TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III – Ordinanza 8 agosto 2000 n. 234 – Pres. Mariuzzo, Est. Sestini - Santex S.p.A (Avv.ti Calesella e Serretti) c. Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia (Avv. Ferrari).
Contratti della P.A. – Bando – Clausola che restringe irragionevolmente il numero dei partecipanti - In contrasto con la normativa comunitaria - Mancata tempestiva impugnazione della clausola – Potere del G.A. di disapplicare la clausola – Orientamento negativo del C.d.S. – Deferimento della questione alla Corte di Giustizia delle Comunità europee.
Va deferita alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell’art. 234 del Trattato di Roma, la decisione delle seguenti due questioni:
a) se l’art. 22 della direttiva 93/36/CEE del 14.6.1993 sia interpretabile nel senso che le competenti giurisdizioni nazionali siano obbligate a tutelare i cittadini dell’Unione lesi da atti adottati in violazione del diritto comunitario, ricorrendo in particolare all’istituto della disapplicazione previsto dall’art. 5 della legge nazionale italiana 20.3.1865, n. 2248 anche nei confronti delle clausole del bando di gara contrastanti con il diritto comunitario, ma non impugnate entro i brevi termini di decadenza previsti dal diritto processuale nazionale per applicare ex officio il diritto comunitario, ogni volta che possa essere riscontrato che, da una parte, l’applicazione di quest’ultimo sia stata gravemente impedita o comunque resa difficile e, dall’altra, ricorra un interesse pubblico di matrice comunitaria o nazionale che tale applicazione giustifichi;
b) se alla stessa conclusione conduca l’art. 6, 2° comma del Trattato che, nel codificare il rispetto da parte dell’Unione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha fatto proprio il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale stabilito dagli artt. 6 e 13 della stessa Convenzione (1).
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(1) Come risulta dalla motivazione dell’ordinanza, nella specie era stata indetta una gara il cui bando prevedeva, in particolare, che le imprese, per partecipare alla gara, avrebbero dovuto comprovare di aver svolto identico servizio nell’ultimo triennio per un importo triplo a quello della gara (e quindi non parametrato all’importo della gara stessa).
Tale requisito, ad avviso del TAR Lombardia, sembra violare sia il principio di proporzionalità sia quello di non discriminazione fra le imprese partecipanti e comporta una indebita restrizione dell’accesso alla gara in violazione del diritto comunitario e delle corrispondenti norme di attuazione nazionali (art. 22 della direttiva 93/36/CEE del 14.6.1994 e art. 3, 1° comma, lett. C del D.Lgs. 24.7.1992, n. 358)
Il TAR Lombardia ha richiamato in proposito una decisione con la quale la sez. V del Consiglio di Stato ha in via generale affermato che, in caso di norma regolamentare contrastante con una fonte sovraordinata ed incidente su un diritto soggettivo, il Giudice amministrativo può, al pari dell’Autorità giudiziaria ordinaria ed in applicazione degli artt. 1, 3 e 4 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile e dei principi generali sulla gerarchia delle fonti normative, disapplicare la norma di grado inferiore, ancorchè non sia stata tempestivamente impugnata (cfr., inoltre, sul punto Cons. di giustizia della Regione siciliana 20.3.1996, n. 75 e 25.10.1996, n. 366, nonché le sentenze di questa Sezione 24.7.1993, n. 799; 7.4.1995, n. 531 e 19.9.1995, n. 1332);
A parere del TAR Lombardia non sembra possa dubitarsi della possibilità di estendere il richiamato strumento della disapplicazione degli atti amministrativi e dei regolamenti non conformi a legge nazionale anche alla diversa ipotesi in cui questi ultimi siano in contrasto con l’ordinamento comunitario.
