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Giurisprudenza
n. 7/8-2002 - © copyright.

TAR LIGURIA, SEZ. II – Decreto 22 giugno 2002 n. 702 – Pres. Arosio, Est. Rosati - Segreteria Provinciale di Genova del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia [S.I.A.P.] (Avv. S. Boero) c. Ministero dell’Interno (Avv.ra Stato) – (dichiara il ricorso inammissibile).

Giurisdizione e competenza – Pubblico impiego – Repressione condotta sindacale – A seguito del trasferimento delle controversie in materia di p.i. all’AGO – Ex art. 68 del D.L.vo n. 20/1993 – Giurisdizione dell’A.G.O. – Riguarda anche le controversie in materias di repressione della condotta antisindacale proposte da personale non contrattualizzato – Legittimazione delle associazioni sindacali – Non sussiste.

Nel nuovo sistema delineato dall’art 68 D.L.vo 29/93 (nel testo sostituito dagli artt. 29 D L.vo 80/98 e 18 D.L.vo 387/98) e dall’art. 4 L. 83/00, è attribuita al G.O., in funzione di Giudice del lavoro, una cognizione incondizionata in materia di condotta antisindacale delle P.A., che non trova ostacolo nella circostanza che il comportamento addebitato all’Ente pubblico si sostanzi in un formale provvedimento amministrativo (1).

In materia non può più ritenersi sussistere la giurisdizione del Giudice amministrativo anche con riguardo a quei i settori del pubblico impiego (tra cui le Forze di Polizia), in relazione alle cui controversie la suddetta cognizione è stata conservata al G.A.

Alla stregua del nuovo quadro normativo, nemmeno è più possibile ipotizzare la legittimazione del sindacato a impugnare provvedimenti lesivi di situazioni soggettive dei propri delegati, che comporterebbe una non prevista e inammissibile sostituzione processuale.

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(1) Cfr. Cass., Sez. Unite, sentenza 13 luglio 2001, n. 9541.

Commento di

ANDREA BALBA

Comportamento antisindacale nel pubblico impiego
non privatizzato: alla ricerca del giudice competente

SOMMARIO: 1. Il comportamento antisindacale; 2. Il riparto di giurisdizione, 2.1 Il riparto nel sistema previgente la L. 146/90, 2.2 Giurisdizione ai sensi della L. 146/90, 2.3 Privatizzazione del pubblico impiego e suoi riflessi sul riparto di giurisdizione, 3. Giurisdizione alla luce dell’attuale assetto normativo.

1. Il comportamento antisindacale.

 Per comportamento antisindacale si intende l’insieme dei comportamenti posti in essere dal datore di lavoro diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero (art. 28 Statuto dei lavoratori).

 Il comportamento illegittimo non è strutturalmente descritto dalla norma ma è individuato solo per l’idoneità a ledere i beni protetti (libertà, attività sindacale, diritto di sciopero). “E’, cioè, solo strutturalmente aperto e (solo) teleologicamente determinato... Questa tecnica di individuazione della fattispecie è motivata dalla consapevolezza che i beni protetti possono essere lesi, nella pratica, da comportamenti diversi non tipizzabili a priori[i].

 “Devono pertanto ritenersi vietate tutte quelle condotte che si rivelano idonee ad arrecare offesa ai suddetti beni protetti, ferma l’irrilevanza dell’elemento intenzionale.

 Occorre peraltro che il comportamento, per poter essere definito antisindacale, abbia prodotto o sia oggettivamente idoneo a produrre la lesione della libertà sindacale o del diritto di sciopero; ove il risultato dovesse risultare conforme a quello che la legge intende proteggere, la condotta non potrebbe qualificarsi come antisindacale anche se apparentemente abbia limitato la libertà sindacale o il diritto di sciopero, essendo dovuta all’esercizio del non contestabile diritto del datore di lavoro al quale non si contrapponga un opposto diritto dei lavoratori che sia valido a costatare il primo, o all’adempimento di un dovere” (Cass. Sez. lav., 1.12.1999,n. 13383).

