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n. 12-2002 - © copyright.

TAR LAZIO, SEZ. III TER – Sentenza 2 dicembre 2002 n. 10892 - Pres. Corsaro, Est. Santoleri - 3M Italia S.p.a. (Avv.ti Setti, Piria e Vaiano) c. Ministero della Salute (Avv. Stato Varrone) - (respinge).

1. Sanità pubblica - Diritto alla salute - Ex art. 32 Cost. - Non è un diritto assoluto - Contemperamento di tale diritto con altri interessi costituzionalmente protetti - Necessità.

2. Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Farmaci - Disciplina sul rimborso prevista dall’art. 1 del D.L. n. 347/2001 - Farmaci contenenti il medesimo principio attivo - Rimborsabilità nei limiti del prezzo più basso - Legittimità.

3. Regioni - Competenza legislativa - In materia sanitaria - A seguito della riforma del Titolo V della Costituzionale - Limiti - Potestà legislativa statale di determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e di fissare le risorse finanziarie disponibili - Sussiste.

4. Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Farmaci - Disciplina sul rimborso prevista dall’art. 7 del D.L. n. 347/2001 - Rientra nella potestà legislativa statale.

5. Atto amministrativo - Procedimento - Disciplina sulla partecipazione al procedimento amministrativo - Inapplicabilità nel caso di atti generali.

6. Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Farmaci - Differente disciplina per farmaci coperti da brevetto che protegge la scoperta di un nuovo prodotto (o principio attivo) rispetto a quelli il cui brevetto riguardi il mero perfezionamento di metodi di produzione o di somministrazione - Legittimità.

7. Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Farmaci - Che derivano da invenzioni di perfezionamento di un principio attivo già esistente - Sono da ritenere perfettamente fungibili con altri farmaci che usano il medesimo principio attivo.

1. Il diritto alla salute ex art. 32 Cost., anche se pone in capo al titolare la pretesa ai trattamenti sanitari necessari per la sua tutela, è tuttavia garantito come un diritto condizionato all'attuazione che il legislatore ne dà, attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie dì cui l'apparato dispone (1).

2. E’ legittimo l’art. 7, c. 1 del D.L. 18 settembre 2001, n. 347 (convertito, con modificazioni, dalla L. 16 novembre 2001, n. 405), il quale - nel quadro delle misure di contenimento della spesa farmaceutica - ha disciplinato la rimborsabilità dei farmaci non coperti da brevetto e, quindi, considerati non più innovativi in ragione dell'esistenza, nel mercato dei farmaci rimborsabili, di medicinali con proprietà terapeutiche identiche, perché basati sul medesimo principio attivo ma commercializzati ad un prezzo più basso.

3. L’art. 117 Cost., nel testo da ultimo novellato dall’art. 3 della L. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, non ha ipso facto regionalizzato il S.S.N. Invero, in base al riparto delle competenze amministrative, discendenti dalle corrispondenti materie legislative da ultimo attribuite allo Stato e, rispettivamente, alle Regioni dall’art. 117, commi II e III, Cost., è compito dello Stato determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono esser garantiti su tutto il territorio della Repubblica, mentre spetta alla potestà legislativa concorrente delle Regioni la tutela della salute; allo Stato spetta altresì, in via esclusiva, la materia della perequazione delle risorse finanziarie, di regola attuata, nei vari settori in cui v’è compartecipazione dei vari livelli territoriali di governo, con un apposito patto di stabilità finanziaria interna, recante, come fa l’art. 1 del D.L. 347/2001 per la spesa sanitaria, i limiti reciproci del concorso delle Regioni alla spesa pubblica.

4. La materia disciplinata dall'art. 7, c. 1 del D.L. 347/2001, rientra nella competenza esclusiva statale perché, per un verso, pone una regola sul livello massimo di prestazione assistenziale farmaceutica assicurata per i farmaci non coperti da brevetto e, per altro verso, non esclude la facoltà di scelta delle Regioni, per il tramite delle loro direttive sul punto, circa i livelli aggiuntivi di prestazione in argomento, da finanziare, però, in coerenza con il patto di stabilità di cui al precedente art. 1; l’art. 7, c. 1 cit. attua quindi in modo preciso il predetto riparto di competenze tra Stato e Regioni, laddove al primo attribuisce, relativamente a materie di competenza statale ex art. 117, II c., il compito d’indicare alle seconde, attributarie della materia della tutela della salute, i farmaci non coperti da brevetto, nei cui riguardi esse possono emanare direttive ai fini della loro rimborsabilità.

5. Gli atti generali non soggiacciono alle regole sulla motivazione e sulla partecipazione, giusta quanto stabilito dall’art. 13, c. 1 della L. 241/1990.

6. A fronte di tutele differenziate dei brevetti, non può trovare riconoscimento la pretesa di trattare i brevetti farmaceutici con la stessa forma di protezione che il R.D. 1127/1939 accorda solo al brevetto di prodotto, in assenza, nel campo della produzione dei farmaci, di aspetti peculiari che giustifichino un siffatto risultato; deve al contrario ritenersi legittima la tutela differenziata accordata al brevetto che protegge la scoperta di un nuovo prodotto (o principio attivo), essendo questo basato su un lavoro complesso e spesse volte lungo di ricerca derivante da intuizioni o da scoperte originali, rispetto al brevetto riguardante il mero perfezionamento di metodi di produzione o di somministrazione, connotato talvolta da differenze minime o senza l’apporto di ricerche originali (2).

