T.A.R. LIGURIA, SEZ. I - Sentenza 11 giugno 1999 n. 239 - Pres. Vivenzio, Est. Pupilella - Valentinis (Avv. Massa) c. Comune di S. Margherita Ligure (Avv. Raggi) - (accoglie).
Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - In sanatoria ex art. 13 L. n. 47/1985 - Rilascio - Previo parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale - Sanzione pecuniaria ex art. 15 L. n. 1497/39 per il c.d. danno ambientale - Inapplicabilità.Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - In sanatoria ex art. 13 L. n. 47/1985 - In zona soggetta a vincolo ambientale - Rilascio di un nulla osta in sanatoria da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - Possibilità - Ragioni.
Ambiente - Danno ambientale - Sanzione pecuniaria ex art. 15 L. n. 1497/39 - Ha carattere alternativo rispetto alla demolizione - Determinazione - Criteri - Individuazione del danno e del profitto - Impossibilità di determinare uno dei due elementi - Non consente l'irrogazione della sanzione.
Ambiente - Danno ambientale - Sanzione pecuniaria ex art. 15 L. n. 1497/39 - Omesso avviso di inizio del procedimento - Illegittimità - Circostanza che sia stato iniziato ad istanza di parte un procedimento per il rilascio di una concessione in sanatoria - Irrilevanza.
Il rilascio di una concessione in sanatoria ex art. 13 L. 47/1985, previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo paesistico, elimina in radice il presupposto giuridico per l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15 L. n. 1497/39 per il c.d. "danno ambientale".
Nell'attuale stato dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, deve senz'altro ammettersi il rilascio di autorizzazioni paesistico-ambientali in sanatoria per opere già eseguite in assenza o in difformità del pertinente titolo, semprechè naturalmente tali interventi risultino compatibili con i valori propri della zona. In particolare, nel sistema previsto dall'art. 13 della L. 47/1985, nulla osta al rilascio di autorizzazioni paesaggistiche anche in "sanatoria", atteso che può essere legittimamente fatta in via postuma la valutazione circa la compromissione o meno della bellezza del paesaggio o del quadro d'insieme per effetto dell'inserimento del nuovo edificio. (1).
Nel sistema sanzionatorio delineato dall'art. 15 della L. n. 1497/39, la sanzione pecuniaria costituisce misura alternativa rispetto a quella demolitoria, essendo parimenti finalizzata a colpire l'illecito arrecato al bene paesaggistico sottoposto a tutela, e presuppone quindi che sia arrecato un pregiudizio al paesaggio (2). La misura prevista dall'art. 15 citato, inoltre, non sembra avere carattere meramente sanzionatorio o punitivo (3), in quanto la stessa è innanzi tutto prevista indipendentemente dalle sanzioni comminate dal Codice penale, come appunto esordisce l'art. 15, ed in quanto la norma parla di indennità, usando cioè un termine che solitamente sta ad indicare non una misura punitiva, bensì l'equivalente del danno sopportato (4).
Sul piano logico, infine, va rilevato che l'art. 15 della L. n. 1497/39 stabilisce il criterio per la determinazione della indennità commisurandola alla maggior somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione, e quindi per poter applicare la misura indennitaria occorre far ricorso a due termini di paragone, cioè il danno ed il profitto, determinandosi l'indennità secondo la misura maggiore di questi due termini. Se dunque manca uno dei due termini non è possibile stabilire il paragone e conseguentemente, è impossibile determinare l'indennità.
E' illegittimo un provvedimento con il quale si irroga una sanzione pecuniaria per la realizzazione di opere in difformità da una concessione rilasciata in sanatoria in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico, senza che il relativo procedimento sia stato preceduto da apposita comunicazione di avvio, essendo a tal fine irrilevante la circostanza che a suo tempo era iniziato su istanza di parte un procedimento per la concessione della domanda di sanatoria ex art. 13 L. n. 47/85, tenuto conto che quest'ultimo procedimento si era concluso con il rilascio della concessione edilizia in sanataria. La successiva ed ulteriore valutazione negativa sull'abuso perpetrato, infatti, non trova più il suo presupposto nel definito procedimento di sanatoria, ma costituisce un'autonoma iniziativa del comune e, come tale, deve sottostare alla regola generale dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento.