Il termine “comportamento” è comprensivo anche di meri fatti materiali del datore di lavoro, quali intimidazioni, minacce, indagini antisindacali, ecc.. Possono ricomprendersi anche fatti omissivi quali il rifiuto di fornire informazioni necessarie all’esercizio dell’attività sindacale.

Nella nozione di comportamento antisindacale rientrano, inoltre, non solo i comportamenti discriminatori in senso stretto, cioè implicanti una differenza attuale di trattamento tra uno o più lavoratori, ma anche i comportamenti presi nei confronti della generalità dei dipendenti del datore di lavoro. Si pensi ad esempio a serrate, riduzioni o sospensioni di orario.

Infine la condotta antisindacale, a seconda che incida esclusivamente su diritti propri ed esclusivi del sindacato (come il diniego di mettere a disposizione del sindacato locali idonei per lo svolgimento dell’attività sindacale) o posizioni sostanziali del sindacato correlate a posizioni individuali dei lavoratori (come atti discriminatori in senso stretto nei confronti di alcuni lavoratori, trasferimento di dipendente con qualifica di dirigente sindacale), si distingue in condotta antisindacale monoffensiva o plurioffensiva.

Quest’ultima classificazione, creata in giurisprudenza, è stata per lungo tempo posta alla base dell’individuazione del criterio di riparto di giurisdizione in materia.

Precisata la nozione in generale di comportamento antisindacale si può ora affrontare la questione del riparto di giurisdizione in materia.

2. Il riparto di giurisdizione

2.1 Il riparto nel sistema previgente la L. 146/90

 Nel sistema antecedente la L. 146/90, incidendo il comportamento antisindacale su posizioni sostanziali di diritto della parte lesa, non si dubitava che il giudice naturale fosse il G.O., in armonia con il sistema generale di riparto della giurisdizione basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi delineato dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo; molto si discuteva sulla tipologia di procedura – ordinaria o speciale – da applicare alle diverse situazioni.

 I contrasti presenti nella giurisprudenza di merito furono così composti da Cass. SS.UU. n. 4399/1984.

 A fronte di condotte antisindacali monoffensive si distingueva:

1)   datore di lavoro ente pubblico economico: stante il disposto di cui all’art. 37 St. Lav. vi era diretta applicazione dell’art. 28 e della relativa procedura (pretore in funzione di giudice del lavoro).

2)   datore di lavoro pubblica amministrazione statale: competenza al Tribunale ex art. 9 c.p.c. con rito ordinario (infatti l’art. 37 non richiamava le P.A. statali ai fini dell’applicazione dell’art. 28).

A fronte di condotte antisindacali plurioffensive, ovvero lesive di prerogative proprie del sindacato ma correlate a posizioni soggettive dei singoli lavoratori pubblici, la giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di impiego pubblico attraeva anche le controversie in materia di comportamenti antisindacali, così da evitare eventuali contrasti di giudicati.

Ne conseguiva che, nel sistema antecedente la L. 146/90, il riparto di giurisdizione dipendeva dalla tipologia di comportamento antisindacale posto in essere [ii].

 2.2 Giurisdizione ai sensi della L. 146/90.

 Sul sistema di riparto sopra descritto, ha inciso profondamente la L. 146/90, la quale ha introdotto i commi 6° e 7° all’art. 28 St. Lav.

 Con la suddetta normativa il legislatore ha proceduto a positivizzare il lungo processo d’evoluzione giurisprudenziale in materia.

 Il 6° comma prevedeva la devoluzione di tutte le controversie in materia di comportamento antisindacale, indipendentemente dalla natura del datore di lavoro che li avesse posti in essere, alla giurisdizione del G.O. con le forme speciali previste dall’art. 28.

