazione generale è subordinata "l’offerta al pubblico di servizi di telecomunicazioni diversi dalla telefonia vocale, dall’installazione e dalla fornitura di reti pubbliche di telecomunicazioni, comprese quelle basate sull’impiego delle radiofrequenze" (comma 1°), mentre la licenza individuale è richiesta per "l’offerta di servizi diversi da quelli per i quali, ai sensi del comma 1, è prevista un’autorizzazione generale e di quelli che richiedano l’uso di risorse scarse, fisiche o di altro tipo o che siano soggetti ad obblighi particolari" (comma 6°).

Pertanto, è stato stabilito che "il contributo richiesto alle imprese per la procedura relativa all’autorizzazione generale copre esclusivamente i costi amministrativi connessi all’istruttoria, al controllo della gestione del servizio e del mantenimento delle condizioni previste per l’autorizzazione stessa" (comma 5°); che "fatti salvi i contributi finanziari per la prestazione del servizio universale... il contributo richiesto alle imprese per le procedure relative alle licenze individuali è esclusivamente finalizzato a coprire i costi amministrativi sostenuti per l’istruttoria, per il controllo della gestione del servizio e del mantenimento delle condizioni previste per le licenze stesse" (comma 20°), e che "in caso di utilizzo di risorse scarse, è in facoltà dell’Autorità imporre contributi finalizzati anche ad assicurare l’uso ottimale di dette risorse" (comma 21°).

Al fine, tuttavia, di graduare il passaggio dal pregresso regime concessorio alla nuova realtà, connotata dalla più ampia partecipazione al mercato di soggetti operanti nel settore delle telecomunicazioni, la regolamentazione interna del 1997 ha dettato alcune disposizioni transitorie, tra cui, di particolare interesse, quella secondo la quale continuano "ad applicarsi, per le finalità di cui all’art.6, commi 20 e 21, e fino a diverso provvedimento dell’Autorità, le disposizioni di cui all’art.188 del codice postale" (art.21, comma 2°).

In concreto, poi, la "Determinazione dei contributi per le autorizzazioni generali e le licenze individuali concernenti l’offerta al pubblico di servizi di telecomunicazioni" ha formato oggetto del D.M. 5 febbraio 1998, adottato dal Ministro delle Comunicazioni di concerto con il Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica e pubblicato nella G.U. del 17/3/1998, n.63).

In esso è contemplato che le imprese che intendono offrire al pubblico servizi di telecomunicazioni, "sono tenute al pagamento di un contributo, a titolo di rimborso dei costi amministrativi connessi allo svolgimento dell’istruttoria relativa a ciascun servizio" (artt.1 e 3); di un contributo annuo "per assicurare la copertura degli oneri relativi al controllo della gestione del servizio e del mantenimento delle condizioni previste per l’autorizzazione" (artt.2 e 4); di un contributo annuo per l’uso di risorse scarse, "per le imprese che installano e forniscono reti aperte al pubblico che utilizzano frequenze radioelettriche" (art.5); infine, di un contributo annuo "per l’attribuzione da parte dell’Autorità di risorse di numerazione" (art.6).

Ad una siffatta cornice ordinamentale, comunitaria e nazionale, ha, alfine, apportato sostanziali innovazioni l’art.20 della legge 23 dicembre 1998, n.448 (collegata alla legge finanziaria 1999), rubricato "Servizi pubblici e servizi a rete".

Detta norma ha così disposto:

a) per un biennio (1999-2000), tutti i corrispettivi a qualsiasi titolo dovuti in misura fissa dalle imprese titolari di concessione, autorizzazione, licenza, ecc., per l’esercizio di servizi pubblici ovvero di servizi a rete, con esclusione di quelli di cui al comma 2, continuano ad essere corrisposti nella misura prevista per il 1998, aumentata di una percentuale pari al tasso programmato di inflazione (comma 1°);

b) è istituito un contributo, a carico dei titolari di concessioni e licenze, sulle attività di installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, di fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazioni mobili e personali, in misura decrescente nell’arco del quinquennio compreso fra il 1999 ed il 2003, calcolata sul fatturato relativo a tutti i servizi e prestazioni di telecomunicazioni dell’anno precedente. Le modalità attuative di tali disposizioni sono disciplinate con decreto del Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro delle comunicazioni (comma 2°);

c) dal 1° gennaio 1999 agli esercenti dei servizi pubblici di telecomunicazioni non si applicano le disposizioni di cui all’art.188 del Codice postale (comma 3°);

d) sono abrogati i commi 2, 3, 4 e 5 dell’art.21 del D.P.R. n.318/97 (comma 4°).

