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n. 3-2002 - © copyright.

TAR LOMBARDIA-BRESCIA – Sentenza 11 marzo 2002 n. 476 - Pres. Mariuzzo, Est. Tricarico - Pizzo (Avv.ti Guerra e Marulli) c. Comune di Monzambano (Avv. Arria) e Cipriani ed altro (Avv. Nicolini) - (accoglie).

1. Giustizia amministrativa - Termine per l’impugnazione - Decorrenza - Presupposto della piena conoscenza del provvedimento - Nozione - Individuazione.

2. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Impugnazione - Da parte dei proprietari vicini - Decorrenza del termine di impugnazione - Dalla data di intervenuta ultimazione dei lavori assentiti.

3. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Impugnazione - Legittimazione attiva - Dei proprietari vicini - Va riconosciuta - Ragioni.

4. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Per costruzione interrata - Nel caso in cui risulti che la costruzione stessa sia interrata solo da un lato - Illegittimità.

5. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - In zona a verde agricolo - Disciplina prevista dalla L. reg. Lombardia n. 93/80 - Presupposti previsti dalla legge (opere in funzione della conduzione del fondo e destinazione di esse alla residenza dell’imprenditore agricolo) - Necessità - Mancanza - Illegittimità.

1. Per "piena conoscenza" del provvedimento, ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione ex art. 21, 1° comma della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, deve intendersi una cognizione del provvedimento tale da fornire gli elementi identificativi e caratterizzanti lo stesso e da rendere possibile al potenziale ricorrente la percezione dell’esistenza e dell’entità di eventuali profili di illegittimità del provvedimento, nonché della portata lesiva del medesimo.

2. Il termine per l’impugnazione di una concessione edilizia decorre, per i soggetti terzi rispetto a tale provvedimento, dalla data di intervenuta ultimazione dei lavori assentiti, dovendosi ritenere che da tale data sorga una presunzione iuris et de iure di piena conoscenza del provvedimento.

3. Deve riconoscersi la legittimazione dei proprietari delle aree vicine ad impugnare una concessione edilizia, atteso che l’elemento della vicinitas è ex se sufficiente a conferire la legittimazione al ricorso, tenuto peraltro conto del fatto che il ricorso avverso concessioni edilizie costituisce tipicamente strumento di difesa della tipologia della zona e, dunque, di tutela delle esistenti proprietà di fronte ad opere che ne turbino l’ordinato sviluppo.

4. E’ illegittima una concessione edilizia rilasciata per una costruzione (nella specie, un garage) che doveva essere realizzata completamente interrata, ove risulti che la costruzione stessa sia effettivamente interrata solo da un lato, mentre dall’altro, invece, fuoriesca dal piano di campagna di diversi metri.

5. E’ illegittima una concessione edilizia per una costruzione da realizzare in zona agricola, ove non sussistano i presupposti previsti dalla legislazione regionale (alla stregua del principio nella specie il TAR Lombardia, premesso che la L. reg. Lombardia n. 93/80 ammette esclusivamente in zona a verde agricolo la realizzazione di "opere in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive" in capo a soggetti che risultino essere imprenditori agricoli, e che la legge stessa prevede la prevalenza di dette previsioni su quelle contenute negli strumenti urbanistici, ha ritenuto illegittima la concessione edilizia impugnata, dato che non sussisteva nella specie alcuno dei due presupposti normalmente prescritti dalla predetta norma e cioè la natura di opere in funzione della conduzione del fondo e la destinazione di esse alla residenza dell’imprenditore agricolo).

 

 

PER L’ANNULLAMENTO

della concessione edilizia 29.4.97 n. 21/98, rilasciata dal Comune di Monzambano ai controinteressati per la realizzazione di un garage interrato.

(omissis)

FATTO

Il ricorrente Pizzo Giovanni è amministratore dei beni di Pizzo Lucio, il quale è anche proprietario di un fondo, confinante ad est con la proprietà dei controinteressati, sito nel Comune di Monzambano in località Signorelli.