Il comma 7° riservava invece alla giurisdizione del giudice amministrativo “unicamente le ipotesi in cui il denunciato comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti il rapporto di lavoro di pubblico impiego (cioè plurioffensivi) e le organizzazioni sindacali chiedano la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni” (Così Cass. SS.UU. 3320/95).

 Gli ultimi due commi dell’art. 28 L. 300/70 non potevano che interpretarsi nel senso che “le controversie promosse nei confronti dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni e con le quali sia denunciata una condotta antisindacale del datore di lavoro, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario quando il comportamento dedotto in giudizio integri una violazione di interessi propri ed esclusivi del sindacato o quando la condotta del datore abbia carattere plurioffensivo perché, pur incidendo direttamente sulla posizione del singolo dipendente, viene ad interferire nella sfera giuridica del sindacato con la lesione di diritti strettamente collegati con quelli del dipendente.”[iii]

 In quest’ultima ipotesi, perché possa essere tenuta ferma la giurisdizione del G.O., occorre che non venga contemporaneamente richiesta la rimozione del provvedimento lesivo della situazione soggettiva del dipendente, dato che, se tale rimozione sia espressamente domandata, la controversia appartiene alla giurisdizione del G.A.[iv]

 2.3 Privatizzazione del pubblico impiego e suoi riflessi sul riparto di giurisdizione.

 Sul riparto giurisdizionale sopra descritto ha inciso significativamente il processo di privatizzazione del pubblico impiego.

 La versione originaria del D.Lgs. 29/93, c.d. prima privatizzazione, esplicitamente devolveva alla giurisdizione del G.O., in funzione di giudice del lavoro, “tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con esclusione delle materie di cui ai numeri da 1 a 7 dell’art. 2, comma 1, lettera c) della L. 421/92” (art. 68, comma1).

 Nessuna disposizione prendeva in considerazione il riparto di giurisdizione in materia di comportamento antisindacale, per il quale, conseguentemente, ha continuato ad applicarsi la disposizione di cui all’art. 28 St. Lav. come modificato dalla L. 146/90.

Il quadro normativo cambia radicalmente in seguito alla profonda riforma introdotta dal D.Lgs. 80/98.

Ai sensi della nuova versione dell’art. 2 D.Lgs. 29/93, (oggi artt. 2 e 3 D.Lgs. 165/2001), i rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, degli avvocati e procuratori della Stato, del personale militare e delle Forze di polizia di Stato, del personale della carriera diplomatica e prefettizia, sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato d’impresa, e le relative controversie (art. 68 D.Lgs. 29/93, oggi art. 63 del D.Lgs. 165/01) sono devolute al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, ivi comprese le controversie concernenti condotte antisindacali.

La previsione di una specifica disposizione concernente la devoluzione della giurisdizione in materia di comportamenti antisindacali al G.O. ha comportato, a parere dello scrivente, fin dal 1998 l’intervenuta abrogazione, per riformulazione successiva della disciplina relativa, dei commi 6° e 7° dell’art. 28 St. Lav.

Da ciò conseguiva:

1)        per il personale privatizzato attribuzione della giurisdizione in materia di comportamento antisindacale al G.O. sul disposto dell’art. 68, comma 3, del D.Lgs. 29/93;

2)        per il personale non privatizzato attribuzione dell’intera materia del comportamento antisindacale, sia monoffensivo che plurioffensivo alla giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 68, comma 4 della medesima disposizione legislativa (Restano devolute al G.A ”in sede di giurisdizione esclusiva le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’art. 2, commi 4 e 5, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi”).

Quest’impostazione risulta definitivamente confermata a seguito dell’intervenuta abrogazione esplicita dei commi 6° e 7° dell’art. 28 ad opera della L. 83/00, subito seguita dalla riproposizione del contenuto dell’art. 68 del D.Lgs. 29/93 nel testo dell’art. 63 del D. Lgs. 165/01.