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(1) Cfr. in questo senso: T.A.R. Campania-Napoli, I, 10 settembre 1987 n. 500; T.A.R. Lazio, Sez. II, 21.12.1994 n. 1557; 27.2.1995 n. 273; T.A.R. Veneto 5.5.1997 n. 880; Cons. Stato, Sez. VI, 30.10.1981 n. 547; T.A.R. Liguria, Sez. I, 30.10.97 n. 370; T.A.R. Campania, 6.5.98 n. 217; Cass. Pen., Sez. III, 24.1.94 n. 201; Sez. III 15.5.1993 n. 885. Ha aggiunto il T.A.R. Liguria, nella motivazione della sentenza in rassegna che "escludere da tale possibilità le ipotesi di cui all'art. 13, comporterebbe l'impossibilità di sanare qualsiasi manufatto edificato su aree sottoposte a vincolo dopo il termine fissato per l'ultimazione degli abusi ammessi al condono edilizio, ed il suo conseguente assoggettamento alla demolizione (ovvero al pagamento dell'indennità) ex art. 15 della legge 1497 del 1939, con l'evidente irrazionalità della normativa in esame, per l'illogica restrizione della sanatoria alle sole infrazioni commesse prima di tale data, ove il procedimento comporti l'acquisizione del nulla-osta paesaggistico, e l'ancora più illogica penalizzazione degli abusi soltanto formali, rispetto a quelli sostanziali"
(2) Cfr. T.A.R. Umbria, 19 maggio 1988 n. 177.
(3) Cfr. T.A.R. Abruzzo 24 marzo 1984 n. 156; T.A.R. Lombardia 20 gennaio 1992 n. 9.
(4) Cfr. Cons. Stato, Comm. Spec., parere 9 maggio 1977 n. 5.
per l'annullamento
1) - del provvedimento sindacale 26/2/1994 n. 6158, avente ad oggetto la irrogazione della sanzione pecuniaria di L. 6.066.400 ex art. 15 L. n. 1497/39 per la realizzazione di opere in difformità da concessione edilizia in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico.
2) - della deliberazione di GM 23/10/1992 n. 693 avente ad oggetto determinazione sanzioni pecuniarie per opere abusive in funzione del danno incidentale conseguito o profitto conseguito ex art. 15 L. n. 1497/39.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di S. Margherita Ligure;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi alla pubblica udienza dell'11/6/1998, relatore il Consigliere Roberto Pupilella, l'Avv. F. Massa per il ricorrente e l'Avv. R. Raggi per l'amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato quanto segue
ESPOSIZIONE DEL FATTO
Con ricorso notificato il 22/4/1994 la sig.ra Valentinis impugnava, chiedendone l'annullamento, i provvedimenti in epigrafe indicati con i quali il comune ha irrogato la sanzione pecuniaria di L. 6.066.400 in affermata applicazione dell'art. 15 legge n. 1497/39 in funzione del danno ambientale dalla stessa realizzato attraverso l'abuso edilizio, poi oggetto di sanatoria ex art. 13 L. n. 47/85, consistente in variazioni apportate alla concessione edilizia ottenuta dal comune.
Ritenendo illegittima la sanzione irrogata il ricorso censura i provvedimenti assunti sulla base dei seguenti motivi di diritto:
A) - Violazione e falsa applicazione dell'art. 15 L. n. 1497/39. Contraddittorietà. Illogicità.
Si afferma la inapplicabilità della norma in questione in tutte quelle ipotesi, quale quella qui in discussione, nelle quali l'amministrazione preposta alla tutela del vincolo abbia rilasciato il nulla-osta sotto il profilo ambientale ed urbanistico.
Tale provvedimento postula infatti l'assenza di danno ambientale causato dalla costruzione e, pertanto nessuno spazio per irrogare la sanzione pecuniaria, alternativa alla demolizione sussiste, mancando il termine di paragone previsto dalla norma per graduare la entità della sanzione da irrogare.
2) - Violazione dell'art. 21 Reg. 18/3/1980 n. 15. Difetto di istruttoria.
Il motivo subordinato a quello precedente lamenta la violazione della procedura stabilita dalla legge per procedere alla irrogazione della sanzione inflitta. Nel caso di specie, infatti, non sarebbe stata sentita la commissione edilizia integrata come stabilito dalla norma rubricata.
3) - Violazione dell'art. 7 L. n. 241/90. Difetto di istruttoria.
Mancherebbe nella specie qualsiasi comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio sfociato con la irrogazione della sanzione impugnata; di qui la violazione di legge censurata.
