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n. 4-2001 - © copyright.

TAR LOMBARDIA-BRESCIA - Sentenza 26 marzo 2001 n. 140 - Pres. Mariuzzo Est. Caputo - Federfarma, Federazione Unitaria dei Titolari di Famacia Italiani, Federfarma Lombardia, Unione Regionale delle Associazioni Provinciali dei Titolari di Farmacia della Lombardia, Associazione Provinciale Proprietari di Farmacie della Provincia di Cremona (Avv.ti A. Gambino, M. Luciani, A. Mina) c. Comune di Cremona, (Avv.ti E. Boccalini, F. Casella e A. Comba), Azienda Farmaceutica Municipale di Cremona s.p.a., Gehe Italia s.p.a. (int. ad opponendum, Avv.ti R. Costi, N. Alessandri, C. Tessarolo e I. Gorlani)

Comuni – Società partecipate dall’amministrazione – Trasferimento di azioni – Procedura applicabile.

Farmacie – Farmacie comunali - Trasferimento di gestione attraverso alienazione di quote di spa pubblica - Legittimità – Prelazione a favore dei farmacisti dipendenti - Esclusione.

E’ legittima l’alienazione a trattativa privata previo confronto concorrenziale di azioni di spa pubblica che gestisce il servizio pubblico farmaceutico, applicando le norme sulle dismissioni delle partecipazioni azionarie degli enti locali (art. 17, comma 54, l. 15 maggio 1997 n. 127, d.l. 31 maggio 1994 n. 332, l. 30 luglio 1994 n. 474). Non si applicano quindi né il d.P.R. n. 533/96 sulla costituzione di società miste di servizi pubblici degli enti territoriali, né l’art. 10, comma 9, d.lgs. n. 157/95, che riguardano ipotesi diverse dalle dismissioni.

La concorrenza nel settore delle farmacie non si basa sulla necessaria presenza di farmacisti nelle società di gestione delle aziende, anche perchè il sistema attuale del numero chiuso delle farmacie può essere in contrasto con un’effettiva concorrenzialità. Il diritto di prelazione a favore dei farmacisti dipendenti (all’art. 12 comma 2, l. n. 362 del 1991), riguarda esclusivamente la circoscritta ipotesi della vendita della farmacia non già l’alienazione delle azioni della società che gestisce il servizio (1).

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(1) E’ legittima la procedura di alienazione della Azienda farmaceutica di Cremona: questa è la conclusione cui arriva il TAR Brescia con la sentenza 140 del 26 marzo 2001.

La materia riguarda sia l’alienazione delle farmacie, sia più in generale la dismissione delle partecipazioni azionarie degli enti locali.

Il Comune aveva messo in vendita il 78,003% del capitale sociale dell’azienda farmacie, privatizzando la gestione del servizio pubblico. Secondo i giudici l’operazione è conforme alle norme sulle dismissioni delle partecipazioni azionarie degli enti locali (art. 17, comma 54, l. 15 maggio 1997 n. 127, d.l. 31 maggio 1994 n. 332, l. 30 luglio 1994 n. 474). Quest’ultima norma, all’art. 1, comma 2, prevede la cessione delle azioni "sulla base di trattative dirette con i potenziali acquirenti".

Non si applicano quindi né il d.P.R. n. 533/96 sulla costituzione di società miste di servizi pubblici degli enti territoriali, né l’art. 10, comma 9, d.lgs. n. 157/95, che riguardano ipotesi diverse dalle dismissioni.

Basta quindi che la gara sia aperta a tutti i potenziali acquirenti, trasparente e tale da consentire di formulare in modo appropriato dapprima una manifestazione d’interesse, quindi un’offerta vincolante.

Scegliendo di applicare l’art. 1, comma 2, della l. n. 474/94, il TAR nega rilievo alla deliberazione CIPE del 30 dicembre 1992, che disciplina la prima fase delle privatizzazioni. Detta delibera subordinava la trattativa privata alla sussistenza di interessi pubblici di particolare rilevanza, mentre la legge del 1974 non contiene più alcuna limitazione. Basta quindi che si rispettino i criteri di trasparenza e correttezza a protezione degli interessi pubblici, ammettendosi la trattativa diretta senza restrizioni.

