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n. 4-1999 - © copyright.

T.A.R. PIEMONTE, SEZ. II - Sentenza 22 aprile 1999, n. 225 - Pres. Montini, Est. Caso - Chimica Industriale S.p.A. (Avv. Comba, Pizzetti, Montanaro) c. Provincia di Torino (Avv. Gallo, Tarchi).

Comune e provincia - Deliberazione - Direttiva comunitaria - Fissazione limite temporale - Deroga ex art. 130T trattato CE - Motivazione - Necessità - Legittimità.

Atto amministrativo - Efficacia e legittimità - Art. 130T trattato CE - Deliberazione giunta provinciale - Notifica alla Commissione - Non necessità.

Atto amministrativo - Autorizzazione - Rinvio a determinazioni di competenza di altri enti - Condizione - Ammissibilità.

Il potere riconosciuto ad ogni ordinamento nazionale di adottare disposizioni più restrittive in materia ambientale lascia libera ogni autorità pubblica interna di agire secondo le proprie competenze e con l’efficacia che è propria degli atti che emana, essendo irrilevante in sede comunitaria quale organo nazionale intervenga a regolare una data materia.

Non si può quindi in alcun modo desumere dall’art. 130T del trattato CE un vincolo a provvedere in capo alle autorità centrali piuttosto che a quelle locali, oppure alle autorità investite di una funzione legislativa piuttosto che a quelle investite di una funzione amministrativa.

La deroga al limite temporale fissato dalla direttiva comunitaria deve comunque essere motivata sulla base delle peculiarità della situazione di fatto.

Anche all’atto amministrativo possono essere apposte clausole accidentali, quali la condizione, purché non ne risultino alterate la struttura e la funzione tipica e le situazioni giuridiche non ne siano illegittimamente compresse è necessario, in altri termini, che ciò non sia vietato dalla legge o non risulti comunque incompatibile con la natura e le caratteristiche proprie del provvedimento (1).

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(1) Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1993 n. 1031 e 4 giugno 1985 n. 229. 

 

 

DIRITTO : Oggetto di impugnativa è il provvedimento con cui la Giunta provinciale di Torino ha deliberato di autorizzare la ditta ricorrente all’esercizio dell’attività di "autosmaltimento mediante termodistruzione di rifiuti pericolosi e non pericolosi provenienti dalla propria attività di trattamento mediante distillazione finalizzata al recupero". Si contestano alcune disposizioni ivi impartite, e pertanto si richiede l’annullamento in parte qua dell’atto censurato.

Nelle more del giudizio l’Amministrazione ha modificato talune prescrizioni, determinando il venir meno dell’interesse alla pronuncia sui punti 5.C.2 e 5.C.31, come da dichiarazione resa dalla ricorrente (v. memoria difensiva del 19 febbraio 1999). Per tali profili di doglianza, quindi, il gravame è improcedibile.

Per il resto occorre esaminare le censure formulate.

Viene innanzi tutto in rilievo la prescrizione (5.C.19) relativa al termine imposto per l’adeguamento del "sistema di abbattimento" ai limiti fissati dalla normativa comunitaria ("entro 90 giorni dal ricevimento del presente atto sia presentato all’ente competente un progetto per l’adeguamento, da realizzarsi al massimo entro due anni, del sistema di abbattimento al fine di rispettare le concentrazioni limite, in emissione dal camino dell’inceneritore, previste dalla direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16/12/94 pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 31/12/94"). La ricorrente lamenta che si è indebitamente anticipato al 27 marzo 1999 il termine che l’art. 13 ("Le disposizioni della presente direttiva si applicano agli impianti di incenerimento preesistenti entro tre anni e sei mesi dalla data specificata all’articolo 18, paragrafo 1") e l’art. 18 ("Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 1996 …") della direttiva n. 94/67 del 16 dicembre 1994 fissano al 30 giugno 2000: ciò determinerebbe una ingiustificata inosservanza della disciplina comunitaria - cui entro certi limiti possono derogare solo gli Stati (v. art. 130T del trattato CE) -, nonché una evidente violazione del principio di legalità che informa il nostro ordinamento, e comunque sarebbe espressione di una scelta del tutto irragionevole, in quanto riguarda un impianto comunque destinato ad essere rilocalizzato in breve tempo, senza che sia stato neppure specificato l’interesse pubblico che giustificherebbe la misura assunta.