4) - Violazione e falsa applicazione dell'art. 15 L. n. 1497/39. Difetto di motivazione.
Non vi è nessuna indicazione dei criteri utilizzati per valutare il danno ambientale arrecato né il profitto conseguito dalle violazioni poste in essere.
Poiché tale valutazione, da compiersi caso per caso costituisce il nucleo della motivazione del provvedimento impugnato, ne deriva la sussistenza del vizio di difetto di motivazione qui lamentato.
5) - Difetto di motivazione. Ingiustizia grave e manifesta.
L'emissione del provvedimento sanzionatorio, a due anni dalla concessione della sanatoria ex artt. 13 L. n. 47/85, sarebbe altresì illegittima per aver ingenerato nella ricorrente l'affidamento circa la conclusione del procedimento sanzionatorio con il pagamento delle somme corrisposte in sede di accertamento di conformità ex art. 13. Se l'amministrazione avesse contemporaneamente fatto palese la propria intenzione di procedere alla irrogazione di quest'altra sanzione pecuniaria la ricorrente avrebbe potuto valutare la convenienza di ridurre in pristino le varianti poste in essere.
Si costituiva in giudizio l'amministrazione resistente che con separata memoria controdeduceva su tutti i motivi di ricorso, concludendo per la reiezione del gravame.
All'udienza dell'11/6/1998 la causa passava in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso in oggetto è volto all'annullamento in principalità del provvedimento in epigrafe indicato con il quale l'amministrazione comunale ha irrogato una sanzione pecuniaria di circa sei milioni per difformità edilizie rispetto alla originaria concessione rilasciata sul presupposto che le opere così abusivamente realizzate costituissero violazione dell'art. 15 L. n. 1497/39 in funzione del danno ambientale arrecato al paesaggio.
In via preliminare il Collegio deve darsi carico della eccezione d'inammissibilità avanzata dal Comune di S. Margherita, che afferma il carattere intermedio dell'atto impugnato, mentre l'atto definitivo sarebbe costituito dalla valutazione del collegio peritale che costituirà l'atto conclusivo del procedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 L. n. 1497/39.
L'eccezione va disattesa, non risultando dubbia la immediata lesività del provvedimento che viene contestato in radice dalla ricorrente, la quale nega l'applicabilità dell'art. 15 citato in presenza di una sanatoria dell'abuso commesso operata dallo stesso comune ex art. 13 L. n. 47/85.
Si deve poi concordare con la difesa della ricorrente nel sottolineare la valenza meramente procedimentale e non impugnatoria del merito volto ad ottenere dal collegio una rideterminazione del quantum della sanzione, rimedio, pertanto, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa concorrente e non alternativa con il ricorso giurisdizionale (Sez. IV, 30/11/1979 n. 835-24/11/1981 n. 700).
Nel merito il ricorso è fondato.
Risulta innanzitutto il vizio di mancata comunicazione dell'avvio del procedimento sanzionatorio sfociato nell'irrogazione della sanzione pecuniaria impugnata.
Contrariamente a quanto sostenuto dal comune, infatti, il procedimento iniziato su istanza di parte il 3/7/1990 ed avente ad oggetto la concessione della domanda di sanatoria ex art. 13 L. n. 47/85 doveva ritenersi concluso con il rilascio della richiesta sanatoria in data 26/3/1992 n. 4716 (doc. 5 comune).
La successiva ed ulteriore valutazione negativa sull'abuso perpetrato, pertanto, non trova più il suo presupposto nel definito procedimento di sanatoria, ma costituisce un'autonoma iniziativa del comune e, come tale, doveva sottostare alla regola generale dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento.
Nella specie appare francamente difficile ricondurre al procedimento di sanatoria, definito da oltre due anni, il provvedimento sanzionatorio in questa sede impugnato, soprattutto se si pone mente alla circostanza che l'irrogazione della sanzione pecuniaria è avvenuta sulla base della documentazione già in possesso e già valutata dall'amministrazione per la concessione della istanza di sanatoria.
Nel caso in esame a conferma della propria memoria, il comune di S. Margherita, la CEI aveva già valutato la pratica sotto il profilo ambientale in data 27/11/1991, concludendo che l'unica attività di carattere ripristinatorio ambientale derivante dalle opere realizzate in difformità, era costituita dalla necessità di ricollocazione di due cipressi abbattuti nel corso dei lavori.
