TAR LAZIO, SEZ. III – Sentenza 8 luglio 2002 n. 6175 – Pres. Cossu, Est. Savo Amodio – A.B.I. (Avv.ti Libonati, Gesmundo, Guizzi e Desario) c. Ministero del Tesoro ed altro (Avv. Stato D'Amato), Regione Piemonte (Avv.ti Romanelli e Scollo), Regione Lazio (Avv.ti Montanaro e Caprio), Regione Lombardia (Avv.ti Tedeschini, Colombo e Tamborino), Codacons (Avv.ti Rienzi, Montaldo, Viti e Sanitate), ASSO.FA.MIL ed altri (Avv. Maggio) e Federconsumatori (Avv.ti Galli e Chianese).
1. Edilizia residenziale pubblica – Mutui agevolati – Rinegoziazione – Riduzione del tasso d'interesse – Disciplina ex D.M. n. 110/2000 – Legittimità.
2. Edilizia residenziale pubblica – Mutui agevolati – Rinegoziazione – Riduzione del tasso d'interesse – Ex art. 29 L. n. 133/1999 – Contrasto l’art. 102 del Trattato CE – Non sussiste.
3. Edilizia residenziale pubblica – Mutui agevolati – Rinegoziazione – Riduzione del tasso d'interesse – Ex art. 29 L. n. 133/1999 – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta infondatezza.
1. E’ legittimo il D.M. 24 marzo 2000 n. 110, recante disposizioni per la rinegoziazione dei mutui edilizi agevolati, nella parte in cui – in conformità all’art. 29 della legge 13 maggio 1999 n. 133 – attribuisce agli Enti concedenti contributi e ai singoli mutuatari il diritto potestativo di richiedere la riduzione del tasso di interesse praticato dagli Istituti di credito per le dette operazioni (1).
2. L’art. 29 della legge 13 maggio 1999 n. 133 non è in contrasto con l’art. 102 del Trattato che istituisce l’Unione Europea (sotto il profilo che si risolverebbe in un’inammissibile forma di accesso privilegiato al credito da parte di uno Stato membro) atteso che riallineamento dei tassi, voluto dal citato art. 29, non configura alcuna forma di accesso privilegiato al credito in favore delle pubbliche amministrazioni, per la semplice ragione che lo Stato e gli altri enti – cui viene riconosciuto il contestato diritto potestativo – si limitano ad erogare contributi in favore dei privati mutuatari, sub specie dell’assunzione dell’obbligazione di pagare una quota parte degli interessi passivi; all’uopo, stipulano apposite convenzioni con gli istituti di credito, che si pongono come l’antecedente logico– giuridico dei singoli contratti individuali di mutuo; da quanto detto, risulta evidente il loro interesse per l’operazione sub iudice e si giustifica ampiamente la scelta effettuata dal Legislatore.
3. E’ manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 29 della legge 13 maggio 1999 n. 133, in materia di rinegoziazione dei mutui edilizi agevolati, nella parte in cui configura in termini di diritto potestativo la facoltà degli Enti concedenti i contributi e dei singoli mutuatari di richiedere la riduzione del tasso di interesse praticato dagli Istituti di credito per le dette operazioni.
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(1) Ha osservato in particolare il T.A.R. Lazio che la finalità equitativa, sottesa alla norma de quo, ha ricevuto l’avallo di una recentissima sentenza della Corte Costituzionale – 14– 25 febbraio 2002 n. 29, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/corte/ccost_2002–29.htm
– che, sia pur in relazione ad una diversa vicenda (ma della medesima natura e di portata equivalente a quella in esame), ha ritenuto del tutto ammissibile, alla stregua del dettato costituzionale, la reductio ad aequitatem, autoritativa ed unilaterale, di tassi di interesse oramai fuori mercato, incidendo sul sinallagma funzionale tipico dei contratti di durata, com’è quello di mutuo.
per l'annullamento
del Decreto del Ministero del Tesoro del 24 marzo 2000 n. 110, recante "Disposizioni per la rinegoziazione dei mutui edilizi agevolati" e di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale;
(omissis)
F A T T O
Con il ricorso in esame, l’A.B.I., Associazione Bancaria Italiana, impugna il provvedimento in epigrafe indicato, deducendo:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 29 primo comma della legge 13 maggio 1999 n. 133. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e del travisamento dei fatti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.P.R. 9 novembre 1976 n. 902, nonché delle deliberazioni CICR 4 febbraio 1977 e 3 marzo 1994, in tema di determinazione dei tassi di riferimento per le operazioni di credito agevolato.
2) Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 29 della citata legge n. 133/99: violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 47 della Costituzione.
3) Violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie in tema di disciplina dell’attività bancaria e della relativa normativa di attuazione; illegittimità costituzionale dell’art. 29 cit. per contrasto con gli artt. 41, 47, 81 e 97 della Costituzione.
4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 102 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (104 a del Trattato di Maastricht) del regolamento n. 3604 del Consiglio dell’Unione Europea. Eccesso di potere per sviamento.
5) Eccesso di potere per sviamento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e del principio dell’irretroattività dei regolamenti. Violazione e falsa applicazione degli artt. 12, 116, 117 e 118 del decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 e 1230, 1231 e 2410 del codice civile; eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà; violazione e falsa applicazione degli artt. 41, 47, 24 e 113 della Costituzione.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, i quali, in via principale, eccepiscono l’improponibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito e l’inammissibilità dello stesso per carenza di una lesione attuale; chiedono, altresì, che la Sezione disponga l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri controinteressati. In via gradata, controdeducono alle censure mosse al provvedimento impugnato.
Spiegano intervento ad opponendum la Regione Piemonte e la Regione Lombardia. La prima sostiene, nei suoi scritti difensivi, l’infondatezza dei motivi di ricorso.
La seconda eccepisce la carenza di interesse dell’A.B.I. a tutelare in sede giurisdizionale pretese che non lo sarebbero in via sostanziale. Nel merito, oltre a contestare la prospettazione avversaria, amplia il thema decidendum, sollevando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 145 comma 62 della legge 23 dicembre 2000 n. 388, per contrasto con l’art. 3 commi 1 e 2 della Costituzione, e del medesimo art. 145 comma 62 e dell’art. 1 primo comma del decreto legge 29 dicembre 2000 n. 394, convertito in legge 28 febbraio 2001 n. 24, per contrasto con gli artt. 101 comma 2 e 103 primo comma della Costituzione.
Analoghe questioni di costituzionalità solleva il CODACONS nel suo intervento ad opponendum, dopo aver eccepito preliminarmente la carenza di legittimazione dell’A.B.I. e l’inattualità della lesione subita da quest’ultima.
Intervengono, inoltre, l’ASSO.FA.MIL., il Consorzio delle cooperative edilizie "Giustizia e Libertà" e tre società cooperative edilizie, che sostengono l’infondatezza dell’impugnativa.
Sono presenti, altresì, la Federconsumatori e la Federconsumatori Piemonte, che sostengono l’infondatezza del ricorso.
Infine, è costituita la Regione Lazio.
D I R I T T O
1) La causa torna all’esame del Collegio dopo che, con la sentenza 17 dicembre 2001 n 11402, superate le tre eccezioni di rito sollevate da parte resistente e dagli interventori, si è disposto istruttoria, ordinando al Ministro dell’Economia e delle Finanze di depositare il provvedimento, eventualmente assunto, con il quale aveva proceduto alla rilevazione del tasso effettivo globale medio dei mutui agevolati all’edilizia in corso di ammortamento, effettuata ai sensi del D.M. 4 aprile 2001, ai fini di cui all’art. 29 della legge 13 maggio 1999 n. 133.
L’indagine istruttoria è stata disposta su specifica richiesta di parte ricorrente, la quale ha addotto che, se fossero state confermate le informazioni ricevute, il tasso rilevato sarebbe stato tale da determinare il venire meno dell’interesse a coltivare l’impugnativa.
L’Amministrazione non ha ottemperato e dal suo comportamento può desumersi, esclusivamente, la persistenza dell’interesse di parte ricorrente ad ottenere una decisione di merito.