 3 La giurisdizione alla luce dell’attuale assetto normativo.

 Ciò detto con riferimento all’evoluzione storica del sistema di riparto giurisdizionale in materia, può ora affrontarsi la questione alla luce dell’attuale quadro normativo e precisamente della disposizione di cui all’art. 63 D.Lgs. 165/01 (ex art. 68 D. Lgs. 29/93) nonché dell’art. 4 L. 83/00 il quale, come detto, ha espressamente abrogato gli ultimi due commi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.

 Le decisioni giurisprudenziali più recenti approdano, quasi contemporaneamente, ad opposte soluzioni interpretative; non ci si può che augurare che sul punto si pronunci, definitivamente risolvendo la questione, la Cassazione a Sezioni Unite.

 Il Tribunale Napoli, Sez. 1, Lav., n. 2631/02 ha negato la propria giurisdizione in materia di comportamento antisindacale riguardante personale pubblico non privatizzato sui seguenti presupposti:

a)         l’art. 63 del D.Lgs. 165/01 nel devolvere alla cognizione del G.O. le controversie di lavoro del personale pubblico ha espressamente escluso alcune categorie di soggetti e tale esclusione si estende anche alle controversie sindacali;

b)         l’attribuzione delle suddette controversie al G.A. “è condivisibile in quanto coerente con il nuovo assetto normativo disciplinante il riparto di giurisdizione in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, basato non più sulla distinzione delle posizioni soggettive fatte valere, ma sulla generale devoluzione all'A.G.O. delle controversie in materia di pubblico impiego ad eccezione di alcune materie e di alcuni rapporti specifici che continuano ad essere attribuiti alla giurisdizione del G.A.”.

Differentemente il T.A.R. Liguria, sez. II, n. 722/02 ha negato la propria giurisdizione in materia di comportamento antisindacale e precisamente in una fattispecie in cui l’organizzazione sindacale aveva impugnato un provvedimento di trasferimento di un dipendente con qualifica di dirigente sindacale; trattavasi di chiara ipotesi di comportamento antisindacale plurioffensivo in cui, al fianco della lesione delle prerogative sindacali, si postulava la lesione della posizione del dipendente.

 Il G.A. ha negato la propria giurisdizione:

a)        sul combinato disposto dell’art. 63, comma 3, D. Lgs. 165/01 e dell’art. 4 L. 83/00 “non può infatti fondatamente sostenersi che” nel devolvere la giurisdizione in materia di comportamento antisindacale al G.O. “ al legislatore sia sfuggita la circostanza che gli ultimi due commi dell’articolo, che fissavano la riferita competenza del G.A. in ipotesi, fossero già stati espressamente abrogati (dall’art. 4 L.83/00)”;

b)         sul presupposto che al G.O., in funzione di giudice del lavoro, sia attribuita una “cognizione incondizionata in materia di condotta antisindacale delle Pubbliche Amministrazioni, che non trova ostacolo nella circostanza che il comportamento addebitato all’Ente Pubblico si sostanzi in un formale provvedimento amministrativo”.

Nel proseguo della presente nota ci si dedicherà a commentare l’esito interpretativo cui è pervenuto il Tribunale Genovese avvalendosi, sotto il profilo dialettico, della contrapposta decisione del tribunale campano, al fine di sottolineare l’attualità di un problema che sembrava assopito alla luce dei più recenti interventi giurisprudenziali e che improvvisamente si è riaperto in tutta la sua portata.

Chi scrive non condivide, infatti, il percorso interpretativo adottato dal tribunale genovese per le seguenti ragioni di diritto.

In primo luogo l’art. 63 D.Lgs. 165/01 (ex art 68 del D.Lgs. 29/93) ha completamente ridisegnato il riparto di giurisdizione in materia di rapporti d’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Infatti il primo comma attribuisce alla giurisdizione del G.O., in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 (quelle c.d. privatizzate), incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale…

Il comma 3 dell’art. 63 specificamente devolve alla giurisdizione del G.O., in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 28 L. 300/70.

 Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro non privatizzati, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.

