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n. 4-2001 - © copyright.

TAR LAZIO, SEZ. III – Sentenza 27 febbraio 2001 n. 1481Pres. Cossu, Est. Amodio – Consiglio Nazionale dei Geometri (Avv. Pallottino) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altri (Avv.ra Stato).

Giustizia amministrativa - Termine per l’impugnazione - Nel caso di disposizioni regolamentari aventi carattere generale ed astratto - Decorrenza - Dalla data dell’atto applicativo - Nel caso di disposizioni regolamentari aventi carattere specifico e concreto - Dalla data della loro pubblicazione - Fattispecie relativa a norme contenute nel regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici.

Giustizia amministrativa - Termine per l’impugnazione - Nel caso di disposizioni regolamentari aventi carattere specifico e concreto - Dalla data della loro pubblicazione - Eventuale periodo di vacatio - Irrilevanza - Fattispecie.

Le norme regolamentari, avendo natura generale ed astratta, vanno di regola impugnate assieme all’atto applicativo, che radica la lesione degli interessi legittimi di cui sono portatori i destinatari delle stesse. Sorge invece l’onere della loro immediata impugnazione quando esse, per il loro carattere specifico e corretto, risultino idonee ad incidere direttamente nella sfera degli amministrati, siano essi soggetti singoli o enti esponenziali di interessi collettivi o diffusi.

In particolare, sono da ritenere immediatamente lesive e vanno impugnate entro i termini decadenziali decorrenti dalla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale gli artt. 127, 151 e 188 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 544, recante il "Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109".

Il termine di impugnazione di norme regolamentari immediatamente lesive decorre dalla data della loro pubblicazione (nella specie si trattava di alcune norme contenute nel D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 544, che erano state pubblicate nella G.U. del 28 aprile 2000), a nulla rilevando l’eventuale periodo di vacatio (nella specie le norme in questione erano destinate ad entrare in vigore tre mesi dopo la loro pubblicazione, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 11 febbraio 1994 n. 109), atteso che il periodo di vacatio risponde esclusivamente all’esigenza di consentire l’adattamento dei comportamenti individuali alle norme giuridiche che si vanno ad introdurre nell’ordinamento e, quindi, si pone su un piano del tutto diverso da quello che attiene alla "conoscenza legale" del provvedimento ai fini impugnatori (1).

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(1) Con ricorso n. 13128 del 2000, il Consiglio Nazionale dei Geometri ha proposto ricorso avanti il TAR del Lazio per l’annullamento degli artt, 127, 151 e 188 del DPR 21.12.1999, n. 554, c.d. regolamento attuativo della Legge Merloni, L. 109/1994.

Il Collegio Giudicante, tuttavia, ha ritenuto irricevibile il ricorso per tardività, in quanto le norme regolamentari in questione, per il loro carattere specifico, risultano idonee ad incidere direttamente nella sfera degli amministrati, siano essi soggetti singoli o enti esponenziali di interessi diffusi o collettivi.

Ed, in effetti, il ricorso in parola, è stato proposto entro 60 giorni dalla fase d’integrativa di efficacia dell’atto (tre mesi dopo la pubblicazione) e non già dalla sua pubblicazione (28 aprile 2000), come, invece, richiede l’art. 21 della L. 107/1934, anche nella versione ritoccata dalla L. 205/2000, facendo decorrere il termine per l’impugnazione dalla pubblicazione e quindi conoscibilità legale dell’atto. Le disposizioni introdotte dal Regolamento 554/1999 avrebbero dovuto essere impugnate computando nei termini per ricorrere il dies a quo dalla loro pubblicazione, senza attendere alcun provvedimento amministrativo applicativo delle medesime.

Il Collegio, quindi, non è sceso nell’esame del merito del ricorso, che nel primo motivo di diritto, presentava spunti meritevoli di riflessione.

L’art. 127 del Regolamento del 1999, infatti, dispone che, le funzioni del coordinatore per l’esecuzione dei lavori previsti dalle vigente normativa sulla sicurezza nei cantieri sono svolte dal direttore dei lavori. Nei lavori di importo inferiore o pari a 500.000 euro, del resto, tale figura può coincidere con il responsabile unico del procedimento, ex art. 7 dello stesso Regolamento.