2) Il primo motivo di doglianza denuncia l’illegittimità dell’impugnato Regolamento per contrasto con l’art. 29 della citata legge n. 133/99, al quale, ragionevolmente, dovrebbe attribuirsi il significato di stimolo alle parti a "rinegoziare", allo scopo di pervenire, in assoluta autonomia, alla riduzione del tasso praticato sui contratti di mutuo in essere.
Il D. M. in esame avrebbe travisato il dettato normativo primario, introducendo un vero e proprio diritto potestativo in favore dei mutuatari e degli enti concedenti contributi agevolati. In tal modo, risulterebbe indebitamente compressa la sfera dell’autonomia privata e si mostrerebbe di non tenere conto alcuno delle esigenze connesse ad una sana gestione bancaria.
La doglianza è infondata.
L’interpretazione della norma di legge, effettuata dal Ministro del Tesoro, risulta pienamente legittima, in quanto è l’unica che dà un senso compiuto alla stessa.
Opinare, come fa parte ricorrente, che l’art. 29 abbia il valore della mera esortazione ad avviare trattative, indicandone, nel contempo, il risultato, peraltro lasciato alla libera determinazione delle parti, non essendo previsto alcun meccanismo sanzionatorio o, comunque, incentivante, equivale ad affermare l’assoluta inutilità dell’intervento del Legislatore, atteso che quest’ultimo finirebbe con il muoversi sullo stesso piano dell’autonomia privata, duplicando un’iniziativa che ciascuna delle parti del rapporto obbligazionario ben avrebbe potuto assumere, invitando l’altra ad instaurare trattative per "rinegoziare" il tasso di interesse.
Contro siffatta interpretazione osta anche la natura – normativa e cogente – dell’art. 29, atto ad innovare l’ordinamento primario, che, pertanto, nella gerarchia delle fonti, si colloca in posizione di sopraordinazione all’autonomia contrattuale, tant’è che quest’ultima viene riconosciuta dall’art. 1322 del Codice civile "nei limiti imposti dalla legge".
Lo scopo dell’operazione è, quindi, di sostituire – ab externo e autoritativamente, su richiesta degli interessati – il tasso di interesse praticato sui singoli contratti di mutuo, quantomeno fino al raggiungimento di quello che rappresenta il risultato minimo indicato dalla legge stessa, rappresentato dalla riconduzione del tasso in questione ad un valore non superiore a quello assunto come riferimento.
All’uopo, il Legislatore del 1999 ha attribuito agli enti concedenti contributi agevolati e ai beneficiari di tali contributi un diritto potestativo, in grado di determinare, ex uno latere, la (parziale) modificazione del rapporto, al verificarsi delle condizioni espressamente indicate.
Sorregge tale conclusione un’ulteriore considerazione, di ordine logico– sistematico: la sovrapposizione all’autonomia privata, di cui ci si duole in questa sede, si inserisce e ripete uno schema già presente nella disciplina della materia dell’edilizia agevolata, che, in virtù degli interessi collettivi ad essa sottesi, è sempre stata sottoposta ad interventi delle autorità di settore, tant’è che, come ricorda la stessa parte ricorrente, rientra nei poteri dell’Amministrazione l’originaria fissazione del tasso di interesse dei mutui in questione sulla base di criteri rigidamente predeterminati.
In conclusione, il Regolamento impugnato risulta pienamente in linea con l’art. 29 della legge n. 133/99.
3) La seconda doglianza, diretta nei confronti della norma primaria, tende a dimostrare la sussistenza di una pluralità di violazioni della Costituzione, ipotizzando un contrasto con gli artt. 3, 41 e 47 della Carta.