Osserva il Collegio che con la direttiva n. 94/67 del 16 dicembre 1994 il Consiglio dell’Unione Europea ha inteso regolare l’incenerimento dei rifiuti pericolosi, tenendo conto dei rischi di inquinamento ambientale e di danno alla salute umana che derivano da tale attività; si è quindi provveduto a definire misure e procedure finalizzate a prevenirne o ridurne – per quanto possibile – gli effetti negativi, e ciò con la fissazione di condizioni di esercizio e di valori-limite di emissione per gli impianti a tale scopo impiegati. Tuttavia, relativamente agli impianti di incenerimento "preesistenti", vale a dire già destinatari di un atto di autorizzazione prima del 31 dicembre 1996 (art. 2), è stata prevista una fase transitoria per l’adeguamento alla nuova disciplina, determinandosi al 30 giugno 2000 il termine per il completamento delle operazioni a tale fine necessarie (artt. 13 e 18).

Ciò posto, nell’anticipare al 27 marzo 1999 la data entro la quale la ditta ricorrente è tenuta ad adottare le misure utili ad uniformare il "sistema di abbattimento" ai valori-limite stabiliti dalla direttiva, la Provincia di Torino ha inteso in definitiva avvalersi della facoltà di elevare il livello di protezione ambientale, in deroga alla disciplina comunitaria, ai sensi dell’art. 130T del trattato CE ("I provvedimenti di protezione adottati in virtù dell’articolo 130S non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore. Tali provvedimenti devono essere compatibili con il presente trattato. Essi sono notificati alla Commissione"). Né è fondato l’assunto per cui a tanto si sarebbe potuto provvedere solo con atto dell’autorità statale, in quanto il potere riconosciuto ad ogni ordinamento nazionale di adottare disposizioni più restrittive in materia ambientale lascia evidentemente libera ogni autorità pubblica interna di agire secondo le proprie competenze e con l’efficacia che è propria degli atti che emana, essendo irrilevante in sede comunitaria quale organo nazionale intervenga a regolare una data materia. Non si può quindi in alcun modo desumere dall’art. 130T del trattato CE un vincolo a provvedere in capo alle autorità centrali piuttosto che a quelle locali, oppure alle autorità investite di una funzione legislativa piuttosto che a quelle investite di una funzione amministrativa. Dal che la legittimazione dell’Amministrazione provinciale a fissare un termine più breve per l’adeguamento dell’impianto della ricorrente alla normativa comunitaria - la cui diretta applicabilità non è oggetto di contestazione -, in assenza di una disciplina interna che disponesse altrimenti. Né induce ad una diversa conclusione la circostanza – segnalata dalla ricorrente – che in talune occasioni (v. sentt. n. 101 del 1989 e n. 53 del 1991) la Corte costituzionale ha richiamato la necessità che le norme in materia di tutela ambientale abbiano un assetto uniforme a livello nazionale, per evitare disparità di trattamento tra le imprese che vi sono soggette (oltre che per fruire delle più approfondite conoscenze tecniche che sono proprie dello Stato rispetto alle Regioni), essendo stato espresso tale orientamento in relazione a situazioni in cui si trattava di vagliare la razionalità delle scelte ivi operate in ordine al riparto di competenze tra Stato e Regioni, senza però che se ne possa desumere un principio generale che vieti in assoluto una disciplina differenziata in sede locale, anche perché ciò vanificherebbe le autonomie degli enti territoriali: si tratta quindi di raccordare di volta in volta le determinazioni assunte alla tutela dei vari interessi pubblici coinvolti, per verificarne la congruità, fermo il rispetto dei vincoli eventualmente fissati a livello statale. Né ancora rileva l’obiezione per cui l’art. 130T del trattato CE impone una notifica alla Commissione – che nella specie difetterebbe –, essendo questo un aspetto di carattere procedurale ulteriore, che non opera né come condizione di efficacia né come condizione di legittimità dell’atto adottato, e come tale esula dal presente giudizio; ricade piuttosto sulla responsabilità dell’Amministrazione provinciale, e quindi dello Stato italiano, l’eventuale inadempimento all’obbligo in tal modo imposto.

