Giust.it

Giurisprudenza
n. 3-2002 - © copyright.

TAR LAZIO, SEZ. II BIS – Sentenza 8 marzo 2002 n. 1804 - Pres. ed Est. Speranza - Tevisa S.A. (Avv.ti Bianchetti, Pallottino e D’Amario) c. Comune di Roma (Avv. Sabato) e Direttore dell’ufficio Speciale Condono Edilizio (n.c.) - (accoglie).

1. Comune e Provincia - Competenza - In materia di adozione di provvedimenti attuativi (in particolare, di autorizzazione, concessione o analoghi) - E’ dei dirigenti ex art. 51 L. n. 142/90 e s.m.i. - Previsione dello Statuto del Comune di Roma che sottrae alla competenza dei dirigenti l’emanazione di atti di gestione comportanti l’esercizio anche di poteri discrezionali - E’ da ritenere caducata a seguito delle suddette disposizioni legislative.

1. Lo Statuto del Comune di Roma approvato con deliberazione consiliare n. 316 del 26 settembre 1991, laddove sottrae alla competenza dei dirigenti l’emanazione di atti di gestione comportanti l’esercizio anche di poteri discrezionali, deve ritenersi implicitamente caducato in parte qua per incompatibilità con la sopravvenuta disciplina legislativa in materia introdotta dall’art. 51, comma 3, lettera f), della legge n. 142/90 (come modificato dalla legge n. 127 del 1997 e dalla legge n. 191/98), il quale, nel confermare il principio (già sancito in via generale dall’art. 3 del D.L.vo 3.2.1993, n. 29) per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi, mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti (comma 2), attribuisce a questi ultimi tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con atti di indirizzo adottati dall’organo politico, tra i quali, in particolare, "i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto dei criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi compresi le autorizzazioni e le concessioni edilizie"(cfr. anche art. 107, comma 3, lettera f), del D. Lgs. 18.8.2000,n. 267, recante "Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali") (1).

-------------------------------------

(1) Ha osservato il T.A.R. Lazio che lo Statuto del Comune di Roma, approvato con deliberazione consiliare del 17.7.2000, n. 122 e modificato con atto consiliare 19.1.2001, n. 22, parafrasando la normativa primaria suindicata, dispone (all’art. 34) ormai che:"Spetta ai dirigenti, nei limiti delle attribuzioni degli uffici cui sono preposti, la emanazione di tutti gli atti e provvedimenti amministrativi, compresi quelli che impegnino l’Amministrazione verso l’esterno e siano espressione di valutazioni anche di natura discrezionale, nel rispetto dei criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti e dagli atti generali di indirizzo emanati dagli organi politici".

 

 

per l'annullamento

previa sospensione, della nota 17.1.2001, prot.n.6783 del Direttore dell’Ufficio Speciale Condono Edilizio (U.S.C.E.) di riesame di precedenti "notifiche", nella parte in cui stabilisce che "si è provveduto a sanare con L. 724/94 di prot. 87061/2000, Mod.D/001 gli ulteriori cambi di destinazione d’uso ricadenti in tip.1 e Mod. D/002 tip.4 la ristrutturazione relativa alla restante superficie", nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente e in particolare delle lettere di notifica 17.1.2001, prot.nn.6460, 6461, 6463, 6464, allegate a tale nota, contenenti il calcolo dell’oblazione e degli oneri di urbanizzazione ai sensi della legge n.724/1994;

(omissis)