 Un’interpretazione logica e sistematica dell’art. 63, comma 3, non può che indurre a ritenere che la stessa vada letta nello specifico contesto in cui è inserita (ovvero norma generale in materia di riparto di giurisdizione sulle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze della pubbliche amministrazioni) e con riferimento al principio stabilito dal primo comma dello stesso articolo (ovvero devoluzione al G.O. delle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato).[v]

 Da ciò ne consegue che la cognizione del giudice ordinario in materia di condotta antisindacale non può che riferirsi ai rapporti ed alle materie di cui al primo comma e precisamente al personale pubblico privatizzato, con la conseguenza della spettanza in capo al giudice amministrativo delle controversie in materia di comportamenti antisindacali riguardanti il personale pubblico non privatizzato e precisamente magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori della Stato, personale militare e delle Forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e prefettizia.

 E ciò è coerente con la volontà espressa dal legislatore di creare per le controversie in materia di rapporti di lavoro la cui giurisdizione rimane in capo al G.A. una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva, senza distinzione, quindi, tra diritti ed interessi portati al suo esame.

 Questo tanto più in un trend normativo che sembra intenda trasformare in eccezione la regola generale (fino a qualche anno fa) che fondava il riparto di giurisdizione sulla nota distinzione tra diritti e interessi, privilegiando in termini massivi il criterio del gruppo di materie.

 In secondo luogo non può trascurarsi che il comportamento antisindacale altro non è che un comportamento scorretto ed illegittimo che si inserisce nelle relazioni datore di lavoro-organizzazioni sindacali e che si estrinseca in un comportamento materiale od in un provvedimento che a buon diritto rientra nel concetto di “rapporto di lavoro” rilevante a fini del combinato disposto di cui all’art. 63, commi 1° e 3°.

 Diversamente opinando si vanificherebbe l’intero sistema di riparto giurisdizionale delineato dal legislatore in quanto si attribuirebbe al G.O., stante la natura della tutela ex art. 28 ed il carattere costitutivo della pronuncia, la facoltà di incidere su rapporti (pubblico impiego non privatizzato) specificatamente esclusi dalla sua giurisdizione ed in violazione del divieto di cui all’art. 4 L.A.C..

 Non può infatti dimenticarsi che la necessità di evitare la devoluzione al G.O. di controversie dirette all’eliminazione di atti amministrativi è oggi venuta meno unicamente per i rapporti di lavoro privatizzati, in cui “l’atto antisindacale” del datore di lavoro pubblico non può che assumere la natura di atto privatistico di scorretta gestione del rapporto di lavoro e come tale suscettibile di cognizione da parte del G.O. anche ove venga richiesta l’eliminazione dell’atto o dei relativi effetti.

 Diversamente per i rapporti di lavoro riguardanti le categorie non privatizzate in cui la rimozione dell’atto antisindacale non può che passare attraverso la pronuncia costitutiva del giudice amministrativo.

 In definitiva, nel nuovo sistema delineato dal legislatore anche in materia antisindacale ciò che rileva ai fini della determinazione della giurisdizione è unicamente la riconducibilità o meno della condotta incriminata nell’ambito di un rapporto di lavoro privatizzato.

 Tale ricostruzione non è sconfessata dall’abrogazione dei commi 6° e 7° dell’art. 28.

Infatti, differentemente da quanto ritiene il giudice genovese, secondo il quale abrogando il comma 7° dell’art. 28 il legislatore ha definitivamente eliminato la giurisdizione del G.A. in subiecta materia, l’abrogazione delle norme suddette, disposta dall’art. 6 L.83/00 si inserisce in un contesto normativo già chiaro e preciso in cui l’art. 68 del D.Lgs. 29/93 e s.m.i. aveva già delineato il riparto di giurisdizione tra G.O. e G.A. sul presupposto della natura del rapporto di lavoro, privatizzato o meno, dedotto in controversia.