7. I farmaci che derivano da invenzioni di perfezionamento di un principio attivo già esistente sono, per definizione, perfettamente fungibili con altri farmaci che usano il medesimo principio attivo, consentendo d’effettuare un intervento terapeutico d’intensità e durata sostanzialmente simile e con un’efficacia clinica pressoché sovrapponibile. Tale conclusione non determina di per sé sola alcun vulnus ai diritti discendenti da ciascun tipo di brevetto e, in particolare, da quelli sui procedimenti e/o sulle somministrazioni, in quanto l’art. 7, c. 1, cit. non legittima alcun soggetto a produrre, usare e commercializzare farmaci assistiti da quest’ultima tutela brevettuale. Pertanto, se da un lato non è illogico, né irrazionale l’art. 7, c. 1 del D.L. 347/2001, che disciplina diversamente i vari tipi di brevetto, sostanzialmente diversi per modalità di conseguimento, fini ed utilità, a più forte ragione è legittima tale norma quando interviene, senza alterare il brevetto in sé, al solo e limitato scopo di stabilire un possibile limite alla rimborsabilità dei farmaci de quibus da parte del S.S.N., così salvaguardando i tetti di spesa per medicinali, programmati dall’art. 5 del D.L. 347/2001 e ribaditi dall’art. 4-bis del D.L. 63/2002.

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(1) Cfr., per tutti, Corte cost., 28 luglio 1993 n. 355; id., 17 luglio 1998 n. 267; 20 novembre 2000 n. 509; ma cfr. pure Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 1997 n. 1100.

Ha aggiunto il T.A.R. Lazio che la tutela del diritto alla salute, pur essenziale e da riconoscere comunque a tutti i consociati, coesiste con altre posizioni costituzionalmente tutelate e tali, quindi, da implicare, perlomeno alcune volte, il raggiungimento di equilibri e l’effettuazione di scelte prioritarie, volte, più che a sacrificare i vari obiettivi che s’intendono o che si devono raggiungere, a meglio distribuire tra questi ultimi le risorse disponibili (non solo finanziarie, ma anche di mezzi, uomini, conoscenze e tempi).

(2) Nell’articolata motivazione della sentenza in rassegna si ricorda che, nell’ambito dei brevetti, ai sensi dell’art. 2585 c.c. ed all’art. 12, I c. del RD 1127/1939, debbono distinguersi le c.d. invenzioni "di prodotto", ossia tutte le invenzioni (non solo meccaniche, ma relative pure alla chimica, all’elettronica, alla bioingegneria, ecc.), il cui oggetto consiste in un bene strumentale o in un bene di consumo, dalle c.d. invenzioni "di processo", che realizzano nuovi e più convenienti e/o razionali metodi di produzione (in pratica, aumentando l'efficienza del processo, ma non anche del prodotto) e le c.d. invenzioni "d'uso", le quali consistono in un oggetto, di per sé solo privo di una vera e propria capacità innovativa perché già esistente nel patrimonio ordinario delle conoscenze in materia, ma che si presenta in una forma sensibile adatta ad esser realizzato e venduto per aumentarne la capacità di risposta alle esigenze in continuo divenire dei consumatori (in pratica, aumentando l’efficienza del prodotto, ma non necessariamente l’efficacia).

 

 

PER L’ANNULLAMENTO

del "comunicato" relativo alle disposizioni recate dall’art. 7 "Prezzo di rimborso dei farmaci di uguale composizione", pubblicato sulla G.U. n. 38 del 14 febbraio 2002, nella parte in cui rinvia ad un elenco sul sito Internet del Ministero della Salute che include nell’elenco dei medicinali non coperti da brevetto la specialità medicinale MINITRAN e di ogni altro atto presupposto o conseguente a quello impugnato, con espresso riferimento al documento "Medicinale generici. Criteri per la compilazione della lista dei medicinali non coperti da brevetto" emesso in data 8 marzo 2002 dal Dipartimento della Tutela della Salute Umana, della Sanità Pubblica Veterinaria e dei Rapporti Internazionali del Ministero della Salute.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della P.A. intimata;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza dell’11 luglio 2002 la Dott.ssa Stefania Santoleri e uditi altresì, per le parti, l’avv. Vaiano e l’Avvocato dello Stato Varrone;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

La ricorrente assume di produrre e commercializzare, tra le altre, la specialità medicinale denominata MINITRAN, per la quale è titolare del brevetto avente titolo "sistema per la cessione transdermica della nitroglicerina".

Tale Società dichiara altresì che, in forza dell’art. 7, c. 1 del DL 18 settembre 2001 n. 347 (convertito, con modificazioni, dalla l. 16 novembre 2001 n. 405) e nel quadro delle misure di contenimento della spesa farmaceutica, è stata disciplinata la rimborsabilità dei farmaci non coperti da brevetto, d’uguale composizione, affidando alle Regioni la determinazione della misura «… fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco generico disponibile nel normale ciclo distributivo regionale…».

