TAR LOMBARDIA-BRESCIA – Sentenza 18 settembre 2002 n. 1176
- Pres. Mariuzzo, Est. Tricarico - Negri ed altro (Avv. C. Arria) c. Comune di Mantova (Avv. C. Bergamaschi) e Urban (n.c.) - (accoglie).1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Controinteressato o no - Ricorso avverso il diniego di concessione edilizia in sanatoria - Notifica ai proprietari limitrofi - Nel caso in cui non sia prospettabile alcuna violazione delle distanze - Non occorre.
2. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Concessione in sanatoria c.d. "giurisprudenziale" - Normativa applicabile - E’ quella vigente al momento del rilascio della concessione in sanatoria - Ragioni.
3. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Per rifacimento della copertura e recupero del sottotetto - Va qualificato come ristrutturazione edilizia - Applicabilità in Lombardia della disciplina prevista dall’art. 3 della L. reg. n. 15/1996.
1. Un ricorso proposto avverso il diniego di rilascio di una concessione in sanatoria (nella specie si trattava di una richiesta di concessione in sanatoria per il riattamento del sottotetto di un edificio) non va notificato anche ai controinteressati - da individuarsi nei soggetti aventi diritto alla conservazione della distanza minima prescritta rispetto ai confini delle loro proprietà - nel caso in non si configuri alcuna violazione delle distanze, prospettabile se del caso soltanto con riferimento alla realizzazione di edifici che si presentino come del tutto nuovi su aree da edificare e non già come interventi su quelli preesistenti.2. La sanabilità di un’opera abusiva va valutata sulla base della normativa vigente al momento del rilascio della concessione in sanatoria, non potendo essere accettato il paradosso rappresentato dall’obbligo di dar corso alla demolizione dell'opera stessa, salvo riconoscere successivamente la nuova realizzabilità della medesima opera edilizia (1).
3. Il rifacimento di una parte della copertura ed il recupero del sottotetto (nella specie resosi necessario per il crollo di una trave nel sottotetto), anche se comporta un aumento dell’altezza dell’edificio, va qualificato come ristrutturazione ai sensi di quanto prescritto dall’art. 3, 2° comma, della L.reg. Lombardia 15 luglio 1996, n. 15, che assimila i relativi interventi alle "ristrutturazioni" di cui all’art. 31, 1° comma, lett. d) della L. 5 agosto 1978, n. 457 (2).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 febbraio 1995, n. 238, in Foro amm. 1995, 349 (con nota di Terracciano), in Giust. civ. 1995, I, 1981 (con nota di Bozza), in Riv. giur. urbanistica 1995, 73 (con nota di Vinti) ed in Riv. giur. polizia locale 1996, 386, secondo cui «la concessione in sanatoria è istituto dedotto dai principi generali attinenti al buon andamento ed all'economia dell'azione amministrativa e consiste nell'obbligo di rilasciare la concessione quando sia regolarmente richiesta e le opere realizzate siano conformi alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, anche se le opere alla quale essa si riferisce siano già state realizzate abusivamente; pertanto, tale generale istituto resta fermo anche successivamente alla previsione espressa della concessione in sanatoria di cui all'art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47».
In applicazione del principio secondo cui la sanabilità dell’opera abusiva, mediante c.d. concessione edilizia "giurisprudenziale", va valutata alla stregua della normativa vigente al momento del rilascio della concessione in sanatoria, nella specie il T.A.R. Lombardia ha ritenuto che, per le opere in questione, trovava applicazione non già la previgente e più restrittiva normativa, ma quella successivamente introdotta dall’art. 6 della L.r. Lombardia n. 22/1999.
Sulla concessione edilizia c.d. "giurisprudenziale" v. in particolare la seguente discussione nel Forum on line LexItalia.it
(2) Disponeva in un primo tempo l’art. 1 della L.r. Lombardia 15.7.1996, n. 15, che "La Regione promuove con la presente legge il recupero ai fini abitativi dei sottotetti con l’obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi emergetici" e che, inoltre, "Si definiscono sottotetti i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici" destinati in tutto o in parte a residenza, mentre, in base al successivo art. 2, 1° comma "Gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti dovranno avvenire senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde".
Con l’art. 6 della sopravvenuta L.r. Lombardia 19.11.1999, n. 22, è stata innovata l’anteriore previsione, consentendo espressamente che, per tutti i Comuni che abbiano approvato il loro strumento urbanistico dopo l’entrata in vigore della L.r. 15.4.1975, n. 51, "gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti possono comportare….modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, purchè nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed unicamente allo scopo di assicurare i parametri" previsti dall’art. 1, 6° comma e, cioè, "l’altezza media ponderale di m.2,40…calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza supera m. 1,50 per la superficie relativa".
