TAR LAZIO, SEZ. II BIS – Sentenza 13 febbraio 2001 n. 1090 – Pres. Bianchi, Est. Visciola – Immobiliare Palocco s.r.l. (avv.ti A. Romei, P. Leozappa e C. Cicala) c. Comune di Roma (avv. G. Scotto) ed altro (n.c.).
1. Edilizia ed urbanistica – Attività edilizia – A seguito del venir meno dell’efficacia di uno strumento attuativo – Inapplicabilità della disciplina prevista per le cd "zone bianche" – Applicabilità delle prescrizioni del P.R.G. – Fattispecie.
2. Giustizia amministrativa – Risarcimento del danno – Nel caso di annullamento di diniego di concessione edilizia – Presupposti – Verifica della possibilità del rilascio della concessione edilizia – Necessità – Condanna contestuale al risarcimento del danno – Impossibilità.
1. La cessazione dell’efficacia di un piano attuativo – in tutto o in parte non eseguito – non rende l’area interessata priva di disciplina urbanistica, alla stregua delle c.d. "zone bianche", per le quali risultano dettate le rigide prescrizioni di cui all’art. 4, ultimo comma, della legge 28.01.1977 n. 10. Queste ultime prescrizioni, infatti, appaiono giustificate per le zone nelle quali si riscontri la mancanza di qualsiasi programmazione d’uso del territorio; quando, invece, sia venuta meno soltanto la pianificazione attuativa di dettaglio, deve in primo luogo farsi riferimento al P.R.G. per individuare i limiti della sempre vigente disciplina di uso del territorio (1).
E’ pertanto illegittimo il diniego di concessione edilizia motivato, pur in presenza di un P.R.G. valido ed efficace, con riferimento all’intervenuta decadenza delle disposizioni di piano particolareggiato ed in pretesa applicazione dell’art. 4, u.c. della legge n. 10/1977, atteso che quest’ultima norma deve ritenersi applicabile unicamente nel caso di accertata assenza nelle norme di piano regolatore generale dei requisiti prescritti di cui all’art 7 della legge n. 1150/1942.
Non mancano, nell’ipotesi in cui sia venuta meno soltanto la pianificazione attuativa di dettaglio, disposizioni che si possono definire di salvaguardia. Dette disposizioni sono contenute negli artt. 17 della legge n. 1150/1942 e 17, comma 6, della legge n. 765/1967, introduttivo dell’art. 41 quinques della legge urbanistica soltanto un piano regolatore generale privo dei contenuti essenziali di cui all’art. 7 della legge 1150/1942, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 1187/1968, potrebbe rendere l’area – nell’ipotesi di sopravvenuta inefficacia delle norme del piano attuativo – assimilabile ad una c.d. "zona bianca", disciplinata alla stregua delle aree prive i regolamentazione urbanistica (2).
Nella normalità dei casi tuttavia – una volta scadute le norme attuative – permane invece la disciplina d’uso del territorio disposta a livello di P.R.G., con sopravvivenza – o meno – della sola necessità di ulteriore pianificazione attuativa, a seconda del concreto livello di sviluppo edificatorio già realizzato, anche a livello di infrastrutture (3)
La necessità di ricondurre la concreta disciplina d’uso del territorio alla pianificazione generale vigente, d’altra parte, inibisce anche una applicazione generalizzata dell’art. 41 quinquies della L. n. 1150/1942 circa i limiti di edificabilità di 3mc./mq., al di sopra del quale si imporrebbe comunque il piano attuativo, escluso, però, secondo alcune decisioni nell’ipotesi di lotto intercluso (4).