Tale disposizione, a detta della Società medesima, non è nuova, replicando, con alcune aggiunte, l'art. 85, c. 26 della l. 23 dicembre 2000 n. 388, in virtù del quale il Ministero della salute ha pubblicato a più riprese, l'elenco dei medicinali soggetti alla limitazione dalla rimborsabilità ¾ in base alle determinazioni assunte dalla Commissione unica del farmaco – CUF e, circa l'esistenza delle coperture brevettuali, alle autocertificazioni presentate dalle aziende produttrici¾ , senza includervi i farmaci citati. Nonostante che questi ultimi non figurano neppure nel secondo, nel terzo e nel quarto elenco pubblicato a cura del Ministero della salute, sono stati invece ricompresi in quello diffuso nel sito Internet ministeriale a partire dal 15 febbraio 2002. Nel comunicato, che ha dato notizia della pubblicazione in parola (in GU n. 38 del 14 febbraio 2002), il Ministero ha precisato che la predisposizione dell'elenco è avvenuta in applicazione dell'art. 7 del DL 347/2001, alla luce dei pareri resi dalla CUF «… in merito al problema dell'identificazione della natura e della tipologia copertura brevettuale e sulla base delle autorizzazioni all'immissione in commercio rilasciate successivamente alla pubblicazione dei precedente elenco…».

Avverso il comunicato pubblicato l’8 marzo 2002 nel sito Internet ministeriale, in cui si precisa il significato della copertura brevettuale dei farmaci ai fini dell’art. 7, c. 1 del DL 347/2001, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 4 della Dir. n. 65/65 CEE, degli artt. 1-bis e 4 del RD 29 giugno 1939 n. 1127 e degli artt. 1 e 8 del Dlg 29 maggio 1991 n. 178 e l’eccesso di potere sotto vari profili.

Resiste nel presente giudizio il Ministero intimato.

Alla pubblica udienza dell’11 luglio 2002, su conforme richiesta dei patroni di parte, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. – Come accennato in epigrafe e, più diffusamente, nelle premesse in fatto, la controversia in esame muove dall’impugnazione, da parte della Società ricorrente ¾ che produce e commercializza, tra le altre, la specialità medicinale denominata MINITRAN ¾ , dell’atto con cui la P.A. intimata l’ha inclusa nell’elenco dei farmaci non coperti da brevetto, predisposto in applicazione dell'art. 7, c. 1 del DL 18 settembre 2001 n. 347, convertito, con modificazioni, dalla l. 16 novembre 2001 n. 405.

Il brevetto in questione riguarda il procedimento di fabbricazione del prodotto e non il principio attivo.

2. – Ai fini della migliore comprensione della res controversa, reputa opportuno il Collegio precisare lo stato della normativa attuale sul regime di rimborsabilità, a carico del Servizio sanitario nazionale, delle specialità medicinali.

Al riguardo, l’art. 1, commi 2 e 3 del Dlg 30 dicembre 1992 n. 502 (nel testo risultante dalla novella recata dall’art. 1, c. 5 del DL 347/2001), nel prevedere che la tutela della salute è un diritto fondamentale dell'individuo ed è garantita attraverso il SSN, stabilì che l'individuazione dei livelli essenziali e uniformi d’assistenza – LEA, definiti dal piano sanitario nazionale ed assicurati dal SSN, fosse effettuata contestualmente all’ammontare effettivo delle risorse finanziarie destinate al SSN stesso. Inoltre, si sarebbero dovuti stabilire i LEA in base a cinque principi essenziali: 1) – dignità della persona umana; 2) – bisogno di salute; 3) – equità nell'accesso all'assistenza sanitaria; 4) – qualità ed appropriatezza delle cure, con riguardo alle specifiche esigenze; 5) – economicità nell'impiego delle risorse.

Per quanto più specificamente concerne la spesa farmaceutica, intervenne poi l’ art. 8, commi 10/13 della l. 24 dicembre 1993 n. 537, che, tra l’altro, incaricò la Commissione unica del farmaco – CUF di riclassificare le specialità medicinali ed i preparati galenici, collocandoli nelle classi a), b) e c) ¾ secondo che si trattassero di farmaci essenziali e per malattie croniche, di farmaci diversi dai precedenti e di rilevante interesse terapeutico o, rispettivamente, di altri farmaci privi delle caratteristiche testé indicate¾ , oltre a stabilire che i soli farmaci di cl. a) fossero a totale carico del SSN. Lo stesso art. 8 previde pure, dal 1° gennaio 1994, la sottoposizione dei prezzi dei farmaci, esclusi i medicinali "da banco", al regime di sorveglianza secondo le modalità indicate dal CIPE, ancorandoli alla media dei prezzi risultanti per prodotti similari e inerenti al medesimo principio nell'àmbito di quei Paesi dell’Unione europea all’uopo indicati dallo stesso CIPE (prezzo medio europeo – PME) e secondo le modalità meglio specificate dall’art. 36 della l. 27 dicembre 1997 n. 449. Già fin d’ora il Collegio non può esimersi dall’evidenziare come le regole testé citate mossero dalla necessità di garantire che la spesa farmaceutica a carico del SSN non superasse determinati tetti ed in coerenza, quindi, non solo con i principi ex art. 1, c. 3 del Dlg 502/1992, ma soprattutto con l’esigenza di contemperare la tutela della salute con l’ ammontare effettivo delle risorse pubbliche disponibili. In tal caso, il richiamo al diritto alla salute ex art. 32 Cost. s’appalesa enfatico, se non accompagnato sia dall'esatta indicazione delle risorse finanziarie pubbliche da riservare ai vari settori della sanità pubblica, sia da un complesso di stringenti regole che controllino ed ottimizzino la spesa sanitaria, sfrondandola quanto più è possibile da sprechi ed irrazionalità e liberando così ulteriori risorse per i settori sensibili e meno provveduti.