E’ infatti ormai ius receptum nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che le disposizioni comunitarie direttamente applicabili sono fonte immediata di diritti ed obblighi per tutti coloro che esse riguardano, siano essi gli Stati membri ovvero i singoli, soggetti di rapporti giuridici disciplinati dal diritto comunitario, e che tale effetto è direttamente cogente per tutte le pubbliche Amministrazioni dell’Unione; conseguentemente tutti i Giudici nazionali e, in particolare, quelli amministrativi hanno il compito, in quanto organi di uno Stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario (così la sentenza in data 9.3.1978, in causa n. 106/77, Amministrazione delle Finanze dello Stato contro Simmenthal S.p.A.; la stessa sentenza ha precisato che il Giudice nazionale chiamato ad applicare le disposizioni del diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione; conforme, fa le altre, la sentenza in data 5.3.1998, Causa 347/96, Solred SA contro Administracion General de Estado).
Tale orientamento, tuttavia, non è stato condiviso dal Consiglio di Stato con particolare riferimento ai bandi di gara per il conferimento di appalti pubblici, essendo stato affermato che detti atti, ove abbiano un’efficacia immediatamente lesiva del diritto alla partecipazione alla gara, debbono essere impugnati nell’ordinario termine di decadenza di 60 giorni, superato il quale non si configura alcuna ulteriore possibilità di disapplicazione degli stessi bandi o di loro clausole.
In relazione a tale orientamento restrittivo del C.d.S., il TAR Lombardia, Sez. III, con l’ordinanza in rassegna, ha rimesso la definizione della relativa questione alla Corte di Giustizia delle Comunità europee (G.V., 24-8-2000).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sez. III - ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 2357/97 proposto da Santex S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Calesella e Simona Serretti ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Via Camperio n. 14,
contro
l’Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Franco Ferrari ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, Corso Monforte n. 15,
e nei confronti
di Sca Mönlycke S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Macchi ed elettivamente domiciliata presso lo studio in Milano dell’avv. Polli, Via Canova n. 15,
nonché
di Artsana S.p.A., non costituitasi in giudizio
e
di Fater S.p.A., non costituitasi in giudizio,
per l’annullamento
della delibera di aggiudicazione n. 213 dell’8 aprile 1997, nonché di tutti gli allegati verbali, del bando di gara pubblicato sulla G.U. CEE 206 del 23.10.96 e del capitolato speciale della procedura per asta pubblica per la fornitura diretta a domicilio di prodotti assorbenti per l’incontinenza, indetta dall’Azienda Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia, per l’importo annuo presunto di lire 1.067.372.000 oltre IVA, per il periodo 14 aprile 1997 - 13 aprile 1998
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie pretese;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito, alla pubblica udienza del 15 ottobre 1999, il relatore dott. Raffaello Sestini;
Uditi altresì i difensori delle parti;
Considerato in fatto e diritto:
che a seguito della pubblicazione del bando di gara indicato in epigrafe, la società ricorrente segnalava con lettera in data 25.11.1996 al Commissario straordinario dell’Unità sanitaria locale n. 42 di Pavia che la clausola del suddetto bando diretta ad accertare la capacità tecnica e finanziaria dei concorrenti ai sensi dell’art. 13, lettera c), del D.lgs. 24.7.1992, n.358, con cui il Legislatore italiano ha dato attuazione alle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE, configurava un’indebita restrizione della concorrenza, essendo stato ivi prescritto che ciascuna impresa partecipante dimostrasse l’esistenza di un fatturato complessivo nell’ultimo triennio almeno triplo, per servizio identico a quello oggetto di gara, rispetto all’importo annuo presunto posto a base d’asta di L. 1.068.700.000, e cioè di L. 3.206.100.000;
