TAR SICILIA-PALERMO, SEZ I - Ordinanza 11 dicembre 1998 (in G.U.R.S. parte I, n. 19 del 23 aprile 1999) - Pres. Castiglione, Est. Di Paola - Crupi (Avv. Lupo) c. Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Palermo (Avv. Stato Maisano) e Comune di Isnello (Avv. Sangiorgi Paratore).
Edilizia ed urbanistica - Condono edilizio - Sicilia - Immobili realizzati in zona soggetta a vincolo paesaggistico - Divieto di rilascio di concessione in sanatoria - Anche nel caso in cui il vincolo sia stato apposto successivamente alla realizzazione dell'immobile abusivo - Ex art. 5, comma 3, L. reg. n. 117/1994 - Questione di legittimità costituzionale di quest'ultima norma - Per contrasto con l'art. 101, secondo comma, Cost. - Va sollevata.
(L. reg. Sicilia 31 maggio 1994 n. 117, art. 5, c. 3°)
(L. reg. Sicilia 10 agosto 1985 n. 37, art. 23)
(Cost., art. 101, c. 2°)
Va sollevata - con riferimento all'art. 101, secondo comma della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, legge regionale Sicilia 31 maggio 1994, n. 117, il quale, interpretando l'art. 23 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, ha stabilito che "Il nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva".
L'art. 5, comma 3, della legge regionale 31 maggio 1994, n. 17, pur qualificandosi norma interpretativa, incide profondamente sul dato testuale della norma interpretata, ampliandone l'ambito temporale di operatività, con la conseguenza che, per la sua natura interpretativa, in realtà solo apparente, vincola l'interpretazione del giudice, incompatibilmente con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione.
Ordinanza pervenuta alla Corte costituzionale il 12
marzo 1999 emessa dal T.A.R. della Sicilia sul ricorso proposto da Crupi Paolo contro la
Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Palermo ed altro.
N. 183 Reg. ord. 1999
Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione prima, ha pronunciato la
seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 187-78/1992 proposto dal sig. Crupi Paolo, effettivamente domiciliato in Palermo, piazza Amendola n. 43, presso lo studio dell'avv. T. Raimondo, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Lupo per mandato a margine del ricorso;
contro
la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Palermo, in persona
del soprintendente pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria;
ed il comune di Isnello, in persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in
Palermo, via Sammartino n. 55, presso lo studio dell'avv. Salvatore Sangiorgi Paratore,
che lo rappresenta e difende per mandato a margine della memoria di costituzione;
per l'annullamento
- del parere parzialmente negativo espresso dalla Soprintendenza ai beni culturali ed
ambientali di Palermo in ordine all'istanza di sanatoria di un edificio in territorio del
comune di Isnello;
- dell'ingiunzione di demolizione n. 31/91 del 22 novembre 1991 del sindaco di Isnello.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato per l'Amministrazione
regionale intimata e dell'avv. S. Sangiorgi Paratore per l'amministrazione comunale;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Designato relatore alla pubblica udienza del 26 giugno 1998 il consigliere Cosimo Di
Paola;
Uditi l'avv. F. Lupo per il ricorrente, l'avvocato dello Stato Nicola Maisano per
l'Amministrazione regionale e l'avv. A. Sangiorgi, in sostituzione dell'avv. S. Sangiorgi
Paratore per l'amministrazione comunale intimata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato l'11-13 gennaio 1992, e depositato il successivo 16 gennaio, il
ricorrente esponeva di essere proprietario di un edificio nel comune di Isnello,
realizzato in assenza della concessione edile in epoca anteriore alla pubblicazione del
decreto assessoriale di imposizione del vincolo paesaggistico sull'area, e di aver
proposto per lo stesso istanza di condono edilizio; impugnava il parere parzialmente
negativo reso dalla Soprintendenza di Palermo e l'ordinanza di demolizione adottata in
conseguenza dal sindaco del comune di Isnello. Deduceva le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 26, legge regionale n. 37/85; eccesso
di potere per irrazionalità manifesta.