Si denuncia, in particolare:
a) l’illegittima retroattività degli effetti su contratti stipulati prima del 1999, che, per converso, dovrebbero continuare ad essere sottoposti alla disciplina in essi convenuta;
b) l’indebita alterazione dell’equilibrio negoziale a beneficio di una parte sola, senza tenere conto, da un lato, del fatto che anche i tassi originari erano stati fissati con provvedimento eteronomo ed autoritativo e, dall’altro, dell’affidamento degli istituto di credito, in funzione sia dei costi della provvista dai medesimi affrontati che delle esigenze programmatorie degli stessi;
c) l’ingiustificata disparità di trattamento, essendo ammessi al beneficio solo i destinatari di determinate agevolazioni creditizie e risultandone, per converso, esclusi altri che verserebbero in condizioni quantomeno equivalenti; la conclusione non cambierebbe neppure tenendo conto che l’operazione sarebbe ispirata dalla finalità di ridurre gli oneri per il debito pubblico;
d) la mancata considerazione della circostanza che i mutui sarebbero stati accesi – ed i relativi contributi erogati – in tempi diversi e, quindi, a condizioni anch’esse diverse, in funzione della (mutata) disciplina applicata e del tasso di riferimento preso in considerazione.
Andando con ordine, occorre, innanzi tutto, affermare che nulla osta, in linea di principio, all’intervento del Legislatore sul libero esplicarsi dell’autonomia privata, al fine di indirizzare e coordinare l’attività economica, pubblica e privata, a fini sociali, come recita l’art. 41 della Costituzione.
E’ proprio in virtù di tale sovrapposizione della fonte eteronoma (prevista, peraltro, dallo stesso art. 1339 del codice civile), in funzione del perseguimento di interessi sovraindividuali, che il Legislatore degli anni 70 ha previsto i già ricordati penetranti poteri autoritativi in capo alla Pubblica amministrazione, al fine di consentire l’accesso alla casa di abitazione ai cittadini che, per le loro condizioni economiche, non sarebbero in grado di contrarre un prestito alle ordinarie condizioni di mercato.
Con l’operazione sub iudice, il Legislatore interviene nuovamente: questa volta lo fa su un rapporto negoziale che ha già in parte prodotto i suoi effetti. La finalità perseguita è, anche in questo caso, di rilievo sociale, atteso che essa ha come presupposto, indiscusso, la "straordinaria" caduta dei tassi di interesse, che ha divaricato, oltre un limite accettabile, la forbice tra i tassi medi di mercato e quelli corrisposti agli istituti di credito per i mutui della tipologia di cui alle disposizioni richiamate dall’art. 29 della legge n. 133/99.
Tale circostanza, addotta da parte resistente e dagli interventori e non smentita ex adverso, comporta un’evidente ricaduta pregiudizievole per i soggetti mutuatari, come pure per gli enti concedenti i contributi agevolati, in relazione al verificarsi di un evento esterno al sinallagma e non previsto in sede di stipula del contratto di mutuo.
La finalità equitativa, sottesa alla norma in esame, ha ricevuto l’avallo di una recentissima sentenza della Corte Costituzionale – 14– 25 febbraio 2002 n. 29 – che, sia pur in relazione ad una diversa vicenda (ma della medesima natura e di portata equivalente a quella in esame), ha ritenuto del tutto ammissibile, alla stregua del dettato costituzionale, la reductio ad aequitatem, autoritativa ed unilaterale, di tassi di interesse oramai fuori mercato, incidendo sul sinallagma funzionale tipico dei contratti di durata, com’è quello di mutuo.
Alla stregua di tale decisione – che ha addirittura corretto in senso più favorevole alle ragioni dei mutuatari la portata della normativa scrutinata –, risulta infondata la prima contestazione mossa da parte ricorrente: nella specie, infatti, non si riscontra alcun indebito effetto retroattivo su contratti in essere, avendo il Legislatore previsto una possibile riduzione, a domanda, dei tassi di interesse sui soli ratei maturati in data successiva all’entrata in vigore della legge stessa.
In merito al secondo aspetto evidenziato, deve osservarsi, intanto, che la circostanza che anche i tassi originari fossero stati fissati con provvedimento eteronomo ed autoritativo non solo non poteva costituire impedimento ad un ulteriore intervento normativo, ma, anzi, testimonia, come si è detto in precedenza, che il settore dei mutui edilizi agevolati rientra tra quelli sottoposti al penetrante potere dell’autorità pubblica. Del resto, in sede di fissazione dell’originario tasso, non vi era modo né ragione alcuna di prevedere e, quindi, di cautelarsi di fronte ad un fenomeno di portata, appunto, straordinaria, che ha potuto essere affrontato dal Legislatore solo nel momento in cui esso si presentava.