Sulla scorta, quindi, del riportato testo normativo, il decreto ministeriale 21 marzo 2000, qui impugnato, ha dettato le modalità attuative del versamento del contributo istituito ai sensi del predetto art.20, assoggettando al prelievo le attività riguardanti l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di telecomunicazioni, nonchè la fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazioni mobili e personali (art.1), ed identificando nel volume d’affari, di cui all’art.20 del D.P.R. n.633/72, la nozione di fatturato indicata ai fini della determinazione del contributo (art.2)

Quanto sopra premesso, osserva il Collegio che le questioni sottoposte alla sua cognizione pongono, in un primo approccio alla complessa problematica che forma oggetto della vertenza dedotta in lite, un’esigenza ermeneutica di rango comunitario, che assume valenza assolutamente pregiudiziale ai fini della decisione della controversia in esame.

Non sembra, invero, revocabile in dubbio come il contributo introdotto dall’art.20, comma 2° della legge n.448/98, si atteggi, sia quantitativamente che funzionalmente, alla stregua del vecchio canone tipico del pregresso regime concessorio, e, in quanto tale, non possa conciliarsi con l’attuale liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e con la piena apertura dei relativi mercati alla concorrenza di un’ampia platea di operatori economici.

Un’attenta analisi della normativa di riferimento depone a favore della tesi di parte ricorrente, che al prelievo imposto alle sole imprese titolari di concessioni di servizi di telecomunicazioni ad uso pubblico e di licenze per l’esercizio dell’attività di installazione e fornitura di reti pubbliche di telecomunicazioni per servizi al pubblico di telefonia vocale, nonchè per servizi al pubblico di comunicazioni mobili e personali, attribuisce il carattere di misura impositiva sostanzialmente omologa alla precedente e la finalità di compensare, in via sostitutiva o alternativa e senza soluzione di continuità, il mancato gettito derivante dalla soppressione del canone annuo di concessione.

In effetti, il contributo imposto unicamente alle imprese operanti nel campo delle telecomunicazioni, attinge ad una fonte (fatturato) analoga a quella (introiti lordi) della vecchia prestazione imposta ed in misura (non inferiore al 3%) pressochè identica a questa.

Sicchè, non appare ingiustificato dubitare della sua compatibilità con i principi desumibili dalla vigente disciplina comunitaria che, con la direttiva delle licenze, consente di richiedere alle imprese di telefonia fissa e mobile, in quanto titolari di un’autorizzazione generale o di una licenza individuale, soltanto diritti ed oneri aventi carattere remuneratorio, siccome esclusivamente intesi a coprire i costi amministrativi sostenuti per l’espletamento delle procedure istruttorie connesse al rilascio, alla gestione, al controllo ed all’esecuzione delle licenze, fatta eccezione per i contributi indispensabili al finanziamento del servizio universale e tenuto conto dell’esigenza per gli Stati membri, quando siano utilizzate risorse rare, di imporre in deroga prelievi che riflettano la necessità di assicurare l’uso ottimale di tali risorse, conformemente al principio di non discriminazione ed in vista dell’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo di servizi innovativi e della concorrenza.

Parte ricorrente contesta il carattere fiscale del contributo, sia sotto l’aspetto terminologico che nell’ottica della sua collocazione sistematica tra le entrate extratributarie, oltre che, ovviamente, sotto il profilo della sua configurazione strutturale.