In questo contesto, la riformulazione della medesima disposizione da parte del D.lgs. 165/01 conferma l’interpretazione sopra sostenuta secondo cui il legislatore ha voluto creare a seconda dell’intervenuta o meno privatizzazione del rapporto di lavoro, la giurisdizione esclusiva del G.O. o del G.A.

Infine chi scrive non condivide neppure la seconda osservazione proposta dal T.A.R. e cioè che l’art. 63, comma 3 dovrebbe essere interpretato quale norma fondante una giurisdizione esclusiva del G.O. in materia di comportamento antisindacale.

In realtà dalla lettura coordinata dei primi quattro commi dell’art. 63 del D.Lgs. 165/01 non si evince la volontà del legislatore di creare in capo al G.O. una giurisdizione esclusiva in tema di condotta antisindacale ma semplicemente di razionalizzare il riparto di giurisdizione, utilizzando come discrimen l’avvenuta privatizzazione o meno del rapporto di lavoro dedotto in causa. La norma infatti, come detto, non può essere interpretata senza tener conto del contesto normativo in cui è inserita, contesto che ne determina ambito di applicazione ed efficacia sostanziale.

L’abolizione dei commi 6°e 7° non può, infatti, che essere interpretata nel senso che nei rapporti di lavoro privatizzati la trasformazione dell'’atto antisindacale da atto amministrativo ad atto privatistico di gestione del rapporto di lavoro ha fatto venir meno l'impossibilità per il G.O. di pronunciare decisioni costitutive di rimozione dell’atto, potere che invece non ha bisogno di esplicita previsione per le questioni dedotte di fronte al G.A.

Da ciò consegue che l’attribuzione al G. A. della giurisdizione riguarda pertanto l’intero complesso dei comportamenti antisindacali per il personale pubblico non privatizzato, siano essi monoffensivi o plurioffensivi.

L’inclusione anche dei comportamenti monoffensivi risulta, infatti, coerente con la volontà del legislatore di dividere in maniera netta, “manichea” la giurisdizione a seconda del tipo di rapporto di lavoro dedotto in controversia nell’ottica ed in coerenza con la nuova regola del riparto basata non più sulla posizione soggettiva tutelata, ma sulla materia cui afferisce la posizione.

La stessa distinzione tra comportamento monoffensivo e plurioffensivo, nata e sviluppatasi proprio per meglio definire il riparto di giurisdizione in subiecta materia, appare ormai travolta dal nuovo sistema di riparto che ha alla base, questa volta, la netta distinzione tra personale pubblico privatizzato e non privatizzato

Questa affermazione risulta avvalorata anche alla luce dei nuovi poteri di cognizione e di decisione attribuiti al G.A. ai sensi della L. 205/00, poteri che permettono al giudice amministrativo di dare piena tutela alle posizioni di diritto soggettivo con i medesimi strumenti adottati da sempre dal G.O.

Un’ultima annotazione appare necessaria: individuato nel giudice amministrativo il giudice competente in materia di condotta antisindacale rimane aperto il problema della procedura applicabile.

 Chi scrive ritiene non ci siano ragioni ostative all’adozione da parte del G.A. della medesima procedura prevista dall’art. 28 St. Lav., procedura la cui applicazione era peraltro espressamente disposta dall’abrogato comma 7°, ed ora da considerarsi applicabile in quanto procedura generale per ogni controversia riguardante comportamenti antisindacali, indipendentemente dal giudice adito.

 Ciò non toglie, peraltro, che qualora questa interpretazione non sia condivisa sarà compito del G.A. tracciare in sede pretoria, come già fatto in altre occasioni, l’iter procedurale più idoneo, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione per garantire una pronta ed efficace tutela delle posizioni soggettive attribuite alla sua giurisdizione, non potendo l’assenza di una chiara disposizione in materia di procedura impedire al giudice di dare tutela ai ricorrenti che allo stesso si sono rivolti.

 

[i] Carinci, Tamajo, Tosi, Treu, Diritto del lavoro, 1984, Torino.