Parte ricorrente non può neppure dolersi della scarsa considerazione riservata all’affidamento dei mutuanti nella stabilità del contratto, in relazione ai costi della provvista monetaria, comportante la necessità di un’adeguata programmazione dell’attività bancaria.
All’uopo, soccorrono due considerazioni.
La prima riguarda la profonda evoluzione che ha avuto l’assetto degli istituti di credito, culminato con le innovazioni introdotte dal T.U. 1 settembre 1993 n. 385.
In particolare, fino al 1976, lo strumento tipico di provvista era rappresentato dalle cartelle fondiarie, che possedevano la caratteristica saliente di costituire sia lo strumento di provvista, sia quello di impiego. Esse venivano collocate sul mercato dal mutuatario, con l’ausilio dell’istituto di credito emittente, che si obbligava a pagare, alla scadenza, l’importo indicato ed i relativi interessi.
A tale sistema, già negli anni 70, si affiancò quello basato sull’emanazione di obbligazioni, dirette, appunto, alla raccolta del risparmio sul mercato e suscettibili di essere quotate in borsa (cfr. l’art. 9 del D.P.R. 21 gennaio 1976 n. 7).
Tale modificazione ha comportato l’effetto di attenuare, fino a farlo scomparire, il collegamento fra operazioni di raccolta ed operazioni di impiego dei singoli istituti di credito, che risponde all’esigenza di bilanciamento delle scadenze.
L’evoluzione è culminata con il citato T.U. n. 385/93, ispirato alla cd. despecializzazione del credito, sia dal punto di vista operativo – inteso come possibilità di esercizio del credito da parte di tutte le banche (rispetto al vecchio assetto, caratterizzato dall’opposto criterio di rigidità settoriale) – che temporale, riferito all’elasticità dell’equilibrio tra operazioni attive ed operazioni passive, con l’accresciuta possibilità per le banche di reagire tempestivamente alle oscillazioni del mercato, attraverso la trasformazione delle scadenze e la maggiore articolazione degli strumenti di raccolta.
La vicenda appena riferita sarebbe sufficiente, di per sé, a confutare l’obiezione mossa da parte ricorrente, tanto più se si considera che quest’ultima, in tutti i suoi scritti, si è limitata a paventare in astratto il pregiudizio che subirebbe, senza addurre alcun elemento di fatto a sostegno, e, soprattutto, se si tiene conto che essa stessa ha dato atto "delle progressiva attenuazione della rigidità del collegamento tra le operazioni di provvista e di impiego" (così si legge a pag. 6 del ricorso), fino ad affermare (cfr. pag. 35 dell’impugnativa) che "soltanto le operazioni più remote consentono l’individuazione del collegamento tra i singoli mutui e le emissioni obbligazionarie".
Può, però, aggiungersi un’ulteriore considerazione, che attiene alle modalità introdotte dall’art. 29 della più volte citata legge n. 133/99 per la rilevazione del tasso massimo praticabile, circostanza che risulta decisiva tenuto conto che parte ricorrente – così come non disconosce gli effetti perversi causati dalla caduta dei tassi – non denuncia l’illegittimità del criterio normativo, ma si limita a dolersi della ricaduta pregiudizievole dell’operazione sugli istituti di credito, sub specie di violazione del principio dell’affidamento.
Il ragionamento esposto comporta, in altre parole, un’indagine sull’effettiva portata della manovra, per accertare se essa sia in grado di incidere, in maniera insostenibile, sulle esigenze di programmazione delle imprese bancarie; in tal caso, la disposizione legislativa risulterebbe irragionevole e, quindi, in contrasto con i principi sanciti dall’art. 3 Cost., avendo indebitamente sottovalutato la posizione dei soggetti incisi.
All’uopo, deve tenersi conto dell’intera normativa di riferimento e, in particolare, dell’art. 145 comma 62 della legge 23 dicembre 2000 n. 388, che integra l’art. 29, più volte citato, stabilendo che "il tasso effettivo globale medio per le medesime operazioni di cui al comma 1 del citato articolo 29 è da intendersi come il tasso effettivo globale medio dei mutui all'edilizia in corso di ammortamento".