Da ciò discende, ad avviso dei ricorrenti, che in caso di accorpamento in capo al Direttore dei lavori anche delle funzioni di coordinatore per la sicurezza nei cantieri, come prevede il D.lgv. 494/1996, vengano attribuite funzioni di autonomia decisionale, al direttore operativo anche senza che questi sia in possesso dei requisiti richiesti in capo al coordinatore per l’esecuzione dei lavori.

L’accorpamento delle funzioni, quindi, lederebbe in via immediata gli interessi delle categorie professionali che possono ricoprire le funzioni di coordinatore lavori ex art, 10 del D.lg. 494/1996 e sarebbe in contrasto con l’art. 97 della Costituzione e con l’orientamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sulla massima concorrenza tra i liberi professionisti.

(Avv. Annalisa Palomba)

 

 

Per l’annullamento

Degli artt. 127, 151 e 188 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 544, recante il "Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109" nonchè di tutti gli atti connessi, coordinati e consequenziali;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti i motivi aggiunti;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il consigliere Antonino Savo Amodio e uditi, alla pubblica udienza del 6 dicembre 200, i difensori delle parti come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso in esame, notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dei Lavori Pubblici, dell’Ambiente e per i Beni e le Attività Culturali il 2 agosto 2000 e depositato il 4 agosto successivo, il Consiglio Nazionale dei Geometri nonché cinque geometri, impugnano gli artt. 127, 151 e 188 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 ("Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109"), deducendo numerose violazioni della normativa primaria e dei principi della materia. In data 20 ottobre 2000 sono stati notificati alla controparte motivi aggiunti, depositati il successivo giorno 25, che completano le doglianze mosse alle disposizioni regolamentari del 1999.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni statali, le quali, in via principale, eccepiscono l’irricevibilità del ricorso e, in via gradata, l’infondatezza delle doglianze mosse al provvedimento impugnato.

DIRITTO

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di irricevibilità del ricorso.

Afferma parte resistente che il termine per proporre impugnativa avverso la normativa contenuta nel D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 decorrerebbe dalla conoscenza legale dell’atto, risalente alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 28 aprile 2000, a nulla rilevando, per converso, che esso fosse destinato ad entrare in vigore tre mesi dopo la sua pubblicazione, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 11 febbraio 1994 n. 109.

Parte ricorrente, nelle difese orali, sostiene la tesi diametralmente opposta, in base alla considerazione che, all’uopo, sarebbe necessaria la potenzialità lesiva del provvedimento amministrativo.

Va premesso che, in linea di principio, le norme regolamentari, avendo natura generale ed astratta, vanno impugnate assieme all’atto applicativo, che radica la lesione degli interessi legittimi di cui sono portatori i destinatari delle stesse. Quando, per converso, queste ultime, per il loro carattere specifico e corretto, risultino idonee ad incidere direttamente nella sfera degli amministrati, siano essi soggetti singoli o enti esponenziali di interessi collettivi o diffusi, sorga l’onere di immediata impugnazione.

Nella specie, parte ricorrente, con il suo comportamento processuale, nostra di ritenere immediatamente lesive alcune disposizioni contenute nel citato D.P.R. n. 554/99, sottoponendosi, pertanto, alle regole che disciplinano l’accesso, omesso medio, alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Soccorre, in proposito, l’art. 21 comma 1 ella legge 6 dicembre 1971 n. 1034, il quale, tanto nella versione originaria quanto in quella introdotta dall’art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205, stabilisce che, nei confronti dei provvedimenti per i quali non sia richiesta la notifica individuale, il ricorso deve essere notificato entro il termine di sessanta giorni decorrente dal giorno della pubblicazione dell’atto, se tale forma di pubblicità, come nella specie, è quella espressamente prevista da disposizioni di legge o di regolamento.

Occorre, peraltro, indagare se l’ordinamento, con la formula utilizzata, intenda comunque riferirsi alla conoscenza di un atto che, oltre che perfetto, sia altresì suscettibile di produrre gli effetti suoi propri, mostrando così una piena potenzialità lesiva nei confronti degli amministrati. L’esempio, addotto a sostegno da parte ricorrente in udienza, è quello dei provvedimenti che non abbiano ancora superato la cd. Fase integrativa dell’efficacia, il cui eventuale esito negativo determina l’esistenza ab origine dell’atto, tant’è che vengono meno completamente gli effetti prodotti nelle more in virtù di una specifica assunzione di responsabilità dell’autorità emanante.