L’Avvocatura dello Stato sostiene, invece, che il contributo in argomento rivestirebbe la natura di misura fiscale atipica, riconducibile all’interno dell’ampia categoria dei tributi speciali, i quali si riferiscono a quei soggetti che siano più o meno direttamente interessati da attività svolte dall’Amministrazione per la soddisfazione di esigenze di particolare rilievo per l’intera collettività.

Deve ammettersi, tuttavia, che neppure il riconoscimento dell’eventuale natura fiscale del contributo, istituito dall’art.20,comma 2° della legge n.448/98, sarebbe in grado di eliminare le perplessità circa la sua compatibilità con i principi comunitari posti dalla direttiva n.97/13/CE, stante che, per costante insegnamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, la qualificazione tributaria (o meno) di un prelievo deve essere compiuta dalla stessa Corte in base alle caratteristiche oggettive del tributo, indipendentemente dalla qualificazione che gli viene attribuita nel diritto nazionale.

Del resto, l’analisi e la valutazione di una prestazione coattiva introdotta dal diritto nazionale a carico di una particolare categoria di contribuenti, come quella degli operatori tlc., non possono prescindere dalla considerazione dell’effetto utile che il legislatore comunitario ha inteso perseguire, mediante la formulazione di una norma limitativa della potestà impositiva degli Stati membri, qual’è il divieto implicitamente sancito negli artt.6 e 11 della direttiva n.97/13/CE, recante la disciplina di armonizzazione del sistema comunitario dei servizi di telecomunicazione.

E non va, neppure, obliterato che, seppure resti intatta la potestà degli Stati membri di assumere autonome iniziative in materia tributaria, non può, peraltro, ritenersi che essi siano comunque legittimati a legiferare, adottando provvedimenti intesi ad eludere la normativa comunitaria.

Poichè, dunque, risultano condivisibili i dubbi espressi in ordine alla corretta applicazione, nel caso di specie, della vigente normativa comunitaria concernente la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, si manifesta l’esigenza di una verifica pregiudiziale circa l’interpretazione e la portata dei principi comunitari in subiecta materia, sollecitando a tal fine la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 (ex 177) del Trattato CE, di cui alla legge n.1203/52 e successive modificazioni, a pronunciarsi sui seguenti quesiti:

a) se gli artt.6 e 11 della Direttiva 97/13/CE consentano agli Stati membri di imporre a carico delle sole imprese titolari di autorizzazione o licenza per l’esercizio di attività di telecomunicazioni, prestazioni patrimoniali coattive, in qualunque modo denominate, diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dalla stessa direttiva, verificandone il rispetto con il principio di non discriminazione;

b) se gli artt.6 e 11 della Direttiva 97/13/CE consentano agli Stati membri di introdurre imposte, tasse od altri prelievi di natura fiscale sulle attività di installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, di fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazione mobile e personale, determinati in misura percentuale e variabile ed aventi effetti equivalenti a quelli vietati dalla normativa comunitaria;

c) se gli artt. 2, 3 e 95 del Trattato e 12 della Direttiva 97/13/CE possano essere interpretati nel senso che non è consentito agli Stati membri introdurre oneri economici difformi da quanto previsto dalla normativa di armonizzazione, assoggettando gli operatori del mercato italiano a condizioni più gravose rispetto a quelle previste negli altri Paesi dell’Unione, in forza di detta normativa comunitaria.

Ritenuto, pertanto, di dover sospendere il presente giudizio e rimettere alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee le anzidette questioni pregiudiziali.

Riservata al prosieguo ogni altra statuizione in rito, nel merito e sulle spese,

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione seconda, con riserva di ulteriori determinazioni in rito, nel merito e sulle spese concernenti il ricorso in epigrafe, sospende il presente giudizio e manda alla Segreteria di trasmettere gli atti di causa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 (ex 177) del Trattato, affinchè si pronunci pregiudizialmente sull’interpretazione e la portata delle norme comunitarie indicate in motivazione, secondo i quesiti appositamente formulati.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 23 gennaio 2002, con l’intervento dei signori Magistrati:

dott. Filippo MARZANO Presidente
dott. Francesco GIORDANO Consigliere estensore
dott. Giuseppe SAPONE Consigliere

Depositata il 17 maggio 2002.

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