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n. 6-2003 - © copyright.

TAR LOMBARDIA-BRESCIA – Ordinanza 15 maggio 2003 n. 683 - Pres. Mariuzzo, Est. Morri - Sokol (Avv, Momoli) c. Ministero dell’Interno ed altro (Avv.ra distr. Stato).

Stranieri - Espulsione dal territorio nazionale - Nel caso in cui nei confronti del cittadino extracomunitario risultino emesse alcune condanne penali - Disciplina prevista dall’art. 4, 3°comma, D.Lgs. 286/1998 e s.m.i. - Previsione dell’espulsione automatica senza alcun apprezzamento discrezionale per l’Autorità di polizia - Questione di legittimità costituzionale - Va sollevata in relazione agli artt. 3 e 13 Cost. - Riferimento alla sentenza della Corte Cost. n. 58/1995.

In relazione agli articoli 3 e 13 della Costituzione, va sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, 3° comma, del D. Lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dalla L. n. 189 del 2002, applicato in correlazione con i successivi articoli 5, comma 5 e 13, comma 2, lett. b), nella parte in cui finisce per consentire all'Autorità amministrativa di disporre l'espulsione dello straniero dal territorio italiano solo in presenza di condanna per determinati reati, senza imporre la valutazione, in concreto, della pericolosità sociale, analogamente a quanto è tenuto a fare il giudice nell'applicazione della stessa espulsione a titolo di misura di sicurezza (1).

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(1) Nella motivazione dell’ordinanza in rassegna si ricorda, fra l’altro, che la Corte costituzionale, con sentenza 24 febbraio 1995, n. 58, ha già avuto modo di dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 86, comma 1, del T.U. 9 ottobre 1990 n. 309, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui obbliga il giudice ad emettere, senza l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale, prevista in via generale dall'art. 31 della Legge 10.10.1986 n. 663, contestualmente alla condanna, l'ordine di espulsione dello straniero, condannato per uno dei reati in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, previsti dal T.U. stesso, e con conseguente preclusione della sospensione condizionale della pena, in quanto per le altre ipotesi di espulsione dello straniero, previste dagli art. 235 e 312 c.p., per reati altrettanto gravi, è consentita al giudice la valutazione in concreto della pericolosità dello straniero condannato.

La fattispecie da cui prende le mosse l’ordinanza in rassegna riguarda un provvedimento con il quale il Questore aveva negato il rinnovo del permesso di soggiorno ad un cittadino extracomunitario, ritenendo che quest’ultimo non possedesse le condizioni richieste dagli articoli 4 comma 3, 5 e 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998, come modificato dalla L. n. 189 del 2002, accertato che a carico dello stesso risultavano alcuni precedenti penali e di polizia.

 

 

(omissis)

per l’annullamento

del provvedimento n. 6-03 in data 23.1.2003, con il quale il Questore di Mantova ha disposto il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno;

(omissis)

FATTO

Il ricorrente inoltrava al Questore della Provincia di Mantova, in data 20.7.2002, istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro fino al 6.8.2002.

Il Questore ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno ritenendo che lo straniero non possedesse le condizioni richieste dagli articoli 4 comma 3, 5 e 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998, come modificato dalla Legge n. 189 del 2002, accertato che a carico dello stesso risultavano i seguenti precedenti penali e di polizia:

- 4.12.1996: condanna alla pena di mesi 9 di reclusione e lire 200.000 di multa, ritenuta la continuazione tra i reati di falsità materiale commessa da privato e contraffazione di pubblici sigilli destinati a pubblica autenticazione - sentenza del Tribunale di Mantova irrevocabile il 20.2.1997;

- 21.12.1999: condanna alla pena di anni 1 mesi 8 di reclusione e lire 8.000.000 di multa per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti - sentenza del GIP del Tribunale di Bari e irrevocabile il 3.2.2000.

Contro il citato provvedimento Dusha Sokol proponeva ricorso, avanti questa Sezione, sostenuto da una serie di motivi volti, nella sostanza, a censurare la normativa posta a base del rifiuto sotto diversi profili di illegittimità per violazione degli artt. 3, 13, 25 comma 3 e 27 comma 3, della Costituzione, chiedendo a questo giudice di sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale.

DIRITTO

1. Va preliminarmente evidenziata la rilevanza della questione per la decisione dell’odierno ricorso.

Questo Collegio, in sede di decisione sull'istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, rilevava:

che l’art. 4 comma 3 del D.Lgs. 286 del 1998, come modificato dalla Legge n. 189 del 2002, pone, quale elemento ostativo all’ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero, la condanna per reati inerenti gli stupefacenti;

che l’emanazione del provvedimento amministrativo è vincolato al principio "tempus regit actum", anche se la domanda sia stata presentata prima della normativa sopravvenuta;

che, nel caso in esame, appare preclusiva, al rinnovo del premesso di soggiorno, la condanna riportata dal ricorrente per violazione del DPR n. 309 del 1990;

che contro l'art. 4 comma 3 del citato D.Lgs. 286 del 1998 e s.m.i., il ricorrente solleva molteplici censure di anticostituzionalità per contrasto con gli articoli 3, 13, 25 comma 3 e 27 comma 3 della Costituzione,

In ragione di quanto sopra concedeva la richiesta misura cautelare ritenendo che la suddetta disciplina legislativa apparisse di dubbia legittimità costituzionale.