Dopo aver chiarito questi principi, il TAR affronta i problemi specifici del servizio farmaceutico comunale: qui, l’art. 9 l. 2 aprile 1968, n. 475 (modificato dall’art. 10, l.8 novembre 1991, n. 362) prevede che i Comuni possano gestire le farmacie, conservandone la titolarità, tramite società per azioni il cui capitale (art. 12, comma 1 l. 23 dicembre 1992 n. 498), fino al limite dell’80%, può essere ceduto a terzi. Ciò, secondo il TAR evita l’applicazione delle norme (l’art. 15-quinquies, comma 2, d.l. 28 dicembre 1989 n. 415, la l. 28 dicembre 1990 n. 28 e l’art. 12 l. 2 aprile 1968 n. 475), per le quali la vendita "può avere luogo solo a favore di un farmacista che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso".

Del resto, già altre volte si è ritenuto che la gestione delle farmacie comunali possa avvenire a mezzo società miste a prevalente partecipazione privata (TAR Bologna, sez. I, 13 luglio 1998, n. 271; TAR Bari, sez. I, 12 gennaio 2000, n. 1530), proprio perchè non viene trasferita la titolarità, ma la gestione.

Affrontando problemi di più vasta portata i giudici bresciani escludono poi che sussista incompatibilità tra la presenza di una società di grande distribuzione di prodotti farmaceutici e la gestione delle farmacie.

La normativa comunitaria prevede infatti il diritto di stabilimento (art. 52, ora art. 43, Trattato C.E.E.) e la libera circolazione dei capitali (art. 73B, par 1): non tollera discriminazioni fondate sulla nazionalità né altri limiti alla parità di trattamento. In concreto, poi, non emerge alcun pregiudizio alla salute pubblica in relazione alla gestione del servizio farmaceutico da parte della società a maggioranza privata, ove il socio privato distribuisca (e non produca) prodotti farmaceutici.

Nessun rilievo infine possono avere le potenzialità economiche del socio di maggioranza, nè eventuali effetti distorsivi nel settore farmaceutico derivante dalla posizione dominante che di fatto assumerebbe la aggiudicataria. Soprattutto, osserva il TAR, la concorrenza nel settore delle farmacie non si basa sulla necessaria presenza di farmacisti nelle società di gestione delle aziende: al contrario, il sistema attuale del numero chiuso delle farmacie può essere in contrasto con un’effettiva concorrenzialità (come sottolinea il Parere dell’Autorità della concorrenza e del mercato del 11 giugno 1998).

In conclusione, il diritto di prelazione a favore dei farmacisti dipendenti (all’art. 12 comma 2, l. n. 362 del 1991), riguarda esclusivamente la circoscritta ipotesi della vendita della farmacia non già l’alienazione delle azioni della società che gestisce il servizio.

La sentenza è destinata ad avere ampie ripercussioni sui settori oggetto di dismissione e sulle aree economiche in cui le S.p.A. degli Enti locali possono operare cessione di azioni. Risale al 1° marzo l’ultimo tentativo del legislatore di mantenere nelle farmacie comunali la presenza dei farmacisti dipendenti (art. 2 ter L. 26/2001, che modifica l’art. 116 del T.U. 267/2000): sarà necessario che il nuovo Parlamento riveda interamente la materia, sulla base dei principi fatti propri dai giudici di Brescia. 

(Guglielmo Saporito)

 

 

FATTO

La Federfarma, Federazione Nazionale Unitaria dei Titolari di Farmacia Italiani, ed altri hanno impugnato il bando per la vendita con procedura negoziata accelerata del 78,003% del capitale sociale dell’Azienda Farmaceutica Municipale di Cremona s.p.a., pubblicato dal Comune di Cremona sulla scorta della deliberazione del Consiglio comunale del 16 marzo 2000 (anch’essa impugnata), con la quale, oltre a dare atto del progetto di privatizzazione perseguito, si individuavano le linee direttive da seguire per la selezione delle offerte.

L’impugnazione è sorretta dai seguenti motivi:

Violazione degli artt. 1, comma 4, d.P.R. 16 settembre 1996, n. 533; 10, comma 9, d.lgs.17 marzo 1995, n. 157; 3, comma 1, l.7 agosto 1990, n. 241. Difetto di motivazione.