La circostanza della sopravvenienza del vincolo rispetto all'epoca di realizzazione
dell'opera abusiva ne consentirebbe la sanatoria, indipendentemente dal vincolo stesso;:
2) eccesso di potere per travisamento del fatto, illogicità e contradditorietà.
La Soprintendenza non poteva negare il parere favorevole in relazione alla situazione
della zona, ove sorgono numerosi altri edifici di ben maggiore volumetria rispetto a
quello del ricorrente;
3) illegittimità derivata.
Dalla illegittimità del parere negativo della Soprintendenza discende quella
dell'ordinanza sindacale;
4) violazione e falsa applicazione dell'art. 35, legge n. 47/85 (nel testo di cui all'art.
26, legge regionale n. 37/85) in combinato disposto con gli artt. 38 e 44 della stessa
legge.
L'amministrazione comunale non poteva comunque adottare alcun provvedimento sanzionatorio
senza aver prima esitato l'istanza di condono.
Resisteva l'Amministrazione regionale la quale esponeva che sin dal 1985 il ricorrente era
stato destinatario di provvedimenti di sospensione dei lavori da parte del comune e della
stessa Soprintendenza e deduce comunque la rilevanza del vincolo paesaggistico, se pure
imposto successivamente alla data di realizzazione delle opere, e comunque la correttezza
del parere reso sull'istanza di condono.
Si costituiva altresì il comune di Isnello deducendo l'infondatezza del gravame.
Alla camera di consiglio del 27 febbraio 1992 l'istanza di sospensione del provvedimento
impugnato veniva accolta.
Con decisione interlocutoria n. 426/93 del 5 maggio 1993 veniva disposta l'acquisizione di
atti ritenuti necessari ai fini del decidere.
Con memoria depositata il 14 febbraio 1998 il procuratore del ricorrente eccepiva
l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge regionale 31 maggio
1994, n. 17 - di interpretazione autentica dell'art. 23, comma 10, della legge regionale
10 agosto 1985, n. 37 - per contrasto con l'art. 3 Cost., in riferimento agli artt. 9,
comma 2, 42, 116 e 117 Cost.
Alla pubblica udienza del 26 giugno 1998 i procuratori delle parti chiedevano porsi il
ricorso in decisione, insistendo nelle rispettive conclusioni.
DIRITTO
1. Col primo motivo di censura si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e
26 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 ed eccesso di potere per irrazionalità
manifesta.
Si sostiene che sarebbe suscettibile di sanatoria l'immobile del ricorrente poiché
all'epoca in cui fu realizzato non era stato ancora imposto il vincolo paesaggistico nella
zona in cui esso insiste.
Deve osservarsi, al riguardo, che il comma 10 del citato art. 23 dispone "Per le
costruzioni che ricadono in zone vincolate da leggi statali e regionali per la tutela di
interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici..., le concessioni
in sanatoria sono subordinate al nulla-osta rilasciato dagli enti di tutela sempre che il
vincolo, posto antecedentemente all'esecuzione delle opere, non comporti inedificabilità
e le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima".
Nelle more del giudizio è intervenuta la legge regionale 31 maggio 1994, n. 17, che
all'art. 5, comma 3, ha dettato l'interpretazione autentica della surriferita norma,
stabilendo che "Il nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è
richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato
apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva".
Tale nuova disposizione toglie ogni pregio giuridico alla censura in esame, dal momento
che diviene irrilevante, ai fini della sanatoria edilizia, l'addotta circostanza
(sufficientemente provata in atti) circa l'avvenuta esecuzione del fabbricato abusivo
prima dell'apposizione del vincolo paesaggistico in questione (il vincolo è stato apposto
con decreto 17 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione
siciliana n. 42 del 2 settembre 1989, l'immobile abusivo risultava eseguito alla data del
3 maggio 1985 - v. verb. polizia municipale in atti).