F A T T O

La ricorrente espone: di essere proprietaria di un fabbricato sito in Roma(Via Monte Brianzo n.16 e Lungotevere Marzio n.14), per il quale il Comune di Roma, con licenza edilizia 29.8.1967, n.1771 bis, autorizzava lavori di ristrutturazione, nel corso dei quali (mediante installazioni di soppalchi) venivano realizzate maggiori superfici utili per mq.335,80, nonché opere preordinate al mutamento di destinazione d’uso, da residenza ad uffici, per mq.2816, in difformità da detta licenza; che per sanare tali difformità, veniva presentata l’istanza 24.3.86, prot. n.0049374, agli effetti della legge n.47 del 1985, istanza che, peraltro, presentava due errori, consistenti nell’utilizzare, per la denuncia di modifica della destinazione d’uso, il Mod. "G", anziché il Mod. "D" e, quanto all’aumento di superficie, denunciato nel Mod. "A", quantificato in mq.312,80, anziché in mq.335,80, errori tuttavia riconoscibili, essendo state fornite tutte le indicazioni necessarie per ricostruire le esatte dimensioni dell’aumento di superficie(in particolare, per la modifica di destinazione d’uso, il nulla-osta favorevole del Ministero BB.CC.AA 1.3.1994,Prot. n.2316/12221circa la utilizzazione dell’immobile ad uso ufficio anteriormente al 1°.10.83; che comunque, in via cautelativa, la ricorrente presentava all’U.S.C.E. nota di chiarimenti(12.4.95, prot.0020144), indicando entrambi gli errori in cui era incorsa ed allegando la ricevuta di pagamento dell’oblazione rideterminata ai sensi dell’art.39, comma 6, della legge n.724/94(il triplo della differenza tra quanto già pagato e quanto dovuto); poiché l’ufficio, con un primo atto di notifica(6.4.98, prot.57484), liquidava la sanzione pecuniaria, oblazione e oneri concessori, effettuata però non ai sensi del comma 6, ma dei commi 4 e 9 dell’art.39 legge n.724/1994(nuovo condono),la ricorrente, con istanza 1.12.2000, prot.191357, chiedeva il riesame della notifica 6.4.98 nel senso che l’abuso fosse sanato ex lege n.47/1985 e in subordine(ove tale domanda non fosse accoglibile) che l’abuso fosse sanato ai sensi della legge n.724/1994; che, poi, con la nota n.6783 del 17.1.01, l’USCE – con riferimento alla nota citata 1.12.2000 – comunicava all’istante di avere provveduto a sanare con legge n.724/1994 la modifica di destinazione d’uso e la ristrutturazione relativa alla restante superficie, liquidando (con le notifiche nn.6460, 6461, 6463 e 6464) la sanzione pecuniaria(circa mezzo miliardo di lire, pari a 10 volte l’importo dovuto), per il cui pagamento la ricorrente(con istanze n.19339 e n.19341 del 16.2.2001), chiedeva la rateizzazione, con riserva di impugnativa e di ripetizione delle somme indebitamente richieste dall’A.ne.

Ciò premesso, con il presente ricorso, notificato in data 16 e 19 marzo 2001 e depositato il 28 successivo, la società nominata in epigrafe ha adito questo Tribunale per ottenere l’annullamento degli atti impugnati, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi:

1) Incompetenza, per essere la nota n.6783 stata emessa dal Direttore dell’USCE, anziché dal Sindaco, per violazione dell’art.35, comma 9, della legge n.47/1985 e dell’art.27, comma 2, dello Statuto del Comune di Roma;

2) Violazione e falsa applicazione delle norme contenute nel Capo IV della legge n.47/1985 e in particolare dell’art.35, comma 9, e dell’art.40, comma 1, degli artt.6, lett.b, e 10, lett.b, della legge n.241/90, nonché eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto ed erroneità dei presupposti, errore di motivazione, ingiustizia manifesta e intento vessatorio, atteso che gli errori commessi dalla ricorrente erano riconoscibili, per cui non vi era intento doloso per trarne vantaggio e in presenza dei quali l’ufficio ben poteva richiedere documentazione integrativa; resta il fatto che neppure la nota di chiarimenti del 12.4.95, ha indotto il Comune ha considerare gli errori scusabili e a rilasciare il condono ex lege n.47/1985, anzi equiparando i medesimi alla mancata presentazione della domanda;

3) Violazione dell’art.39, comma 4 e 6, della legge n.724/1994 ed eccesso di potere per intento vessatorio, travisamento dei fatti, difetto ed erroneità dei presupposti, errore nell’istruttoria e nella motivazione. In subordine, si sostiene che, anche ad ipotizzare che l’omesso pagamento di parte dell’oblazione comportasse l’applicazione dell’art.39(comma 6) della L.724/1994, l’operato dell’ufficio sarebbe comunque illegittimo per avere respinto anche la richiesta(12.4.95) della ricorrente di rilasciare il condono ai sensi di tale norma, ritenendo applicabile al caso di specie quello relativo alle domande presentate per la prima volta ai sensi di tale legge(art.39, comma 4);