Poiché la dinamica della spesa farmaceutica non s’è alleviata negli ultimi anni, il legislatore nazionale ha posto ulteriori regole sui prezzi delle specialità medicinali, al fine precipuo non già di sopprimere o ridurre sic et simpliciter l'assistenza sanitaria a carico del SSN, bensì per dare un assetto razionale ai diversi regimi di rimborsabilità, anche mercé la sostituzione dei farmaci in commercio con altri di minor prezzo, ma d’uguale efficacia ed appropriatezza terapeutica. Questa è la ratio ispiratrice dell’art. 85, c. 26 della l. 22 dicembre 2000 n. 388, per cui «… i medicinali non coperti da brevetto aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale fino a concorrenza del prezzo medio ponderato dei medicinali aventi prezzo non superiore a quello massimo attribuibile al generico secondo la legislazione vigente…».

Come si vede, i vari interventi normativi fin qui accennati mirano tutti non a porre vincoli o limitazioni il diritto fondamentale alla salute dell'individuo, il cui contenuto minimo, nel senso, cioè, della tutela del diritto alla vita ed all'integrità psico-fisica di tutti e di ciascun individuo, non è comprimibile per ragioni finanziarie, essendo, al più, condizionato dallo stato dell’arte. Essi vogliono piuttosto indicare, per mezzo della fissazione delle risorse economiche massime disponibili d’anno in anno e la progressiva riduzione del costo complessivo dei farmaci ¾ a loro volta condizionati da vari fattori e, in particolare, dall’equilibrio del sistema economico del Paese e, quindi, dalla necessità di contemperare l’interesse alla salute con altri valori costituzionalmente protetti¾ , la scala delle priorità d’intervento del SSN nell'approccio alla domanda collettiva di salute. In parole più semplici, la tutela del diritto alla salute, pur essenziale e da riconoscere comunque a tutti i consociati, coesiste con altre posizioni costituzionalmente tutelate e tali, quindi, da implicare, perlomeno alcune volte, il raggiungimento di equilibri e l’effettuazione di scelte prioritarie, volte, più che a sacrificare i vari obiettivi che s’intendono o che si devono raggiungere, a meglio distribuire tra questi ultimi le risorse disponibili (non solo finanziarie, ma anche di mezzi, uomini, conoscenze e tempi). Non a caso, infatti, il diritto alla salute ex art. 32 Cost. pone sì in capo al titolare la pretesa ai trattamenti sanitari necessari per la sua tutela, ma è garantito ad ogni persona come un diritto condizionato all'attuazione che il legislatore ne dà, attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie dì cui l'apparato dispone (giurisprudenza consolidata: cfr., per tutti, C. cost., 28 luglio 1993 n. 355; id., 17 luglio 1998 n. 267; 20 novembre 2000 n. 509; ma cfr. pure Cons. St., IV, 7 ottobre 1997 n. 1100).

A siffatta metodologia risponde, da ultimo, l’art. 7, c. 1 del DL 347/2001, il quale dispone sì che, a decorrere dal 1° dicembre 2001, i medicinali non coperti da brevetto aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati al farmacista dal SSN fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco generico disponibile nel normale ciclo distributivo regionale, sulla base di apposite direttive definite dalla Regione. Nondimeno, ove il medico, che prescriva farmaci aventi un prezzo superiore al minimo, apponga sulla ricetta un’adeguata indicazione, il farmacista, cui l'assistito presenti tale ricetta, non può sostituire il farmaco prescritto con un medicinale uguale avente un prezzo più basso, ancorché la differenza di prezzo tra i due farmaci resti a carico dell’assistito stesso, se non pensionato di guerra titolare di pensione vitalizia. Dello stesso tenore s’appalesa, infine, l’art. 9, c. 5 del DL 8 luglio 2002 n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla l. 8 agosto 2002 n. 178), il quale, pur non trovando applicazione nella specie perché entrato in vigore dopo l’emanazione dell’atto impugnato, ha aggiunto, alla fine dell’art. 7, c. 1 del DL 347/2001, un periodo recante l’indicazione dell'inapplicabilità di quest’ultimo ai medicinali coperti da brevetto sul principio attivo.

L’art. 7, c. 1 mira a limitare gli oneri di rimborso a carico del SSN, nei riguardi di quei farmaci non coperti da brevetto e, quindi, considerati non più innovativi in ragione dell'esistenza, nel mercato dei farmaci rimborsabili, di medicinali con proprietà terapeutiche identiche, perché basati sul medesimo principio attivo ma commercializzati ad un prezzo più basso. Reputa allora il Collegio che il citato art. 7 anzitutto mira ad attuare il principio posto dal precedente art. 5, c. 1, secondo cui sussiste la necessità, per tutti gli enti del SSN, di non far superare all'onere per l'assistenza farmaceutica, a livello nazionale ed in ogni singola Regione, il 13% della spesa sanitaria complessiva. In secondo luogo, l’art. 7 risponde pure a quelle esigenze di contemperamento tra valori di pari dignità e d'equilibrio dell’ordinamento, che ben può attuare il diritto alla salute anche in forme diverse dal consumo ad libitum di farmaci, appunto mercé il rinvenimento nel mercato di quei medicinali che, a parità di principio attivo e d’appropriatezza terapeutica, hanno un prezzo inferiore e, quindi, tale da moderare il costo. L’art. 7 intende così razionalizzare la spesa pubblica per farmaci, anche senza necessità di ridimensionarne il consumo complessivo, agendo sulla leva del prezzo al consumatore finale, attraverso la preferenza accordata al farmaco coeteris paribus più conveniente. A ciò fa eco l’art. 3, c. 1 del DL 15 aprile 2002 n. 63 (convertito, con modificazioni, dalla l. 15 giugno 2002 n. 112), che riduce fino al 31 dicembre 2002 del 5%, al netto dell’IVA, il prezzo dei farmaci collocati in cl. a) ex art. 8, c. 10 della l. 537/1993, compresi quelli di cui al DM 4 dicembre 2001 (in GU n. 33 dell’8 febbraio 2002), ossia quelli la cui rimborsabilità è da ultimo regolata dall'art. 6, c. 1 del DL 347/2001.