che veniva nella stessa lettera precisato che, tenuto conto della recentissima introduzione di quel tipo di servizio da parte delle aziende sanitarie locali, l’applicazione della suddetta clausola avrebbe comportato l’esclusione di numerose concorrenti, fra le quali la ricorrente, che pure nell’ultimo anno aveva raggiunto un fatturato pari al doppio dell’importo annuo presunto della fornitura;
che di fronte a tali osservazioni la Commissione rinviava l’apertura delle buste e chiedeva alle società interessate da tale problema l’invio di documentazione integrativa, ritenendo che la clausola potesse interpretarsi come riferita al fatturato complessivo delle imprese partecipanti e che le forniture di prodotti identici a quelli richiesti (assorbenti per l’incontinenza urinaria) potessero quindi essere valutate, non già quali requisiti di ammissione alla gara, ma esclusivamente quali titoli per l’assegnazione del punteggio di qualità (verbale n. 1 del 12 dicembre 1996 della commissione aggiudicatrice);
che contro tale interpretazione insorgeva la controinteressata Sca Mönlycke, che con lettera senza data indirizzata all’Unità sanitaria locale e pervenuta l’8.1.1997, richiamava quest’ultima al puntuale rispetto della clausola del suddetto bando;
che con successiva lettera del 24.1.1997 l’U.S.L., implicitamente accogliendo il suesposto rilievo, richiedeva alle imprese partecipanti di integrare la documentazione già inoltrata con la dichiarazione del fatturato relativo alle forniture di prodotti identici con elencazione delle aziende cui le stesse erano state prestate;
che la gara si concludeva quindi con l’esclusione delle società Santex, Silc e Fater (quest’ultima poi riammessa a seguito della presentazione di documentazione integrativa), e con l’aggiudicazione dell’appalto alla società Sca Mölnlycke con il punteggio complessivo di 93,99 (54,7 per il prezzo e di 39.29 per la qualità) rispetto al punteggio di 92.04 (60 per il prezzo e 32.04 per la qualità) ottenuto dalle società Artsana e Fater;
che la Santex S.p.A., rilevando che, qualora fosse stata ammessa, avrebbe conseguito l’aggiudicazione con il punteggio di 94,022 (58.022 per il prezzo e di 36 per la qualità), ha impugnato sia l’esclusione dalla gara disposta nei suoi confronti sia la conseguente aggiudicazione, unitamente al bando di gara, per violazione di legge ed eccesso di potere;
che l’Unità sanitaria locale di Pavia e la società aggiudicataria, costituitesi in giudizio, hanno eccepito nelle proprie memorie la tardività dell’impugnazione del bando di gara, richiedendone nel merito la reiezione perchè infondata;
che in sede di richiesta incidentale di sospensione dei provvedimenti impugnati questa Sezione, costatata la violazione dei principi comunitari in materia di concorrenza, sospendeva l’efficacia degli atti impugnati con ordinanza 29 maggio 1997, n. 1777;
che è stato in quell’occasione affermato che "anche a ritenere tardiva l’impugnazione del bando, ciò non può comportare l’inammissibilità del ricorso, in quanto la natura regolamentare della lex specialis di gara ne consente la disapplicazione, qualora confliggente con norme sovraordinate", ovvero "con i principi comunitari volti a favorire il più ampio manifestarsi della concorrenza, avendo individuato, quale parametro (per l’aggiudicazione della gara), un livello di fatturato che comporta un’ingiustificata ed eccessiva limitazione alla partecipazione da parte delle imprese concorrenti";
che l’indicata ordinanza cautelare è stata annullata dalla Sez. V del Consiglio di Stato con ordinanza 29.8.1997, n. 1593, che non è stata peraltro motivata né in fatto, né in diritto;
che dopo l’esaurimento della fase di tutela cautelare l’Unità sanitaria locale, che aveva prorogato nel frattempo il servizio di fornitura precedentemente assicurato dalla stessa Sca Mölnycke S.p.A., stipulava definitivamente il contratto con la medesima società per il successivo periodo;
Rilevato:
che la ricorrente deduce a sostegno dell’impugnazione della propria esclusione dalla gara e dell’aggiudicazione alla suddetta società la violazione dell’art. 13 del D.lgs. 24.7.1992, n. 358, che ha dato attuazione alle già ricordate direttive in materia di appalti pubblici di forniture;
che è stata altresì dedotta la violazione degli artt. 1 e 3 della legge 7.8.1990, n. 241, poiché l’Amministrazione avrebbe ingiustificatamente aggravato la procedura a buste ormai aperte e non avrebbe inoltre comunicato l’avvenuta esclusione alle interessate;