4) Eccesso di potere per carenza di motivazione, violazione dell’art.3 della legge n.241/1990 e delle norme della legge n.724/1994, atteso che i provvedimenti impugnati non spiegano chiaramente se hanno inteso applicare il condono "vecchio" (comma 6 dell’art.39) ovvero quello "nuovo"(comma 4 dell’art.39), limitandosi al generico richiamo della legge n.724/94.

Con atto di motivi aggiunti, notificato il 22.6.2001 e depositato il 5 luglio successivo, la ricorrente ha impugnato, unitamente ad ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, la nota 2.5.2001, prot.n.45543, con cui l’USCE, a seguito della istanza della ricorrente 16.2.01, ha riesaminato le precedenti "notifiche", confermando il contenuto delle medesime, nota censurata per gli stessi vizi già dedotti a carico dei provvedimenti impugnati con il ricorso.

Il Comune di Roma, con memoria datata 6.11.01, ha opposto la inammissibilità del ricorso(per omessa tempestiva impugnativa dei provvedimenti del 6.4.98 e del 18.5.200, n.69864/5, con i quali l’A.ne avrebbe rappresentato alla ricorrente che il cambio di destinazione d’uso non poteva essere valutato ai sensi della legge n.47/1985 per difetto del requisito temporale:1°.10.83) e comunque, nel merito, la sua infondatezza.

Con successiva memoria(depositata il 16.11.01), la ricorrente ha replicato alle eccezioni del Comune, insistendo per l’accoglimento del gravame.

Questa Sezione, con ordinanza 10.5.2001,n.3191, accoglieva l’istanza cautelare di sospensione degli atti impugnati col ricorso, limitatamente agli importi richiesti dall’Ane eccedenti le quote già versate dalla società ricorrente e, con successiva ordinanza 25.7.2001,n.4845, nonché, in termini anologhi, l’istanza cautelare di sospensione dell’atto impugnato con i motivi aggiunti, fino alla definizione del merito della controversia che veniva contestualmente fissata per la pubblica udienza del 29 novembre 2001.

DIRITTO

I. Come accennato, il presente ricorso è rivolto all’annullamento degli atti, specificati in epigrafe, con cui l’Ufficio Speciale Condono Edilizio del Comune di Roma – facendo riferimento alla richiesta della ricorrente n.191357 del 1.12.200 - comunicava alla istante(nota 17.1.2001n.6783) che, in base alla documentazione catastale e ai contratti di affitto, aveva provveduto alla sostituzione dei Mod.A e Mod.B di prot.49374/86 con i nuovi modelli D con la giusta destinazione ad uffici, integrando nel contempo, la SU relativa ai soppalchi e che, inoltre, in base alla documentazione integrativa alla domanda di condono di cui all’oggetto, pervenuta con Prot.87061 del 12/04/95, alla perizia tecnica giurata, redatta il 06/12/2000 ed "alla V.S. autorizzazione", aveva provveduto a sanare con L.724/94, di Prot.87061/2000, Mod.D/001 gli ulteriori cambi di destinazione d’uso ricadenti in tip.1 e Mod.D/002 tip.4, la ristrutturazione relativa alla restante superficie, significando che, con la presente, l’istante avrebbe potuto ritirare "le nuove lettere di notifica con i nuovi importi da corrispondere emesse in sostituzione della notifica precedente…".

Tali nuove notifiche sono costituite dalle note dell’USCE 17.1.01,contrassegnate col n.6460 (che determina l’oblazione in lire 9.617.500, rispetto a quella autoliquidata di lire 7.820.000, con richiesta di conguaglio di lire 3.644.000), col n.6461 (con la quale non è richiesto alcun conguaglio per oblazione e oneri concessori), col n.6463 (che determina l’oblazione in lire 50.965.000 e l’importo degli oneri concessori in lire 52.004.000), n.6464 (che determina l’oblazione in lire 5.000.000 e gli oneri concessori in lire 320.926.000).

