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n. 5-2001 - © copyright.

TAR LOMBARDIA-BRESCIA - Sentenza 11 aprile 2001 n. 237 - Pres. Mariuzzo, Est. Cacace - A. Cordani (Avv.ti G. Tropea e G. Onofri) c. Comune di Bergamo (Avv.to G. Gaggioli)

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Sanatoria - Determinazione dell'importo dell'oblazione e del contributo di concessione - Non ha natura autoritativa - Posizione del privato - Diritto soggettivo - Termine di prescrizione - Competenza esclusiva del giudice amministrativo ex art. 35, c. 17 L. 47/85.

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Sanatoria - Struttura - Negozio transattivo a contenuto tipico determinato.

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Sanatoria - Provvedimento positivo di sanatoria (espresso o tacito) - Non vi è infedeltà fraudolenta del richiedente - Domanda irrevocabile ed irrinunciabile.

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Sanatoria - Pratica di concessione riguardante una società - Determinazione dell'importo dell'oblazione e del contributo di concessione - Notifica ad un socio in proprio e non nella qualità di legale rappresentante - Irregolarità sanabile dall'impugnazione dell'atto da parte della società e dalla certezza circa il vero destinatario dell'atto.

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Sanatoria - Contributo di concessione ed oblazione - Termine di prescrizione - Decennale ex art. 2946 C.c. - Termine abbreviato di cui al comma 12 dell'art. 35 L. 47/85 - Riguarda solo il conguaglio dell'oblazione.

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Sanatoria - Contributo di concessione ed oblazione - Prescrizione - Termine iniziale di decorrenza - Dalla data di presentazione della domanda di condono.

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Sanatoria - Contributo di concessione ed oblazione - Formazione del silenzio-assenso rispetto all'istanza di sanatoria edilizia - Successiva demolizione volontaria dell'immobile abusivo da parte del proprietario - Persiste l'obbligo di versare il contributo di concessione.

L’atto con cui il Sindaco (o suo delegato) determina l’importo dell’oblazione e del contributo di concessione, dovuti per la sanatoria edilizia prevista dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, non ha natura autoritativa, trattandosi di obbligazione direttamente determinata dalla legge. Pertanto, la pretesa del privato alla sua esatta determinazione si atteggia a diritto soggettivo (1), da farsi valere nel termine di prescrizione, dinnanzi al giudice amministrativo che, in materia, ha giurisdizione esclusiva ex art. 35, comma 17, della legge 28 febbraio 1985, n. 47.(2)

Il condono edilizio è strutturato giuridicamente quale negozio transattivo, a contenuto tipico determinato: da un lato, l’Amministrazione regolarizza le opere dal punto di vista amministrativo (eliminando direttamente la antigiuridicità di un abuso edilizio ed estinguendo l’illecito amministrativo) e rinuncia al potere repressivo sanzionatorio; dall’altro lato, l’interessato opera un implicito ed automatico riconoscimento dell’avvenuta effettuazione dell’abuso, chiedendone, però, la predetta eliminazione di ogni carattere di antigiuridicità.

Pertanto, allorché un provvedimento positivo, seppure tacito, di concessione od autorizzazione in sanatoria, sia già intervenuto (per effetto del decorso del términe biennale previsto dall’art. 35 della legge n. 47 del 1985, successivamente al quale sulle istanze di condono edilizio si forma il silenzio-assenso) (3) e non si versi in ipotesi di infedeltà fraudolenta del richiedente la sanatoria, la domanda di sanatoria è irrevocabile ed irrinunciabile.

Il provvedimento comunale di determinazione del contributo di concessione, maggiorato delle sanzioni di cui all'art. 3 della legge 47/85, indirizzato ad un soggetto in proprio e non quale legale rappresentante della società interessata alla pratica di condono edilizio, è da ritenersi legittimo ove l'irregolarità della notifica sia stata sanata dall'impugnazione dell'atto, anche nel merito da parte della società destinataria dell’atto stesso. Inoltre, non v’è ragione per non applicare anche agli atti amministrativi l’indirizzo secondo il quale la erronea indicazione della persona (chiamata in giudizio, ovvero destinataria di un atto stragiudiziale) non comporta la nullità dell’atto qualora il giudice possa escludere ogni incertezza circa la identificazione del destinatario di esso, attraverso la valutazione complessiva dell’atto. (4)

