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TAR LOMBARDIA, SEZ. II – Sentenza 23 dicembre 2000 n. 9172Pres. Barbieri, Est. Giordano – A.N.M.A.D.A. s.r.l. (Avv.ti Scrosati e Corselli) c. Comune di Busto Arsizio (Avv. D’Ettorre), Regione Lombardia (Avv. Fidani), Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato di Varese (Avv. Salvatore) – (accoglie).

1. Atto amministrativo – Accordo di programma – Riguardante la realizzazione del Polo Fieristico di Busto Arsizio – Decreto approvativo - Fissazione dei termini per l’inizio e il completamento dei lavori e delle espropriazioni – Omissisone - Illegittimità.

2. Espropriazione per p.u. – Dichiarazione di p.u. – Per implicito – Fissazione dei termini iniziali e finali per i lavori e le espropriazioni – Ex art. 13 della Legge fondamentale – Omissione – Illegittimità.

3. Espropriazione per p.u. – Dichiarazione di p.u. – Per implicito – Fissazione dei termini iniziali e finali per i lavori e le espropriazioni – Ex art. 13 della Legge fondamentale – Deve avvenire nel primo atto del procedimento espropriativo – Sanatoria o convalida successiva – Impossibilità.

1. E’ illegittimo il decreto di approvazione dell’accordo di programma finalizzato alla realizzazione del Polo Fieristico di Busto Arsizio - al quale l’art. 27, comma 5-bis, della l. n. 142/90 riconnette portata di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere e, quindi, valore di atto iniziale del procedimento ablativo - atteso che, in violazione dell’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, in detto decreto non sono stati indicati i termini per l’inizio e il completamento dei lavori e delle espropriazioni.

L’art. 27 della L.R. 12 aprile 1999 n. 10 (con la quale è stato approvato il "Piano territoriale d’area Malpensa", e prevede la realizzazione del "Polo fieristico di Busto Arsizio") - in analogia all’art. 1 della L. n. 1/78 - si limita a prevedere la decadenza degli effetti derivanti dalla dichiarazione di p.u. qualora le opere non abbiano inizio nei tre anni successivi all’approvazione dell’accordo, ma non contiene alcuna indicazione in ordine ai termini per il completamento dei lavori medesimi e per l’inizio e la fine delle espropriazioni, laddove l’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 richiede l’indicazione distinta e specifica dei due tipi di termini la cui fissazione riveste, in entrambi i casi, carattere essenziale per la validità dell’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera (1).

2. L’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 ha portata generale nei procedimenti ablatori e trova applicazione anche quando la dichiarazione di pubblica utilità inerisca all’approvazione del progetto di opera pubblica; la prefissione dei termini entro i quali dovranno cominciare e compiersi i lavori e le espropriazioni, secondo il disposto dell’art. 13 cit., assolve alla duplice funzione di garantire, attraverso la verifica dell’attualità e della concretezza dell’interesse pubblico, la serietà dell’azione amministrativa e, al contempo, la certezza anche sotto il profilo temporale, delle posizioni soggettive sulle quali la detta azione va a incidere.

La fissazione dei termini previsti dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 deve avvenire, a pena di invalidità, nel primo atto del procedimento espropriativo che, nel caso di dichiarazione implicita di pubblica utilità ex lege, deve essere identificata nel provvedimento di approvazione del progetto, con la conseguenza che la mancata fissazione dei suddetti termini in tale atto rende illegittima l’intera procedura (2).

3. L'onere della fissazione dei termini di cui all’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 va assolto in sede di adozione dell’atto avente ex lege di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e, quindi, (nel caso di dichiarazione di p.u. per implicito) dell’atto con cui è stato approvato il progetto di opera pubblica, dovendosi escludere, correlativamente, che l’onere stesso possa essere assolto mediante atti successivi, seppure in via di convalida o sanatoria (3).

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(1) Cfr. C.G.A., 28 gennaio 1998 n. 21; Cons. Stato, Sez. IV, 28 maggio 1998 n. 468.

(2) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 6/91; TAR Lombardia, Sez. I, n. 515/92; TAR Lecce, 7 maggio 1991 n. 355.

(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 novembre 1994, n. 940; id., 27 novembre 1997, n. 1326; Cass. civ. sez. un., 4 marzo 1997, n. 1907; C.G.A., 22 luglio 1998, n. 445. Alla stregua del principio nella specie il TAR Lombardia ha affermato che la omissione dei termini in questione, nella specie, non poteva nemmeno ritenersi sanata dalla successiva deliberazione di giunta comunale n. 890/99.