L’innovazione introdotta ha l’effetto di ridurre grandemente l’impatto dell’operazione, rendendola agevolmente assorbibile dagli istituti di credito con gli ordinari strumenti a loro disposizione.
La migliore prova di quanto detto discende dal rispettivo comportamento di tutte le parti in giudizio:
a) la ricorrente ha chiesto al Collegio un passaggio istruttorio, assumendo che la rilevazione del tasso di riferimento, effettuata dalla Banca d’Italia, sarebbe stata suscettibile di far venir meno l’interesse a coltivare la presente impugnativa;
b) l’Amministrazione resistente, nella memoria conclusionale, ha affermato che la novella legislativa falserebbe lo scopo che la legge del 1999 intendeva raggiungere, in quanto detta rilevazione individuerebbe un tasso di riferimento addirittura superiore a quello di usura;
c) la Regione Lombardia, in qualità di controinteressata, evidenzia possibili illegittimità costituzionali dell’art. 145 comma 62 della legge n. 388 del 2000, aspetti che, però, non possono essere esaminati in questa sede, nella quale il thema decidendum è segnato dal ricorso introduttivo, senza possibilità alcuna di ampliarlo con questioni di costituzionalità che, sia pure rilevabili d’ufficio, non siano funzionali alla pronuncia sui motivi di doglianza formulati dall’attore.
Passando alla dedotta disparità di trattamento, derivante dal fatto che la rinegoziazione sarebbe stata prevista per i beneficiari di determinate agevolazioni creditizie, risultandone, per converso, esclusi altri che verserebbero in condizioni quantomeno equivalenti, deve osservarsi che, intanto, non si vede quale sia l’interesse di parte ricorrente a far valere un simile vizio, la cui condivisione, al più, comporterebbe una sentenza additiva – con l’usuale nota formula "nella parte in cui non comprende…" – della Corte Costituzionale, ampliando la portata precettiva della norma che, in sé, per la ragione addotta da parte ricorrente, risulterebbe immune da vizi invalidanti.
Non si può, inoltre, sottovalutare l’amplissima discrezionalità di cui gode il Legislatore, sottoposta alla sola verifica di logicità, che, nella specie, dà esito favorevole, non risultando incongrua un’iniziativa che riguardava una categoria omogenea di contratti di mutuo, caratterizzati dall’intervento contributivo pubblico, opportunamente individuata mediante il richiamo alle disposizioni legislative che, in maniera più significativa, nel corso di quasi un ventennio, hanno contemplato tale forma di agevolazione.
Tale conclusione risulta rafforzata dal fatto che la normativa in esame si affianca ad altre coeve, con le quali ha in comune lo scopo di riequilibrare il complessivo mercato del credito (a mero titolo esemplificativo, possono citarsi l’art. 10 della legge 30 aprile 1999 n. 136, riguardante i mutui di edilizia agevolata e convenzionata, l’art. 46 della legge 23 dicembre 1999 n. 388, relativo ai mutui con oneri a totale o parziale carico dello Stato, e l’art. 2 del D.L. 29 dicembre 2000 n. 394, convertito in legge 28 febbraio 2001 n. 24, attinente ai mutui edilizi non agevolati).
In merito all’ultimo profilo evidenziato nel secondo motivo di ricorso, deve osservarsi che nessun rilievo assume la circostanza che i mutui sarebbero stati accessi – ed i relativi contributi erogati – in tempi diversi e, quindi, a condizioni anch’esse diverse. Nella specie, è decisivo che il Legislatore abbia introdotto un criterio omogeneo di verifica di tutte le situazioni pregresse, attraverso l’individuazione di una medesima data, alla quale effettuare la rilevazione del tasso di riferimento.
4) Agevole è la confutazione della terza doglianza, che si limita ad inserire la precedente in un ambito comunitario, assumendo che le direttive dell’Unione Europea sarebbero finalizzate ad assicurare la stabilità dell’impresa bancaria.
Fermo restando il principio appena esposto, sul quale il Collegio non può non convenire, devono solo ribadirsi le conclusioni già raggiunte, considerato che parte ricorrente non cita alcuna specifica norma sovranazionale che sia suscettibile di inficiare l’operazione stessa.