Quanto alla questione principale sottesa alla controversia relativa al permanere della sanzione irrogata ai sensi dell'art. 15 L. n. 47/85, nonostante l'avvenuto rilascio di provvedimento di sanatoria il Collegio osserva quanto segue.
L'art. 15 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, dispone che, "indipendentemente dalle sanzioni comminate dal codice penale, chi non ottempera agli obblighi e agli ordini di cui alla presente legge è tenuto, secondo che il Ministero (ora la Regione o gli Enti eventualmente da esso sub delegati) lo ritenga più opportuno nell'interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, alla demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite o al pagamento di un'indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione".
Sostiene il Comune resistente, che la predetta sanzione pecuniaria (alternativa a quella ripristinatoria), debba essere corrisposta anche nelle ipotesi, come quella in esame, in cui sia stata conseguita la concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 13 della legge 47/1985, avendo il parere della CEI il solo effetto di escludere la (più grave) sanzione della demolizione, lasciando aperta la via della sanzione pecuniaria.
Ritiene il Collegio che la tesi prospettata dal Comune non sia quella corretta, poiché il rilascio di una concessione in sanatoria ex art. 13 L. 47/85, previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo paesistico, elimina in radice il presupposto giuridico per l'applicazione dell'art. 15 L. 1497 in questione e cioè "il danno ambientale".
Al riguardo va preliminarmente rilevato come, all'attuale stato dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, debba senz'altro ammettersi il rilascio di autorizzazioni paesistico-ambientali "in sanatoria per opere già eseguite in assenza o in difformità del pertinente titolo, semprechè naturalmente tali interventi risultino compatibili con i valori propri della zona.
Per un verso, infatti, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare come il ritenere che, in mancanza di un espresso raccordo la normativa paesaggistica prevalga inevitabilmente su quella urbanistica, e che la "previetà" dell'autorizzazione ex art. 7 L. n. 1497 del 1939 sia incompatibile con la "posteriorità" della sanatoria ex art. 13, legge n. 47/85, significhi ancorare la lettera della normativa sulla protezione delle bellezze naturali alle concezioni vigenti nel periodo in cui essa è stata emanata: quando, cioè, la violazione delle norme stabilite per edificare comportava la sanzione dell'abbattimento in ogni caso, anche se il trasgressore aveva soltanto omesso di munirsi del formale titolo autorizzativo.
Sia la legge urbanistica n. 1150 del 1942, che la successiva legge-ponte n. 765 del 1967, non precedevano, invero, l'eventualità di una licenza edilizia postuma e tantomeno di un condono o sanatoria delle difformità del fabbricato dalle prescrizioni edilizie o urbanistiche.
Una volta ammessa però la possibilità di edificare anche senza il rilascio di un provvedimento previo ed espresso dell'amministrazione (con il silenzio-assenso previsto dall'art. 8 D.L. 9 del 1982), ed introdotta nel prosieguo la facoltà di condonare le difformità dell'opera dalla normativa urbanistica dietro pagamento di una sanzione pecuniaria, va necessariamente ammesso che la mancanza del solo titolo edificatorio possa essere a maggior ragione, ovviata con il compimento successivo di tutti gli adempimenti procedimentali, ivi compresi quelli inerenti la conformità del fabbricato alla disciplina paesaggistica, quando non ostino particolari motivi di interesse pubblico. Alla stregua dei principi generali vigenti in materia del resto, va rilevato che nel modulo autorizzatorio il limite al rilascio del relativo provvedimento, "a posteriori" opera essenzialmente quanto circostanze di diritto o di fatto esauriscano l'esercizio del potere o ne compromettano l'effettività.
E ciò non si verifica certamente quando l'esistenza del manufatto non altera i presupposti per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, il cui oggetto consiste proprio nella valutazione del mutamento dell'ambiente circostante per l'inserimento di un corpo di fabbrica che prima non esisteva.
Né a diversa conclusione può portare la circostanza che la realizzazione dell'opera inevitabilmente muta la situazione dei luoghi, rendendo più difficoltoso valutarne l'impatto negativo in tutti i casi in cui l'opera stessa comporti l'eliminazione del bene tutelato, e che inoltre, ad opera realizzata, è impossibile dettare prescrizioni che ne attenuino o eliminino l'impatto paesistico.
In tale ultima ipotesi, infatti, l'opera ben può (e deve) essere valutata per quello che risulta, sanzionando eventualmente, anche con la demolizione, proprio l'impossibilità di armonizzarla col paesaggio tutelato mediante l'imposizione di specifiche prescrizioni.