Consapevole di ciò, il difensore del ricorrente ha sollevato questione di legittimità
costituzionale della sopravvenuta norma, per violazione dell'art. 3 Cost., in riferimento
agli artt. 9, comma 2, 42, 116 e 117 Cost.
La questione è rilevante e non manifestamente infondata, non però sotto i citati
profili, bensì - come avanti si vedrà - con riferimento al parametro costituzionale
rilevato d'ufficio dal collegio.
2. La rilevanza della questione discende dal fatto che i restanti motivi di censura
dedotti sono infondati.
2.1. Col secondo di essi, invero, viene denunciato eccesso di potere per travisamento del
fatto, per violazione dei precetti di logica e per contraddittorietà.
Il fabbricato del Crupi, diversamente da quanto afferma la Soprintendenza, non
arrecherebbe disturbo alla veduta del paesaggio naturale, in quanto ubicato alla periferia
del paese e sovrastato da "un enorme edificio scolastico...".
La Soprintendenza, viceversa, ha formulato un giudizio estetico negativo del fabbricato
(costituito da ben 5 piani n.d.e.) nei seguenti inequivoci termini "la composizione
della vallata viene brutalmente offesa dal fabbricato in oggetto... realizzato senza
tenere conto delle tipologie costruttive dei dintorni, apparendo completamente estranei
alle locali tradizioni".
Orbene, tale valutazione "costituisce tipica espressione di discrezionalità tecnica
che, secondo pacifica giurisprudenza, non è sindacabile in sede di giudizio di
legittimità, se non sotto il profilo della manifesta arbitrarietà. Il che non risulta
affatto dimostrato nel vaso in esame.
2.2. Il terzo motivo di gravame va senz'altro disatteso.
Siccome non sussiste - come si è appena visto - la lamentata illegittimità del parere
negativo della Soprintendenza, non può inferirsene l'illegittimità derivata
dell'impugnato ordine di demolizione.
2.3. Il quarto motivo, infine, con cui si deduce violazione e falsa applicazione degli
artt. 35, 38 e 44 della legge n. 47/85, è anch'esso infondato.
Il ricorrente invoca l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui qualora sia pendente
domanda di sanatoria edilizia, il sindaco ha l'obbligo di una specifica pronuncia su di
essa, senza che possa frattanto adottare alcun provvedimento sanzionatorio a carico del
commesso abuso edilizio (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V sezione, 7 novembre 1990, n.
770, V sezione, 26 giugno 1992, n. 581, e Csi. 28 febbraio 1995, n. 58).
Siffata giurisprudenza, tuttavia, non può essere invocata nel caso in esame.
L'impugnata ordinanza di demolizione, invero, non attiene ad una autonoma determinazione
del sindaco - che in tal caso sarebbe risultata adottata in spregio al dovere di
previamente decidere sulla richiesta di sanatoria - bensì si configura come un
provvedimento dovuto, conseguenziale al parere negativo ed alla parziale demolizione del
fabbricato, disposti dalla Soprintendenza. Il che, peraltro, chiaramente si evince dalle
premesse dell'ordinanza medesima.
Si consideri, d'altra parte, che la disposizione dell'art. 44, legge n. 47/85, secondo cui
in attesa della definizione delle domande di condono per gli abusi edilizi consumati sono
sospesi i relativi provvedimenti amministrativi sanzionatori, non si riferisce ai
procedimenti concernenti gli illeciti paesistici ed all'irrogazione ed applicazione delle
relative sanzioni, in quanto tali illeciti non sono presi in considerazione dalla citata
legge n. 47/85 per disporre la sanatoria, ma solo per configurarli come cause ostative
della sanatoria del diverso illecito edilizio (Cons. Stato, sezione VI, 31 maggio 1990, n.
551).