3. – Così chiarito, per sommi capi, il quadro normativo di riferimento, può il Collegio prescindere da ogni considerazione sull’ammissibilità del ricorso in epigrafe, in quanto esso s’appalesa non condivisibile, per le ragioni qui di seguito indicate.

4. – È infondato il primo mezzo di gravame, con cui la Società ricorrente lamenta l’incompetenza dell’autorità emanante e la violazione dell’art. 117 Cost., dell’art. 8, c. 12 della l. 537/1993 e dell'art.7 del DL 347/2001

In ordine, anzitutto, alla pretesa violazione dell’art. 117 Cost., nel testo da ultimo novellato dall’art. 3 della l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3 e che è presupposto della censurata incompetenza del Ministero intimato in soggetta materia, va immediatamente respinto l’assunto attoreo, secondo cui la riforma del Titolo V della Costituzione avrebbe ipso facto regionalizzato il SSN. Invero, in base al riparto delle competenze amministrative, discendenti dalle corrispondenti materie legislative da ultimo attribuite allo Stato e, rispettivamente, alle Regioni dall’art. 117, commi II e III, Cost., è compito dello Stato determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono esser garantiti su tutto il territorio della Repubblica, mentre spetta alla potestà legislativa concorrente delle Regioni la tutela della salute. Né basta: allo Stato spetta altresì, in via esclusiva, la materia della perequazione delle risorse finanziarie, di regola attuata, nei vari settori in cui v’è compartecipazione dei vari livelli territoriali di governo, con un apposito patto di stabilità finanziaria interna, recante, come nella specie fa l’art. 1 del DL 347/2001 per la spesa sanitaria, i limiti reciproci del concorso delle Regioni alla spesa pubblica. L’art. 7, c. 1 del DL 347/2001 rientra, quindi, nella competenza esclusiva statale sotto entrambi i profili or ora accennati, perché, per un verso, pone una regola sul livello massimo di prestazione assistenziale farmaceutica assicurata per i farmaci non coperti da brevetto e, per altro verso, non esclude la facoltà di scelta delle Regioni, per il tramite delle loro direttive sul punto, circa i livelli aggiuntivi di prestazione in argomento, da finanziare, però, in coerenza con il patto di stabilità di cui al precedente art. 1. A ben vedere, l’ art. 7, c. 1 attua in modo preciso il predetto riparto di competenze tra Stato e Regioni, laddove al primo attribuisce, relativamente a materie di competenza statale ex art. 117, II c., il compito d’indicare alle seconde, attributarie della materia della tutela della salute, i farmaci non coperti da brevetto, nei cui riguardi esse possono emanare direttive ai fini della loro rimborsabilità.

Né la competenza della CUF vien meno sol perché incidenter l’indicazione da essa fornita sui farmaci de quibus ne coinvolge il prezzo e, dunque, di ciò si dovrebbe occupare il CIPE. A parte che spetta alla fonte primaria indicare a quale organo amministrativo spetti la competenza su uno o più complessi d’affari, quando non via sia una diversa indicazione di rango superiore o esclusivo, la CUF esprime solo un giudizio tecnico sull’esistenza, o meno, di farmaci aventi le caratteristiche indicate nell’ art. 7, c. 1 del DL 347/2001, onde consentire alle Regioni d’esprimere sul punto le proprie direttive.

5. – Infondato è pure il secondo motivo d’impugnazione, con cui la ricorrente censura l’atto impugnato per violazione della l. 7 agosto 1990 n. 241 e della l. 537/ 1993, per inosservanza delle garanzie procedimentali e per difetto d’istruttoria.

Anzitutto, il provvedimento impugnato, avendo natura d’atto generale, non soggiace alle regole sulla motivazione e sulla partecipazione, giusta quanto stabilito dall’ art. 13, c. 1 della l. 241/1990.

In secondo luogo, per ciò che attiene al riferimento della CUF alla natura ed al tipo di copertura brevettuale dei farmaci coinvolti, in linea di mero principio, può il Collegio convenire con la ricorrente, quando essa afferma che il trattamento più vantaggioso, assicurato in genere ai farmaci brevettati, risponde alla ratio propria delle norme sui brevetti, che consiste nell’incentivare l'attività di ricerca scientifica e tecnologica e realizza in tal modo interessi protetti di rango costituzionale (cfr. la pur risalente C. cost., 20 marzo 1978 n. 20, che dichiarò illegittimo, per violazione degli artt. 3, 9 e 41 Cost., l'art. 14, I c. del RD 29 giugno 1939 n. 1127, nella parte in cui stabilì il divieto di brevettazione dei farmaci di qualsiasi genere e dei processi per la loro produzione).

Sennonché tale argomento non è conducente nella specie e, in particolare, per giustificare l’assunto attoreo per cui l’art. 7, c. 1 del DL 347/2001 non coinvolgerebbe nessun farmaco tuttora coperto da qualunque forma di brevetto, e ciò per i seguenti ordini di considerazioni.