[ii] “Nel settore degli enti pubblici non economici le associazioni sindacali sono sempre legittimate ad agire in giudizio per la repressione di comportamenti antisindacali lesivi dei propri diritti alla libertà ed attività sindacale nonché all’esercizio del diritto di sciopero; la giurisdizione spetta al giudice ordinario – e l’azione può essere fatta valere nelle forme speciali ex art. 28 dello statuto dei lavoratori oltre che nelle forme ordinarie – se il comportamento denunciato incide direttamente e soltanto sui diritti del sindacato; la giurisdizione spetta invece al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ove il comportamento antisindacale denunciato incida su diritti sindacali correlati a posizioni individuali dell’impiegato.”  Così Cass. SS.UU. 4399/1984.

[iii] Così Cass. SS.UU. 7955/93

[iv] Così Cass. SS.UU. 445/1996, nonché Cass. SS.UU. 436/00 “In tema di comportamento antisindacale e con riguarda alla disciplina in vigore prima delle nuove disposizioni introdotte dal D.Lgs. 29/93, come modificato ed integrato, in particolare, dal D,Lgs. 80/98, gli ultimi tre commi dell’art. 28 L. 300/70, introdotti dalla L. 146/90, vanno interpretati nel senso che le controversie instaurate contro lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni al fine di denunciare una condotta antisindacale appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario quando il comportamento dedotto in giudizio integri una violazione di interessi propri ed esclusivi del sindacato, ovvero abbia carattere plurioffensivo perché, pur incidendo direttamente sulla posizione del singolo dipendente, viene ad interferire anche nella sfera giuridica del sindacato, ledendo diritti di questo strettamente connessi con quelli del dipendente; in tale ultimo caso, tuttavia, qualora venga richiesta in giudizio la rimozione del provvedimento lesivo della situazione soggettiva del dipendente, la controversia è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 28 cit.”; nello stesso senso anche Cass. SS.UU. 3478/94, in Mass., 1994; Tar Sicilia, Sez. I, Palermo 843/93, in Foro amm., 1994, 960; Trib. Firenze 11.6.1993, in Foro it., 1994, I, 908; Cass. SS.UU. 1450/9, in Mass., 1993.

[v] Nello stesso senso anche Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza 4.5.2001: “La giurisdizione sulle controversie relative a comportamenti antisindacali concernenti rapporti di lavoro di cui all’art. 2, commi 4 e 5, del D. Lgs. 29/93, tra cui quelle della Polizia di Stato, spetta al G.A. Dopo l’abrogazione dei commi sesto e settimo dell’art. 28 Stat. Lav…..questo tipo di controversie è regolato unicamente dall’art. 68…..Il rapporto intercorrente tra il terzo ed il quarto comma dell’art. 68 può essere agevolmente compreso ove si consideri che, in sede di determinazione della giurisdizione, il legislatore, già al comma 1, ha fatto riferimento ai rapporti di lavoro esclusi dalla privatizzazione. Ne consegue che lo stesso comma 4 si presenta rispetto al primo comma, dunque, come una mera ripetizione la cui funzione è quella di rendere la specialità del dato soggettivo (le categorie sottratte alla privatizzazione), prevalente sulla specialità consistente nella materia antisindacale”.

 

 

per la condanna

-del comportamento antisindacale dell’Amministrazione intimata,che ha di­sposto il trasferimento di due rappresentanti sindacali senza aver prima sentito in proposito il Sindacato ricorrente di appartenenza, e

per l’annullamento

-dei provvedimenti nn. 45465800 del 16.4.02 e 66462978 dl 4.4.02, di trasferimento dei predetti delegati sindacali dal IV Reparto Mobile Postato alla Polfer e, rispettivamente, Questura di Genova.-

Visto il ricorso con i relativi allegati nonché la memoria depositata il 14.6.02;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Uditi alla Camera di Consiglio del 20.6 .02,  relatore il Cons. Rosati Stanislao, i procuratori delle parti;