Il termine di prescrizione del diritto dell'Amministrazione a conseguire il contributo di concessione, è quello ordinario decennale di cui all'art. 2946 del Codice civile, atteso che l'abbreviazione a tre anni di cui al comma 12 dell'art. 35 della legge n. 47 del 1985 (come modificato dall’art. 4 del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 1988, n. 68), deve intendersi riferito al solo conguaglio della oblazione (il cui diritto il Comune, dunque, conserva per un altro anno dopo la formazione del silenzio-assenso) e non anche al contributo concessorio.

Il termine iniziale, da cui decorre la prescrizione del diritto dell'amministrazione al conseguimento del contributo concessorio, sebbene non sia espressamente indicato nella legge (art. 35 l. 47/85 e ss. modifiche), è lo stesso termine previsto per la formazione del silenzio-accoglimento e cioè la data di presentazione della domanda di sanatoria delle opere abusive. (5)

E' irrilevante rispetto all'obbligo della corresponsione del contributo di concessione, il fatto che, successivamente alla formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, l'immobile oggetto di condono sia stato demolito dal proprietario di sua iniziativa. In effetti, l’avvenuta demolizione di un edificio abusivo non dà titolo al Comune per la riscossione del relativo contributo di concessione solo laddove essa sia disposta in esecuzione del giudicato d’annullamento di una concessione edilizia, oppure laddove sia posta in essere in esecuzione di interventi dell’Amministrazione, sanzionatori dell’abuso edilizio.

______________

(1) Cfr. T.A.R. Umbria, 11 ottobre 1990, n. 353 e T.A.R. Marche, 11 gennaio 1997, n. 3

(2) Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, II, 14 dicembre 1998, n. 2124.

(3) Cfr. Cons. Stato, V, 18 novembre 1997, n. 1321

(4) Cfr. Cass. Civ., I, 28 maggio 1980, n. 3496 e 7 gennaio 1980, n. 82

(5) Cfr. Circolare del Ministero dei lavori pubblici del 6 febbraio 1989, n. 142.

 

 

FATTO

"Nel 1986, l’Immobiliare Bella Vista S.a.s. presentava al Comune di Bergamo alcune domande per la concessione del condono edilizio relativo ad edificio abusivo realizzato in Bergamo, via Quarenghi n. 36" (pag. 2 ric.).

Con provvedimento n. 2938/86 in data 20 novembre 1995, l’Assessore all’Edilizia Privata, "in relazione alla domanda di sanatoria ex art. 31 legge n. 47/85 per gli abusi edilizi in Via Quarenghi n. 36" (così il provvedimento oggetto del ricorso), ha invitato il Sig. Cordani Alfredo, fra l’altro, "a provvedere entro 30 giorni dalla notifica del presente atto … a versare … la complessiva somma di L. 19.758.288.= oltre gli interessi legali maturati dal 24.1.1994 a titolo di contributo di concessione, già maggiorato delle sanzioni di cui all’art. 3 – Legge n. 47/85".

Avverso e per l’annullamento di tale provvedimento il ricorrente Sig. Cordani, agendo sia in proprio che quale legale rappresentante della società "Immobiliare Bella Vista s.a.s.", ha formulato, con il ricorso all’esame, le seguenti censure:

nullità – invalidità dell’atto: "L’atto è stato emesso nei confronti del Sig. Cordani in proprio, non nella sua qualità di legale rappresentante della società. La stessa cosa dicasi per la notifica. Mentre, però, con la proposizione del ricorso si possono sanare irregolarità della notifica, l’erronea identificazione del destinatario non è certo sanabile " (pag. 2 ric.);

violazione di legge per prescrizione del diritto al conguaglio della P.A.: "dal momento che la domanda di condono risale all’anno 1986 e che la richiesta di pagamento è stata avanzata dal Comune di Bergamo soltanto alla fine del 1985, risulta evidente la prescrizione del diritto del Comune alla percezione delle somme residue dovute a titolo di contributo di concessione" (pag. 3 ric.);

violazione di legge per richiesta di contributo di concessione non dovuto: "dal momento che la costruzione abusiva oggi non è più in essere, essendo stata la stessa demolita, appare evidente che la concessione in sanatoria non avrebbe alcun significato"; si nega, pertanto, la "debenza del contributo", non potendo l’opera, nel frattempo demolita, "fruire dei servizi urbanistici per i quali sarebbero dovuti gli oneri di concessione".