La giurisprudenza amministrativa, in realtà, ha preso in considerazione la descritta situazione per una finalità del tutto diversa: negare, per evidenti ragioni di economicità, l’esistenza di un immediato onere di impugnazione di atti che, sottoposto ad una specifica condizione legale, non possono perciò stesso, dirsi perfezionati (cfr. in tal senso, Consiglio di Stato, V Sez., 24 febbraio 1996 n. 230), tant’è che la medesima giurisprudenza ha altresì affermato che l’impugnativa di un atto sub condizione non è perciò stesso inammissibile, ma è strettamente legata all’esito del controllo, che, se negativo, comporta l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse e, nell’ipotesi opposta, impone al giudice adito di pronunciarsi sulle doglianze mosse al provvedimento amministrativo.

Tale precisazione consente di concludere che, comunque, vi è una scissione fra efficacia dell’atto e conoscenza legale dello stesso ai fini impugnatori, nel senso che la prima non condiziona l’altra, tant’è che, anche qui per giurisprudenza pacifica, si richiede, ai fini del decorso del termine per la proposizione dell’istanza giudiziale, che l’autorità amministrativa notifichi (o pubblichi) l’atto una volta superato il controllo cui l’ordinamento lo sottopone (cfr. Consiglio di Stato, V Sez., 28 gennaio 1997 n. 92).

Va, solo per completezza, aggiunto che l’inefficacia del provvedimento ha sicuramente influenza sul processo cautelare, laddove si richiede la sussistenza non solo del "fumus boni iuris", ma anche il pregiudizio grave ed irreparabile, che va esclusa in linea di principio in presenza di una determinazione amministrativa non ancora operativa.

Il caso di specie è comunque diverso da quello testè descritto.

In primo luogo, non si è in presenza di un atto sottoposto a condizione legale, ma di un provvedimento di carattere normativo non solo perfetto ma anche pienamente efficace, che, come tutti quelli della sua specie, in considerazione della natura e della portata delle statuizioni in esso contenute, prevede un periodo di vacatio, secondo quanto stabilito, in via generale dall’art. 7 del D.P.R. 28 dicembre 1985 n. 1092; l’unica particolarità è che, in luogo degli ordinari quindici giorni, l’art. 3 comma 4 della legge n. 109/94 fissa il termine di entrata in vigore in tre mesi dalla pubblicazione del D.P.R. nella Gazzetta Ufficiale.

Non vi è dubbio, quindi, che le disposizioni impugnate sono (in tesi) immediatamente efficaci e, quindi lesive, in quanto la vacatio, oltre a non presentare alcun margine di incertezza nell’an e nel quid, risponde esclusivamente all’esigenza di consentire l’adattamento dei comportamenti individuali alle norme giuridiche che si vanno ad introdurre nell’ordinamento e, quindi, si pone su un piano del tutto diverso da quello che attiene alla "conoscenza legale" del provvedimento ai fini impugnatori. Del resto, come ha osservato il difensore di parte resistente in udienza, non si è mai dubitato che il suddetto periodo ordinario prolunghi corrispondentemente il termine di impugnazione di cui all’art. 21 della citata legge n. 1034/71 che, testualmente, decorre sempre e comunque dalla "conoscenza" dell’atto.

Tale conclusione, oltre ad avere un preciso addentellamento normativo e a rispondere al principio di certezza del diritto, risulta pienamente in linea con la ratio sottesa alla previsione del breve termine decandeziale previsto per portare all’attenzione del giudice amministrativo i provvedimenti autoritativi quale, per eccellenza, è quello in questione: assicurare con la massima celerità possibile il consolidamento di questi ultimi garantendo la legittimità, e l’economicità dell’azione amministrativa, pur nel rispetto delle esigenze difensive dei destinatari dei pubblici poteri che, nella specie, invero, non appaiono assolutamente compromesse.

Per le considerazioni esposte, il ricorso in esame si appalesa irricevibile.

Sussistono comunque giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III, dichiara irricevibile il ricorso in epigrafe indicato.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 6 dicembre 2000.

Luigi COSSU - Presidente

Depositata il 27 febbraio 2001.

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