Il T.A.R. Lombardia - Brescia, in base al richiamato principio secondo cui anche per le concessioni in sanatoria deve aversi riguardo alla normativa vigente al momento del loro rilascio, ha ritenuto nella specie applicabile la nuova normativa.
PER L’ANNULLAMENTO
del provvedimento del Dirigente dello Sportello Unico per le Imprese ed i Cittadini del Comune di Mantova in data 22.6.2000, recante diniego di concessione edilizia in sanatoria per opere di ampliamento nell’unità immobiliare sita in Mantova, Viale Gorizia, 24/b.
(omissis)
FATTO
A seguito di crollo di una trave nel sottotetto dell’immobile di proprietà dei ricorrenti, determinato da un fortunale in data 21.7.1999 puntualmente comunicato nella stessa giornata al Comune di Mantova a mezzo telegramma secondo quanto previsto dall’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G., gli stessi hanno dato sollecitamente inizio ai lavori di ripristino, previa verifica sul posto da parte di un tecnico del Comune.
Mentre questi ultimi erano tuttora in corso i ricorrenti presentavano il 5.8.1999 istanza di concessione per il rifacimento di parte della copertura a seguito di dissesto statico e per il recupero del sottotetto, rimasta peraltro priva di riscontro.
Successivamente, a seguito della notifica di ordinanza di sospensione dei lavori, veniva presentata istanza di sanatoria in data 11.10.1999, cui seguiva, tuttavia il diniego indicato in epigrafe.
I motivi prospettati sono i seguenti:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della L. 28.2.1985, n. 47 e dell’art. 1 della L.r. 9.5.1992, n. 19, nonché degli artt. 25 e 26.1.2.3 delle N.T.A. del P.R.G. e degli artt. 28.3.1, 28.3.2, 28.4.1 e 28.4.2 del Regolamento edilizio;
3) violazione e falsa applicazione delle LL.rr. 15.7.1996, n. 15 e 19.11.1999, n. 22.
Si è costituito in giudizio esclusivamente il Comune di Mantova.
Alla pubblica udienza del 31.5.2002 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente deve vagliarsi l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune di Mantova per mancata notifica ai controinteressati, da individuarsi nei soggetti aventi diritto alla conservazione della distanza minima prescritta rispetto ai confini delle loro proprietà.
Detta eccezione non può essere, tuttavia, accolta, dovendosi rilevare che, in mancanza di diverse prove al riguardo, il richiesto riattamento del sottotetto di un edificio esistente non configura alcuna violazione del tipo considerato, prospettabile se del caso soltanto con riferimento alla realizzazione di edifici che, del tutto indipendentemente dalla natura del sopralzo realizzato dai ricorrenti e dalla sua qualificazione alla stregua della vigente disciplina primaria e secondaria, si presentino come del tutto nuovi su aree da edificare e non già come interventi su quelli preesistenti.
Nel merito deve premettersi che il diniego della concessione in sanatoria in questa sede impugnato poggia indubbiamente su una solida base argomentativa, muovendo, anzitutto, dalla ricognizione del carattere di "nuova costruzione" dell’opera in sopraelevazione realizzato dai ricorrenti, di per sé non riconducibile al concetto di "ristrutturazione edilizia", vista la rilevata inesistenza di un sottotetto da recuperare, individuato quale "soffitta o locale accessorio": a conclusione di queste premesse si afferma, poi, che la mera intercapedine di altezza media di cm. 0,65 sottostante la falda dichiarata ammalorata e parzialmente crollata non sarebbe stata suscettibile, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 2 della L.r. vigente all’epoca di realizzazione delle opere, di modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza della falda.
In definitiva, considerando che vi sarebbe stata costruzione di una stanza di altezza media di m.3,30 in sopraelevazione del piano rialzato dell’edificio, con incremento di superficie lorda oltre il limite ammesso in base all’indice di densità fondiaria e violazione delle distanze minime dai confini da parte della nuova costruzione, la richiesta concessione in sanatoria non poteva essere assentita.
Detto pur puntuale ordine argomentativo non può essere condiviso.
Osserva sotto un primo aspetto il Collegio che, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1 della L.r. 15.7.1996, n. 15, "La Regione promuove con la presente legge il recupero ai fini abitativi dei sottotetti con l’obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi emergetici" e che, inoltre, "Si definiscono sottotetti i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici" destinati in tutto o in parte a residenza, mentre, in base al successivo art. 2, 1° comma "Gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti dovranno avvenire senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde".