che è stato anche impugnato l’art. 9 del capitolato speciale d’oneri, che attribuisce ben 15 punti alla valutazione dell’organizzazione del servizio, all’affidabilità ed all’esperienza (rispetto ai 20 punti relativi alle caratteristiche dei prodotti ed ai 5 punti per il loro confezionamento);
che è stato al riguardo dedotto che l’assegnazione del detto punteggio introdurrebbe un’arbitraria discriminazione fra le imprese, attribuendo un ulteriore indebito privilegio in favore delle sole poche imprese in possesso di assai elevati fatturati, sempre relativi a precedenti identiche forniture di prodotti assorbenti per l’incontinenza;
Ritenuto:
che ai fini della definizione del merito della prodotta impugnativa appaiono a parere del Collegio decisive le censure relative all’affermata indebita restrizione dell’accesso alla gara per violazione del diritto comunitario e delle corrispondenti norme di attuazione nazionali (art. 22 della direttiva 93/36/CEE del 14.6.1994 e art. 3, 1° comma, lett. C del D.Lgs. 24.7.1992, n. 358);
che, in particolare, la previsione di un requisito di ammissibilità implicante lo svolgimento di identico servizio nell’ultimo triennio per un importo triplo a quello della gara, e quindi non parametrato alla gara stessa, sembra violare sia il principio di proporzionalità sia quello di non discriminazione fra le imprese partecipanti;
che detta prefissione pare, infatti, eccedere largamente ed in modo del tutto incongruo le esigenze di verifica della necessaria capacità economica e finanziaria delle imprese, precostituendo nel contempo un’ingiustificata situazione di privilegio in favore dei soggetti dominanti del mercato in danno di quanti siano in grado di documentare aliunde il possesso di adeguati indici di affidabilità operativa;
Considerato:
che in conformità alla disciplina nazionale del processo dinanzi al giudice amministrativo questa Sezione deve però prendere preliminarmente posizione in ordine all’eccezione di tardività del ricorso sollevata dall’Amministrazione resistente e dalla società aggiudicataria, secondo cui la clausola del bando che espressamente impediva la partecipazione della ricorrente alla gara (prevedendo un requisito, non posseduto dalla ricorrente, "a pena di inammissibilità") si poneva come immediatamente e direttamente lesiva del proprio interesse a concorrere alla gara stessa, ed avrebbe quindi dovuto essere impugnata dalla data della sua piena conoscenza entro il termine tassativo di 60 giorni previsto dall’art. 36 del R.D. 6.6.1924, n. 1054, contenente il T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato italiano, richiamato anche per la procedura da seguire davanti ai Tribunali amministrativi regionali in base all’art. 19 della L. 6.12.1971, n. 1034;
che l’impugnazione successivamente proposta contro il conseguente ed inevitabile provvedimento di esclusione sarebbe tardiva e che l’indicata eccezione sarebbe dunque fondata, restando conseguentemente esclusa la possibilità di accertare la sussistenza della denunciata violazione del diritto comunitario nei profili più sopra illustrati;
che questa Sezione ha tuttavia ritenuto di garantire una tutela effettiva dei diritti e degli interessi dei ricorrenti nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi sia nel settore dell’applicazione diretta del diritto comunitario sia in quello dell’ordinamento nazionale, non applicando le clausole dei relativi bandi di gara, ove ritenute indebitamente restrittive del criterio di massima partecipazione alle gare pubbliche, che costituisce diretto corollario dei principi comunitari di concorrenza, di libera prestazione dei servizi e di non discriminazione, nonché dei principi costituzionali nazionali di libertà d’iniziativa economica, d’imparzialità e di buon andamento dell’Amministrazione, mediante la selezione della migliore offerta sul piano qualitativo al prezzo più conveniente per l’Amministrazione stessa (cfr. sent. 13-27.2.1997, n. 354 della Sezione);