2. Al fine di poter configurare un danno risarcibile, occorre che la situazione soggettiva vantata e garantita dall’ordinamento con la mediazione del provvedimento amministrativo, si sia realizzata e sia stata acquisita al patrimonio dell’istante. Occorre, cioè, che l’interesse legittimo del pretendente abbia ottenuto piena soddisfazione, il che è possibile in primo luogo – nel caso di annullamento di un provvedimento che nega una concessione edilizia – attraverso il rilascio della concessione edilizia stessa da parte dell’amministrazione pubblica competente o da parte dell’ organo che sia legittimato a sostituirsi ad essa in via amministrativa o giurisdizionale. In tale ipotesi, l’azione risarcitoria potrà essere proposta soltanto dopo che il ricorrente avrà ottenuto, nelle forme consuete amministrative o in ottemperanza al giudicato, il rilascio della concessione edilizia pretesa e non potrà che riguardare i danni conseguenti al ritardo nell’ottenimento di essa.
Allorché sia annullato un diniego di concessione edilizia, non può procedersi contestualmente ad alcuna condanna, nemmeno generica, al risarcimento del danno, nel caso in cui rimanga incerta la fondatezza della pretesa al rilascio della concessione edilizia conformemente alla richiesta presentata dal ricorrente, che è il presupposto della stessa configurabilità di un danno risarcibile.
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(1) Cfr. TAR Lazio, Sez. II bis, sent. 17 luglio 2000, n. 5954; id., 20 ottobre 1999, n. 1948; id., 5 ottobre 1999 e n. 1916 e 27 settembre 2000 n. 7549.
Ha aggiunto il TAR Lazio nella motivazione della sentenza in rassegna che «l’applicazione indiscriminata, nelle aree già vincolate da piani attuativi, della richiamata normativa paralizzatrice di qualsiasi nuova edificazione non soltanto non appare rispondente, in linea di principio, alla "ratio" cui si conforma la disciplina delle c.d. "zone bianche" (assenza di programmazione urbanistica di rango primario), ma verrebbe a reintrodurre un vincolo di inedificabiltà senza motivazioni e a tempo indeterminato, in contrasto con i principi consolidati e con evidenti profili di incostituzionalità (cfr. Corte Cost. n. 79/1999)».
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 ottobre 1997 n.1225.
(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, dicembre 1996 n. 1491; id, Sez. IV, 28 dicembre 1994 n. 1089.
(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 giugno 1980 n. 635.
(5) Cfr. TAR Lombardia-Milano, Sez. I, 15 aprile 1999 n.1190.
-quanto al ricorso n. 10285/99-
per l’annullamento previa sospensiva
a)della determinazione dirigenziale n. 687 in data 10 maggio 1999, notificata in data 27 maggio 1999, con cui il Dipartimento IX –Ufficio Concessioni Edilizie, III Servizio Amministrativo del Comune di Roma ha respinto "l’istanza n. 30206 del 21.07.1997 intesa ad ottenere una concessione edilizia relativa alla realizzazione di un edificio, in Località Macchia Palocco- Padre Perilli, presentata dalla Soc, Immobiliare Palocco ’96 S.r.l.";
b)della memoria per la Giunta Comunale n. 1256 in data 21 gennaio 1999, approvata nella seduta della Giunta Comunale in data 22 gennaio 1999;
c)della circolare del Comune di Roma n. 20/DIR in data 8 febbraio 1999;
d)di ogni altro atto presupposto e conseguente (ivi inclusa, se del caso, la determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 301 del 26 febbraio 1999;
-quanto al ricorso n. 10941/2000-
per l’annullamento previa sospensiva
del provvedimento di silenzio rifiuto reso dal Comune di Roma e dal Dipartimento IX del Comune di Roma, sulla domanda di concessione edilizia, prot. n. 30206 del 21 luglio 1997, silenzio consolidatori in forza della diffida notificata in data 19 aprile 2000.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune intimato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 25.1.2001 il Consigliere Carlo Visciola e udito altresì, l’avv. Romei per la società ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La società ricorrente presentava al Comune di Roma, in data 21.7.1997, istanza (n. 30206) di concessione edilizia per la realizzazione di un edificio residenziale in località Macchia Palocco- Padre Perilli.