La prima questione che va definita in ordine logico è quella attinente all’applicabilità o meno nel caso in questione dell’art. 6 della sopravvenuta L.r. 19.11.1999, n. 22, il cui art. 6 ha parzialmente innovato l’anteriore previsione, consentendo espressamente che, per tutti i Comuni che abbiano approvato il loro strumento urbanistico dopo l’entrata in vigore della L.r. 15.4.1975, n. 51, "Gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti possono comportare….modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, purchè nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed unicamente allo scopo di assicurare i parametri" previsti dall’art. 1, 6° comma e, cioè, "l’altezza media ponderale di m.2,40…calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza supera m. 1,50 per la superficie relativa".
Diversamente da quanto affermato nella motivazione dell’impugnato diniego la Sezione è dell’avviso che trovi applicazione nella specie non già la previgente e più restrittiva normativa, ma quella successivamente introdotta dall’art. 6 della L.r. 22/1999 in applicazione di quell’indirizzo giurisprudenziale che ritiene che la sanabilità di un’opera abusiva non possa che essere riguardata sul fondamento della normativa vigente, non potendo essere accettato il paradosso rappresentato dall’obbligo di dar corso alla demolizione di essa, salvo riconoscere successivamente la nuova realizzabilità della stessa opera edilizia (cfr. Consiglio di Stato Sez. V 13.2.1995, n. 238).
Chiarito, pertanto, che l’eventuale sanatoria dell’opera in questione può giovarsi della possibilità di modifica del colmo e di gronda e delle linee di pendenza della falda va ora considerato se possa o meno essere accettata la lettura della disciplina regionale in materia di sottotetti discendente dal combinato disposto delle due ricordate L.r., in base al quale, ove si escluda la sussistenza di un sottotetto in senso proprio, non può darsi luogo ad alcun recupero.
Anche detta interpretazione collide, tuttavia, con le norme regionali già ricordate che non pongono invero alcuna rigida preclusione al riguardo, posto che "si definiscono come sottotetti i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici destinati in tutto o in parte a residenza"(art. 1, 2° e 4° comma della L.r. 15/96).
Nel caso all’esame può dunque prescindersi dalla disputa sussistente fra le parti in ordine all’altezza del suddetto volume, se lo stesso sia definibile come mera intercapedine e se, inoltre, la sua non "praticabilità" precluda la realizzazione del previsto sopralzo: in ogni caso, infatti, resta incontroversa agli atti del giudizio la sussistenza del ridetto volume rispetto al quale deve dunque pienamente operare l’evidente ratio perseguita dal Legislatore regionale di favorire la creazione di nuove residenze attraverso il razionale recupero dei sottotetti e di evitare per tale via un ulteriore consumo di nuovo territorio altrimenti necessario per la soddisfazione dei bisogni delle famiglie.
Alla reiezione della vista, restrittiva lettura della legislazione regionale di settore consegue, poi, che, anche in tal caso in difformità da quanto rilevato nel provvedimento impugnato, il riattamento realizzato dai ricorrenti va qualificato come ristrutturazione ai sensi di quanto prescritto dall’art. 3, 2° comma, della L.r. 15.7.1996, n. 15, che assimila i relativi interventi alle "ristrutturazioni" di cui all’art. 31, 1° comma, lett. d) della L. 5.8.1978, n. 457.
Relativamente, infine, alla preclusione assuntamente rappresentata dall’aumento della superficie lorda oltre il prescritto limite di densità fondiaria, nonché dal mancato rispetto delle distanze minime dai confini è sufficiente sottolineare che, da una parte, per le dette opere di recupero vale la deroga sancita dall’art. 3, 3° comma della L.r. 15/96, restando salvo il solo obbligo di non superare l’altezza massima degli edifici, in concreto non contestata e che, dall’altra, la sopraelevazione di un piano di un edificio che già si collochi a distanza inferiore dai confini di proprietà non solo non integra una nuova costruzione, ma una semplice ristrutturazione dell’esistente, ma non possiede alcuna efficacia lesiva autonoma rispetto allo stato di fatto storicamente maturato nei rapporti fra i vari lotti edificati.
In conclusione l’intervento realizzato dai ricorrenti deve ritenersi sanabile e per conseguenza l’impugnato diniego deve essere annullato con conseguente obbligo del Comune di rilascio della richiesta concessione in sanatoria in difetto di diversi elementi preclusivi.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Condanna il Comune di Mantova a versare ai ricorrenti la somma complessiva di € 2.050,00 (duemilacinquanta), a titolo di spese, competenze ed onorari, oltre ad oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia, il 31 maggio 2002, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Francesco MARIUZZO - Presidente;
Alessandra FARINA – Giudice;
Rita TRICARICO - Giudice est.
Depositata in segretaria il 18.9.2002.