Violazione degli artt. 12 l. 2 aprile 1968, n. 475; 15 quinquies, comma 2, d.l. 28 dicembre 1989, n. 415; 12, l. 8 novembre 1991, n. 362; 17, commi 51 sgg., l.15 maggio 1997, n. 127; 3, comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e contraddittorità. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria.

Violazione degli artt. 3 e 32 Cost.; 12 l.2 aprile 1968, n. 475; 15 quinquies, comma 2, d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, 12 l. 8 novembre 1991, n. 362, 3, comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e disparità di trattamento.

Illegittimità costituzionale degli artt. 12 l. 8 novembre 1991, n. 362, 12 l. 23 dicembre 1992, n. 498; 17 , comma 51, l. 15 maggio 1997, n. 127, ove interpretati diversamente dalla prospettazione dei ricorrenti.

Il Comune di Cremona si è costituito eccependo preliminarmente la carenza di interesse al ricorso, e nel merito ha instato per la sua infondatezza.

Il TAR (ordinanza n. 404/2000) ha accolto la domanda incidentale di sospensione interinale dell’atto impugnato, che in sede d’appello il Consiglio di Stato (ordinanza 3750/2000) ha riformato, respingendo l’istanza cautelare.

Nel corso del giudizio ha spiegato intervento ad opponendum la Gehe Italia s.p.a., che in raggruppamento con la Gehe Ag. di Stoccarda, si è aggiudicata la gara , ed ha quindi stipulato il contratto di acquisto delle azioni con il Comune di Cremona, chiedendo la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 9.02.2001 la causa su richiesta delle parti è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I) L’eccezione preliminare di carenza di interesse al ricorso, formulata dal Comune di Cremona sul profilo che nessuno dei ricorrenti avrebbe comunque potuto partecipare alla gara, è infondata.

L’esclusione dalla gara delle persone fisiche così come il rilevante livello dei requisiti finanziari prescritti dal bando, sebbene astrattamente ostativi alla partecipazione alla procedura concorsuale dei ricorrenti, non pregiudicano il c.d. interesse strumentale a ricorrere, individuabile nella rimessa in discussione del rapporto controverso a seguito dell’annullamento dell’atto impugnato (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. IV, 9 ottobre 2000, n. 5342).

Ad analoga conclusione deve giungersi per quanto riguarda l’eccezione di difetto di interesse per avere l’atto impugnato raggiunto il suo scopo.

Il fatto che taluno dei ricorrenti abbia potuto partecipare alla gara, manifestando il proprio interesse a presentare l’offerta d’acquisto, non comporta alcuna acquiescenza al provvedimento impugnato dal momento che l’abbreviazione dei termini, secondo la formulazione della censura, non ha comunque consentito (cognita causa) la completa ed adeguata conoscenza della proposta di vendita formulata dall’amministrazione resistente (in termini, sui rigidi criteri per desumere l’acquiescenza, Cons. St., sez. V, 17 febbraio 1999 n. 166; Id, sez. VI, 22 gennaio 1994 n. 34).

II) Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 1, comma 4, d.P.R. 16 settembre 1996 n. 533 che, correttamente applicato, comporterebbe, per effetto di espresso rinvio, il rispetto dei termini prescritti dall’art. 10 del d.lgs. n. 157/95, relativi "alla licitazione privata, all’appalto concorso e alla trattativa privata".

Nel caso di specie si sarebbe violata la prescrizione, di cui all’art. 10, comma 9, d.lgs. cit. che impone, già nel bando di gara, l’individuazione delle ragioni di urgenza che giustificano l’abbreviazione dei termini.

Secondo i ricorrenti, la limitazione temporale a soli 17 giorni, decorrenti dalla data di trasmissione del bando alla pubblicazione (dal 20 marzo 2000), per la manifestazione di interesse alla partecipazione (al 6 aprile 2000) non troverebbe alcun riscontro, neanche per relationem, sul piano motivazionale.

La censura è destituita di fondamento.