che è stato fatto a tal fine costantemente ricorso al duplice criterio, da una parte, della inserzione automatica di norme imperative nella normativa di gara in applicazione analogica dell’art. 1339 del codice civile, che stabilisce che "Le clausole, i prezzi dei beni o di servizi, imposti dalla legge sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti" (cfr. sent. 20.10.1998, n. 2398) e, dall’altra, della disapplicazione prevista dal tuttora vigente art. 5 della L. 20.3.1865, n. 2248 – All. E, che prescrive che "Le Autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi";
che la prima delle indicate possibilità non risulta praticabile nella fattispecie in esame, in quanto l’art. 13 del D.Lgs. n. 358/1992 e la relativa disposizione comunitaria si limitano a prevedere la facoltà dell’Amministrazione di imporre alle imprese concorrenti requisiti economici e tecnici, limitatamente all’accertamento di mezzi idonei a consentire all’impresa di adempiere l’appalto, senza peraltro prevedere importi prestabiliti o altre disposizioni puntuali che possano automaticamente sostituirsi alla clausola del bando ritenuta illegittima;
che quest’ultima resta dunque controllabile solo alla stregua del generalissimo divieto di discriminazione fra le imprese concorrenti, della sussistenza di motivi imperativi d’interesse generale che giustifichino la prefissione della clausola e dell’osservanza del principio di proporzionalità, relativamente all’idoneità del mezzo prescelto per garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito, che non deve eccedere quanto necessario per il suo raggiungimento (cfr. Corte di giustizia 23.5.2000 in causa C-58/99 Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana);
che per quanto attiene alla seconda delle indicate possibilità la sez. V del Consiglio di Stato ha in via generale affermato che, in caso di norma regolamentare contrastante con una fonte sovraordinata ed incidente su un diritto soggettivo, il Giudice amministrativo può, al pari dell’Autorità giudiziaria ordinaria ed in applicazione degli artt. 1, 3 e 4 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile e dei principi generali sulla gerarchia delle fonti normative, disapplicare la norma di grado inferiore, ancorchè non sia stata tempestivamente impugnata (cfr., inoltre, sul punto Cons. di giustizia della Regione siciliana 20.3.1996, n. 75 e 25.10.1996, n. 366, nonché le sentenze di questa Sezione 24.7.1993, n. 799; 7.4.1995, n. 531 e 19.9.1995, n. 1332);
che a parere del Collegio non sembra possa dubitarsi della possibilità di estendere il richiamato strumento della disapplicazione degli atti amministrativi e dei regolamenti non conformi a legge nazionale anche alla diversa ipotesi in cui questi ultimi siano in contrasto con l’ordinamento comunitario;
che è ormai ius receptum nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che le disposizioni comunitarie direttamente applicabili sono fonte immediata di diritti ed obblighi per tutti coloro che esse riguardano, siano essi gli Stati membri ovvero i singoli, soggetti di rapporti giuridici disciplinati dal diritto comunitario, e che tale effetto è direttamente cogente per tutte le pubbliche Amministrazioni dell’Unione;
che conseguentemente tutti i Giudici nazionali e, in particolare, quelli amministrativi hanno il compito, in quanto organi di uno Stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario (così la sentenza in data 9.3.1978, in causa n. 106/77, Amministrazione delle Finanze dello Stato contro Simmenthal S.p.A.);
che la stessa sentenza ha precisato che il Giudice nazionale chiamato ad applicare le disposizioni del diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione (conforme, fa le altre, la sentenza in data 5.3.1998, Causa 347/96, Solred SA contro Administracion General de Estado);
Considerato:
che detto orientamento della Sezione non è stato condiviso dal Consiglio di Stato con particolare riferimento ai bandi di gara per il conferimento di appalti pubblici, avendo esso affermato che detti atti, ove abbiano un’efficacia immediatamente lesiva del diritto alla partecipazione alla gara, debbono essere impugnati nell’ordinario termine di decadenza di 60 giorni, superato il quale non si configura alcuna ulteriore possibilità di disapplicazione degli stessi bandi o di loro clausole;