Com’è noto, in base all’art. 2585 c.c. ed all’art. 12, I c. del RD 1127/1939, oggetto del brevetto per invenzione industriale e del correlativo diritto d'esclusiva sono anzitutto le invenzioni nuove, che implicano un’attività inventiva e che sono idonee ad avere un’applicazione industriale, tali essendo in particolare le c.d. invenzioni "di prodotto", ossia tutte le invenzioni (non solo meccaniche, ma relative pure alla chimica, all’elettronica, alla bioingegneria, ecc.), il cui oggetto consista in un bene strumentale o in un bene di consumo. Gli artt. 2585 e 2586 c.c. s’occupano altresì dei brevetti relativi a metodi o processi di fabbricazione industriale, ossia delle c.d. invenzioni "di processo". Dal canto suo, l'art. 14, u.c. del RD 1127/1939 sancisce la brevettabilità di una sostanza o di una composizione di sostanze già compresa nello stato della tecnica, purché in funzione di una sua nuova utilizzazione. Ora, mentre le invenzioni "di processo" realizzano nuovi e più convenienti e/o razionali metodi di produzione (in pratica, aumentando l'efficienza del processo, ma non anche del prodotto), le c.d. invenzioni "d'uso" consistono in un oggetto, di per sé solo privo di una vera e propria capacità innovativa perché già esistente nel patrimonio ordinario delle conoscenze in materia, ma che si presenta in una forma sensibile adatta ad esser realizzato e venduto per aumentarne la capacità di risposta alle esigenze in continuo divenire dei consumatori (in pratica, aumentando l’efficienza del prodotto, ma non necessariamente l’efficacia). Tutto ciò non implica, in entrambi i casi, alcuna seria modificazione innovativa dello stato della conoscenza circa il prodotto, ché, a parità di caratteristiche per la brevettabilità (novità, attività inventiva e industrialità) e del riferimento allo stato della tecnica (il complesso delle conoscenze, divulgato prima della data di deposito della domanda di brevetto, nel territorio della Repubblica e all'estero), solo l’invenzione "di prodotto" rappresenta il frutto di ricerche ed intuizioni effettivamente originali, tali, cioè, da determinare l’ampliamento della conoscenza e la risposta a quelle esigenze dei consumatori finora non soddisfatte, perché rivolte a dati ancora sconosciuti.

Ben si vede la distinzione ontologica con gli altri tipi di invenzioni brevettabili, le quali, più che ad ampliare la conoscenza e la capacità di risposta industriale ai bisogni insoddisfatti, mirano a razionalizzare risorse e conoscenze già acquisite al patrimonio cognitivo umano.

Né questa differenza ha solo valore scientifico, ché, se il diritto di brevetto consiste nella generica facoltà d’attuare l'invenzione e di trarne profitto in via esclusiva, l’ art. 1-bis del RD 1127/1939 distingue i poteri attribuiti ai titolari del brevetto di prodotto da quelli spettanti al titolare del brevetto per le invenzioni di procedimento. In particolare, s’avrà che, per l’uno, il diritto consiste nella facoltà di vietare a terzi di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto innovativo in questione, mentre l’altro può vietare a terzi d'applicare il procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione. V’è così una ben divaricata protezione dei due tipi di brevetto, la diversità dei quali è replicata dalla legge anche per le specialità medicinali, l’un brevetto riguardando infatti la creazione di un nuovo principio attivo, l’altro le modalità di produzione o di somministrazione di un farmaco basato su un principio attivo già esistente. Da ciò discendono altrettanti effetti giuridici e, soprattutto, diverse garanzie in ordine alla tutela del diritto di godere per un certo numero di anni, in via esclusiva, dei proventi dell'innovazione. Sulla scorta di questi argomenti, non è condivisibile a priori il giudizio tranchant della Società ricorrente, secondo cui quella della P.A. intimata sarebbe un’interpretazione erronea e tale da restringere la portata dell’art. 7, c. 1 del DL 347/2001, giacché già l'ordinamento generale pone, se non una gerarchia, certo una scala discendente di tutela alle diverse categorie di brevetto, essendo queste altrettanto diversamente orientate a fini non perfettamente fungibili e, in particolare, all'attività di ricerca, onde la corretta applicazione della norma citata non può prescindere dal significato di tali differenze.

Non spetta certo al Collegio valutare se, in linea di massima, la tutela accordata al brevetto tenda a stimolare il progresso tecnico e la ricerca, sottesi all’invenzione realmente innovativa, piuttosto che a consolidare le rendite di posizione eventualmente derivanti dalla gestione del brevetto e dalla segretezza che l’accompagna, specie in alcuni settori industriali.

Ma è compito del Collegio, in questa sede, ribadire che, a fronte di tutele differenziate dei brevetti, non vi può essere alcun apprezzabile riconoscimento della pretesa di trattare i brevetti farmaceutici con la stessa forma di protezione che il RD 1127/1939 accorda solo al brevetto di prodotto, in assenza, nel campo della produzione dei farmaci, di aspetti peculiari che giustifichino un siffatto risultato.