Con determinazione dirigenziale n. 678 del 10.5.1999, notificata il giorno 27 successivo, il direttore dell’ufficio concessioni edilizie del Comune di Roma respingeva l’istanza anzidetta sul rilievo che "Il progetto in esame non può avere corso e, pertanto, non può essere rilasciata la richiesta Concessione Edilizia per contrasto con l’art. 4 della l. 10/77, trattandosi di area così detta "bianca" e quindi, priva di destinazione urbanistica a seguito dell’intervenuta decadenza del P.d.Z. 53 "Palocco" nel quale la medesima area era indicata a verde pubblico, secondo quanto indicato dall’Avvocatura Comunale e dall’U.S.P.R. e conseguentemente recepito nella Memoria di Giunta approvata nella seduta del 22.01.1999".
Avverso l’indicato provvedimento di diniego e gli altri atti indicati in epigrafe insorgeva la società interessata, chiedendone a questo Tribunale l’annullamento previa sospensione, con ricorso (n. 10285/99) notificato il 23 luglio 1999 e depositato il 27 successivo, a sostegno del quale, deduceva:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 L. 28.11.1977 n. 10; degli artt 17 e 41 quinquies, sesto comma, della L. 17.8.1942 n. 1150; dell’art. 10 della L. n. 765/67; dell’art. 4 del D.L. 5.X.1993 n. 398 convertito in L. 4.12.1993 n. 493; eccesso di potere sotto i profili dello sviamento di potere, dell’ingiustizia manifesta, della contrarietà e precedenti determinazioni dell’Autorità amm.va, dell’immotivato mutamento di indirizzo consolidato.
In conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e dello stesso Comune di Roma, l’area inedificata di proprietà della società ricorrente sarebbe soggetta alle prescrizioni di cui al sesto comma dell’art. 41 quinquies della L. n. 1150/42 e la Immobiliare Palocco avrebbe diritto, pertanto, ad ottenere la concessione edilizia a suo tempo richiesta.
Il Comune avrebbe operato, al contrario, un radicale mutamento di indirizzo, sulla base di un parere dell’Avvocatura che avrebbe sconfessato inopinatamente il precedente orientamento, sostenendo l’inedificabilità delle aree destinate, come quella in discorso a servizi da Paini di Zona decaduti per scadenza del termine.
Essendo, infatti, decaduto il P.d.Z. n. 53 Casal Palocco che imponeva la destinazione di verde pubblico, il terreno "de quo" risulterebbe destinato, ai sensi del vigente P.R.G., ad utilizzo edificatorio (Zona E/3 Espansione) non soggetto a decadenza, ai sensi dell’art. 2 della L. 19.11.1187.
2)Incompetenza. Violazione degli artt. 32 e 35 L. 8.6.1990 n. 142; eccesso di potere sotto il profilo dell’errore presupposto.
La natura regolamentare della delibera di G.M. n. 1256 del 21.2.1999, richiamata nelle premesse dell’impugnato provvedimento di diniego, sarebbe riconducibile ad un provvedimento (la determinazione dirigenziale n. 678 in data 10.5.1999) di organo certamente incompetenze all’adozione di atti regolamentari, spettanti al Consiglio Comunale.
In ogni caso, non sarebbe possibile attribuire alla richiamata "Memoria per la Giunta", la natura di atto regolamentare.
Si costituiva in giudizio il Comune intimato, con atto depositato al fascicolo di causa.
Con ordinanza n. 2355/2000 assunta nella C.d.C. del 16 marzo 2000, questa sezione accoglieva l’istanza cautelare ai fini di una rinnovata valutazione, da parte del Comune intimato, della situazione giuridica definita col provvedimento impugnato.
La società ricorrente rinnovava, quindi, con atto notificato in data 19.4.2000, la diffida a provvedere entro il termine di 30 giorni, ma il Comune rimaneva inerte.