Si deve evidenziare, al riguardo, che la Legge n. 205 del 2000 ha attribuito al giudice amministrativo l'esercizio di poteri cognitivi di merito anche in sede cautelare, non solo al fine dell'emissione di eventuale sentenza in forma abbreviata nelle ipotesi in cui si ravvisi manifesta fondatezza ovvero manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, ma anche al fine della motivazione dello stesso provvedimento cautelare in caso di accoglimento dell'istanza. L'art. 21 comma 7 della Legge n. 1034 del 1971, come sostituito dall'art. 3 della Legge n. 205 del 2000, impone, infatti, che l'ordinanza cautelare motivi in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e, in particolare, indichi i profili che inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del ricorso. La circostanza che tale delibazione possa avvenire ad un "sommario esame", non esclude che il giudice possa comunque effettuare tutte quelle valutazioni più approfondite, imposte dalla complessità delle questioni trattate, al fine di garantire l'effettiva "ragionevolezza" della propria previsione sull'esito del ricorso, soprattutto sotto il profilo del fumus che costituisce, nella successiva fase di merito, l'oggetto principale di verifica attesa l’irrilevanza del periculum una volta scongiurato lo stesso attraverso il provvedimento cautelare.

Nel caso in esame, pertanto, il Collegio ha ritenuto che il ricorso volto, nella sostanza, ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno quale bene della vita a cui ambisce il ricorrente, potesse essere accolto, garantendo così l'affettività della tutela giurisdizionale, solo previa declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 4 comma 3 del D.Lgs. 286 del 1998, come modificato dalla Legge n. 189 del 2002, nella parte cui pone quale elemento ostativo all’ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero, la condanna per determinati reati senza imporre l'ulteriore verifica di pericolosità sociale dello stesso.

Come ha recentemente affermato anche il Consiglio di Stato (Sez. V, 7.2.2003 n. 645), l'affettività della tutela giurisdizionale nel processo amministrativo deve essere garantita anche attraverso la puntuale applicazione dell'art. 112 del Codice di Procedura Civile, a norma del quale il giudice deve pronunciarsi su tutta la domanda. In particolare da tale norma discende il principio che, nell'affrontare le diverse questioni prospettate dalla parte ricorrente, occorre procedere partendo dall'esame di quelle questioni o di quei motivi che appaiono idonei a soddisfare più pienamente ed efficacemente l'interesse sostanziale del ricorrente, per passare poi, soltanto in caso di rigetto di tali censure, all'esame degli ulteriori motivi contenuti in ricorso che, pur idonei a provocare l'annullamento del provvedimento, evidenziano profili meno radicali di illegittimità potendo essere sanati con il rinnovo dell'azione amministrativa.

2. Il Collegio, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la dedotta questione di costituzionalità dell'art. 4 comma 3 del D.Lgs. 286 del 1998, come modificato dalla Legge n. 189 del 2002, per violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione, nella parte cui pone quale elemento ostativo all’ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero, la condanna per determinati reati senza imporre l'ulteriore verifica di pericolosità sociale dello stesso.

2.1 L'articolo 5 comma 5 del D.Lgs. n. 286 del 1998 stabilisce che il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato. A sua volta l'art. 4 comma 3 dello stesso D.Lgs. stabilisce che non è ammesso in Italia lo straniero: "..... che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380 commi 1e 2 del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite".

La norma in esame considera, quindi, la sola condanna per determinati reati quale elemento stativo per l’ingresso dello straniero in Italia e, relativamente allo straniero già presente sul territorio dello Stato, per il rinnovo del relativo permesso di soggiorno già rilasciato.

Giova rilevare sin d'ora, al riguardo, che l'art. 15 dello stesso D.Lgs. 286 del 1998, nel disciplinare l'espulsione a titolo di misura di sicurezza, consente al giudice di ordinare la stessa qualora lo straniero sia stato condannato per taluno dei delitti previsti degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre nello stesso risulti "socialmente pericoloso".

2.2 Come ha evidenziato la difesa del ricorrente, il procedimento amministrativo volto al rinnovo del permesso di soggiorno deve essere coordinato con il procedimento, disciplinato dall'art. 13 del D.Lgs. n. 286 del 1998, volto all'espulsione amministrativa dello stesso straniero nell'ipotesi in cui (comma 2 lett. b) il relativo permesso di soggiorno sia stato revocato o annullato, ovvero risulti scaduto da più di 60 giorni e non sia stato chiesto il rinnovo.