Ed ancora, si tenga conto del fatto che rientra nei poteri dell'amministrazione
competente, oltre che del giudice adito, verificare l'astratta riconducibilità dell'opera
oggetto della domanda di condono tra quelle suscettibili di sanatoria, escludendosi ogni
conseguente automaticità dell'effetto sospensivo previsto dall'art. 44 sopra citato, in
relazione ad opere edilizie certamente non sanabili (Cons. Stato, sezione V, 4 ottobre
1994, n. 1100).
Dal che discende, quale ulteriore corollario, che il sindaco non è tenuto a pronunciarsi
sulla domanda di condono qualora, come nella specie, risulti evidente la non sanabilità
delle opere, stante il parere negativo espresso al riguardo della Soprintendenza.
I motivi di gravame dedotti sono dunque tutti infondati, sicché dall'esito del giudizio
della Corte costituzionale - sulla questione di illegittimità costituzionale (come
appresso individuata dal collegio) - consegue l'accoglimento o la reiezione del ricorso.
Donde la rilevanza della questione medesima.
3. Circa la non manifesta infondatezza della questione si rileva quanto segue.
3.1. Il ricorrente denuncia l'illegittimità costituzionale della norma in questione per
contrasto:
- con l'art. 3 Cost. in riferimento all'art. 9, comma 2, e all'art. 42 Cost., in quanto
essa darebbe luogo ad una "irragionevole equiparazione di situazioni non
omogenee"; sarebbero trattati allo stesso modo, il proprietario che edifica in
violazione dell'art. 7, legge n. 1497/39, quando cioè già esiste un vincolo
paesaggistico, e colui che invece fabbrica sul proprio fondo, prima dell'apposizione del
regime vincolistico;
- con l'art. 3 in relazione all'art. 9, comma 2°, e 42 Cost. e con riferimento agli artt.
116 e 117 Cost. "sotto il profilo della disuguaglianza manifesta fra casi
eguali" la sanabilità delle opere potrebbe in concreto dipendere, nell'ipotesi di
vincolo imposto successivamente all'edificazione di esse, dalla sollecitudine con cui le
amministrazioni definiscono le istanze di condono;
- con l'art. 3 Cost., con riferimento agli artt. 2, 2° comma, 42, 116, 117 Cost.,
"sotto l'ulteriore profilo dell'irragionevolezza, dell'incoerenza e della
contradditorietà": la norma limita l'irretroattività dei suoi effetti
all'applicazione delle sanzioni pecuniarie discendenti dalla violazione del vincolo,
mentre "fa retroagire le sanzioni mortali quelle di natura ripristinatoria".
Così prospettata, la questione di legittimità costituzionale deve ritenersi
manifestamente infondata.
Ed invero, tutti e tre i profili di censura suddetti mostrano di ignorare quale è
l'effettiva ratio della norma in esame.
Questa, nel subordinare al parere dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo
l'esito della domanda di sanatoria edilizia, indubbiamente persegue la finalità di
consentire la valutazione della situazione edilizia - per la quale è stata proposta
domanda di sanatoria - allo scopo di accertare se la costruzione stessa, (a prescindere
che sia) precedente o successiva all'imposizione del vincolo, non comprometta in maniera
definitiva valori corrispondenti ad interessi pubblici primari - culturali, ambientali o
(come nella specie) paesaggistici - tutelati da regime vincolistico.
La norma realizza, all'evidenza, una sorta di difesa avanzata, e quindi più incisiva ed
efficace, dell'ambiente, in quelle zone di particolare pregio estetico, meritevoli, come
tali, di essere salvaguardate da possibili interventi edilizi pregiudizievoli, tenuto
soprattutto conto della notoria diffusione del fenomeno dell'abusivismo edilizio in
Sicilia.
Valutata in tale ottica, la norma regionale in esame non esorbita dall'ambito della
discrezionalità riservata al legislatore ed è certamente rispettosa del principio di
uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
3.2. Ritiene piuttosto il collegio che l'art. 5, comma 3, della legge regionale 31 maggio
1994, n. 17, pur qualificandosi norma interpretativa, incide profondamente sul dato
testuale della norma interpretata, ampliandone l'ambito temporale di operatività, con la
conseguenza che, per la sua natura interpretativa, in realtà solo apparente, vincola
l'interpretazione del giudice, incompatibilmente con l'art. 101, secondo comma, della
Costituzione.