che il visto indirizzo emerge sia nel presente giudizio, essendo stata annullata senza motivazione alcuna l’ordinanza emessa in primo grado, che aveva accolto la domanda cautelare di sospensione della disposta esclusione e della connessa aggiudicazione della gara alla controinteressata, sia in sede di merito (cfr. decisione del Consiglio di Stato – Sez. IV 7.4.1998, n. 568, con cui è stata annullata la sentenza 13-27.2.1997, n. 354 della Sezione);
che deve dunque concludersi che, in relazione a siffatto orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, resta interdetto l’ingresso e l’applicazione nel processo amministrativo di pretese direttamente tutelate dal diritto comunitario, il cui spessore le assimila, anche sotto il profilo dell’eventuale risarcimento del danno, a diritti soggettivi perfetti;
che la distinzione di genesi nazionale fra diritti soggettivi (tutelabili con lo strumento della disapplicazione) ed interessi legittimi (che richiedono sempre la tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo di essi) pare comunque improponibile sul piano del diritto comunitario;
Ritenuto:
che ai fini dell’eventuale rinvio della questione alla Corte di Giustizia del Lussemburgo vanno conseguentemente considerate le sentenze della stessa Corte 14.12.1995 in causa Peterbroek, Van Campenhout & Cie SCS/Stato belga, Van Schijndel e Van Veen (cause 430/93 e 431/93), nonché Eco Swiss China Time Ltd c. Benetton International NV del 1.6.1999 (in causa C-126/97);
che va, quindi, sotto un primo profilo verificato se si siano in concreto configurati un serio aggravamento ovvero l’impossibilità di applicazione del diritto comunitario alla stregua del peculiare sviluppo del procedimento amministrativo preordinato al conferimento dell’appalto di fornitura in questione, che abbiano inciso sull’effettività della tutela giurisdizionale con riferimento all’applicazione delle norme europee;
che va, altresì, indagato se sussista o meno un interesse pubblico che giustifichi l’intervento ex officio del Giudice nazionale, che possa eccezionalmente surrogare una carente od intempestiva iniziativa processuale della parte in causa interessata;
che, infine, va risolto il diverso problema se lo strumento della disapplicazione, che è vigente ed applicato in Italia con riguardo ai regolamenti, possa egualmente applicarsi ex officio anche ai bandi di gara per il conferimento di appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi disciplinati dal diritto comunitario e se, infine, tale applicazione non contrasti con una norma imperativa fondamentale dell’ordinamento nazionale;
Rilevato:
che per quanto concerne il primo problema sopra indicato la valutazione complessiva del procedimento di gara evidenzia che, di fronte alle rimostranze della ricorrente inoltrate in via amministrativa, l’Unità sanitaria locale fece intendere di poter esercitare un sostanziale ius poenitendi, proponendo una lettura della contestata clausola del bando di gara che facesse riferimento, quanto al requisito di capacità economico-finanziaria, solo al fatturato complessivo del triennio precedente la gara e, invece, alle forniture di prodotti identici solo quali titoli per il conseguimento di un migliore punteggio;
che successivamente l’Amministrazione, dopo aver preso atto dei rilievi contrari della Soc. Sca Mönlycke, dava peraltro integrale e letterale applicazione all’indicata clausola del bando, escludendo la ricorrente dalla gara;
che in relazione a quanto sopra è avviso del Collegio che il comportamento tenuto dall’Unità sanitaria locale abbia seriamente aggravato il procedimento, inducendo la ricorrente a ritenere che la contestata clausola sarebbe stata riduttivamente interpretata ovvero modificata in via di autotutela nel corso della stessa procedura di gara, e creando pertanto un’oggettiva situazione di incertezza pregiudizievole ai fini della tempestiva impugnazione in sede giurisdizionale della clausola rivelatasi lesiva per la ricorrente;
che in conclusione sembra ricorrere il presupposto indicato dalla giurisprudenza della Corte del Lussemburgo nella sentenza Peterbroeck in causa C-312/93;