In sostanza il procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno costituisce antecedente logico in forza del quale, in caso di rifiuto, viene poi avviato il successivo procedimento di espulsione amministrativa disposta dal prefetto a norma del citato art. 13, comma 2 lett. b) del testo unico sull'immigrazione.

Al riguardo, ritiene il Collegio, che non pare pertinente l'eventuale obiezione che, dovendo essere motivato il decreto di espulsione, è in tale sede che debba avvenire il giudizio di pericolosità sociale, atteso che apparirebbe illogica la situazione in cui lo straniero, privo dei requisiti per l'ottenimento del permesso di soggiorno, non possa essere espulso dallo Stato italiano per carenza di pericolosità sociale.

Risulta quindi che, qualora ritenuto necessario, il giudizio sulla pericolosità sociale dello straniero condannato per determinati reati debba essere anticipato al momento in cui l'autorità amministrativa sia chiamata a valutare i requisiti per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, non potendosi rinviare detta verifica alla fase successiva di espulsione, la quale segue automaticamente per l'assenza del titolo che legittima la permanenza in Italia dello straniero.

2.3 Nel caso in esame risulta ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno la sola condanna per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, pronunciata dal GIP presso il Tribunale di Bari ai sensi dell'art. 444 del Codice di procedura penale e divenuta revocabile il 3.2.2000, senza che, al riguardo, l'autorità amministrativa sia tenuta a svolgere l'ulteriore giudizio di pericolosità sociale dello straniero.

La Corte costituzionale, con sentenza 24.2.1995, n. 58, ha già avuto modo di dichiarare l'art. 86 comma 1 del T.U. 9.10.1990 n. 309, costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui obbliga il giudice ad emettere, senza l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale, prevista in via generale dall'art. 31 della Legge 10.10.1986 n. 663, contestualmente alla condanna, l'ordine di espulsione dello straniero, condannato per uno dei reati in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, previsti dal T.U. stesso, e con conseguente preclusione della sospensione condizionale della pena, in quanto per le altre ipotesi di espulsione dello straniero, previste dagli art. 235 e 312 c.p., per reati altrettanto gravi, è consentita al giudice la valutazione in concreto della pericolosità dello straniero condannato.

Come già evidenziato in precedenza, tale principio è stato recepito dall’art. 15 dello stesso D.Lgs. 286 del 1998, il quale, nel disciplinare l'espulsione a titolo di misura di sicurezza, consente al giudice di ordinare la stessa qualora lo straniero sia stato condannato per taluno dei delitti previsti degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre che lo stesso risulti "socialmente pericoloso".

A giudizio del Collegio l'art. 4 comma 3 del D.Lgs. 286 del 1998 applicato in correlazione con i successivi articoli 5 comma 5 e 13 comma 2 lett. b) appare pertanto in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto consentirebbe all'autorità amministrativa di disporre l'espulsione dello straniero dal territorio italiano solo in presenza di condanna per determinati reati che senza imporre la valutazione, in concreto, della pericolosità sociale, analogamente a quanto è tenuto a fare il giudice nell'applicazione della stessa espulsione a titolo di misura di sicurezza, risultando analoghi, nel concreto, i relativi effetti.

La violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della mancata equiparazione delle sentenza di condanna per determinati reati ai fini dell'applicazione dell'espulsione, in via amministrativa o a titolo di misura di sicurezza, risulta inoltre evidente dal fatto che l'art. 445 del Codice di procedura penale non consente l'applicazione di misure di sicurezza per le sentenze pronunciate a seguito di patteggiamento, stante il carattere di premialità attribuito dal legislatore a tale rito, come contropartita alla economia processuale che la scelta delle parti consente. Nel caso in esame, pertanto, il ricorrente essendo stato condannato per reati inerenti gli stupefacenti con sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 444 del Codice di procedura penale non potrebbe subire, in sede giudiziaria, l'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato, mentre potrebbe subirla, a seguito di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, nella sede amministrativa in applicazione dell'art. 13 comma 2 lettera b) del D.Lgs. n. 286 del 1998, vanificando così l'effetto premiale riconosciuto in sede giudiziaria.

2.4 Trattandosi di misura che incide sulla libertà personale dell'individuo, sia l'espulsione disposta in via amministrativa, che l'espulsione disposta dal giudice a titolo di misura di sicurezza, non assistite dal previo giudizio generale sulla pericolosità sociale, risulterebbero in contrasto anche con l'art. 13 della Costituzione applicabile a tutti gli individui cittadini e non cittadini.

P.Q.M.

visto l’art. 23 della Legge 11.3.1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 13 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 3 D.Lgs. 286 del 1998, come sostituito dalla Legge n. 189 del 2002, applicato in correlazione con i successivi articoli 5 comma 5 e 13 comma 2 lett. b), nei sensi di cui in motivazione.

Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nonché la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento.

Così deciso in Brescia, il giorno 11 marzo 2003, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori:

Francesco Mariuzzo - Presidente

Sergio Conti - Giudice

Gianluca Morri - Giudice relat. est.

Depositata il 15.5.2003.

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