Nella prima ipotesi, poi, ben può essere posto in vario modo a carico di chi ha realizzato l'opera, di dimostrare l'assenza di impatto negativo con idonea ed inoppugnabile documentazione del precedente stato dei luoghi, ed in mancanza essere poste a suo carico le conseguenze dell'impossibilità di valutare la compatibilità dell'opera con il bene oggetto di tutela.
All'ammissibilità del rilascio di autorizzazioni paesistico-ambientali per interventi oggetto di richiesta di sanatoria ex art. 13 L. 47/85, infine, non è di ostacolo neppure l'art. 32 della stessa L 47/85, il quale parrebbe limitare tale evenienza alla sola fattispecie del "condono" di opere realizzate in difformità della normativa urbanistico-edilizia".
La previsione espressa della possibilità di sanare il fabbricato difforme dalle prescrizioni paesaggistiche oltre che edilizie, infatti, è necessaria perché l'abuso investe i presupposti sostanziali dell'edificazione, e non già quelli soltanto formali, com'è la mancanza del solo titolo edilizio.
In tale caso, la sanatoria non sottrae alla demolizione l'opera difforme dallo strumento urbanistico, ma la regolarizza sotto il profilo formale, accertandone la totale conformità alla disciplina urbanistica.
Nella struttura della L. 47/1985, pertanto, nulla osta al rilascio di autorizzazioni paesaggistiche anche in "sanatoria", atteso che può essere legittimamente fatta in via postuma la valutazione circa la compromissione o meno della bellezza del paesaggio o del quadro d'insieme per effetto dell'inserimento del nuovo edificio.
Del resto, escludere da tale possibilità le ipotesi di cui all'art. 13, comporterebbe l'impossibilità di sanare qualsiasi manufatto edificato su aree sottoposte a vincolo dopo il termine fissato per l'ultimazione degli abusi ammessi al condono edilizio, ed il suo conseguente assoggettamento alla demolizione (ovvero al pagamento dell'indennità) ex art. 15 della legge 1497 del 1939, con l'evidente irrazionalità della normativa in esame, per l'illogica restrizione della sanatoria alle sole infrazioni commesse prima di tale data, ove il procedimento comporti l'acquisizione del nulla-osta paesaggistico, e l'ancora più illogica penalizzazione degli abusi soltanto formali, rispetto a quelli sostanziali (cfr. in questo senso: T.A.R. Campania-Napoli, I, 10 settembre 1987 n. 500; T.A.R. Lazio, Sez. II, 21.12.1994 n. 1557; 27.2.1995 n. 273; T.A.R. Veneto 5.5.1997 n. 880; Cons. Stato, Sez. VI, 30.10.1981 n. 547; T.A.R. Liguria, Sez. I, 30.10.97 n. 370; T.A.R. Campania, 6.5.98 n. 217; Cass. Pen., Sez. III, 24.1.94 n. 201; Sez. III 15.5.1993 n. 885).
Per altro verso, poi, va rilevato che lo stesso legislatore con il D.P.R. 12.4.90 n. 75, relativo alla concessione di amnistia, all'art. 3 esclude l'applicazione di tale beneficio ai reati previsti dall'art. 1 - sexies del D.L. 27.6.1985 n. 312, convertito dalla legge 8.8.1985 n. 431, "salvo che sia conseguita in sanatoria l'autorizzazione da parte delle competenti autorità", con ciò confermando espressamente tale evenienza, alla stregua dei principi generali in materia di regolarizzazione ex post di attività poste in essere in difetto delle prescritte autorizzazioni preventive, così come elaborati dalla giurisprudenza amministrativa.
Riconosciuta dunque l'ammissibilità dell'emanazione in via postuma dell'autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497/1939, resta da chiarire se, in tale ipotesi la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 della legge predetta debba essere, comunque applicata, pur nella riconosciuta assenza di uno specifico danno ambientale.
Per un verso, infatti, non sussiste dubbio alcuno sul fatto che la sanatoria in materia urbanistico-edilizia prevista dall'art. 13 della L. 47/85 non si estenda alle violazioni delle norme vigenti sulla tutela paesistico-ambientale, atteso che l'accertamento di conformità di cui al citato articolo 13 attiene esclusivamente alla conformità delle opere sotto il primo profilo e non anche sotto il secondo.
