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TAR LOMBARDIA -MILANO, SEZ. III - Ordinanza 29 dicembre 1999 n. 110 - Pres. ed Est. Testori - Merla contro Ministero di Grazia e giustizia

Concorso - Esami di abilitazione professionale di avvocato - Giudizi espressi dalla commissione giudicatrice - Mancata previsione di un obbligo di puntuale motivazione - Questione di costituzionalità - Va sollevata

Va sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge n. 241/1990 nella parte in cui esclude, secondo un indirizzo interpretativo uniformemente seguito dal giudice amministrativo d'appello, l'obbligo di puntuale motivazione per i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale di avvocato.

 

FATTO

La dott.ssa Deborah Merla ha sostenuto presso la Corte di Appello Milano le prove scritte degli esami di avvocato-sessione 1998/99, sulle quali la Commissione d'esame ha espresso un giudizio negativo, che ha impedito alla ricorrente di essere ammessa all'orale.

Per ottenere l'annullamento di tale valutazione la predetta ha adito questo Tribunale con il ricorso in epigrafe, deducendo vizi di violazione di legge e di eccesso, di potere.

Si è costituito in giudizio il Ministero di Grazia e Giustizia, contestando le tesi sostenute nel ricorso e chiedendone la reiezione.

Nella Camera di Consiglio del 15 luglio 1999, con ordinanza n. 1833, la Sezione ha respinto la domanda cautelare proposta dalla ricorrente.

Le parti hanno depositato memorie in vista dell'udienza del 25 novembre 1999, in cui la causa è passata in decisione.

Diritto

1. L'illegittimità dell'impugnato giudizio negativo viene denunciata nel ricorso sotto il profilo del difetto di motivazione; si sostiene che detto giudizio, espresso esclusivamente in, forma numerica, attraverso voti, contrasta con il principio generale enunciato dall'art. 3 comma 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241, a tenore del quale:

«Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in.relazione alle risultanze dell'istruttoria».

Sulla questione dell'integrale applicabilità della norma citata ai giudizi relativi agli esami di abilitazione professionale (e segnatamente agli esami per accedere alla professione di avvocato) questa Sezione si è ripetutamente espressa in senso favorevole, da ultimo con le sentenze 3 giugno 1998 nn. 1154 e 1157 e 30 giugno 1998 n. 1521. Ad analoghe conclusioni sono recentemente pervenuti anche il T.A.R. Lecce, I Sezione, nelle sentenze 25 marzo 1997 n. 207, 10 agosto 1996 n. 617 e 27 marzo 1996 n. 119; ed il T.A.R. Brescia nella decisione 19 ottobre 1996 n. 990.

Il giudice d'appello ha, invece, adottato un contrario orientamento che riconosce, nell'ambito che qui interessa, la piena legittimità dei giudizio espresso esclusivamente mediante un voto, cioè attraverso un mero punteggio numerico, e tale posizione viene giustificata sostenendo, da un lato, che il voto sintetizza in forma numerica il giudizio e contiene in sé la propria motivazione, dall'altro che l'art. 3 della legge sul procedimento amministrativo è applicabile alla sola attività propriamente provvedimentale e non anche all'attività di giudizio conseguente a valutazioni. Detto consolidato orientamento è stato seguito, tra le altre, nelle sentenze del Consiglio di Stato, VI Sez. 27 maggio 1996 n. 747 e 15 ottobre 1993 n. 727; V Sez. 19 settembre 1995 n. 1323 (che ribadisce la validità dell'orientamento richiamato, pur riconoscendo la necessità di motivazione del punteggio negativo attribuito, in caso di unico candidato di pubblico concorso); C.G.A.R.S. 29 dicembre 1997 n. 583 e 29 luglio 1997 n. 309 (che superano la precedente, isolata decisione di segno opposto n. 228 del 31 maggio 1995), ed anche in sede consultiva il Consiglio di Stato si è espresso nel senso indicato allorché, nel parere 9 novembre 1995 n. 120/95reso dall'Adunanza Generale, ha ritenuto opportuna la modifica dell'art. 12 comma 1 del D.P.R. 9 agosto 1994 n. 487 in tema di accesso ai pubblici impieghi, nel senso che i criteri di valutazione nei concorsi devono essere stabiliti al fine di "assegnare" e non di "motivare" i punteggi attribuiti ai candidati, essendo la graduazione numerica un modo di differenziare le valutazioni. E detta modifica sembra avere espunto dall'ordinamento la sola norma, seppure di rango secondario, che si poneva in obiettivo contrasto con la menzionata, riduttiva lettura dell'art. 3 della legge n. 241/1990.