Con l’atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato la successiva nota 2.5.01,n.45543 con cui l’USCE, a seguito di ulteriore istanza di riesame della ricorrente, riconfermava il contenuto delle notifiche oggetto del presente gravame.

II. L’eccezione di tardività del ricorso formulata dal Comune va disattesa.

Infatti, la nota impugnata n.6783 del 17.1.2001, è stata emessa a seguito di istanza di riesame della ricorrente(1.12.00) e sulla base di nuovi elementi forniti dall’interessata.

Ne consegue che, avendo l’ufficio provveduto a seguito di rinnovata istruttoria e valutazione della pratica, la nota dirigenziale n.6783/01 e le conseguenti notifiche, non possono essere considerati atti meramente confermativi di quello in data 18.5.2000,n.69864(prospettante la tardività della domanda di condono in punto di cambio di destinazione d’uso), bensì nuovi provvedimenti, nei cui confronti la presente impugnativa appare sicuramente tempestiva, mentre è irrilevante la mancata impugnativa dei precedente provvedimenti(e in particolare di quello n.69864/2000), in quanto superato dalle nuove determinazioni dell’ufficio.

III. Quanto al merito, il ricorso (e l’atto di motivi aggiunti), la cui trattazione può essere effettuata congiuntamente (essendo entrambi sorretti dalle medesime censure), merita accoglimento alla stregua delle considerazioni che seguono.

Il primo motivo(incompetenza del dirigente che ha emesso gli atti impugnati), non pare condivisibile.

Difatti, ai sensi della legge n.142/90 (art.51, comma 3, lettera f), come modificato dalla legge n.127 del 1997 e dalla legge n.191/98, nel confermare il principio (già sancito in via generale dall’art.3 del D.L.vo 3.2.1993,n.29) per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi, mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti (comma 2), attribuendo a questi tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con atti di indirizzo adottati dall’organo politico, tra i quali, per quanto qui interessa, "i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto dei criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi compresi le autorizzazioni e le concessioni edilizie"(cfr. anche art.107, comma 3, lettera f), del D. Lgs. 18.8.2000,n.267, recante "Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali").

In conseguenza, deve ritenersi che lo Statuto del Comune di Roma (qualora la ricorrente intenda riferirsi a quello approvato con deliberazione consiliare n.316 del 26 settembre 1991), laddove sottrae alla competenza dei dirigenti l’emanazione di atti di gestione comportanti l’esercizio anche di poteri discrezionali, deve ritenersi implicitamente caducato in parte qua per incompatibilità con la suindicata sopravvenuta disciplina legislativa in materia.

D’altra parte, lo Statuto del Comune di Roma, approvato con deliberazione consiliare del 17.7.2000, n.122 e modificato con atto consiliare 19.1.2001, n. 22, parafrasando la normativa primaria suindicata, dispone che (art.34) "Spetta ai dirigenti, nei limiti delle attribuzioni degli uffici cui sono preposti, la emanazione di tutti gli atti e provvedimenti amministrativi, compresi quelli che impegnino l’Amministrazione verso l’esterno e siano espressione di valutazioni anche di natura discrezionale, nel rispetto dei criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti e dagli atti generali di indirizzo emanati dagli organi politici".

Il ricorso, come preannunciato, merita accoglimento per carenza di istruttoria e per travisamento dei fatti, come dedotto dalla istante.

La difesa comunale ha sostenuto, in memoria, che la ricorrente non avrebbe addotto che l’opera sia stata realizzata entro il 1°.10.83, atteso che l’unico documento probante in tal senso sarebbe la denuncia catastale (da abitazione ad uffici) presentata dall’interessata al N.C.E.U. soltanto in data 30.11.95 (rectius: 30.11.85), per cui "in presenza di atto che deponeva univocamente per la datazione a novembre 1985 dell’abuso, correttamente l’USCE ha ritenuto non provata una realizzazione anteriore dell’abuso".