Visto l’art. 28 L. 20.5.1970 n. 300 in tema di repressione della condotta an­tisindacale del datore di lavoro;

Considerato che l’art. 6 L. 146/90 ha aggiunto a tale norma due ulteriori commi [il 6° e il 7°];

Considerato che questi ultimi nell’estendere l’applicabilità della norma ai casi di azione antisindacale attuata da una Pubblica Amministrazione, prescrivevano in particolare che, qualora il riferito comportamento ledesse altresì situazioni soggettive inerenti al rapporto d’impiego e l’organizzazione sinda­cale interessata intendesse conseguire anche la rimozione dei provvedi­menti lesivi delle suddette situazioni, il ricorso avrebbe dovuto proporsi al T.A.R. competente per territorio [e non al Pretore];

Considerato peraltro che i suddetti commi sono stati poi abrogati dall’art. 4 della L. 11.4.2000 n. 83;

Vista la sentenza n. 9541 del 13.7.01 della Cassazione SS. UU, intervenu­ta in relazione al suddetto quadro normativo le cui riferite modifiche sono state imposte dalla necessità di razionalizzazione del sistema in conseguenza del noto trasferimento al G.O. della cognizione delle controversie concernenti un ampio settore del pubblico impiego;

Considerato che con la stessa si è sancito che “Nel nuovo sistema deli­neato dall’art 68 D.L.vo 29/93 [nel testo sostituito dagli artt. 29 D L.vo 80/98 e 18 D.L.vo 387/98] e dall’art. 4 L. 83/00, è attribuita al G.O., in funzione di giudice del lavoro, una cognizione incondizionata in materia di condotta antisindacale delle Pubbliche Amministrazioni, che non trova ostacolo nella circostanza che il comportamento addebitato all’Ente pubblico si sostanzi in un formale provvedimento amministrativo”;

Ritenuto che in materia non può più ritenersi sussistere la giurisdizione di questo Giudice anche con riguardo a quei i settori del pubblico impiego [tra cui le Forze di Polizia], in relazione alle cui controversie la suddetta cogni­zione è stata conservata al G.A.;

Ritenuto che tale conclusione pare confermata:

-dalla lettera dell’art. 63, 3°co., D.L.vo 165/01 col quale sono state devolute al G.O., senza distinzioni e limitazioni, le controversie relative a comporta­menti antisindacali delle P.A. ai sensi dell'articolo 28 L. 20.5. 1970, n. 300 “.. e successive modificazioni ed integrazioni..”. Non può infatti fondatamen­te sostenersi che, nel disporre nel senso suddetto, al legislatore sia sfuggita la circostanza che gli ultimi due commi dell’articolo, che fissavano la riferita competenza del G.A. in ipotesi, fossero già stati espressamente abrogati [dall’art. 4 della L. 83/00];

-dal ricordato orientamento delle SS.UU. che, in considerazione dei puntuali riferimenti normativi effettuati nella pronuncia cui è riferito, risulta altret­tanto perentorio e incondizionato che la suesposta disposizione di legge;

Ritenuto ancora che, alla stregua del nuovo quadro normativo, nemmeno è [più] possibile ipotizzare la legittimazione del sindacato a impugnare prov­vedimenti lesivi di situazioni soggettive dei propri delegati che comportereb­be una [non prevista e] inammissibile sostituzione processuale. Per cui il ricorso si palesa inammissibile anche con riguardo all’impugnativa dei tra­sferimenti che avrebbe invece dovuto proporsi dagli interessati;

Ritenuto infine, a fronte della novità della questione, di disporre la compen­sazione delle spese di giudizio tra le parti;

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria -Sezione 2a- dichiara inammissibile il ricorso n. 565/02.-

Spese compensate.-

Così deciso in Genova, nella Camera di Consiglio del 20.6 .02, con l’inter­vento dei Signori:

Arosio Mario Presidente

Vigotti Roberta Consigliere

Rosati Stanislao Consigliere, est.

Depositata in Segreteria il 22 giugno 2002.

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