che in ordine al secondo profilo emergente dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e, cioè, alla sussistenza di un interesse pubblico alla valutazione dell’eventuale illegittimità dell’impugnata esclusione pare di poter affermare che lo stesso è costituito non solo dalla generale necessità di far in ogni caso prevalere il diritto comunitario e di garantire la tutela effettiva dei diritti dallo stesso riconosciuti, ma anche dall’interesse della stessa pubblica Amministrazione all’apertura della gara ad una maggiore concorrenza, quale strumento per l’individuazione della scelta del prodotto migliore sul piano qualitativo al prezzo più conveniente;
che viene, inoltre, in rilievo l’osservanza dei già ricordati principi generali di genesi comunitaria di proporzionalità dell’azione amministrativa e di non discriminazione, di modo che la riammissione in gara della ricorrente, pur non in possesso dei requisiti arbitrariamente richiesti dal bando, pare configurarsi quale ripristino, anziché violazione, del normale criterio della par condicio fra le imprese partecipanti;
che anche sotto questo profilo sembrano dunque evidenti circostanze idonee ad illustrare sufficienti ragioni per un intervento d’ufficio da parte del Giudice amministrativo;
che quanto, infine, al problema dell’eventuale vulnerazione del diritto nazionale, indotta dalla suddetta applicazione d’ufficio dell’art. 13 del D.lgs. 24.7.1992, n. 358 e dell’art. 22 della direttiva 93/36 CEE del 14.6.1993 mediante la disapplicazione della clausola di bando sospettata di illegittimità comunitaria, deve essere richiamata anzitutto la sentenza Hubbard del 1.7.1993 in causa C-20/92, che ha stabilito che l’applicazione del diritto comunitario non può essere condizionato dal settore dell’ordinamento giuridico nazionale in cui lo stesso produce effetti;
che allo stesso fine va fatto riferimento alla pronuncia 27.6.2000 Océano Grupo Editorial in causa C-240/98, con cui la Corte ha statuito che la tutela accordata ai consumatori dalla direttiva del Consiglio 5.4.1993, 93/13/CEE, concernente le clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori, comporta che il Giudice nazionale, nell’esaminare l’ammissibilità dell’istanza propostagli, possa valutare d’ufficio l’illiceità di una clausola del contratto di cui è causa, nonché dalla precedente pronuncia della stessa Corte 29.4.1999 in causa C-224/97, secondo cui un "divieto emanato…non attraverso una norma generale ed astratta, bensì attraverso un provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo, che sia in contrasto con la libera prestazione di servizi, va disapplicato nella valutazione della legittimità di un’ammenda irrogata per l’osservanza di tale divieto";
che la Sezione è ben consapevole che il principio dell’applicazione d’ufficio del diritto comunitario, se obbedisce alla regola di assicurarne la possibile interpretazione conforme nell’intero territorio della Comunità, appare prevalente espressione di un ordinamento processuale amministrativo, com’è quello di derivazione germanica, che non vincola i Giudici alla domanda di parte ed ai motivi dalla stessa dedotti, a differenza di quanto è espressamente previsto dalla disciplina del processo amministrativo francese e di quello italiano;
che per tale aspetto l’ordinamento processuale tedesco federale, che vincola invece il Giudice ad una verifica d’ufficio di ogni problema di legittimità dell’atto o del comportamento dell’Amministrazione, è direttamente giustificato dall’interesse pubblico a verificare in toto un atto amministrativo, ogni volta che la sua arbitrarietà sia anche genericamente denunciata davanti al Giudice amministrativo;
che tale principio, pur estraneo all’ordinamento nazionale italiano, pare peraltro dover essere introdotto anche nel processo amministrativo italiano attraverso lo strumento della disapplicazione di atti amministrativi o di regolamenti contrastanti con le norme comunitarie;
che ricorrono quindi gli estremi di fatto e di diritto per ritenere non applicabile nel caso all’esame il principio di diritto statuito dalla Corte di giustizia con la sentenza Echo Swiss China Time Ltd contro Benetton International NV del 1.9.1999, non integrando l’applicazione d’ufficio del diritto comunitario nella vicenda all’esame la violazione di un principio informatore dell’ordinamento processuale nazionale;