Prima di affrontare la questione dell’esatta individuazione del quadro normativo di riferimento, mette conto chiarire che il bando di gara non contiene alcuna specifica previsione in ordine all’ applicabilità del d.P.R. 533/96.

Il bando di gara, c.d. lex specialis della procedura di selezione delle offerte, richiama il citato regolamento all’art. 4, relativamente cioè allo statuto dell’Azienda farmaceutica municipale in materia di prerogative statutarie in favore dell’amministrazione comunale alienante.

D’altra parte, anche a volere attribuire a detto riferimento un effetto di autolimitazione, non può mancarsi di rilevare che, sul piano generale delle fonti, le norme riprodotte nel bando relative alle procedure pubblicistiche dell’evidenza pubblica, ivi comprese quelle relative alla dismissioni di cui al d.l. 31 maggio 1994 n. 332, sono norme imperative, come tali destinate comunque a trovare applicazione naturalmente secondo il loro peculiare e specifico ambito precettivo.

In altri termini le clausole del bando che tali norme riproducono non possono considerarsi, generalizzando il principio dell’autolimitazione, espressione di un potere di regolamentazione autonoma: e dunque non può ammettersi che in forza del richiamo si alteri, oltretutto in sede ermeneutica, la portata precettiva delle norme riprodotte.

La precisazione assume rilievo solo che si consideri l’oggetto e la finalità della procedura che ne occupa.

Il Comune ha messo in vendita il 78,003% dell’Azienda farmaceutica: l’oggetto è l’alienazione di azioni della società già costituita ed operante nel settore.

La finalità dell’alienazione del pacchetto azionario è la dismissione della partecipazione di maggioranza al capitale sociale dell’azienda, al fine di realizzare la sostanziale privatizzazione della gestione del servizio pubblico.

La normativa di riferimento, escluso in radice come già avuto modo di precisare il rilievo dirimente del riferimento anodino contenuto nel bando al d.p.r. n. 533/96, del resto confusamente espresso unitamente al d.l. n. 332 del 1994, è pertanto quella che specificamente si occupa della dismissione delle partecipazioni azionarie degli enti locali: segnatamente l’art. 17, comma 54, l. 15 maggio 1997 n. 127 laddove rinvia al d.l. 31 maggio 1994 n. 332 convertito dalla l. 30 luglio 1994 n. 474, che all’art. 1, comma 2, prevede la cessione delle azioni "sulla base di trattative dirette con i potenziali acquirenti".

Non trova pertanto applicazione né il d.P.R. n. 533/96, contenente le norme regolamentari ( non sulle dismissioni ma) sulla costituzione di società miste di servizi pubblici degli enti territoriali, né conseguentemente l’art. 10, comma 9, d.lgs. n. 157/95.

Non per questo, accedendo ad un giudizio improntato al canone sostanziale del necessario rispetto dei criteri di trasparenza e correttezza della procedura pubblicistica di vendita, nonché della compatibilità con le regole comunitarie, può sostenersi l’inadeguatezza della gara.

L’offerta di vendita è stata infatti aperta a tutti i potenziali acquirenti, trasparente ed incondizionata; l’unico criterio della cessione è stato quello del prezzo maggiore; infine, l’offerta e la gara si sono svolte con modalità tali da garantire ai partecipanti il tempo e le informazioni necessarie per effettuare una valutazione adeguata del patrimonio dell’azienda, tale cioè da consentire di formulare in modo appropriato dapprima la manifestazione d’interesse (entro il 6 aprile 2000), quindi, e per quel che più rileva, l’offerta vincolante (fino 31 maggio 2000).

Va altresì sottolineato come l’art.1, comma 2, della l. n. 474/94, a differenza della deliberazione CIPE del 30 dicembre 1992 con la quale si è disciplinata la prima fase delle privatizzazioni che espressamente subordinava la trattativa privata alla sussistenza di interessi pubblici di particolare rilevanza, non contiene più alcuna limitazione: purché, si rispettino i criteri di trasparenza e correttezza appena richiamati che assicurano la protezione degli interessi pubblici, la trattativa diretta è ammessa senza restrizioni.