Avverso il relativo silenzio-rifiuto insorgeva nuovamente in questa sede giurisdizionale la società Immobiliare Palocco, chiedendone l’annullamento previa sospensiva, con ricorso (n. 10941/2000) notificato il 3 luglio 2000 e depositato il giorno 12 successivo, a sostegno del quale, deduceva:
1)Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L. 241/90 e dell’art. 41 quinquies, sesto comma, della L. 17.8.1942 n. 1150; dell’art. 10 della L. n. 765/67; dell’art. 4 del D.L. 5 ottobre 1993 n. 398, convertito in L. 4.12.1993 n. 493; eccesso di potere sotto i profili dello sviamento di potere, dell’ingiustizia manifesta, della contrarietà a precedenti determinazioni dell’Autorità amministrativa, del difetto di motivazione.
L’omissione del Comune, che avrebbe costretto la società ricorrente alla presentazione al T.A.R. di ben quattro ricorsi, sarebbe ingiusta e lesiva degli interessi della stessa società, costituendo il rilascio della concessione edilizia richiesta "atto dovuto" essendo la domanda di concessione edilizia pienamente rispondente alle previsioni dell’art. 41 quinquies, sesto comma, della L. 1150/42.
Con il ricorso in questione, la società ricorrente proponeva anche istanza di risarcimento danni, ex art. 35 del D.L.gs. n. 80/98 e 2043 c.c., nei confronti del Comune di Roma e del responsabile del procedimento, quantificandolo in lire 1 miliardo.
Con identica memoria, depositata in entrambi i fascicoli di causa in data 12.1.2001, la ricorrente insisteva per l’accoglimento dei ricorsi limitandone il "petitum", quanto al ricorso n. 10941/00, alle sole richieste risarcitorie.
I due ricorsi venivano congiuntamente chiamati alla pubblica udienza del 25.1.2001 e, quindi, trattenuti in decisione.
DIRITTO
Va, preliminarmente, disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe, perché vengano esaminati e decisi con un’unica sentenza, sussistendo ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva che risultano evidenti dalla narrativa che precede.
Il primo di tali ricorsi (n. 10285/99) è volto ad ottenere, in via principale, l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 678 in data 10.5.1999, notificata il giorno 27 successivo, con la quale è stata respinta l’istanza n. 30206 del 21.7.1997 intesa ad ottenere una concessione edilizia per la realizzazione di un edificio in località Macchia Palocco- Padre Perilli, in area ricadente all’interno del piano di zona E/3 Palocco, ricompreso nel 1° P.E.E.P. approvato dal Consiglio comunale, poi decaduto; è stato richiesto, altresì, l’annullamento della memoria per la Giunta Comunale n. 1256 in data 21 gennaio 1999- approvata nella seduta del 22.1.1999-, della circolare del Comune di Roma n. 20/DIR del giorno 8.2.1999 e, se del caso, della determinazione dirigenziale n. 301 del 26.2.1999, atti richiamati nel provvedimento di diniego.
Quanto al capo di domanda relativo all’impugnazione del diniego di concessione edilizia (D.D. n. 678/1999) va preliminarmente evidenziato che detto diniego è stato adottato sul presupposto ribadito e difeso dalla costituita Avvocatura Comunale, della applicabilità nell’area di cui trattasi-dopo la scadenza del piano di zona che la destinava a verde pubblico- dell’indirizzo fatto proprio nella citata memoria di Giunta sui P.P., decaduti e, quindi, dell’applicabilità nell’area predetta dell’art. 4 u.c. della legge n. 10/1997, che esclude ogni nuova edificazione nel centro abitato e limita l’edificazione stessa a 0,03 metri cubi per metro quadrato al di fuori di tale perimetro.