5) Con il quarto motivo si deduce il contrasto tra la normativa nazionale e quella comunitaria (oltre che con l’art. 97 della Costituzione).
Si prospetta che lo Stato, una volta costituitosi il rapporto di debito pubblico con la sottoscrizione del relativo titolo, non opererebbe più come ente sovrano, ma in condizioni di parità con i sottoscrittori del prestito. Pertanto, gli sarebbe inibito un intervento che lo sottragga all’adempimento delle obbligazioni assunte.
La manovra legislativa varata nella specie si porrebbe in contrasto con l’art. 102 del Trattato che istituisce l’Unione Europea, perché si risolverebbe in un’inammissibile forma di accesso privilegiato al credito da parte di uno Stato membro; risulterebbe altresì violato il Regolamento n. 3604 del 1993 del Consiglio dell’Unione Europea, che vieterebbe qualsiasi misura che obblighi le istituzioni finanziarie ad acquistare o detenere titoli di debito delle amministrazioni.
La ricostruzione effettuata da parte ricorrente non è convincente.
Il riallineamento dei tassi, voluto dal citato art. 29, non configura alcuna forma di accesso privilegiato al credito in favore delle pubbliche amministrazioni, per la semplice ragione che lo Stato e gli altri enti – cui viene riconosciuto il contestato diritto potestativo – si limitano ad erogare contributi in favore dei privati mutuatari, sub specie dell’assunzione dell’obbligazione di pagare una quota parte degli interessi passivi; all’uopo, stipulano apposite convenzioni con gli istituti di credito, che si pongono come l’antecedente logico– giuridico dei singoli contratti individuali di mutuo; da quanto detto, risulta evidente il loro interesse per l’operazione sub iudice e si giustifica ampiamente la scelta effettuata dal Legislatore.
6) Esaurite le questioni di costituzionalità, parte ricorrente appunta l’attenzione sul Regolamento 24 marzo 2000 n. 110, del quale denuncia alcune incongruenze, che riguardano:
a) il carattere asseritamente non novativo della rinegoziazione, a fronte della modificazione di un elemento essenziale contratto;
b) la sanatoria, operata dall’art. 1, degli inadempimenti pregressi del mutuatario, oltre che degli enti, atteso che il rapporto continuerebbe indipendentemente da ogni valutazione del merito del credito e delle stesse conseguenze dell’inadempimento che, nel frattempo, si fossero prodotte, rendendo così vane anche le iniziative di recupero assunte;
c) l’applicazione retroattiva del nuovo tasso di interesse, che l’art. 2 fa decorrere dal 1° luglio 1999, in contrasto anche con l’art. 29 della legge, che lega la produzione di tale effetto alla data di presentazione della relativa domanda;
d) la misura della commissione di rinegoziazione, che risulterebbe sganciata dagli oneri che, effettivamente, graverebbero sulle banche, risolvendosi così in un’inammissibile prestazione patrimoniale imposta; inoltre, sarebbe poco chiara la previsione dell’art. 7 in tema di compensazione della commissione in parola con eventuali crediti dell’ente agevolante;
e) l’equiparazione della rinegoziazione all’estinzione anticipata del mutuo, la quale, oltre a riguardare solo i mutui più remoti, per i quali sarebbe possibile individuare il collegamento con le rispettive emissioni obbligazionarie, sarebbe anche una previsione inutiliter data.
Le doglianze risultano tutte infondate.
Con riguardo a quella rubricata sub lett. a), deve osservarsi, innanzi tutto, che la portata non novativa, attribuita alla rinegoziazione nelle premesse del decreto impugnato, serve all’Autorità emanante per evidenziare il carattere peculiare dell’operazione stessa, letteralmente individuato nell’effetto di "ricondurre il tasso dei mutui agevolati in essere…ad un valore non superiore…", attraverso la modificazione, solo in tale punto, del contratto.
Quanto alla doglianza di cui alla lett. b), è agevole ribattere che l’art. 1 non solo non contempla alcuna sanatoria degli eventuali inadempimenti pregressi del mutuatario, ma prevede che, perché possano usufruire degli effetti (favorevoli) della rinegoziazione, i richiedenti siano – oppure provvedano a mettersi – al corrente con i pagamenti delle rate.