 

 

PER L’ANNULLAMENTO

Della sequenza procedimentale inerente alla realizzazione del Polo Fieristico di Busto Arsizio e più precisamente:

- del decreto del Presidente della Regione Lombardia 21 settembre 1999 n. 40284 di approvazione dell’Accordo di Programma finalizzato alla realizzazione del Polo Fieristico di Busto Arsizio;

- delle deliberazioni di Giunta regionale n. 43785 del 24 giugno 1999 e n. VI/45199 del 17 settembre 1999;

- delle deliberazioni C.C. 26 luglio 1999 n. 65 e 66, recanti adozione di variante per la realizzazione del "Centro Fieristico Polifunzionale – primo e secondo stralcio";

- della deliberazione C.C. 20 settembre 1999 n. 74, recante ratifica dell’adesione del Sindaco all’accordo di programma;

- della deliberazione di Giunta comunale del 9 giugno 1999 n. 542 (non conosciuta);

- delle deliberazioni di Giunta comunale del 29 settembre 1999 n. 889 e 890, recanti conferimento degli incarichi professionali per la redazione dello stato di consistenza di occupazione d’urgenza e di esproprio e la fissazione dei termini ex art. 13 l. n. 2359/1865;

- della delibera del consiglio camerale della C.C.I.A.A. di Varese del 5 ottobre 1999;

- dell’avviso ex art. 10 L. n. 865/71 notificato in data 5 ottobre 1999;

- di tutti gli atti collegati, presupposti e consequenziali, tra cui in particolare i redigendi decreti di occupazione d’urgenza e i conseguenti atti di immissione nel possesso e di redazione dello stato di consistenza;

visto il ricorso con i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Busto Arsizio, della Regione Lombardia e della C.C.I.A.A. di Varese;

viste le memorie difensive delle parti;

uditi alla pubblica udienza del 15 giugno 2000, relatore il cons. D. Giordano, gli avv. Scrosati e Corselli per la ricorrente, D’Errore, per il comune di Busto Arsizio, Fidani per la Regione Lombardia e Chierichetti, in delega, per la C.C.I.A.A. di Varese;

visto gli atti tutti della causa;

ritenuto quanto segue in:

FATTO E DIRITTO

1) La società ricorrente è proprietaria in Busto Arsizio di un complesso immobiliare localizzarono a sud della S.S. n. 336, composto da una cascina abitata da tre nuclei familiari,da un campo di calcio e da un’area attrezzata per l’addestramento di cani.

A seguito dell’accordo di programma sottoscritto dalle amministrazioni interessate, le aree, classificate al P.R.G. vigente a zona E1/filtro (subaree agricole), sono state destinate alla realizzazione del Centro Fieristico Polifunzionale e delle relative attrezzature e formano oggetto, nell’ambito della relativa procedura, di previsioni espropriative.

Con il ricorso in epigrafe la società ha impugnato tutti gli atti della sequenza procedimentale conclusasi con il decreto del Presidente della Regione Lombardia di approvazione del suindicato accordo di programma; a sostegno dell’impugnazione la parte ha dedotto censure per violazione di legge e per vari profili di eccesso di potere.

Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intervenute nella procedura, che deducono l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Tutte le parti hanno illustrato con memorie le rispettive tesi difensive.

All’udienza odierna, dopo la discussione delle parti, il ricorso è stato affidato alla decisione del Collegio.

2) Il ricorso investe gli atti inerenti ad un provvedimento complesso, ma unitario che ha ad oggetto l’approvazione di un accordo di programma per l’attuazione del Polo fieristico di Busto Arsizio.

Prima di procedere all’esame delle questioni che l’impugnativa propone è necessario delineare il quadro normativo e provvedimentale nel quale la vicenda si iscrive.

3) Con L.R. 12 aprile 1999 n. 10 è stato approvato il "Piano territoriale d’area Malpensa", il quale, nell’ambito degli interventi elencati nell’allegato A, prevede la realizzazione del "Polo fieristico di Busto Arsizio". L’intervento è stato localizzato a sud della S.S. n. 336 all’interno di un vasto comprensorio, avente superficie territoriale di mq. 145.000, situato tra la via per Cassano Magnano e la via Fagnano (cfr. par. 6.3.6.2. del volume terzo quadro progettuale); l’area oggetto dell’intervento è stata graficamente individuata nella planimetria (tav. 4.5.) allegata al quadro progettuale.