Si sostiene invece da parte ricorrente, ed in particolare con il primo motivo di gravame, l’inapplicabilità nella specie del citato art. 4 u.c. della L. n. 10/1977, sull’assunto che detta norma disciplinerebbe unicamente le aree prive di strumenti urbanistici generali e non anche le ipotesi, quale quella di specie, di decadenza del solo strumento attuativo.
Il motivo è fondato.La questione sottoposta al collegio con il capo di domanda in esame, infatti, riguarda la disciplina urbanistica applicabile alle aree ricadenti in piani attuativi decaduti già affrontata e decisa da questa Sezione con sentenze ( n. 5954 del 17.07.2000, n. 1948 del 20.10.1999 e n. 1916 del 5.10.1999 e n. 7549 del 27.9.2000) i cui principi ivi richiamati e confermati sono condivisi dal collegio e vanno, pertanto, ribaditi in questa sede.
Come precisato nelle richiamate sentenze, la cessata efficacia di un piano attuativo – in tutto o in parte non eseguito – non rende l’ area interessata priva di disciplina urbanistica, alla stregua delle c.d. "zone bianche", per le quali risultano dettate le rigide prescrizioni di cui all’art.4, ultimo comma, della legge 28.01.1977 n. 10.
Dette prescrizioni, infatti , appaiono giustificate per le zone nelle quali si riscontri la mancanza di qualsiasi programmazione d’uso del territorio. Ciò nella considerazione che, in assenza di disciplina, in tali zone si riespanderebbe illimitatamente lo "ius aedificandi" insito nel diritto di proprietà e, quindi, senza alcuna tutela dell’ interesse pubblico ad uno sviluppo edificatorio organico. Proprio a tale rischio pone rimedio la citata normativa di salvaguardia di cui all’art. 4 u.c. della legge n. 10/1977, che interviene appunto ove non sia altrimenti desumibile la volontà degli organi pubblici preposti alla pianificazione urbanistica.
Quando, invece, come nella situazione in esame, sia venuta meno soltanto la pianificazione attuativa di dettaglio, deve in primo luogo farsi riferimento al P.R.G. per individuare il limiti della sempre vigente disciplina di uso del territorio.
Peraltro, l’applicazione indiscriminata, nelle aree già vincolate da piani attuativi, della richiamata normativa paralizzatrice di qualsiasi nuova edificazione non soltanto non appare rispondente, in linea di principio, alla "ratio" cui si conforma la disciplina delle c.d. "zone bianche" (assenza di programmazione urbanistica di rango primario), ma verrebbe a reintrodurre un vincolo di inedificabilità senza motivazioni e a tempo indeterminato, in contrasto con i principi consolidati e con evidenti profili di incostituzionalità (cfr. Corte Cost. n. 79/1999).
Né mancano, nell’ipotesi sopra richiamata in cui sia venuta meno soltanto la pianificazione attuativa di dettaglio, disposizioni che si possono definire di salvaguardia. Dette disposizioni sono contenute negli artt. 17 della legge n. 1150/1942 e 17, comma 6, della legge n. 765/1967, introduttivo dell’art. 41 quinques della legge urbanistica sopracitata che prevedono rispettivamente :
a) inefficacia del piano particolareggiato, decorso il termine stabilito per la relativa esecuzione, con salvezza però " a tempo indeterminato" dell’obbligo di osservare "gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso";
b) sostanziale rinvio per i limiti volumetrici al piano regolatore , fatta salva l’ipotesi in cui detto piano consenta "costruzioni per volumi superiori a 3 metri cubi per metro quadrato di area edificabile … o altezze superiori a metri 25", ovvero interventi edilizi di notevole consistenza, dei quali si esclude la realizzazione " senza apposito piano particolareggiato o lottizzazione".
E’, pertanto, opinione del Collegio che soltanto un piano regolatore generale privo dei contenuti essenziali di cui all’art. 7 della legge 1150/1942, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 1187/1968, potrebbe rendere l’area – nell’ipotesi di sopravvenuta inefficacia delle norme del piano attuativo – assimilabile ad una c.d. "zona bianca", disciplinata alla stregua delle aree prive di regolamentazione urbanistica (cfr. Cd.S., V, 30.10.1997 n.1225).