Inoltre, le ragioni economiche e pubbliche che hanno giustificano le forme e le modalità di privatizzazione, con ciò respingendo la censura sul difetto di motivazione rubricato dai ricorrenti nella duplice e concorrente menzione della violazione dell’art. 3 l. n. 241 e dell’ eccesso di potere, sono espresse nei dati contenuti nella consulenza effettuata dalla società incaricata dal Comune, ed alla quale la deliberazione del Consiglio comunale del 16 marzo 2000 fa riferimento.

III) Con il secondo ed il terzo motivo di censura i ricorrenti preliminarmente disegnano la cornice normativa che disciplina il servizio farmaceutico comunale: l’art. 9 l. 2 aprile 1968, n. 475 come modificato dall’art. 10, l.8 novembre 1991, n. 362 prevede che i Comuni possano gestire, conservandone la titolarità, le farmacie tramite società per azioni, ed il cui capitale, in forza dell’art. 12, comma 1 l. 23 dicembre 1992 n. 498, fino al limite massimo dell’80%, può essere ceduto a terzi.

Di presso, si lamenta la surrettizia alienazione non solo della gestione del servizio ma della stessa titolarità, e che pertanto la cessione dell’Azienda farmaceutica , in ragione dell’effetto sostanziale sortito, dovrebbe essere in toto assimilata sul piano normativo alla vendita di farmacia, che, ai sensi del rinvio contenuto dall’art. 15-quinquies, comma 2, d.l. 28 dicembre 1989 n. 415 convertito dalla l. 28 dicembre 1990 n. 28 all’art. 12 l. 2 aprile 1968 n. 475, "può avere luogo solo a favore di un farmacista che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso".

Il supporto argomentativo a tale prospettazione è tratto dal fatto che il bando prevede, alla scadenza della convenzione trentennale, il diritto di acquisto a titolo oneroso da parte del Comune di Cremona del ramo di azienda finalizzato alla gestione del servizio.

Le censure sono infondate.

Al corretto ed esaustivo riferimento normativo della disciplina delle forme di gestione delle farmacie comunali, che senza alcun dubbio consente che esse siano gestite a mezzo di società miste a prevalente partecipazione privata (cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 13 luglio 1998, n. 271; TAR Puglia, Bari, sez. I, 12 gennaio 2000, n. 1530), ha fatto seguito la deduzione che di fatto si sarebbe ceduta la titolarità del servizio.

Mette conto rilevare che anche nell’ambito delle farmacie private si distingue fra azienda e titolarità dell’autorizzazione ad esercitare la farmacia.

In quel segmento farmaceutico, fermo il principio dell’indissociabilità della gestione e della titolarità del servizio farmaceutico, per ciascuno oggetto si tipizza lo strumento giuridico idoneo al trapasso: per l’azienda il contratto di alienazione, per l’autorizzazione la voltura dell’atto amministrativo (in termini, da ultimo, con riferimento alla permuta dell’azienda farmaceutica, Cons. St., sez. IV, 13 novembre 2000, n. 6077).

A maggior ragione per le farmacie pubbliche, ove è ovviamente improponibile il criterio della corrispondenza biunivoca fra titolarità e gestione, vale il distinguo, con l’ulteriore e decisiva considerazione che la volturazione della titolarità pubblica, in difetto di norma espressa, non è nemmeno astrattamente concepibile: l’atto sarebbe, infatti, affetto da nullità assoluta.

Né in contrario assumono rilievo le considerazioni sulla previsione del bando in ordine alla riacquisto del ramo d’azienda da parte del Comune, che "di fatto" comporterebbe la perdita della titolarità pubblica.

E’ intuitivo che essa riguardi la disponibilità dei beni necessari per la gestione del servizio: il ramo d’azienda va inteso alla stregua dell’art. 2555 c.c., come il complesso dei beni per l’esercizio dell’impresa di gestione (privata) del servizio pubblico. Alla scadenza del rapporto trentennale i beni aziendali strumentali alla gestione saranno acquistati dal Comune di Cremona, che ha conservato la titolarità.