I controinteressati, a seguito di domanda presentata in data 25.11.97, il 29.4.98 ottennero una concessione edilizia per la costruzione di un garage interrato, rilasciata sulla base di un provvedimento di autorizzazione paesistica del Comune stesso in virtù dei poteri delegati ex L.R. 9.6.1997 n.18.

Il ricorrente asserisce che, in realtà, non si tratterebbe di garage interrato, in quanto poggiante sulla stessa quota del piano naturale del terreno, ed inoltre che, per la presenza di impianto di riscaldamento e di una stanza da bagno, oltre che di tubi e di comignoli sopraelevati, sussisterebbe il sospetto che il vero obiettivo sia stato la costruzione di un’abitazione.

Avverso detto provvedimento, sono stati dedotti i seguenti vizi:

1) eccesso di potere, illegittimità per palese travisamento dei fatti, carenza dei presupposti e violazione di legge;

2) eccesso di potere, sviamento di potere per carenza di interesse pubblico;

3) violazione di legge, atto emesso in violazione degli artt. 2, 3 della L.r. 7.6.1980 n. 93, recante "norme di edificazione nelle zone agricole", nonché in violazione degli artt. 35.4.1, 35.4.2, 35.5, 35.6.3 del piano regolatore generale comunale del Comune di Monzambano.

Si sono costituiti in giudizio tanto il Comune resistente quanto i controinteressati.

Nella pubblica udienza del 16.11.2001 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

I. In primo luogo vanno esaminate le eccezioni di rito opposte dall’Amministrazione resistente e dai controinteressati.

I.1. La prima eccezione sollevata è quella di tardività del ricorso.

In proposito, richiamando l’art. 21, 1° comma della L. 6.12.1971, n. 1034 conferente in materia, va rilevato che il termine di 60 giorni per notificare il ricorso, a pena di decadenza, decorre alternativamente dal giorno della notifica del provvedimento impugnato, qualora questa sia prevista nei confronti del potenziale ricorrente, o da quello in cui sia scaduto il termine per la pubblicazione, nel caso in cui la stessa sia stabilita da disposizioni normative, o, infine, dal giorno della piena conoscenza del provvedimento stesso.

Nel caso di specie, trattandosi di concessione edilizia rilasciata ai controinteressati e pertanto di soggetti terzi rispetto a tale provvedimento, il "dies a quo" coincide con la piena conoscenza dell’impugnata concessione edilizia.

In proposito la giurisprudenza amministrativa ha individuato nell’intervenuta ultimazione dei lavori assentiti la presunzione iuris et de iure di piena conoscenza del provvedimento con la conseguenza, che, da tale data, decorre il termine per ricorrere in sede giurisdizionale.

Secondo quanto eccepito dal Comune e dai controinteressati detta piena conoscenza si sarebbe, tuttavia, realizzata in capo al ricorrente prima del completamento dei lavori, come si dedurrebbe da alcune lettere prodotte in giudizio.

Detto ordine di idee non può essere condiviso.

Per "piena conoscenza" deve infatti, intendersi una cognizione del provvedimento tale da fornire gli elementi identificativi e caratterizzanti lo stesso e da rendere possibile al potenziale ricorrente la percezione dell’esistenza e dell’entità di eventuali profili di illegittimità, nonché della portata lesiva, del medesimo.

Nel caso di specie gli elementi di prova offerti dal Comune resistente e dai controinteressati sono rappresentati da una lettera-diffida del ricorrente, nella sua veste di procuratore legale del figlio Lucio, in data 12.3.1999 e da un’ulteriore lettera in data 10.6.99, in qualità di membro di Legambiente, avente ad oggetto "quesiti su costruzioni interrate".

Dalla prima, di esse, peraltro, non si evince alcuna prova dell’esatta individuazione dell’opera assentita, in quanto egli si limita ad affermare che "nel corso dei lavori sono state realizzate costruzioni in calcestruzzo…entro le misure di rispetto indicate dall’art. 873 c.c.".