Nella normalità dei casi – una volta scadute le norme attuative – permane invece la disciplina d’uso del territorio disposta a livello di P.R.G., con sopravvivenza – o meno – della sola necessità di ulteriore pianificazione attuativa, a seconda del concreto livello di sviluppo edificatorio già realizzato, anche a livello di infrastrutture (cf. Cd.S., V, 9.12.1996 n. 1491; id, IV, 28.121994 n. 1089 e giurisprudenza consolidata in materia di "lotto intercluso" sottratto alla pianificazione di dettaglio).
La affermata necessità di ricondurre la concreta disciplina d’uso del territorio alla pianificazione generale vigente, d’altra parte, inibisce anche una applicazione generalizzata dell’art. 41 quinquies della L. n. 1150/1942 circa i limiti di edificabilità di 3mc./mq., al di sopra del quale si imporrebbe comunque il piano attuativo (escluso, però, secondo alcune decisioni nell’ipotesi di lotto intercluso: (cfr. C.d.S., V, 20.06.1980 n. 635).
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte l’impugnato diniego di concessione edilizia risulta illegittimo per errata applicazione dell’art.4, u.c. della legge n. 10/1977 e per difetto di istruttoria e di motivazione in quanto, in caso di intervenuta decadenza delle disposizioni di piano particolareggiato, detta norma è stata ritenuta dal Comune interessato di generale applicabilità a prescindere dalle norme di piano regolatore generale, quando invece la stessa norma deve ritenersi applicabile, per le ragioni sopra esposte, unicamente nel caso di accertata assenza nelle norme di piano regolatore generale dei requisiti prescritti di cui all’art 7 della legge n. 1150/1942.
Illegittimamente, pertanto, l’amministrazione interessata, nel negare la concessione edilizia di cui trattasi, mutando, peraltro, radicalmente il proprio orientamento precedente, ha omesso di ponderare (fornendo al riguardo adeguata motivazione) le norme di piano regolatore generale per verificare la possibilità di concedere l’ assenso richiesto in termini conformi ad una disciplina d’uso del territorio sufficientemente definita nei termini di cui all’art. 7 della legge n. 1150/1942, con integrativa applicazione delle misure di salvaguardia di cui all’art. 17 e, all’occorrenza (per le zone in cui il P.R.G. ammetta cubature superiori a 3mc/mq), all’art. 41 quinques della medesima legge.
Il ricorso nella parte relativa al capo di domanda sub a) concernente l’impugnato diniego, va pertanto accolto, in accoglimento del primo motivo di gravame e, per l’effetto, va annullata la impugnata determinazione dirigenziale n. 678 del 10.05.1999 di diniego di concessione edilizia, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’ amministrazione.
L’accoglimento in parte qua del ricorso per le ragioni di cui sopra dispensa il Collegio dalla trattazione delle ulteriori censure mosse dal ricorrente avverso il medesimo diniego che, quindi, possono dichiararsi assorbite.
Parimenti assorbita, nell’impugnazione della predetta determinazione dirigenziale, deve ritenersi l’impugnazione (che nell’economia del ricorso risulta proposta, dalla ricorrente per mero tuziorismo) avverso gli atti nella stessa richiamati.
Come infatti precisato nelle già richiamate sentenze di questa sezione n. 5954/2000, e n. 1916/1999 e n. 7549/2000, agli atti in questione ed in particolare alla memoria di Giunta – con i quali l’Amministrazione Comunale ha inteso esplicitare la linea interpretativa dell’art. 4, u.c. della L. n. 10/1977 nel senso della generalizzata applicabilità della stessa nell’ipotesi di decadenza di vincoli imposti nei piani attuativi – non può attribuirsi che una funzione autorganizzativa interna di coordinamento, efficace solo nei limiti in cui la linea interpretativa prescelta si fosse rilevata fondata (il che non è stato per le ragioni in precedenza evidenziate)e non vincolante nei giudizi promossi avverso i provvedimenti che, come nella situazione in esame, lo recepiscono.