Nessuna applicazione retroattiva – lett. c) del motivo di ricorso – del nuovo tasso di interesse si riscontra nella specie; infatti l’art. 2 del Regolamento non fa altro che attenersi fedelmente all’art. 29 della legge n. 133/99, che, ai fini della decorrenza del nuovo tasso, impone di tenere conto della data della domanda e, quindi, coerentemente anche di quelle prodotte nell’intervallo di tempo che va dall’entrata in vigore della legge al trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore del Regolamento sub iudice, chiamato esclusivamente a dettare le disposizioni di attuazione della normativa primaria.
Appare, pertanto, quanto mai opportuna, oltre che legittima, la sterilizzazione degli effetti negativi del tempo richiesto per l’emanazione della fonte secondaria che, in punto di maturazione del diritto in parola, nulla ha aggiunto a quanto stabilito dalla disciplina legislativa di riferimento.
Tale modus operandi risulta avallato dalla già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2002.
In merito al rilievo di cui alla lett. d), riguardante la misura della commissione di rinegoziazione, che risulterebbe non proporzionata agli oneri imposti alle banche, è agevole ribattere che detta commissione, lungi dal costituire un corrispettivo della riduzione dei tassi, è diretta esclusivamente a coprire i costi amministrativi e gli aggiornamenti contabili che gli istituti di crediti sono tenuti ad effettuare in conseguenza dell’operazione stessa.
La misura fissata dall’art. 3 – pari allo 0,50% del capitale residuo – non appare illogica, tenuto conto che:
1) parte ricorrente non ha dato contezza alcuna dell’inadeguatezza della stessa, limitandosi ad una mera affermazione di principio;
2) si versa, pur sempre, nell’ambito della discrezionalità amministrativa, connessa all’esercizio del potere regolamentare.
Quanto, poi, alla previsione dell’art. 7 in tema di compensazione con eventuali crediti dell’ente agevolante (della quale si denuncia la poca comprensibilità), può convenirsi con la difesa dell’Amministrazione che detta compensazione costituisce null’altro che una forma di semplificazione dei rapporti ed è possibile in presenza di reciproche ragioni di credito delle parti in relazione ad una medesima operazione di mutuo.
Infine, con riguardo al rilievo di cui alla lett. e) – rivolto avverso l’equiparazione della rinegoziazione all’estinzione anticipata del mutuo – deve osservarsi che parte ricorrente non denuncia alcuna illegittimità della previsione normativa, ma si limita ad osservare che la stessa avrebbe un limitato ambito di applicazione (potendo riguardare i soli mutui più remoti, per i quali sarebbe possibile individuare il collegamento con le rispettive emissioni obbligazionarie) e risulterebbe inutiliter data, in quanto insuscettibile di derogare alla disciplina dei prestiti obbligazionari collocati sul mercato.
In realtà, la disposizione ha una sua logica ed è finalizzata a tutelare proprio gli istituti di credito in tutti i casi in cui vi sia il (paventato) grado di rigidità del collegamento tra provvista e finanziamento: l’equiparazione, in termini economici, dell’operazione di rinegoziazione all’estinzione anticipata del mutuo intende consentire agli istituti mutuanti di utilizzare tutte le disposizioni legislative o contrattuali che consentono il rimborso anticipato delle obbligazioni, solitamente contemplate e riferite solo al secondo accadimento.
Trattasi, quindi, di una norma di favore per le banche, sicché non si vede quale interesse le medesime possano avere ad ottenerne l’eliminazione in questa sede.
7) Per tutte le considerazioni esposte, il ricorso è infondato e va rigettato.
La complessità e la novità delle questioni trattate portano a ritenere equa la compensazione delle spese di giudizio fra tutte le parti costituite.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza, rigetta il ricorso in epigrafe indicato.
Compensa integralmente le spese di giudizio fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 22 marzo 2002.
Luigi COSSU PRESIDENTE
Antonino SAVO AMODIO CONSIGLIERE est.
Depositata in cancelleria in data 8 luglio 2002.