Il ricorrente conclude, poi, l’esposizione di ricorso rinunciando alla concessione in sanatoria.

Il Comune di Bergamo si è costituito in giudizio eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del gravame ("in quanto l’atto impugnato è atto conseguente a numerosi altri del medesimo contenuto ricevuti negli anni da entrambi i ricorrenti": pag. 3 controric.), nonché la "carenza di interesse a proseguire nel giudizio" (pag. 6 controric.), in relazione alla effettuata rinuncia alla concessione in sanatoria.

Respinta da questo Giudice la sospensiva dell’atto impugnato, il ricorso è stato trattenuto in decisione nella pubblica udienza del 16 marzo 2001, dopo che le parti hanno, con memorie successive, ribadito le rispettive tesi.

DIRITTO

Come è stato accennato in parte narrativa, il ricorrente, legale rappresentante della società "Immobiliare Bella Vista di Cordani Alfredo e C. S.a.s." (la quale aveva a suo tempo presentato "al Comune di Bergamo alcune domande per la concessione del condono edilizio relativo ad edificio abusivo realizzato in Bergamo, via Quarenghi n. 36": pag. 2 ric.), impugna, sia in proprio che nella sua predetta qualità di legale rappresentante della citata società, il provvedimento in data 20 novembre 1995, con il quale l’Assessore all’Edilizia Privata lo ha invitato, in relazione alle domande di sanatoria di cui sopra, al versamento della "complessiva somma di L. 19.758.288.= oltre gli interessi legali maturati dal 24.1.1994 a titolo di contributo di concessione, già maggiorato delle sanzioni di cui all’art. 3 – Legge n. 47/85" (così il provvedimento impugnato).

Tanto in sede di ricorso, poi, quanto con dichiarazione di poco successiva indirizzata all’Ufficio Condono del Comune di Bergamo, il ricorrente ha dichiarato "di rinunciare alla concessione in sanatoria relativa all’immobile di cui in premessa" (comunicazione citata, del 6 febbraio 1996).

1. - Ciò premesso, deve, preliminarmente, questo Collegio darsi carico di vagliare le eccezioni sollevate dalla Amministrazione resistente.

1.1 – Sostiene, anzitutto, il Comune di Bergamo, l’"inammissibilità del gravame essendo lo stesso promosso contro atto consequenziale a numerosi altri non impugnati in termini" (pag. 3 mem. del 7 novembre 2000).

L’eccezione è infondata.

Deve il Collegio considerare, preliminarmente, che l’atto, con cui il Sindaco (o suo delegato) determina l’importo dell’oblazione e del contributo di concessione, dovuti per la sanatoria edilizia prevista dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, non ha natura autoritativa, trattandosi di obbligazione direttamente determinata dalla legge e che la pretesa del privato alla sua esatta determinazione si atteggia, dunque, a diritto soggettivo (cfr. T.A.R. Umbria, 11 ottobre 1990, n. 353 e T.A.R. Marche, 11 gennaio 1997, n. 3), da farsi valere nel términe di prescrizione; la relativa controversia, inoltre, è devoluta, dall’art. 35, comma 17, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, alla giurisdizione esclusiva dei Tribunali amministrativi regionali (v. T.A.R. Lazio, Roma, II, 14 dicembre 1998, n. 2124).

Il ricorso, allora, sebbene proposto per l’annullamento dell’atto con cui l’Assessore all’Edilizia privata del Comune di Bergamo ha determinato ed invitato al versamento del contributo di concessione, deve essere, più correttamente, considerato come diretto all’accertamento del diritto del ricorrente a non pagare il richiesto contributo; sì che nessuna decadenza può derivare dalla mancata impugnazione di antecedenti provvedimenti assunti sul punto dallo stesso Comune, trattandosi, come s’è detto, di giudizio proposto per l’accertamento negativo di contributi urbanistici – o, in subordine, della sua esatta quantificazione -, comportante l’accertamento della sussistenza o meno della obbligazioone pecuniaria.

1.2 – Quanto alla intervenuta rinuncia del ricorrente alla concessione in sanatoria (formulata nel contesto del ricorso e con apposita comunicazione di poco successiva), la stessa ha portato al mancato rilascio della concessione in sanatoria da parte del Comune: ne inferisce l’Amministrazione "la possibile sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il gravame" (pag. 4 mem. del 7 novembre 2000).

Anche tale eccezione si appalesa infondata.

Allorché, infatti, come nella specie, un provvedimento positivo, seppure tacito, di concessione od autorizzazione in sanatoria, sia già intervenuto (per effetto del decorso del términe biennale previsto dall’art. 35 della legge n. 47 del 1985, successivamente al quale sulle istanze di condono edilizio si forma il silenzio-assenso: v. Cons. St., V, 18 novembre 1997, n. 1321) e non si versi, per di più, in ipotesi di infedeltà fraudolenta del richiedente la sanatoria (l’Amministrazione comunale, malgrado la ricorrente società non avesse ottemperato alle richieste di integrazione documentale, è stata, infatti, ugualmente in grado di determinare la maggiore oblazione ed il contributo concessorio dovuti, proprio tenendo conto delle indicazioni contenute nella domanda di sanatoria e nei documenti a corredo), la domanda di sanatòria prevista dagli artt. 31 e ss. della legge n. 47/1985 (c.d. condono edilizio) è irrevocabile ed irrinunciabile.

Il condono edilizio, infatti, è strutturato giuridicamente quale negozio transattivo (incondizionato ed irrinunciabile), a contenuto tipico determinato: da un lato, l’Amministrazione regolarizza le opere dal punto di vista amministrativo (eliminando direttamente la antigiuridicità di un abuso edilizio ed estinguendo l’illecito amministrativo) e rinuncia al potere repressivo sanzionatorio; dall’altro lato, l’interessato opera un implicito ed automatico riconoscimento dell’avvenuta effettuazione dell’abuso, chiedendone, però, la predetta eliminazione di ogni carattere di antigiuridicità.

Pertanto, poiché esso condono trova nella legge la sua fonte disciplinare, i suoi effetti sono sottratti alla disponibilità delle parti, con la conseguente irrinunciabilità della domanda di condono allorché il predetto negozio, a séguito del provvedimento positivo (espresso o tacito) dell’Amministrazione, possa dirsi ormai concluso.

Allorquando, dunque, come nella fattispecie in esame, il citato provvedimento positivo sia intervenuto, la sopravvenuta rinuncia alla concessione in sanatoria non può esplicare alcun valido effetto, né sostanziale, né processuale.

2. – Venendo al mérito del ricorso, deduce il ricorrente, con il primo motivo, la nullità dell’atto, per esser stato lo stesso "emesso nei confronti del Sig. Cordani in proprio, non nella sua qualità di legale rappresentante della società" (pag. 2 ric.).

Ritiene, in proposito, il Collegio che, se è indubbiamente vero che l’atto è stato destinato al Sig. Cordani in proprio e non quale legale rappresentante della società interessata alla pratica di condono edilizio di cui si tratta e che se è altrettanto vero che la società è soggetto diverso dalla persona fisica che la rappresenta, da un lato l’irregolarità della notifica è sanata se l’atto venga impugnato (come in questa sede effettivamente è stato impugnato), anche nel mérito, dalla società destinataria dell’atto stesso (che, proprio grazie a tale impugnazione, può dirsi aver raggiunto il suo scopo); dall’altro, non v’è ragione per non applicare anche agli atti amministrativi l’indirizzo (affermatosi in sede processuale, anche con riferimento ad atti extra-giudiziali: v. Cass. Civ., I, 28 maggio 1980, n. 3496 e 7 gennaio 1980, n. 82), secondo il quale la erronea indicazione della persona (chiamata in giudizio, ovvero destinataria di un atto stragiudiziale) non comporta la nullità dell’atto qualora il giudice possa escludere ogni incertezza circa la identificazione del destinatario di esso, attraverso la valutazione complessiva dell’atto: tale convincimento ritiene questo Giudice di poter con sufficiente certezza raggiungere nel caso di specie, in quanto la comunicazione comunale di cui si tratta contiene elementi (n. di prot., oggetto e riferimenti abbastanza inequivoci a precedente corrispondenza intervenuta sul punto col Sig. Cordani), tali da poterla considerare destinata effettivamente ed esclusivamente alla "Immobiliare Bella Vista" e non al Sig. Cordani in proprio.

Del resto, non si dimentichi che la società "Immobiliare Bella Vista" contesta, col ricorso all’esame, la debenza del "versamento a conguaglio degli importi dovuti a titolo di contributo di concessione" e che la relativa declaratoria, richiesta a questo T.A.R. con la domanda giudiziale, si configura come domanda di accertamento negativo, che prescinde del tutto dall’annullamento, e dunque dai vizi dell’atto comunale indicato in epigrafe.

Né, peraltro, dalla ricostruzione dell’esatto destinatario dell’atto in questione (da individuarsi, come s’è detto, nella "Immobiliare Bella Vista") pare potersi far derivare la inammissibilità della impugnazione da parte del Sig. Cordani in proprio.

Egli, infatti, quale socio accomandatario della s.a.s. di cui si tratta, riveste la qualifica di imprenditore e risponde solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali; seppur sussidiaria, tale responsabilità costituisce comunque titolo sufficiente a fondare la legittimazione e l’interesse a promuovere azione di accertamento negativo di debiti sociali.

A fondamento della pretesa, viene poi dedotta dal ricorrente, col secondo motivo di ricorso, l’intervenuta prescrizione del diritto dell’Amministrazione a conseguire il contributo di concessione.

Si deve, in proposito, considerare che l’art. 35 della legge n. 47 del 1985, come modificato dall’art. 4 del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 1988, n. 68, prevede quanto segue: "fermo il disposto del primo comma dell'articolo 40 e con l'esclusione dei casi di cui all'articolo 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti".

Il términe iniziale, da cui decorre la prescrizione, non è espressamente indicato, ma è evidente che si tratta dello stesso términe previsto per la formazione del silenzio-accoglimento e cioè la data di presentazione della domanda di sanatoria delle opere abusive (in tal senso si è anche espresso il Ministero dei lavori pubblici con la Circolare del 6 febbraio 1989, n. 142).

Avendo la norma rubricata a base del motivo in esame soltanto ridotto a tre anni l’originario términe ordinario di prescrizione, ferma restandone la decorrenza, la questione sembrerebbe dover essere risolta nel senso prospettato dal ricorrente, avendo il Comune richiesto per la prima volta il pagamento del contributo in discussione nel maggio 1992 e dunque circa sei anni dopo la presentazione della domanda di condono.

Ma così, invece, ad un attento esame, non è.

Invero, l’abbreviazione a tre anni del términe di prescrizione è stata, come si è detto, introdotta – nel comma 12 (ora 18) del citato art. 35 – dalla legge 13 marzo 1988, n. 68, di conversione del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2.

L’art. 4, comma 6, del citato D.L. dispone, infatti, che "al comma 12 dell’art. 35 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: << ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti >>.

Tale ultimo periodo del comma 6 del citato art. 4 – che è quello che poi rileva ai fini della decisione in ordine al motivo di ricorso in esame – è stato aggiunto dalla legge di conversione 13 marzo 1988, n. 68, la quale è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 14 marzo 1988 n. 61 ed è entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione.

Ne consegue, dunque, che l’originario términe di prescrizione è stato ridotto a tre anni; ma tale riduzione, a parere del Collegio, in virtù della sua collocazione nel contesto dell’art. 35, oltre che del suo mancato richiamo da parte dell’art. 37 successivo (dedicato al "contributo di concessione"), deve intendersi correttamente riferita al solo conguaglio della oblazione (il cui diritto il Comune, dunque, conserva per un altro anno dopo la formazione del silenzio-assenso) e non anche al contributo concessòrio, per il quale resta fermo l’ordinario términe decennale, di cui all’art. 2946 del Codice civile.