E così non v'è parimenti dubbio che, in presenza di un intervento edilizio realizzato in violazione dell'art. 7 della L. 1497 del 1939, la competente Autorità amministrativa dovrà comunque adottare i conseguenti provvedimenti, indipendentemente dalla presentazione da parte dell'interessato della richiesta di sanatoria ai sensi dell'art. 13 della L. 47/85.
Per altro verso però, e questo è il punto, l'Autorità competente non dovrà necessariamente procedere alla adozione delle sanzioni previste dall'art. 15 della legge 1497, ben potendo, come più sopra precisato, rilasciare un'autorizzazione in sanatoria ex art. 7 della legge stessa, ove ne ricorrano i presupposti, e cioè ove l'intervento realizzato sia "in toto" compatibile con l'ambiente circostante e non abbia quindi prodotto danno alcuno all'ambiente stesso.
Ed in quest'ultimo caso resta escluso che la medesima Autorità possa poi (o meglio debba) applicare comunque la sanzione così detta "risarcitoria", sul presupposto che la norma in questione sia volta al perseguimento del semplice comportamento colposo o doloso da parte di chi ha commesso l'abuso prescindendo dal danno ambientale, e che la sanzione stessa, quindi, sia in sostanza di natura meramente "afflittiva" e non indennitaria.
A ciò ostano infatti ragioni di ordine sistematico, letterale e logico, che la giurisprudenza amministrativa e la dottrina hanno già avuto modo concordemente di rilevare.
Così, sotto il primo profilo, è stato esattamente osservato che nel sistema sanzionatorio delineato dall'art. 15 della L. 1497, la sanzione pecuniaria costituisce misura alternativa rispetto a quella demolitoria, essendo parimenti finalizzata a colpire l'illecito arrecato al bene paesaggistico sottoposto a tutela, e presuppone quindi che sia arrecato un pregiudizio al paesaggio (così T.A.R. Umbria 19 maggio 1988 n. 177).
Con riguardo al secondo profilo, è stato poi precisato nel parere reso dal Consiglio di Stato Comm. Spec. n. 5 del 9.5.1977 che la misura prevista dall'art. 15 in questione "non sembra avere carattere meramente sanzionatorio o punitivo" (conformemente cfr. T.A.R. Abruzzo 24.3.1984 n. 156; T.A.R. Lombardia 20.1.92 n. 9), in quanto la stessa "è innanzi tutto prevista indipendentemente dalle "sanzioni comminate dal Codice penale, come appunto esordisce "l'art. 15", ed in quanto "la norma parla di indennità, usando cioè un "termine che solitamente sta ad indicare non una misura punitiva, "bensì l'equivalente del danno sopportato".
Sul piano logico, infine, va rilevato che l'art. 15 stabilisce il criterio per la determinazione della indennità commisurandola alla maggior somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione, e quindi per poter applicare la misura indennitaria occorre far ricorso a due termini di paragone, cioè il danno ed il profitto, determinandosi l'indennità secondo la misura maggiore di questi due termini.
Se dunque manca uno dei due termini non è possibile stabilire il paragone e conseguentemente, è impossibile determinare l'indennità.
Né al riguardo può condividersi la tesi secondo cui, nell'assenza del danno ambientale, la sanzione deve essere commisurata al profitto conseguito, autonomamente valutato.
Se si esclude, infatti, la sussistenza di un danno al paesaggio, deve altresì escludersi che l'opera realizzata senza autorizzazione preventiva possa di per se procurare un profitto cui rapportare per equivalente la somma da percepire a titolo di indennità.
E ciò perché il profitto in questione non può essere altro che la differenza fra quel che si ottiene con il mantenimento di un'opera non autorizzata né autorizzabile (proprio perché realizzata con danno all'ambiente),e quello che si sarebbe ottenuto invece con il rilascio dell'autorizzazione a realizzare l'opera stessa; differenza insussistente in tutti i casi in cui l'intervento edilizio risulti autorizzabile in quanto non arrecava danno al paesaggio, e quindi il non essersi muniti della prescritta autorizzazione in via preventiva non porta alcun vantaggio, in termini da realizzare, non consentendo di edificare alcun quid pluris.
Diversamente opinando, del resto di perverrebbe alla conclusione di dover configurare il profitto non tanto nel mantenimento di un'opera che reca danno al paesaggio, ma piuttosto nel semplice fatto che si sia costruito in un momento anteriore a quello del rilascio della prescritta autorizzazione paesaggistico-ambientale, e cioè nel risparmio dei tempi burocratici a tal fine necessari.