Quanto alla seconda lettera, il ricorrente, in qualità di socio di Legambiente, si è limitato a chiedere se la costruzione realizzata, che non sembra possa essere considerata completamente interrata sia o meno corrispondente alla previsione di cui alla concessione edilizia de qua.

Dalle due lettere citate pare dunque ricavarsi al più la conoscenza dell’intervenuto rilascio di una concessione edilizia, rispetto alla quale fa tuttavia difetto ogni diversa cognizione di essa anche ai fini della natura abusiva o meno dell’opera medio tempore realizzata.

Ne deriva che l’eccezione di tardività va disattesa.

I.2.1. Il Comune intimato eccepisce, inoltre, il presunto difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente, in quanto lo stesso non potrebbe "arrogarsi l’onere di tutelare l’ambiente circostante il proprio fondo se non in presenza di un preciso interesse".

In proposito si deve, invece, affermare che l’elemento della "vicinitas" è ex se sufficiente a conferire la legittimazione al ricorso, essendo quest’ultimo strumento di difesa della tipologia della zona e dunque di tutela delle esistenti proprietà di fronte ad opere che ne turbino l’ordinato sviluppo

Ne consegue che anche la detta eccezione non è meritevole di accoglimento.

I.2.2. Infine i controinteressati eccepiscono il difetto di legitimatio ad causam, per essere il proprietario del fondo confinante con il loro non già il ricorrente, bensì un terzo e, cioè, il signor Lucio Pizzo.

A tale proposito va immediatamente rilevato che il ricorrente è stato nominato da quest’ultimo procuratore speciale per il compimento di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione concernenti l’immobile considerato insieme ad altri, giusta procura speciale per notaio Fulvio Bidello in data 18.2.1981 rep. N. 41118, prodotta in atti; che tale procura prevede espressamente, il potere di "agire e resistere in giudizi di qualunque ordine e grado nominando all’uopo procuratori alle liti".

Anche detto profilo va quindi respinto.

1. Passando ora all’esame del merito si premette che la concessione in questione ha ad oggetto la costruzione di un garage interrato, che secondo il ricorrente non sarebbe però tale.

Osserva al riguardo il Collegio che la questione introdotta trae origine dalla circostanza che il terreno sul quale insiste il manufatto è in declivio, il che comunque, diversamente da quanto sostiene il Comune, non impedisce affatto di individuare un piano di campagna, rappresentato dal livello naturale del terreno.

Nel caso di specie, esaminando la prodotta documentazione fotografica, si rileva che, se da una parte del declivio l’opera è effettivamente interrata tranne che per una canna fumaria sporgente di 2,5 metri, dall’altra, invece, fuoriesce di diversi metri.

Il che è dunque sufficiente a dimostrare l’erroneità di quanto presupposto dal Comune, che resta comunque evidente anche nell’ipotesi che si volesse considerare il livello naturale medio del terreno: con riferimento ad una parte di declivio, la sporgenza dal garage è, infatti, pari a quella di una normale costruzione, mentre, con riguardo all’altra, sussiste egualmente una sporgenza da ritenersi sotto ogni profilo non autorizzabile.

Da quanto suesposto emerge altresì la fondatezza della dedotta violazione dell’art. 16, lett. f) della L.r. n. 18/97.

Con la disposizione citata, la Regione Lombardia ha delegato ai Comuni le funzioni amministrative in materia di tutela paesaggistica in caso di "opere interrate, totalmente o parzialmente, purchè le parti emergenti, funzionalmente collegate alla parte interrata, abbiano un’altezza non superiore a m. 2,5".

Detta autorizzazione è dunque egualmente illegittima, avendo il manufatto in questione altezze ben maggiori rispetto a quelle che radicano lo stesso potere delegato.