In base all’art. 2 della legge le indicazioni contenute nel piano costituiscono indirizzi e criteri regionali per la predisposizione degli atti di programmazione e pianificazione degli enti territoriali interessati. Quanto agli effetti, al secondo comma dell’art. 2 è stabilito che le relative previsioni prevalgono sulle disposizioni eventualmente contrastanti contenute nel piano territoriale di coordinamento e negli strumenti urbanistici comunali; inoltre, le opere elencate nell’allegato A del piano territoriale d’area sono dichiarate, al comma sesto dell’art. 1, di preminente interesse regionale, di pubblica utilità e di somma urgenza. In base al terzo comma dell’art. 2, entrambi questi effetti sono tuttavia destinati a decadere, qualora, nei ventiquattro mesi successivi all’entrata in vigore della legge, non sia intervenuta l’approvazione dei relativi progetti o programmi di attuazione, in esito alle procedure indicate all’art. 3, tra le quali è previsto, in alternativa ad "altri strumenti di programmazione negoziata", il ricorso al modulo procedimentale di cui all’art. 27 l. n. 142/90, ossia la stipulazione di accordi di programma tra le amministrazioni interessate.

L’avvio della procedura attuativa può farsi risalire alla deliberazione di giunta comunale n. 542 del 9 giugno 1999, con la quale il comune di Busto Arsizio di determinava a richiedere alla regione Lombardia la promozione di un accordo di programma per la realizzazione del polo fieristico. In accoglimento della richiesta, la Giunta regionale (con atto n. 6/43785 del 24 giugno 1999) stabiliva di promuovere l’accordo richiesto e di iniziare quali soggetti interessati la regione medesima, il comune di Busto Arsizio e la Camera di commercio di Varese.

In seguito l’amministrazione comunale adottava (con del. C.C. n. 65/99) una variante urbanistica espressamente finalizzata alla realizzazione del polo fieristico 1° stralcio, mediante la classificazione di un’ampia area avente destinazione agricola a nuova subarea G4-Centro Fieristico Polifunzionale, da attuare mediante accordo di programma e con ricorso a procedure di acquisizione coattiva delle aree interessate; con avviso pubblicato sul B.U.R.L. dell’11 agosto 1999 veniva comunicato che "l’atto deliberativo e gli atti di progetto saranno depositati per dieci giorni a far tempo dal 30 luglio e fino al 9 agosto 1999" e che "le eventuali osservazioni… dovranno essere presentate entro venti giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso sul B.U.R.L.". Nella stessa seduta consiliare (con del. C.C. n. 66/99) veniva adottata, con la procedura semplificata di cui alla L.R. n. 23/97, altra variante relativa al 2° stralcio del nuovo centro fieristico; con tale atto veniva delimitata un’area di circa 75.000 mq. A nuova subarea G4 per la realizzazione di attrezzature e impianti di interesse generale non compresi nelle zone F e veniva altresì destinata a subarea F2-servizi di livello comunale altra area di circa 70.000 mq. Entrambe le varianti interessano mappali della società ricorrente, che sono espressamente indicati negli elenchi catastali delle proprietà da acquisire, allegati alle deliberazioni medesime.

In data 20 settembre 1999 i rappresentanti delle amministrazioni interessate sottoscrivevano l’accordo di programma, quindi con deliberazione n. 74 assunta nella stessa data il consiglio comunale, ai sensi dell’art. 27 quinto comma L. n. 142/90, ratificava l’adesione del Sindaco all’accordo, che veniva definitivamente approvato con D.P.G.R. 21 settembre 1999 n. 40284, pubblicato sul B.U.R.L. del 27 settembre 1999.

Con atto di giunta comunale n. 890 del 29 settembre 1999 si stabiliva di dare mandato al Sindaco per dare corso alle procedure di esproprio e di occupazione d’urgenza delle aree necessarie all’attuazione dell’intervento e si fissavano i termini per l’inizio e il compimento dei lavori e delle espropriazioni. In esecuzione della procedura, il 7 ottobre 1999, è stato notificato alla ricorrente l’avviso del deposito degli atti del procedimento espropriativi.

Nel successivo prosieguo della procedura, l’amministrazione comunale ha acquisito la disponibilità delle aree e dato corso ai lavori di edificazione del primo lotto delle opere.