Al riguardo, rettamente la CUF tratta in modo diverso il brevetto che protegge la scoperta di un nuovo prodotto (o principio attivo), essendo questo basato su un lavoro complesso e spesse volte lungo di ricerca derivante da intuizioni o da scoperte originali, rispetto al mero perfezionamento di metodi di produzione o di somministrazione, connotati talvolta da differenze minime o senza l’apporto di ricerche originali. Non vuole certo al Collegio minimizzare la rilevanza delle innovazioni di procedimento o di somministrazioni, ché l’art. 7, c. 1 del DL 347/2001 e la stessa attività della CUF sul punto non trattano ex professo né dei brevetti in quanto tali, né del tipo di protezione che l’ordinamento generale intende riservare loro. Ciò che qui importa, ai fini della corretta comprensione del significato proprio della norma citata, è piuttosto evidenziare che i farmaci che derivano da invenzioni di perfezionamento di un principio attivo già esistente, appunto perché presuppongono quest’ultima, sono per definizione perfettamente fungibili con altri farmaci che usano il medesimo principio attivo, consentendo d’effettuare un intervento terapeutico d’intensità e durata sostanzialmente simile e con un’efficacia clinica pressoché sovrapponibile. Tale conclusione, come si vede, non determina di per sé sola alcun vulnus ai diritti discendenti da ciascun tipo di brevetto e, in particolare, da quelli sui procedimenti e/o sulle somministrazioni, in quanto l’art. 7, c. 1 non legittima tuttora alcun soggetto a produrre, usare e commercializzare farmaci assistiti da quest’ultima tutela brevettuale. Pertanto, se non illogica, né irrazionale s'appalesa l’art. 7, c. 1 che disciplini diversamente i vari tipi di brevetto ¾ sostanzialmente diversi per modalità di conseguimento, fini ed utilitྠ, a più forte ragione è legittima tale norma quando interviene, senza alterare il brevetto in sé, al solo e limitato scopo di stabilire un possibile limite alla rimborsabilità dei farmaci de quibus da parte del SSN, così salvaguardando i tetti di spesa per medicinali, programmati dall’art. 5 del DL 347/2001 e ribadito dall’art. 4-bis del DL 63/2002.

6. – Da rigettare è il terzo motivo di gravame, con cui la Società ricorrente si duole che l’atto impugnato sia irretito dalla violazione dell'art. 7, c. 1 del DL 347/ 2001 e del RD 1127/1939, nonché dall’eccesso di potere sotto vari profili.

Al riguardo, è ben vero che l’art. 4-bis, c. 1 del RD 1127/1939 distingue i possibili oggetti dei brevetti farmaceutici, a seconda che si tratti di un medicamento, di un prodotto che entra nella composizione di un medicamento, o di un’utilizzazione di un prodotto come medicamento. È da escludere, però, che il RD 1127/1939 e la l. 349/ 1991 attribuiscano a tutti tali brevetti un pari trattamento giuridico e, quindi, una pari dignità, giacché, in campo farmaceutico, l’invenzione "di prodotto" concerne solo il principio attivo (o, il che è lo stesso, la molecola fondamentale che costituisce la specialità medicinale), l’invenzione di "processo produttivo" riguarda e copre il procedimento utilizzato per ottenere la sostanza o la composizione di sostanze contenute nella specialità medicinale e l’invenzione "d'uso" ha per oggetto l’utilizzazione della sostanza o della composizione di sostanze, se già brevettate per uso diverso. Né la pretesa unicità di trattamento può esser legittimamente inferito dalla mera estrapolazione dell’art. 4-bis, c. 1 dal complessivo contesto delle norme sulla tutela brevettuale, che invece diversificano quest’ultima.

Tutto ciò rende, invero e contrariamente a ciò che opina la ricorrente, assai più complesso il significato dell’espressione contenuta nell’art. 7, c. 1 del DL 347/2001, laddove si fa riferimento ai «medicinali non coperti da brevetto», di quella che potrebbe apparire ad una lettura superficiale.

In altre parole, se l’ordinamento generale distingue i tipi e le tutele dei brevetti, da ciò l’interprete non può legittimamente prescindere nell'applicazione di una norma speciale o di settore che ai brevetti stessi si riferisce tout court e senza introdurre definizioni proprie, onde deve intendere detta norma nello stesso significato in cui è intesa in generale e, in particolare, apportarvi tutte quelle distinzioni recate dalle disposizioni generali, senza fermarsi al primo significato apparente delle parole usate nella norma de qua. Poiché l’interprete è tenuto sì ad effettuare la propria operazione ermeneutica partendo dal senso letterale di queste parole, ma deve anche ricercare l'effettiva volontà del legislatore, specie quando questi richiama in genere istituti aventi discipline complesse ed unitarie, tale complessità non può esser elisa dall' applicazione della norma interpretanda, a pena di pervenire a risultati logicamente fallaci e contrari alla ratio per cui la norma è stata posta. Nella specie, poiché le parole usate dall’art. 7, c. 1 fanno un duplice richiamo concettuale ai complessi sistemi normativi dei brevetti industriali e del contenimento della spesa per farmaci, esso va letto nell’ unico significato che realizzi l'efficace contenimento della spesa pubblica sanitaria, alla luce della diversamente graduata tutela di tali brevetti. In particolare, per i prodotti farmaceutici, reputa il Collegio che la corretta interpretazione della norma citata implica un'individuazione dei medicinali coperti da brevetto, diversa da quella propugnata dalla ricorrente e tale da far coincidere questi ultimi con quelli assistiti dal solo brevetto a protezione del principio attivo, gli altri farmaci dovendo esser esclusi dalla rimborsabilità piena perché basati su altri e meno significativi tipi di brevetto.

Non vuole il Collegio qui stigmatizzare comportamenti, né porre a fondamento della propria decisione argomenti tratti da quella nociva prassi per la quale vengono rinvenute dalle imprese produttrici, in prossimità della scadenza della copertura brevettuale, minime differenze ai processi produttivi, al solo scopo di giustificare il rinnovo del brevetto, mercé procedure semplificate, così lucrando un ulteriore periodo d’esclusiva.