E tale conclusione, è appena il caso di rilevarlo, si appalesa del tutto illogica, non foss'altro per la oggettiva difficoltà (ma meglio dovrebbe dirsi impossibilità) di quantificare il vantaggio derivante dal risparmio di tempo, a fronte di quello normativamente previsto per il rilascio dell'autorizzazione sia dalla normativa di settore che dalla L. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.
Né la tesi che attribuisce alla sanzione in discussione natura sostanzialmente afflittiva può trovare un qualche supporto nell'art. 13 della L. 47/85, a termini del quale il mero fatto di aver costruito senza il previo titolo edilizio fonda la previsione di una sanzione pecuniaria "speciale" che condiziona il rilascio della concessione in sanatoria per opere certamente conformi sotto l'aspetto sostanziale alla normativa urbanistico-edilizia.
A ben vedere, infatti, l'articolo 13 porta invece ulteriori argomenti contro la ragionevolezza dell'applicazione della indennità risarcitoria nel caso di assenza di danno paesistico-ambientale.
La sanzione costituita dal raddoppio del contributo concessorio a fronte del rilascio di una concessione in sanatoria di un'opera "lecita", infatti, trova giustificazione razionale e positiva (cfr. il 3° comma dell'art. 13) nella sua affermata natura di oblazione in senso tecnico, e quindi nell'estinzione del reato contravvenzionale ad essa conseguente (art. 22 L. 47/85).
Nel caso di cui si discute, invece, la sanzione pecuniaria non ha certamente natura di oblazione, e non ha quindi effetti estintivi dell'eventuale illecito penale, risultando conseguentemente del tutto irrazionale applicare la stessa ad interventi edilizi formalmente riconosciuti dalla competente autorità non lesivi dei vincoli paesaggistico-ambientali.
In proposito, infine, non può assumere rilievo neppure il sopravvenuto decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali del 26 settembre 1997, con cui vengono fissati in via generale e standardizzata i parametri e le modalità di determinazione dell'indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, disponendo espressamente che l'applicazione dell'indennità stessa "è obbligatoria anche se dalla valutazione emerga che il parametro danno sia pari a zero ".
In primo luogo, il decreto è stato adottato in applicazione della legge 28.2.1997 n. 30 (modificativa dell'art. 2, comma 44, della L. 662/96), la quale "ai soli fini del condono edilizio", demanda al Ministro per i beni culturali e ambientali la determinazione dei parametri e delle modalità per la qualificazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 15 della L. n. 1497 del 1939.
Ed è di tutta evidenza, pertanto, che in ogni caso le disposizioni del decreto stesso possano trovare applicazione limitatamente alle ipotesi di condono edilizio e non a quelle relative all'accertamento di conformità di cui all'art. 13 della L. 47/85 che qui interessa.
In terzo luogo il Collegio non può non rilevare, pur se in via del tutto incidentale, come la normativa sopravvenuta possa ritenersi nel suo complesso legittima solo se interpretata nel senso di essere volta alla determinazione dell'indennità risarcitoria per le sole ipotesi di abusi che non possano ottenere la concessione in sanatoria proprio perché ritenuti di nocumento ai valori paesaggistici, e non anche a quelle in cui il richiesto condono, viceversa, venga rilasciato previo formale conseguimento dell'autorizzazione di cui alla L. n. 1497 del 1939.
Diversamente opinando, (T.A.R. Emilia Romagna-Parma, 14/04/99 n. 198) infatti, la supposta valenza interpretativa assegnata all'art. 2 e 44 L. n. 662/96 si concreterebbe nella sopravvenienza di una norma introduttiva di una sanzione (pur se non penale) con effetto retroattivo, che verrebbe ad incidere la posizione di chi si sia "autodenunciato", facendo affidamento su un assetto normativo che espressamente escludeva l'applicazione di tale sanzione, e ciò in palese contrasto con fondamentali principi di ordine costituzionale.
Il ricorso va pertanto accolto potendosi assorbire le ulteriori censure avanzate in ricorso.
Conseguentemente va annullato il provvedimento sindacale 26/2/1994 che ha irrogato la sanzione pecuniaria impugnata.
Sussistono tuttavia giustificate ragione per disporre la integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, prima sezione, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in oggetto e, per l'effetto, annulla il provvedimento sindacale 26/2/1994 n. 6158.
Spese compensate.