4) L’intervenuto completamento della parte strutturale del centro fieristico comporta, secondo la difesa comunale, una situazione di fatto inidonea a determinare la sopravvenuta cessazione della materia del contendere e, quindi, l’improcedibilità del ricorso, essendo "impensabile che i ricorrenti possano rientrare in possesso dei loro terreni nel medesimo stato di fatto precedente all’occupazione d’urgenza".

L’eccezione non ha fondamento.

Al riguardo è sufficiente considerare che la cessazione della materia del contendere può conseguire soltanto al sopravvenire di misure pienamente satisfattive dell’interesse del quali si chiede tutela, non certo per il caso che il provvedimento lesivo abbia ricevuto attuazione.

Ciò anche nell’ipotesi estrema in cui la completa esecuzione dell’opera pubblica determini una situazione di irreversibilità dei luoghi e impedisca l’autonoma sopravvivenza del fondo, dando vita al noto fenomeno della c.d. accessione invertita. In tal caso, l’interesse alla pronuncia permane, ed è rivolto a sostenere la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno, una volta riconosciuta l’illegittimità del procedimento espropriativo.

5) La difesa comunale ritiene che il ricorso non sia supportato dal necessario interesse all’azione, in quanto lo status urbanistico dell’area deriva direttamente da atti legislativi che esulano dalla valutazione del giudizio di legittimità e, quindi, non possono essere investiti dalla pronuncia di annullamento.

Nemmeno questa eccezione ha fondamento.

Secondo i principi generali, l’interesse ad agire si concreta nell’esigenza dell’attore di raggiungere un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, non altrimenti conseguibile che con l’intervento del giudice.

Ciò posto, se pure è vero che la previsione del centro fieristico deriva direttamente dal piano d’area approvato con legge regionale, con la conseguenza che la sua localizzazione non può essere posta in discussione, deve nondimeno riconoscersi l’interesse (strumentale) della parte a denunciare le irregolarità che si assumono poste in essere nella successiva procedura amministrativa di attuazione della previsione normativa, ciò al fine di conseguire l’annullamento degli atti produttivi dell’effetto ablativo del diritto di proprietà.

Occorre poi soggiungere che l’interesse all’annullamento degli atti impugnati deve essere ravvisato anche in previsione della possibile decadenza degli effetti di cui all’art. 1, sesto comma, della L.R. n. 10/99, che consegue al decorso dei termini stabiliti dall’art. 2, terzo comma; ciò in quanto l’eventuale annullamento dell’accordo di programma determina una situazione corrispondente alla mancata approvazione dei relativi progetti, cui la legge, al decorso del termine stabilito, riconnette l’effetto di decadenza della dichiarazione di p.u. e, quindi, il venir meno del potere espropriativo.

6) Nel merito è fondata la censura esposta nel secondo motivo del ricorso, con la quale si deduce l’illegittimità del decreto di approvazione dell’accordo per la mancata indicazione dei termini per l’inizio e il completamento dei lavori e delle espropriazioni.

La censura trova conforto nel costante orientamento giurisprudenziale formatosi in materia, che il Collegio condivide, in base al quale l’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 ha portata generale nei procedimenti ablatori e trova applicazione anche quando la dichiarazione di pubblica utilità inerisca all’approvazione del progetto di opera pubblica.

Ed invero, la prefissione dei termini entro i quali dovranno cominciare e compiersi i lavori e le espropriazioni, secondo il disposto dell’art. 13 cit., assolve alla duplice funzione di garantire, attraverso la verifica dell’attualità e della concretezza dell’interesse pubblico, la serietà dell’azione amministrativa e, al contempo, la certezza anche sotto il profilo temporale, delle posizioni soggettive sulle quali la detta azione va a incidere.

Ne discende che la fissazione dei termini in questione deve avvenire, a pena di invalidità, nel primo atto del procedimento espropriativi che, nel caso di dichiarazione implicita di pubblica utilità ex lege, deve essere identificata nel provvedimento di approvazione del progetto, con la conseguenza che la mancata fissazione dei suddetti termini in tale atto rende illegittima l’intera procedura (cfr. Ad. Plen. N. 6/91; TAR Lombardia, I, n. 515/92; TAR Lecce 7/5/91 n. 355).

Non vi è dubbio quindi che, in applicazione di tale in equivoca e tassativa disposizione, l’atto di approvazione dell’accordo di programma, al quale l’art. 27 comma 5-bis della l. n. 142/90 riconnette portata di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere e quindi valore di atto iniziale del procedimento ablativo, avrebbe dovuto necessariamente contenere l’indicazione dei termini in questione e che, essendone invece privo, debba considerarsi irrimediabilmente illegittimo.