Tutto ciò, in fondo, non serve a dare l’esatta dimensione della norma interpretanda, giacché la prassi testé nominata è una facoltà del privato, che si muove su un piano logico distinto dalle questioni per cui è causa, le quali, invece, muovono dalla preferenza accordata dalla norma stessa, ai soli fini della loro rimborsabilità, ai farmaci con brevetto di principio attivo. Invero, al Collegio basta, per confutare la tesi attorea, affermare che il risultato ermeneutico corretto è quello secondo cui i farmaci basati su brevetti non di prodotto, se giustamente beneficiano della tutela accordata dal RD 1127/1939 al loro tipo di brevetto, non per ciò solo possono pretendere lo stesso tipo di tutela, ai fini della rimborsabilità a carico del SSN, di quella che la norma sanitaria concede ai medicinali basati sul brevetto di principio attivo. Poiché spetta al legislatore ordinario la scelta sui criteri e sui tetti massimi di tale onere del SSN, l’art. 7, c. 1 del DL 347/2001 intende limitare la spesa in materia sanitaria attraverso il rimborso, a carico del SSN, fino alla concorrenza del prezzo del farmaco generico. Come si vede, è la formulazione della norma citata che conduce inevitabilmente ad individuare in tale farmaco generico, ossia nel prodotto medicinale non esclusivo ed intercambiabile ¾ che spesso ha costi minori rispetto alla specialità originale, non comportando spese di ricerca o di commercializzazione¾ , il fattore di comparazione dei prezzi dei farmaci, in quanto tale forma di sostituibilità, non fisica ma solo finanziaria, non può appunto concernere che medicinali sostituibili o, in parole povere, farmaci che non godono dell’esclusiva sul principio attivo adoperato.

Reputa, pertanto, il Collegio che rettamente la CUF ha tratto dalla norma citata, a guisa d'elemento distintivo tra i medicinali ammessi, o no, alla piena rimborsabilità a carico del SSN, l'essere, o no, un prodotto innovativo, cioè un farmaco che, autorizzato a’sensi dell’art. 8 del Dlg 178/1991 in base ad un dossier completo, si fondi su un nuovo principio attivo con caratteristiche d’originale sicurezza ed efficacia, da far constare con i dati provenienti dalle diverse fasi di sperimentazione ¾ in particolare, i risultati delle prove farmacotossicologiche e degli studi clinici originali¾ , a loro volta riportati nella documentazione allegata alla domanda d’autorizzazione.

La ragione di ciò è duplice. Per un verso, il farmaco innovatore gode di una copertura brevettuale massima, nel senso che solo per esso è previsto un periodo di commercializzazione in regime d’esclusività per dieci anni, che implica l'impossibilità di presentare una domanda abbreviata per prodotti essenzialmente simili, di talché, per definizione, un farmaco siffatto non è sostituibile nelle forme ex art. 7, c. 1 del DL 347/2001. Per altro verso, il farmaco generico è un medicinale d’impiego medico ben noto, di riconosciuta efficacia e con un livello accettabile di sicurezza e, com’è noto, è autorizzato con procedura semplificata in virtù di un dossier solo bibliografico (ossia sulla scorta di studi clinici tratti dalla letteratura scientifica in materia), onde esso, per definizione, è fungibile con tutti gli altri farmaci che si basano sul suo stesso principio attivo e che hanno la medesima efficacia terapeutica. Né varrebbe obiettare che un quid novi si può riscontrare in ogni farmaco che, pur se non realmente innovatore, presenti una qualche novità sul piano non della struttura chimica della molecola adoperata, ma dell’efficienza clinica e terapeutica, in quanto, assodato che un farmaco nuovo non è per ciò solo innovatore, le mere innovazioni, ossia l'ampliamento dei modi di somministrazione (che ne aggiunga e non ne sostituisca ab imis i precedenti) o la maggior efficienza produttiva non solo non giustificano il prolungamento del periodo d’esclusività, ma neppure elidono la sostituibilità con gli altri farmaci basati sul medesimo principio attivo. Non a caso, invero, v’è tale differenza tra i procedimenti autorizzativi concernenti i due tipi di farmaco, senza che ciò implichi alcuna discriminazione a danno del produttore del medicinale innovatore rispetto a quello del generico, poiché le loro posizioni si muovono su piani logico-giuridici diversi ed irriducibili, l’uno dovendo dimostrare l'efficacia e l'innocuità del prodotto solo tramite gli esami richiesti, l’altro potendo far riferimento alle informazioni sull' efficacia e l'innocuità dei prodotto originale, senza che ciò determini alcun pericolo per la salute pubblica.

Ritiene altresì il Collegio che, sottesa alla scelta operata dalla CUF, vi sia non solo un’attenta valutazione d’ogni singolo farmaco, ma soprattutto un’altrettanto precisa identificazione dei criteri per ben operare la comparazione dei prezzi dei farmaci coinvolti, che, a sua volta, non implica alcuna violazione dell’art. 41 Cost., giacché non sindaca i brevetti in sé, ma chiarisce il significato della scelta voluta dalla norma ai fini della comparazione stessa.

7. – La novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, respinge il ricorso n. 3147/2002 in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina all’Autorità amministrativa di eseguire la presente sentenza.

Così deciso nella Camera di Consiglio dell’11 luglio 2002.

FRANCESCO CORSARO Presidente

STEFANIA SANTOLERI 1° Referendario estensore

Depositata in Segreteria in data 2 dicembre 2002.

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