Le ragioni del diverso orientamento seguito da questa Sezione possono essere così sintetizzate:

• l'affermazione secondo cui il voto sarebbe espressione sintetica, ma completa del giudizio, recante in sé la sua motivazione, è tanto perentoria quanto insoddisfacente; se significa che, ad esempio, un esame da "5" è un esame insufficiente, essa si risolve in una mera tautologia, in realtà il voto è un giudizio di cui sfugge la motivazione, perché le ragioni di una valutazione negativa (e la graduazione di questa) possono essere le più diverse: errori concettuali e/o ortografici, superficiale o confusa conoscenza della materia trattata, inadeguatezza dell'esposizione, mancata comprensione del tema proposto, incapacità di analisi e/o di sintesi, ed altre ancora, ed una specifica, ancorché sintetica enunciazione delle ragioni di un giudizio non positivo corrisponde al generalissimo precetto di clare loqui, consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il contenuto della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che può alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede giurisdizionale ovvero all'accettazione del risultato, visto anche in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future;

• l'esigenza di conoscere il "perché" di un voto può essere soddisfatta solo quando esso è accompagnato da un giudizio sintetico o trova illustrazione nella simbologia utilizzata nelle correzioni apportate ad una eventuale prova scritta o, ancora, quando può essere spiegato attraverso il raffronto con criteri di valutazione predeterminati in modo puntuale e pressoché matematico; in mancanza di tali elementi di raffronto l'esigenza predetta resta insoddisfatta;

• quanto alla tesi secondo cui l'art. 3 della legge n. 241/1990, riferendosi ad «ogni provvedimento amministrativo» e ricollegando la motivazione «alle risultanze dell'istruttoria», farebbe esclusivo, riferimento all'attività propriamente provvedimentale e non anche a quella di giudizio, conseguente, a valutazione, essa appare confliggente con lo spirito della norma; in una legge di principi sul procedimento amministrativo, volta a garantire la trasparenza e l'imparzialità dell'attività amministrativa, il generale obbligo di motivazione di «ogni» provvedimento può essere escluso solo nei casi espressamente previsti e cioè solo «per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale», a cui puntualmente si riferisce il comma 2 della norma citata; e d'altra parte il comma 1 utilizza una terminologia varia, collegando l'obbligo di motivazione prima al «provvedimento amministrativo», poi alla «decisione dell'amministrazione»: il che appare espressivo della volontà di attribuire alla disposizione, la più ampia portata.

Il Collegio ritiene tuttora valide le argomentazioni appena richiamate, che appaiono pertinenti al caso di specie, tenuto conto che il giudizio contestato è stato espresso in forma esclusivamente numerica, che gli elaborati della ricorrente non presentano alcuna correzione e che i criteri di correzione enunciati nella seduta della Commissione del 15 gennaio 1999 risultano generali ed astratti. Tuttavia non può trascurarsi il fatto che anche le più recenti decisioni adottate dal giudice d'appello in sede di merito (cfr. Cons. Stato, IV Sez. 9 aprile 1999 n. 538, che ha annullato la sentenza di questa Sezione n. 1726 dell'8 ottobre 1997 pronunciata su un caso analogo a quello di cui qui si controverte), e cautelare (cfr. ordinanza Cons. Stato, IV Sez. 21 maggio 1999 n. 1188) sono conformi al suo consolidato orientamento, contrario a quello di questa Sezione. Si deve dunque riconoscere che, secondo il "diritto vivente" quale risulta dalle decisioni del giudice d'appello, l'art. 3 241/1990, (alla luce del quale vanno interpretate le disposizioni sull'esame da avvocato contenute nel R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 e, in particolare, quelle di cui gli artt. 17-bis e 23 che utilizzano il termine «punteggio»)

esclude dall'obbligo di puntuale motivazione i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale.