In proposito, e contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale, non corrisponde al vero che i termini in questione siano stati direttamente fissati dalla legge. Analogamente, infatti, a quanto stabilito dall’art. 1 l. n. 1/78, l’art. 27 cit. si limita a prevedere la decadenza degli effetti derivanti dalla dichiarazione di p.u. qualora le opere non abbiano inizio nei tre anni successivi all’approvazione dell’accordo, ma non contiene alcuna indicazione in ordine ai termini per il completamento dei lavori medesimi e per l’inizio e la fine delle espropriazioni, laddove l’art. 13 richiede l’indicazione distinta e specifica dei due tipi di termini la cui fissazione riveste, in entrambi i casi, carattere essenziale per la validità dell’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera (cfr. CGA Sicilia, 28/1/98 n. 21; CdS IV 28/5/98 n. 468).

Detta omissione non può nemmeno ritenersi sanata dalla successiva deliberazione di giunta comunale n. 890/99; ciò in quanto, anche a non volere considerare che trattasi di atto proveniente da autorità diversa da quella che ha approvato il progetto, è del tutto pacifico in giurisprudenza che, nel procedimento espropriativi, la fissazione dei termini di cui all’art. 13 cit. deve avvenire nell’atto stesso avente ex lege di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e quindi nell’atto con cui è stato approvato il progetto di opera pubblica, escludendo correlativamente che l’onere in questione possa essere assolto mediante atti successivi, seppure in via di convalida o sanatoria (cfr. CdS IV, 21/11/94, n. 940; id. 27/11/97, n. 1326; Cass. civ. sez. un. 4/3/97, n. 1907; CGA Sicilia, 22/7/98, n. 445).

Da tale omissione consegue l’invalidità dell’accordo di programma e, per illegittimità derivata, degli atti ad esso conseguenti.

7) E’ fondata anche la censura, esposta nel sesto e nell’undicesimo motivo di ricorso, con la quale si lamenta la violazione delle modalità di pubblicazione degli strumenti urbanistici. L’interesse alla censura è denotato dal rilievo che con gli atti censurati l’amministrazione comunale non si è limitata ad un mero adeguamento formale della propria strumentazione urbanistica ai contenuti del piano d’area Malpensa, ma ha definito le modalità di attuazione delle previsioni urbanistiche contenute nella L.R. n. 10/99, privilegiando, in alternativa ad altri possibili strumenti di programmazione negoziata, il ricorso all’accordo di programma e l’attivazione di procedure espropriative delle proprietà coinvolte. I profili innovativi imputabili a tali atti connotano di contenuti non esclusivamente formali l’esigenza di garantire adeguate forme di pubblicazione agli atti medesimi.

Come si è avanti precisato, con le deliberazioni consiliari n. 65 e 66 del 1999 l’amministrazione comunale ha adottato due varianti urbanistiche finalizzate alla realizzazione del centro fieristico; la prima variante, adottata con procedura ordinaria, è stata depositata per dieci giorni in visione al pubblico cui è stata offerta la possibilità di presentare osservazioni nei venti giorni successivi alla data di pubblicazione sul B.U.R.L.; la seconda variante, adottata con la procedura semplificata di cui all’art. 3 L.R. n. 23/97, non risulta soggetta ad alcuna forma di pubblicazione. Il che concreta la violazione delle previsioni normative i materia.

Ciò in quanto gli atti in questione, che hanno valore di variante urbanistica, avrebbero dovuto essere assoggettati ai termini di pubblicazione fissati in materia dall’art. 9 della L.U. e dall’art. 3 della L.R. n. 23/97, i quali stabiliscono che il deposito degli atti presso la segreteria comunale debba protrarsi per trenta giorni e che nei successivi trenta giorni gli interessati possano presentare osservazioni e opposizioni.

In contrasto con tali prescrizioni, alle varianti è stata data pubblicazione per un termine inferiore ai 30 giorni e si è consentita la presentazione di osservazioni al piano entro termini più ristretti di quelli stabiliti dalle disposizioni indicate. Ne discende l’illegittimità della procedura seguita.

In proposito la difesa comunale considera superata la censura in ragione del fatto che gli effetti di variante indotti dalla deliberazione n. 65/99 risultano dalla ratifica comunale dell’accordo disposta con la delibera n. 74/99.