Esaurito l’esame del primo ricorso, il Collegio può passare alla trattazione del secondo, relativamente al capo di domanda con il quale la società ricorrente chiede, ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. n. 80/1998 e dell’art. 2043 c.c., la condanna del Comune interessato al risarcimento, in forma specifica ovvero per equivalente, del danno dal medesimo subito a seguito della denegata concessione edilizia.
A tale riguardo, infatti, il difensore della ricorrente, con dichiarazione assunta a verbale alla pubblica udienza del 25.1.2001, ha circoscritto l’originario "petitum" del ricorso, volto anche all’annullamento del silenzio rifiuto sulla domanda di concessione edilizia. Il capo di domanda in discorso va, allo stato disatteso.
Al riguardo, infatti, si osserva che, come precisato dalla giurisprudenza (cfr. Tar Lombardia, Milano, 15.04.1999 n.1190), che il collegio condivide, al fine di poter configurare un danno risarcibile, occorre che la situazione soggettiva vantata, e garantita dall’ ordinamento con la mediazione del provvedimento amministrativo, si sia realizzata e sia stata acquisita al patrimonio dell’istante.
Occorre, cioè, che l’interesse legittimo del pretendente abbia ottenuto piena soddisfazione, il che è possibile solo attraverso, per quanto qui interessa, il rilascio della concessione edilizia (il provvedimento amministrativo, costitutivo del diritto a costruire) da parte dell’ amministrazione pubblica competente o da parte dell’ organo che sia legittimato a sostituirsi ad essa in via amministrativa o giurisdizionale. Deve peraltro escludersi in questa sede cognitoria la possibilità di un mero accertamento della fondatezza della pretesa del ricorrente anche ai soli fini risarcitori, in quanto la riconosciuta risarcibilità degli interessi legittimi non può ritenersi aver fatto venir meno il principio della inammissibilità delle azioni di accertamento in materia di interessi legittimi.
Ne deriva che l’azione risarcitoria potrà essere proposta soltanto dopo che il ricorrente avrà ottenuto, nelle forme consuete amministrative o in ottemperanza al giudicato, il rilascio della concessione edilizia pretesa e non potrà che riguardare i danni conseguenti al ritardo nell’ottenimento di essa.
In questa sede cognitiva, pertanto, non può procedersi ad alcuna condanna, nemmeno generica, posto che è tuttora incerta la fondatezza della pretesa al rilascio della concessione edilizia conformemente alla richiesta presentata dal medesimo ricorrente (illegittimamente negata con riferimento alle ragioni dell’ impugnato diniego) che è il presupposto della stessa configurabilità di un danno risarcibile.
In conclusione e per quanto sopra argomentato il primo ricorso va accolto limitatamente alla richiesta di annullamento dell’impugnato diniego di concessione edilizia, mentre il secondo va respinto.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i giudizi riuniti, ivi compresi onorari e competenze.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda Bis, pronunciando, previa loro riunione, sui ricorsi in epigrafe n. 10286/99 e 10941/2000, accoglie nei limiti di cui in motivazione il primo e, per l’effetto, annulla l’impugnata determinazione dirigenziale n. 678 del 10-5-1999 di diniego di concessione edilizia, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione;
Respinge il secondo (n. 10941/2000);
Spese, onorari e competenze, compensati, per entrambi i giudizi riuniti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amm.va.
Così deciso in Roma, nella C.d.C. del 25 e 26 gennaio 2001 l’intervento dei Magistrati:
Franco Bianchi Presidente
Carlo Visciola Consigliere, est.
Gabriella De Michele Consigliere
Depositata in segreteria il 13 febbraio 2001.