che né il principio del diritto nazionale che sancisce l’imperatività dei provvedimenti amministrativi pur illegittimamente adottati, né quello processuale della tassatività dei brevi termini per la loro impugnazione appaiono, infatti, pregiudicati dalla possibilità che il giudice, ai sensi del richiamato art. 5 della L. n. 2248 del 1865 riconosca incidentalmente il contrasto con il diritto comunitario di provvedimenti non impugnati, costituenti presupposti necessari per la decisione di una controversia, ai fini della loro mera disapplicazione e della conseguente decisione della controversia stessa in conformità al diritto comunitario, senza alcun effetto diretto sull’esistenza e anche sulla generale efficacia dello stesso provvedimento;
che la questione della possibilità di ricorrere allo strumento della disapplicazione nella fattispecie in esame incide in modo immediato e diretto sulla decisione del ricorso indicato in epigrafe in conformità alle disposizioni comunitarie, e deve essere quindi esaminata in relazione alla richiesta di interpretazione preventiva delle stesse disposizioni comunitarie formulata con la presente ordinanza;
che l’esercizio dell’indicato potere-dovere da parte del giudice nazionale pare, altresì, mezzo diretto per assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario anche ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;
che la presente questione presenta carattere di urgenza, trattandosi di questione di massima capace di influenzare in un senso ovvero nell’altro la giurisprudenza del Giudice amministrativo italiano in materia di appalti pubblici;
che si pone pertanto la necessità di accertare, con conseguente rimessione alla Corte di Giustizia delle Comunità europee ai sensi dell’art. 234 del Trattato dell’Unione Europea, se le norme del Trattato che, nell’interpretazione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sanciscono la tutela, da parte delle competenti giurisdizioni nazionali, dei cittadini comunitari lesi da atti adottati in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, debbano esser interpretate nel senso che l’atto di esclusione dalla gara consenta, ricorrendo al riguardo idonee circostanze l’applicazione d’ufficio del diritto comunitario in ordine ai precedenti provvedimenti adottati nel corso della procedura di gara;
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sez.III, riservata ogni ulteriore questione in rito, in merito e sulle spese,
ORDINA
alla Segreteria della Sezione di trasmettere la presente ordinanza, con gli atti di causa e con copia delle norme nazionali citate, alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, perché decida, ai sensi dell’art. 234 del Trattato di Roma, sui seguenti due quesiti: "se l’art. 22 della direttiva 93/36/CEE del 14.6.1993 sia interpretabile nel senso che le competenti giurisdizioni nazionali siano obbligate a tutelare i cittadini dell’Unione lesi da atti adottati in violazione del diritto comunitario, ricorrendo in particolare all’istituto della disapplicazione previsto dall’art. 5 della legge nazionale 20.3.1865, n. 2248 anche nei confronti delle clausole del bando di gara contrastanti con il diritto comunitario, ma non impugnate entro i brevi termini di decadenza previsti dal diritto processuale nazionale per applicare ex ufficio il diritto comunitario, ogni volta che possa essere riscontrato che, da una parte, l’applicazione di quest’ultimo sia stata gravemente impedita o comunque difficultata e, dall’altra, ricorra un interesse pubblico di matrice comunitaria o nazionale che tale applicazione giustifichi" e "se alla stessa conclusione conduca l’art. 6, 2° comma del Trattato che, nel codificare il rispetto da parte dell’Unione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha fatto proprio il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale stabilito dagli artt. 6 e 13 della stessa Convenzione,
SOSPENDE
il giudizio in corso fino alla pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee sulla prospettata questione pregiudiziale.
Così deciso in Milano, nelle Camere di consiglio del 15 ottobre 1999, 17 dicembre 1999, 30 marzo 2000 e 23 giugno 2000 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia in Camera di Consiglio, con l'intervento dei signori:
Francesco Mariuzzo - Presidente
Raffaello Sestini - Giudice estensore
Carlo Deodato - Giudice
Pubblicata l’8.8.2000 con il n. 234