2. Il ricorrente lamenta inoltre l’eccesso di potere, sviamento di potere per carenza di interesse pubblico, sostenendo che concedere un’autorizzazione paesistica (in totale assenza di competenza) ed una concessione edilizia poi, relativamente a struttura ben diversa da quella astrattamente descritta dal richiedente, "non vuole certo dire perseguire l’interesse pubblico".

In proposito va peraltro rilevato che, in mancanza di diversi elementi di prova il denunciato vizio è insussistente, fermo restando ovviamente la già accertata illegittimità.

Il ricorrente afferma, inoltre, che la presenza di un impianto termico e di una stanza da bagno all’interno della costruzione farebbero sorgere il sospetto che, in realtà, sarebbe stato perseguito l’obiettivo di utilizzare la stessa come abitazione.

Gli elementi evidenziati, che pur sintomaticamente avvalorano l’ipotesi illustrata, non appaiono tuttavia sufficienti a dimostrare l’assunto, sicchè fermi restando i poteri repressivi comunali, nell’ipotesi che detta utilizzazione intervenga il motivo va anch’esso allo stato disatteso.

3. Infine viene dedotta la violazione degli artt. 2, 3 della L.r. 7.6.1980 n. 93, recante "norme di edificazione nelle zone agricole", nonché violazione degli artt. 35.4.1, 35.4.2, 35.5, 35.6.3 del piano regolatore generale comunale del Comune di Monzambano.

Preliminarmente va rilevato che l’intervento edilizio considerato insiste su area agricola classificata T.O.E3, zona individuata per essere preservata da eventuali consistenti compromissioni edificatorie ai fini di un possibile uso successivo di tipo diverso.

La citata L.r. n. 93/80 ammette esclusivamente la realizzazione di "opere in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive" in capo a soggetti che risultino essere imprenditori agricoli.

La stessa stabilisce, in caso di contrasto, la prevalenza di dette previsioni su quelle contenute negli strumenti urbanistici.

Nel caso di specie non si è verificato peraltro alcuno dei due presupposti normalmente richiesti per l’edificazione in dette aree, non constando la puntuale e specifica finalizzazione edilizia prescritta dalla norma.

Infine, va precisato che all’art. 1 la citata legge regionale stabilisce che gli strumenti urbanistici prevedano il soddisfacimento dei bisogni abitativi prioritariamente mediante il recupero degli edifici esistenti e l’uso delle aree parzialmente inedificate, mentre le disposizioni delle NTA al PRG, concernenti le zone classificate come agricole, sostanzialmente ricalcano i presupposti ed i limiti frapposti all’edificazione contenuti nella citata L.r. n. 93/80.

Quanto, poi, all’art. 35.7 delle NTA, lo stesso fa riferimento ad edifici esistenti in zona agricola e non adibiti ad usi agricoli, con previsione della possibilità di asservire a tali edifici una superficie di pertinenza non superiore a dieci volte la preesistente superficie coperta.

In proposito, però, al contrario di quanto affermano Amministrazione resistente e controinteressati, l’opera realizzata non può rientrare nel richiamato concetto di superficie pertinenziale, indicando, infatti, il termine "superficie" un concetto ben diverso da una "costruzione", che è rappresentata invece da un manufatto, la cui funzione pertinenziale non vale certo ad assimilarlo alla prima.

Dal che consegue che, in effetti, vi è stata concorrente violazione della L.r. n. 93/80, nonché delle NTA recanti la disciplina delle zone agricole.

In conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Le spese di giudizio, ivi compresi le competenze e gli onorari di difesa, restano a carico del Comune intimato e dei controinteressati e possono essere liquidate in complessivi Euro 3.054 (tremilacinquantaquattro) oltre ad oneri di legge.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia- Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna il Comune resistente e i controinteressati a corrispondere al ricorrente, in via solidale tra loro, la somma complessiva di Euro 3.054 (tremilacinquantaquattro).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Brescia, il 16 novembre 2001, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Francesco MARIUZZO - Presidente;

Alessandra FARINA – Giudice;

Rita TRICARICO - relatore estensore.

Depositata l'11 marzo 2002.

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