Ed invero, secondo una costante giurisprudenza costituzionale (cfr. da ultimo, le sentenze
n. 233 del 1988 e n. 155 del 1990) va riconosciuto carattere interpretativo soltanto a
quelle leggi o a quelle disposizioni che, riferendosi e saldandosi con altre disposizioni
(quelle interpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste
ultime (senza perciò intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o
esplicitandone il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno
dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all'interprete un
determinato significato normativo della disposizione interpretata.
La norma suddetta, viceversa, anziché desumere, enucleare o escludere un qualche
significato già insito nella disposizione "interpretata", interviene sul testo
legislativo, aggiungendo una diversa disposizione.
Ed invero, mentre l'art. 23, comma 10, legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, prevedeva
che... "le concessioni in sanatoria sono subordinate al nulla-osta rilasciato dagli
enti di tutela sempre che il vincolo, posto antecedentemente all'esecuzione delle
opere...", la norma "interpretativa" in esame stabilisce invece che
"Il nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai
fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto
successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva".
Si tratta di una innovazione che incide in modo sostanziale sulla precedente disciplina
normativa, poiché introduce una previsione certamente non desumibile dal testo
"interpretato", nel quale si fa espresso riferimento alla preesistenza del
vincolo: il nulla osta agli enti di tutela va richiesto, qualora il vincolo sia stato
apposto in epoca antecedente all'esecuzione del fabbricato da sanare.
In tal modo, l'originaria norma regionale faceva corretta applicazione di un principio
generale del nostro ordinamento, quello cioè della irretroattività (art. 11 preleggi)
che, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignità costituzionale (art. 25,
secondo comma, Cost.), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui,
salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi,
in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile
convivenza e della tranquillità dei cittadini (cfr. sent. Corte costituzionale n. 155/90
cit.).
Si sarebbe potuto considerare effettivamente interpretativa la norma in questione nel caso
in cui si fosse ad esempio limitata a chiarire che nell'espressione "vincolo posto
antecedentemente all'esecuzione delle opere", quest'ultima locuzione avrebbe dovuto
intendersi come "ultimazione dell'opera abusiva".
Essa invece ha attribuito al regime vincolistico una efficacia temporale retroattiva: il
nulla osta agli enti di tutela deve essere richiesto "anche quando il vincolo sia
stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva".
Con ciò il legislatore regionale ha mirato a conseguire quella più incisiva difesa
dell'ambiente, di cui si è detto sopra, esorbitando però, in modo palese, dall'ambito di
una interpretazione autentica della norma.
Alla luce di quanto sopra esposto, l'art. 5, comma 3, legge regionale 31 maggio 1994, n.
17, appare in contrasto con l'art. 101 Cost. Sicché, attesa la rilevanza della questione
di legittimità costituzionale, ai fini della decisione del ricorso in epigrafe, deve
disporsi la sospensione del presente giudizio, rimettendo gli atti alla Corte
costituzionale per la risoluzione della questione medesima, così come è previsto
dall'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione 1ª:
- dichiara rilevante per la definizione del presente giudizio e non manifestamente
infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di costituzionalità dell'art. 5,
comma 3, legge regionale 31 maggio 1994, n. 117, per violazione dell'art. 101, secondo
comma della Costituzione;
- sospende il giudizio in corso e ordina la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
- ordina alla segreteria di provvedere alla notificazione della presente ordinanza alle
parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alla comunicazione della
stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 26 giugno 1998, con l'intervento
dei signori magistrati:
- Giovanni Castiglione, presidente;
- Calogero Ferlisi, consigliere;
- Cosimo Di Paola, consigliere-estensore.
Depositata in segreteria l'11 dicembre 1998.