Senonché, tale asserzione contrasta sia con il riferito contenuto della nota n.6783/01, nella quale l’ufficio dava atto di avere acquisito, tra l’altro, anche i contratti di affitto, sia con l’istanza della ricorrente 29.12.98, cui era allegata una serie di atti e documenti, tra cui "contratti di locazione non abitativa".

Appare pertanto evidente l’insussistenza del presupposto da cui muove la difesa comunale, comprovata dal deposito in giudizio dei predetti contratti di affitto effettuato dalla ricorrente in data 16.11.01, i quali risultano redatti in data antecedente al 1° ottobre 1983, alcuni con la I.B.I SUD s.p.a.(per uso ufficio e rappresentanza), stipulati in data 1.12.76, 1.12.77, 30.11.78, e uno con Ist. Biochimico Italiano(uso ufficio), registrato il 12.12.68. In particolare, il contratto del 30.11.78, riguarda la locazione per uso di rappresentanza di appartamento di vani 14 in Roma, Lungotevere Marzio n.14 e di un appartamento uso ufficio attico di vani 6 in Via Monte Brianzo 16, circostanza che conferma ulteriormente che, a seguito delle opere di accorpamento degli appartamenti realizzate in esecuzione dei lavori di ristrutturazione autorizzati con la licenza edilizia n.1771 bis/1967, il cambio di destinazione d’uso da abitazione ad uffici era stato operato anteriormente al 1° ottobre 1983 e quindi esso erano suscettibile di condono ex lege n.47/1985.

La difesa comunale sostiene anche che non sono state operate maggiorazioni o sanzioni, "bensì applicata meramente l’aliquota prevista dalla disciplina della L.724/94" e che anche la doglianza relativa alla mancata applicazione del comma VI dell’art.39 L.724/94(3° motivo) sarebbe inesatta "perché l’aumento fino a tre volte delle somme non versate, presuppone sempre la riferibilità del condono alla L.47/85"; peraltro tale rilievo trascura che, con tale motivo, la ricorrente lamenta proprio la mancata applicazione di tale norma al condono richiesto ex lege n.47/85, avendo l’A.ne proceduto al diverso ricalcolo dell’oblazione, nonostante la ricorrente, in virtù di tale norma, avesse provveduto ad effettuare il prescritto versamento nei termini del triplo della differenza tra la somma dovuta e quella già versata.

Difatti, l’art.39, comma 6, della legge n.724 del 1994 dispone espressamente che "I soggetti che hanno presentato domanda di concessione o di autorizzazione edilizia in sanatoria ai sensi del Capo IV della L.28 febbraio 1985,n.47, o i loro aventi causa, se non è stata interamente corrisposta l’oblazione dovuta ai sensi della stessa legge devono, a pena di improcedibilità della domanda, versare, in luogo della somma residua, il triplo della differenza tra la somma dovuta e quella versata, in unica soluzione entro il 31 marzo 1996".

Considerato che la ricorrente, come documentato né contestato ex adverso, aveva provveduto, a seguito degli errori denunciati, a ricalcolare le somme dovute, versando il triplo della differenza tra quanto dovuto e quanto già versato, è evidente che l’operato dell’ufficio non appare giustificato né motivato circa il ricalcolo delle somme richieste in pagamento con gli atti impugnati, tenuto conto che la richiesta della ricorrente di usufruire del condono ai sensi della legge n.724/94, era formulata in via subordinata, come riconosce la stessa difesa comunale e comunque, sulla base della documentazione presentata il Comune doveva applicare la normativa prevista, ratione temporis, di commissione dell’abuso.

In conclusione, per le suesposte considerazioni, il ricorso (e l’atto di motivi aggiunti) vanno accolti, con conseguente annullamento degli atti e provvedimenti con i medesimi impugnati.

Sussistono giustificati motivi per disporre lintegrale compensazione delle spese di causa tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione II BIS, accoglie il ricorso con l’effetto di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 29 novembre e 11 dicembre 2001.

Evasio SPERANZA PRESIDENTE(ff.), est.

Depositata l'8 marzo 2002.

Copertina Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico