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n. 11-2001 - © copyright.

TAR LOMBARDIA, SEZ. DI BRESCIA – Sentenza 12 novembre 2001 n. 891 - Pres. ed Est. Mariuzzo - ITALCOGIM S.p.A. (Avv.ti Villata e Degli Esposti) c. Comune di Arcene (Avv.ti Besostri e Di Giovine) e con l’intervento ad adiuvandum di ASSOGAS (Avv.ti Morbidelli, Bruni e Porqueddu) - (respinge).

Giurisdizione e competenza - Giurisdizione esclusiva - In materia di concessioni amministrative - Controversia riguardante una delibera con la quale si dà un preavviso al riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas - Rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A. - Circostanza che la delibera prevede solo un preavviso ma non dispone immediatamente il riscatto - Irrilevanza.

Comune e Provincia - Servizi pubblici - Servizio di distribuzione del gas - Disciplina transitoria prevista dal D.lgs. 23.5.2000, n. 164 - Risoluzione del rapporto prima della nuova scadenza stabilita dal decreto legislativo - Possibilità - Condizioni.

Rientra nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. prevista dall’art. 5, 1° comma della L. 6.12.1971, n. 1034, una controversia riguardante una delibera con la quale un Consiglio comunale ha deciso di dar corso al preavviso di riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas, a nulla rilevando che tale delibera, prevedendo solo un preavviso, non dispone immediatamente il riscatto.

Nel quadro normativo introdotto dall’art. 15 del D.lgs. 23.5.2000, n. 164, se resta fermo nel periodo a regime l’obbligo di affidare il servizio pubblico di distribuzione del gas esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a 12 anni, nulla è peraltro espressamente stabilito in ordine ad un’eventuale risoluzione anticipata del rapporto concessorio; deve pertanto ritenersi legittima una delibera che stabilisca la risoluzione del rapporto prima della nuova scadenza stabilita dalla legge, ove siano specificatamente individuate le ragioni poste a fondamento della decisione adottata ed i fini perseguiti (1).

Ai sensi dell’art. 24 del R.D. 2578/1925, i Comuni possono avvalersi della facoltà di disdetta quando sia decorso un terzo del periodo complessivo della concessione; in ogni caso essi hanno tuttavia diritto al riscatto dopo 20 anni dall’inizio della relativa attività di distribuzione, ma non possono esercitarlo prima che ne siano passati 10. In difetto di disdetta alle scadenze considerate, l’esercizio della facoltà di riscatto potrà avvenire dopo il decorso di un quinquennio e così successivamente di seguito.

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(1) Commento di

MICHELE LUCCISANO (Sindaco di Arcene)

La compatibilità dell’esercizio del diritto di riscatto della gestione del gas metano con il sistema normativo del decreto legislativo 164/2000 (c.d. decreto Letta)

Con sentenza nr. 89/2001 del 10 luglio 2001, pubblicata il 12 novembre 2001, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, Sezione di Brescia (Presidente e relatore il dr. Francesco Mariuzzo, componenti il collegio il dr. Sergio Conti e la dr.ssa Rita Tricarico), ha deciso il merito ed ha respinto il ricorso proposto dalla Italcogim S.p.A. di Milano contro la deliberazione con la quale il Consiglio Comunale di Arcene, piccolo centro in provincia di Bergamo, alla fine del dicembre 2000 aveva avviato il procedimento per esercitare il diritto di riscatto del servizio di distribuzione del gas-metano nella rete comunale.

I Giudici di Brescia avevano già respinto nel febbraio scorso la richiesta di sospensiva avanzata dalla società ricorrente e con la decisione sul merito del ricorso hanno riconosciuto la piena legittimità dell’iniziativa del Comune di Arcene anche nel nuovo quadro normativo come delineato per l’importante servizio di distribuzione del gas nelle reti cittadine dal Decreto legislativo 164/2000 (il c.d. Decreto Letta).

La sentenza è probabilmente la prima che interviene su un procedimento di riscatto avviato in piena vigenza del Decreto Letta ed anche per questo assume un’importanza che va oltre il caso deciso e preoccupa non poco le società che operano nel mercato del gas che si erano costituite con la loro associazione di settore nel giudizio ad adiuvandum a fianco della società ricorrente.

Nel ricorso la società ricorrente - e con lei l’Assogas - avevano sostanzialmente eccepito l’illegittimità dell’iniziativa del piccolo comune bergamasco sostenendo l’abrogazione implicita della veccia norma del Testo unico sulla municipalizzazione dei servizi pubblici locali che consentiva a determinate condizioni ai comuni di rientrare nella titolarità piena della gestione dei servizi dati in concessione allorché fosse documentata la maggiore convenienza finanziaria per l’ente stesso.

La lettura della sentenza, attraverso un’attenta disamina dell’insieme delle disposizioni legislative che riguardano la materia ed anche oltre il merito del caso deciso, sembra addirittura ipotizzare la piena compatibilità dell’istituto del riscatto del servizio pubblico locale affidato in concessione con la disciplina a regime del servizio di distribuzione del gas-metano come delineata dal citato Decreto Letta.

Piena soddisfazione per l’esito della controversia, che avrà probabilmente un seguito per l’attesa impugnativa davanti al Consiglio di Stato da parte della Associazione che raggruppa le imprese del settore, è stata espressa dagli amministratori del comune interessato che potranno così concludere il procedimento di riscatto dell’importante servizio pubblico per far conseguire un importante risultato finanziario al bilancio dell’ente.

 

per l’annullamento

della delibera 27.12.2000, n. 87, con cui il Consiglio comunale di Arcene ha deciso di dar corso al preavviso di riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas

(omissis)

FATTO

La ricorrente premette di gestire il servizio di distribuzione del gas nel territorio del Comune di Arcene in base alla convenzione sottoscritta il 3.11.1966 ed al successivo atto integrativo di proroga del rapporto del 25.7.1991.

Relativamente alla durata di quest’ultimo è da precisare che la stessa era stata originariamente prevista in 24 anni e che è stata successivamente prorogata per ulteriori 20 anni in dipendenza del ridetto atto integrativo del 1991 a fronte di un ampliamento della rete distributiva di circa 6 km.

Ad avviso dell’istante la delibera impugnata, con la quale il Consiglio comunale ha comunicato il preavviso di riscatto a norma dell’art. 24 del R.D. 15.10.1925, n. 2578, sarebbe illegittima: 1) per violazione degli artt. 14 e 15 del D.lgs. 23.5.2000, n. 164, dovendosi intendere implicitamente venuta meno la possibilità di anticipato riscatto delle concessioni in essere in virtù del sopravvenuto divieto di gestione diretta del servizio di distribuzione del gas da parte degli Enti territoriali; 2) per violazione dell’art. 30 della L. 23.12.1999, n. 488 (legge finanziaria 2000), avuto riguardo al divieto ivi espresso di maggiori oneri finanziari a carico delle Amministrazioni, quali emergerebbero a causa del pagamento del riscatto degli impianti medio tempore realizzati dall’istante; 3) per violazione del termine di preavviso stabilito dal già richiamato art. 24 del R.D. 2578/1925, poiché il Comune non l’avrebbe esattamente computato; 4) per eccesso di potere per difetto di motivazione in ordine alla convenienza di assumere direttamente il servizio.

Il Comune di Arcene si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso e richiedendone nel merito la reiezione.

E’ altresì intervenuta in giudizio l’Assogas, che si associata alle richieste avanzate dalla ricorrente.

Con ulteriori memorie prodotte nell’imminenza della discussione del ricorso sia la parte istante sia la resistente hanno insistito nelle rispettive conclusioni.

All’udienza del 10.7.2001 la causa è stata trattenuta a sentenza dal collegio.

DIRITTO

In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa del Comune di Arcene, il quale ha sostenuto che la delibera impugnata, avendo ad oggetto il mero preavviso dell’eventuale futura delibera di riscatto, non integrerebbe alcuna lesione della sfera soggettiva della ricorrente, che dovrebbe ricondursi in via esclusiva alla diversa e futura statuizione di competenza del Consiglio comunale; soltanto con l’adozione di quest’ultima, previo approfondimento dei termini del problema anche sotto il non secondario profilo finanziario, potrebbe infatti essere adottato l’atto di risoluzione del rapporto di concessione in essere.

Detto ordine argomentativo non è condiviso dal Collegio, che rileva che l’interesse della deducente è strettamente connesso all’accertamento della legittimità dello stesso preavviso di riscatto, da riguardarsi alla luce delle svolte censure, con le quali è stato dedotto in primis lo stesso venir meno dell’istituto del riscatto e per altro verso la sua tardività, oltre alla violazione della regola di non aggravio delle finanze comunali stabilito dalla ridetta legge finanziaria del 2000.

A fronte di una tralatizia logica processuale, propria del giudizio in sede di giurisdizione generale di legittimità, volta costantemente a postergare la fase dell’effettivo controllo giudiziario dei termini dell’insorta lite, pare invero ipotizzabile più di qualche dubbio alla stregua del principio di effettività della tutela giurisdizionale garantita dall’art. 24 della Costituzione, oltre che dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Nel caso all’esame appare peraltro sufficiente e pienamente corrispondente al quadro della giurisdizione esclusiva, qual è quella propria delle concessioni considerate dall’art. 5, 1° comma della L. 6.12.1971, n. 1034, l’obbligo del collegio di fornire già in questa sede immediata risposta alle censure introdotte allo scopo di verificarne la fondatezza o meno nel quadro normativo introdotto dal D.lgs. 23.5.2000, n. 164 e nei termini stabiliti sia dalla L. 23.12.1999, n. 488 sia dal R.D. 2578/1925.

Nell’ipotesi, infatti, d’accoglimento del ricorso non pare contestabile la conseguente e diretta definizione non soltanto del pendente processo, ma della stessa lite pendente fra le parti, posto che resterebbe interdetto l’esercizio del potere di riscatto e la concessione in essere potrebbe proseguire fino alla scadenza prevista dal richiamato D.Lgs.; il che significa che, all’opposto, sarebbe invece procedibile la procedura d’anticipata risoluzione del rapporto.

Passando dunque all’esame del merito va esaminata la prima censura con cui la ricorrente argomentatamente allega che, nel sistema delineato dal sopravvenuto D.Lgs. 164/2000, non vi sarebbe più spazio per un’assunzione diretta del servizio da parte degli Enti territoriali e che sarebbe conseguentemente venuto meno lo strumento a ciò direttamente preordinato nel previgente ordinamento, vale a dire l’anticipata risoluzione di un rapporto a durata pluriennale con riscatto degli impianti medio tempore realizzati dal concessionario.

A parere del Collegio l’introdotta doglianza non può essere accolta.

Si osserva in proposito che, a norma dell’art. 15 del visto D.Lgs., avente testualmente ad oggetto il regime di transizione nell’attività di distribuzione del gas, "gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita, se compresa nei termini stabiliti dal comma 7 per il periodo transitorio"; quest’ultimo è, poi, a sua volta determinato in 5 anni a decorrere dal 31.12.2000, incrementabili nella ricorrenza dei presupposti espressamente previsti dal ridetto comma fino ad un massimo di ulteriori 6 anni.

Da questo punto di vista, pertanto, se resta fermo nel periodo a regime l’obbligo di affidare il servizio pubblico di distribuzione del gas esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a 12 anni, nulla è peraltro espressamente stabilito in ordine ad un’eventuale risoluzione anticipata del rapporto concessorio; il divieto di darvi corso viene invero dedotto dalla ricorrente dalla circostanza che il recupero della disponibilità degli impianti che così si attuasse sarebbe priva di pratico significato alla luce del divieto di esercizio diretto della distribuzione da parte dell’Ente locale.

Nella sua memoria di costituzione il Comune di Arcene resiste alla vista censura, sottolineando che l’interesse a dar corso alla procedura di riscatto coinciderebbe invece proprio con la finalità primaria di garantire "il recupero della piena disponibilità della rete, degli impianti e delle dotazioni", da considerarsi quale obiettivo pienamente satisfattivo del pubblico interesse.

Detta argomentazione non appare, tuttavia, di per sé persuasiva, essendo priva di rilievo una vicenda che non sia preordinata al perseguimento di un scopo diverso ed ulteriore rispetto al visto recupero, posto che il possesso degli impianti, ove disgiunto dalla possibile successiva distribuzione del gas, si risolverebbe in un evento incompatibile con la continuità del servizio pubblico alla luce del divieto anche temporaneo e strumentale d’assunzione diretta dello stesso.

La soluzione del problema sembra, invece, perseguibile attraverso la valorizzazione, da una parte, dell’inesistenza di un testuale divieto di dar corso al riscatto nel periodo transitorio, che pur tollera la prosecuzione dei rapporti in corso fino al 31.12.2005 e se del caso anche successivamente e, dall’altra, della circostanza che questi ultimi hanno durata pluriennale e sono dunque esposti, avuto riguardo a quanto pattuito nelle originarie convenzioni, a sempre possibili rivalutazioni per il perseguimento del pubblico interesse, ivi non esclusi i profili finanziari; e ciò per il solo fatto dell’aver avuto origine in epoca pregressa e per protrarsi essi nel tempo con il rischio di possibili pregiudizi o comunque di minori vantaggi per il servizio in sé o per i relativi proventi e costi.

Coglie dunque nel segno la diversa argomentazione svolta dalla difesa del resistente, ove afferma che la previsione di un graduale passaggio dal vecchio al nuovo regime non ha introdotto l’obbligatoria prosecuzione del rapporto senza alcuna possibilità di porvi fine anticipatamente.

Il che dunque significa che, ferma la necessità che nell’eventuale futura delibera che stabilisca la risoluzione del rapporto prima della nuova scadenza stabilita dalla legge siano specificatamente individuate le ragioni poste a fondamento della decisione adottata ed i fini perseguiti, l’esercizio del diritto di riscatto non può dirsi a priori escluso, come ricorrerebbe anche soltanto se il Comune intendesse dar anticipatamente corso ad una pubblica gara per verificare il perseguimento di maggiori vantaggi sotto i profili già indicati mediante la sperimentazione del principio della libera concorrenza all’interno di un mercato unico comunque destinato ad essere operativo al termine del previsto periodo transitorio.

Rafforzano l’assunta conclusione sia l’assenza nell’art. 41 della L. 17.5.1999, n. 144, avente ad oggetto la delega al Governo per l’emanazione di uno o più Decreti legislativi per dare attuazione alla direttiva 22.6.1998, n. 98/30/CEE, di principi e criteri direttivi per dar corso all’abrogazione dell’istituto del riscatto sia il fatto che quest’ultimo è in realtà consono con l’esigenza perseguita dalla suddetta direttiva, che è, infatti, diretta a disciplinare con norme comuni all’interno dell’Unione il mercato del gas naturale e non contrasta dunque con la sua anticipata parziale attivazione sia, infine, la circostanza che l’istituto del riscatto anticipato ha formato oggetto di espressa pattuizione fra le parti contraenti, che l’hanno richiamato all’art. 2 della convenzione 25.7.1991, n. 792, con cui il rapporto a favore della ricorrente è stato prorogato al di fuori di ogni gara e nel concorso di speciali circostanze.

A questo riguardo giova soltanto precisare che l’art. 24 del R.D. 2578/1925 è stato poi espressamente richiamato dall’art. 123, 3° comma del D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, che ne prevede l’applicabilità ai rapporti in corso di esecuzione.

Il rilievo al riguardo mosso dalla ricorrente in base al quale il D.Lgs. 264/2000 assolverebbe la funzione di disciplinare in via esclusiva la distribuzione del gas naturale con esclusione di ogni diversa fonte normativa non può essere condiviso, apparendo irrazionale che, sia pure nei limiti già indicati, non sia invocabile in materia di distribuzione del gas naturale una norma valevole in via assolutamente generale per tutti i contratti pluriennali della pubblica Amministrazione: il che esime il Collegio dall’affermare che l’eventuale ipotizzata abrogazione non farebbe di per sé venir meno la clausola contrattuale convenuta tra le parti a disciplina del rapporto e soprattutto a salvaguardia di un equilibrio contrattuale esposto, come già detto, all’inevitabile usura del tempo.

Passando all’esame della seconda, della terza e della quarta censura, che possono essere trattate congiuntamente, può brevemente rilevarsi in ordine alla prima che l’onere di compiuta motivazione dell’eventuale risoluzione anticipata del rapporto non può che far carico alla futura delibera da adottarsi da parte dell’Ente locale e non già a quella con la quale la seconda è meramente facultata: è soltanto dall’esame di ogni necessario elemento di valutazione che potrà, infatti, verificarsi il rispetto del precetto introdotto dall’art. 30 della L. 488/1999 nella parte in cui ha fatto divieto di oneri aggiuntivi per la finanza pubblica da compararsi con i presumibili vantaggi presupposti dall’operazione di riscatto. Dal visto rilievo discende conseguentemente che anche l’assunto difetto di motivazione è nella specie insussistente.

Quanto all’ultima censura dedotta, con cui si allega la tardività del preavviso occorre ricordare che, in base all’art. 24 del R.D. 2578/1925, i Comuni possono avvalersi della facoltà di disdetta quando sia decorso un terzo del periodo complessivo della concessione; in ogni caso essi hanno tuttavia diritto al riscatto dopo 20 anni dall’inizio della relativa attività di distribuzione, ma non possono esercitarlo prima che ne siano passati 10. Infine, in difetto di disdetta alle scadenze considerate, l’esercizio della facoltà di riscatto potrà avvenire dopo il decorso di un quinquennio e così successivamente di seguito.

Nella specie l’art. 3 della convenzione 3.11.1966, n. 193 prevede la durata della concessione in 24 anni a partire dall’anno successivo al collaudo degli impianti; pertanto, essendo questo pacificamente intervenuto il 7.10.1966, il termine iniziale della concessione deve essere individuato, diversamente da quanto assunto nell’atto introduttivo, nel 1.1.1967.

Si deve, poi tener conto che, in base all’art. 8 del D.P.R. 4.10.1986, n. 902, resta irrilevante ai fini del computo dei suddetti termini il rinnovo o la proroga della concessione, per cui resta valida a tale scopo la data iniziale del 1.1.1967.

Per dare corretta applicazione al richiamato art. 24 alla vicenda in esame occorre dunque considerare che alla data del preavviso era già decorso sia il terzo del primo periodo considerato (24 anni) sia soprattutto quello di 20 anni dal 1.1.1967, il che abilitava comunque il Comune a dare il prescritto preavviso di quinquennio in quinquennio.

In conclusione, andando a maturare al 31.12.1986 la scadenza del periodo ventennale, i quinquenni successivi concidono rispettivamente con il 31.12.1991, 31.12.1996 e, infine, 31.12.2001, il che significa che la delibera 27.12.2000, n. 87 è dunque pienamente tempestiva agli effetti considerati, essendo stata adottata nell’anno anteriore all’ultimo quinquennio.

Vale in proposito richiamare quanto già enunciato nella sentenza 22.1.2001, n. 19 della Sezione, dalla quale il collegio non ha ragione di discostarsi, nella quale è stata evidenziata la ratio perseguita dal visto art. 24, che è quella di garantire che il rapporto concessorio abbia una durata sufficiente ad assicurarne una stabilità adeguata per la programmazione dell’ammortamento dei costi per le opere necessarie ed a garantire anche l’interesse pubblico all’equilibrio finanziario del rapporto, il che trova compiuta attuazione o nel decorso del terzo del periodo considerato oppure comunque dopo il decorso di 20 anni e successivamente a detta scadenza di cinque anni in cinque anni.

Per le svolte considerazioni il ricorso deve essere respinto.

Reputa, tuttavia, il Collegio che sussistano sufficienti ragioni, rese palesi dalla particolarità del caso trattato, per compensare integralmente fra le parti in causa le spese, le competenze e gli onorari di difesa.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate.

Così deciso a Brescia, il 10.7.2001, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia in Camera di Consiglio, con l'intervento dei signori:

Francesco Mariuzzo - Presidente

Sergio Conti - Giudice

Rita Tricarico - Giudice

Depositata il 12 novembre 2001.

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