IV) Quanto alla presunta incompatibilità della società aggiudicataria a svolgere la gestione desunta dal fatto che essa è una società di grande distribuzione di prodotti farmaceutici, e che si verte in un settore dei servizi pubblici ove sono coinvolti gli interessi fondamentali degli utenti, non può omettersi il riferimento alla normativa comunitaria. Proprio a motivo dell’ingente fatturato dell’Azienda farmaceutica che nel corso del 1999 ammontava a £. 30 miliardi, l’individuazione dei requisiti di prequalificazione alla gara è stata concepita in modo tale da coniugare l’esigenza alla massima partecipazione delle imprese che operano in ambito extranazionale con quella della serietà dell’offerta di acquisto , comprovata dal possesso da parte degli acquirenti di un fatturato minimo e di un patrimonio netto adeguati.

La procedura di gara con ambito di confronto concorrenziale comunitario, ha visto la partecipazione, oltre che dell’opponente che se l’è aggiudicata con un offerta di 50 miliardi, di altro gruppo (in parte) di estrazione estera.

Il diritto di stabilimento di cui all’art. 52 (ora art. 43) Trattato C.E.E. nonché quello alla libera circolazione dei capitali espresso all’art. 73B, par 1, non tollerano discriminazioni fondate sulla nazionalità né ogni altra forma surrettizia che sostanzialmente violi il principio di parità di trattamento, evocando strumentalmente la natura del servizio effettuato o generici riferimenti normativi (cfr. Corte di Giustizia 5 giugno 1997 in causa C-398/95, SETTG).

Solo la tutela dell’ordine pubblico, della salute e della sicurezza pubblica, ai sensi dell’art. 56 (ora art. 46) consente di derogare, in stretta aderenza a tale esigenza, al divieto di introdurre misure di carattere discriminatorio.

La privatizzazione della gestione del servizio svolto dall’Azienda farmaceutica comunale non sfugge a tali criteri.

Non è infatti percepibile alcun pregiudizio alla salute pubblica recato dalla gestione del servizio da parte della società a maggioranza privata ove il socio privato distribuisce, e non produce, prodotti farmaceutici.

Del resto la conduzione dell’esercizio di dispensazione dei farmaci ai singoli acquirenti deve pur sempre essere effettuata da personale iscritto all’ordine professionale dei farmacisti, sotto il controllo dell’autorità sanitaria competente.

Alla stregua degli stessi i argomenti vanno, pertanto, anche respinti i motivi di censura che assumono la violazione dell’ art. 32 Cost.

Neppure è utilmente invocabile, in ragione delle potenzialità economiche del socio di maggioranza, un effetto distorsivo nel settore farmaceutico derivante dalla posizione dominante che di fatto assumerebbe la AFM s.p.a.

Fondare la concorrenza nel settore sulla necessaria presenza di farmacisti nelle società di gestione delle aziende è assunto non dimostrato, che oltretutto collide con un dato di fatto: il sistema attuale del "numero chiuso delle farmacie a distanza", esso sì, presta il fianco a dubbi sull’effettiva concorrenzialità (Parere dell’Autorità della concorrenza e del mercato del 11 giugno 1998).

V) Infine i dubbi di costituzionalità sono manifestamente infondati.

Il diritto di prelazione a favore dei farmacisti dipendenti di cui all’art. 12 ,comma 2, l. n. 362 del 1991, oltre a non trovare "copertura costituzionale", riguarda esclusivamente la circoscritta ipotesi della vendita della farmacia non già l’alienazione delle azioni della società che gestisce il servizio.

Ancora, il postulato privilegio a favore delle imprese pubbliche che, a differenza dei privati, possono gestire il servizio a mezzo di società per azioni, assume a termine di relazione situazioni disomogenee fra loro incomparabili, quali quella dell’ente territoriale che deve gestire il servizio in forme indirette, fra di esse dando preferenza a quelle più efficienti ed economicamente vantaggiose, e quella del farmacista privato che professionalmente è ad un tempo titolare dell’azienda e gestore del servizio.

Le spese di causa seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia- Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali in favore dell’amministrazione costituita che si liquidano in complessive £. 10.000.000 (diecimilioni).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso, in Brescia, il 9 febbraio 2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

MARIUZZO Francesco, Presidente – RIGHI Renato, Consigliere – CAPUTO Oreste Mario, Consigliere, estensore.

Depositata il 26 marzo 2001.

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