Nel più breve términe prescrizionale di cui all’art. 35 cit., pertanto, il Comune conserva integra la facoltà di esercizio del potere di rettificare l’importo della oblazione auto determinato dal richiedente la sanatòria e di pretendere il pagamento del relativo conguaglio; mentre l’esercizio (del quale si fa qui questione) della facoltà rientrante nel diritto soggettivo ad ottenere il pagamento della somma dovuta a titolo di contributo di concessione è soggetto al términe di prescrizione decennale.

Del resto, è principio ineludibile quello secondo il quale "le leggi … che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati" (art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale); e non può non considerarsi norma eccezionale, soggetta a tale principio interpretativo, la predetta disposizione dell’art. 35, laddove fissa un términe prescrizionale più breve.

Applicando, così, il principio di diritto sopra enunciato, il diritto del Comune di Bergamo al contributo concessorio de quo non si può considerare estinto per prescrizione alla data del provvedimento impugnato, non essendo ancòra decorsi, alla data del 6 dicembre 1995 (anche a voler ignorare gli atti eventualmente interruttivi della prescrizione in precedenza intervenuti), i dieci anni dalla presentazione della domanda di condono, avvenuta, secondo le stesse affermazioni di ricorso, nell’anno 1986.

Alla stregua di quanto detto, il secondo motivo di ricorso deve rigettarsi.

Con il terzo motivo di gravame, si deduce violazione di legge, asserendosi che "il pagamento del contributo non ha alcun senso in relazione ad un’opera demolita prima dell’accoglimento della domanda di condono e prima del rilascio della concessione (mai rilasciata), in luogo della quale, per di più, è stato edificato un nuovo edificio munito di regolare concessione …" (pagg. 4 e 5 mem. del 16 marzo 1996).

Una volta rilevato che sulla istanza di condono edilizio che viene in considerazione risulta essersi formato il silenzio-assenso di cui all’art. 35, comma 18, della legge n. 47 del 1985 (vedasi supra, punto 1.2), il fatto che, successivamente alla formazione di tale tacito provvedimento, l’immobile oggetto del condono sia stato demolito (sulla base di regolare concessione edilizia) non fa estinguere l’obbligazione alla corresponsione, in favore del Comune, del contributo concessorio di cui trattasi.

L’avvenuta demolizione di un edificio abusivo non dà titolo, infatti, al Comune per la riscossione del relativo contributo di concessione solo laddove essa sia disposta in esecuzione del giudicato d’annullamento di una concessione edilizia, oppure laddove sia posta in essere in esecuzione di interventi dell’Amministrazione, sanzionatori dell’abuso edilizio.

Laddove, invece, come nella fattispecie, il provvedimento di sanatoria (seppur tacito) dell’immobile abusivo sia comunque intervenuto e l’immobile sia stato poi demolito dal proprietario di sua iniziativa, in forza delle facoltà inerenti il diritto di proprietà e nell’ambito di una vicenda urbanistico-edilizia successiva e del tutto estranea al procedimento di sanatoria (vicenda che anzi trae, con tutta probabilità, proprio dalla intervenuta sanatoria la sussistenza dei presupposti legittimanti le nuove concessioni), la sopravvenuta esistenza del bene di riferimento non fa venir meno l’obbligazione al pagamento del contributo concessorio, nata col provvedimento che ha definito il condono, che in quel provvedimento trova il suo esclusivo titolo.

Del resto, anche a voler per un attimo obliare che trattasi di obbligazione pecuniaria (la cui prestazione non diviene mai, per sua stessa natura, impossibile), v’è da ricordare che costituisce modalità di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore; mentre, nella vicenda de qua, il fatto che il bene di riferimento (l’immobile) non sia più presente nella realtà dipende dalla libera autodeterminazione del debitore stesso, che ha deciso un diverso utilizzo edilizio-urbanistico dell’area in conformità alle prescrizioni di zona e che non può pretendere di inferirne conseguenze a danno del creditore di un’obbligazione insorta in forza dell’esistenza di quel bene medesimo.

3. – L’accertata infondatezza di tutti i motivi di gravame comporta la reiezione del ricorso.

Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – definitivamente decidendo in ordine al ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Brescia, il 16 marzo 2001, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei signori:

Francesco MARIUZZO - Presidente;

Sergio CONTI - Consigliere;

Salvatore CACACE - Referendario, relat. est.

Depositata in data 11 – 04 - 2001.

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