L’argomento avrebbe potuto essere apprezzato qualora fosse stata garantita un’autonoma pubblicità dell’accordo di programma. Senonchè, come risulta dall’art. 4 dell’accordo di programma e dalle premesse del decreto di approvazione dell’accordo medesimo, ai contenuti di variante urbanistica propri dell’accordo non è stata offerta alcuna forma di pubblicazione ulteriore rispetto a quella eseguita dal comune di Busto Arsizio con le (illegittime) modalità suindicate. Il che rende manifesta l’infondatezza delle argomentazioni opposte alla difesa comunale.

Quanto invece ai caratteri di specialità che connotano la procedura in oggetto e che renderebbero inapplicabili le disposizioni comuni, il Collegio osserva quanto segue.

La disciplina delle procedure da seguire per l’approvazione degli accordi di programma è stata fissata dalla L.R. n. 14/93, il cui art. 2 stabilisce che alla proposta deve essere data "adeguata pubblicità" per consentire a qualunque soggetto portatore di interessi pubblici o privati di presentare eventuali osservazioni o proposte.

A volere sviluppare l’argomento difensivo accennato si potrebbe essere indotti a ritenere che la disposizione speciale avrebbe in tal modo concesso alle amministrazioni un certo margine di discrezionalità per valutare e scegliere i mezzi più idonei a garantire l’adeguata pubblicità richiesta e che in questa prospettiva le modalità seguite non potrebbero giudicarsi insufficienti.

In proposito il Collegio osserva che riconoscere fondamento alla riferita interpretazione significherebbe offrire immediato ingresso a dubbi di legittimità costituzionale della norma regionale per violazione degli artt. 97 e 117 Cass.; in ragione del contrasto della previsione, così interpretata, con i principi fondamentali dettati da leggi statali di principio. E’ invece noto che l’interprete deve sempre ricercare, tra i vari possibili significati di una determinata disposizione, quello che la renda conforme al dettato costituzionale.

A tale riguardo si deve rilevare che l’accordo di programma costituisce un modulo procedimentale che può assumere contenuto e valore diversificati in relazione alla concreta funzione perseguita. Esso, ad esempio, può consistere nell’approvazione di un progetto di opere pubbliche la cui realizzazione richieda il consenso e il concorso di diverse amministrazioni pubbliche, ovvero nell’approvazione di un programma avente valore di piano urbanistico esecutivo o ancora in un programma di interventi che comporti variante urbanistica.

In questa prospettiva si deve ritenere che la norma regionale, in considerazione della polivalenza dello strumento, abbia preferito non fissare direttamente termini di pubblicazione della proposta che avrebbero potuto rivelarsi soverchi, o comunque, inadeguati, rispetto ai contenuti dell’accordo, ma abbia inteso rimettere all’amministrazione procedente la scelta delle modalità di pubblicazione più consone alla concreta valenza dell’accordo medesimo. Ciò tuttavia, in base a scelte non del tutto libere, ma condotte con razionale riferimento alle modalità fissate con riguardo a provvedimenti di analogo contenuto e valore.

In questo senso il termine "adeguata" perde ogni connotazione soggettiva (come tale inammissibile in atto avente valore normativo) per assumere un contenuto parametrato alle previsioni legislative che qualificano gli adempimenti formali in relazione ad atti aventi funzione corrispondente ai contenuti concretamente assunti dallo specifico accordo di programma.

E poiché l’accordo di programma in questione costituisce, insieme, strumento di pianificazione in variante e di attuazione di previsioni urbanistiche, ne discende l’illegittimità della procedura per violazione dei termini di pubblicazione stabiliti per gli atti aventi analogo valore.

8) Le illegittimità sin qui riscontrate investono la procedura nella sua interezza e comportano l’annullamento dell’accordo di programma e degli atti di adesione e ratifica del medesimo. Possono quindi ritenersi assorbite le censure non espressamente trattate.

In conclusione il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della procedura a partire dalle deliberazioni consiliari n. 65 e 66 del 1999 e fino al decreto regionale di approvazione dell’accordo, unitamente a tutti gli atti conseguenti fra cui la deliberazione G.C. n. 890/99; per l’effetto devono considerarsi cadutati anche i decreti di occupazione d’urgenza delle aree di proprietà della ricorrente.

La relativa complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3726/99 così dispone:

- accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla i provvedimenti indicati in motivazione al punto 8:

- compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano il 15 giugno 2000 in camera di consiglio con l’intervento dei magistrati:

Ezio Maria Barbieri – presidente

Domenico Giordano – cons. est.

Nicola Russo – refer.

Depositata il 23 dicembre 2000.

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