In tali condizioni questo Collegio ritiene, di non poter definire il ricorso semplicemente insistendo nel riproporre la tesi della Sezione, senza farsi carico dell'evidente contrasto con il "diritto vivente" in materia, quale emerge dal pacifico orientamento del Consiglio di Stato, tenuto conto del rilievo che esso presenta sotto il profilo nomofilattico.

2. L'indubbio vincolo costituito di fatto, dal richiamato "diritto vivente" non appare tuttavia sufficiente ad imporre a questo giudice di adeguarsi all'indirizzo sinora avversato, atteso che l'interpretazione dell'art. 3 citato seguita sul punto dal Consiglio di Stato appare al Collegio sospettabile di illegittimità costituzionale. Non resta allora che prospettare tali dubbi alla Corte Costituzionale per averne una valutazione chiarificatrice. E che il giudice di merito, quando si trova di fronte ad indirizzi giurisprudenziali da lui non condivisi sul piano costituzionale, possa rivolgersi al Giudice delle leggi è stato ripetutamente riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale, da ultimo nelle sentenze 21 novembre 1997 n. 350, 21 luglio 1995 n. 345, 6 aprile 1995 n. 110, 24 febbraio 1995 n. 58.

Nel caso in esame il Collegio dubita della conformità a determinate norme costituzionali dell'indirizzo interpretativo dell'art. 3 della legge n. 241/1990 uniformemente seguito dal giudice amministrativo d'appello in rapporto alla motivazione dei giudizi relativi ad esami di abilitazione professionale (con specifico riguardo agli esami per accedere alla professione di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:

a) in relazione all'art. 3 Cost. perché non appare ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo che, mentre consacra il generale principio dell'obbligo di motivazione, tra l'altro facendo specifico riferimento a «lo svolgimento dei pubblici concorsi» ne esclude l'applicazione a categorie di atti (nella specie, i giudizi sugli esami d'abilitazione) rispetto ai quali l'esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un'idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli atti amministrativi sicuramente vincolati all'osservanza della norma;

b) in relazione agli artt. 24 e 113 Cost., perché la non soggezione all'obbligo di motivazione dei giudizi d'esame di cui si discute, traducendosi l'impossibilità per il singolo candidato bocciato di conoscere e controllare le ragioni poste a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela nella già assai limitata sede della giurisdizione di legittimità, in cui al giudice amministrativo è consentito il solo riscontro dell'iter logico delle valutazioni di merito compiute dalle commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche tale limitato sindacato viene precluso di fronte al mero dato numerico del voto, non illustrato, cioè, spiegato da una almeno sintetica, ma concreta, motivazione, la tutela così consentita dall'ordinamento si riduce allora al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto delle garanzie connesse alla collegialità dell'organo giudicante ed alla sua composizione;

c) in relazione all'art. 97 Cost. perché la sottrazione di una categoria di atti all'obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia con il principio di buon andamento dell'amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico si traduce anche nella piena trasparenza, dell'azione amministrativa, né le esigenze di snellezza e speditezza del procedimento, pure riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 Cost., possono essere ritenute prevalenti rispetto all'esigenza di assicurare il più corretto rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica, essendo invece diversamente tutelabili attraverso un'applicazione del principio dell'obbligo di motivazione ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela.

3. In subordine, ove si ritenga conforme al dato normativo l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta dal "diritto vivente" formatosi sul punto che riguarda il presente giudizio, il Collegio prospetta l'illegittimità del medesimo art. 3, in rapporto ai parametri costituzionali più sopra richiamati e per le ragioni già illustrate.

4. Le questioni prospettate appaiono al Collegio non manifestamente infondate e sono sicuramente rilevanti, perché dalla loro risoluzione dipende l'accoglimento o meno del ricorso sotto il denunciato profilo del difetto di motivazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia-Sez. III, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sopra illustrate, sospende il giudizio sul ricorso n. 2429 del 1999 e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Depositata il 29.12.1999.

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