Risulta invece fondata la censura che attiene alla carenza di motivazione. La deroga al limite temporale fissato dalla direttiva comunitaria avrebbe richiesto un’adeguata indicazione delle ragioni di tale misura, attraverso l’illustrazione delle peculiarità della situazione di fatto e dei concreti rischi di inquinamento ambientale legati all’esercizio dell’impianto oggetto di autorizzazione, sì da giustificare la più rigorosa disciplina dettata dall’Amministrazione. Andava insomma evidenziata la specificità del caso, che per differenziarsi dalle situazioni ordinarie rendeva necessario un più elevato livello di protezione ambientale, e quindi un più sollecito adeguamento ai limiti delle emissioni fissati in sede comunitaria.

Di qui l’illegittimità, per difetto di motivazione, della prescrizione di cui al punto 5.C.19, e conseguentemente il suo annullamento.

Un ulteriore motivo di doglianza investe la clausola di cui al punto 9. dell’atto impugnato ("… la presente autorizzazione non esonera dal conseguimento degli atti o provvedimenti di competenza di altre autorità previsti dalla legislazione vigente per l’esercizio delle attività in oggetto; la medesima non è efficace in assenza anche solo temporanea dei succitati provvedimenti"). Secondo la ditta ricorrente non potrebbe l’Amministrazione subordinare l’efficacia di un suo provvedimento ad accertamenti e valutazioni che fanno capo ad altri organi o soggetti, in quanto quegli atti tutelano interessi pubblici distinti, e come tali esulano dalla sfera di competenza dell’Autorità decidente, che deve quindi limitarsi a vagliare i presupposti degli atti di propria pertinenza.

La censura è infondata.

Per costante giurisprudenza, anche all’atto amministrativo possono essere apposte clausole accidentali, quali la condizione, purché non ne risultino alterate la struttura e la funzione tipica e le situazioni giuridiche non ne siano illegittimamente compresse (v. Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1993 n. 1031 e 4 giugno 1985 n. 229); è necessario, in altri termini, che ciò non sia vietato dalla legge o non risulti comunque incompatibile con la natura e le caratteristiche proprie del provvedimento (v. Cons. Stato, Sez. IV, 23 gennaio 1984 n. 23). Nella circostanza, in effetti, l’Amministrazione provinciale ha inteso garantire il regolare svolgimento dell’attività di smaltimento dei rifiuti, richiamando la ditta all’obbligo di acquisire tutti i titoli abilitativi richiesti dalla legge – anche se di pertinenza di altri soggetti pubblici –, e agli stessi ha subordinato l’efficacia dell’autorizzazione, non facendo null’altro che esplicitare una relazione che è insita nel sistema normativo, nel senso che il previo conseguimento dei vari atti di assenso è condizione per il legittimo esercizio dell’attività di che trattasi. Non vi è quindi alcun superamento dei limiti che sono posti all’Autorità decidente, in quanto questa non si è pronunciata su profili che esulano dalle proprie attribuzioni, ma ha operato un mero rinvio alle determinazioni di competenza degli altri enti, e alla coesistenza dei vari presupposti di legge ha condizionato l’inizio dell’attività di smaltimento.

La ditta ricorrente lamenta infine che, pur essendo stata fissata in cinque anni la durata dell’autorizzazione, è stata al contempo prevista l’eventualità di un termine più breve ("… la durata dell’autorizzazione è limitata ad anni cinque a decorrere dalla data della presente deliberazione, fatta salva l’eventuale più breve scadenza indicata dal piano d’area del Parco fluviale del Po …"). Ciò comporterebbe l’illegittimità della clausola di cui al punto 10. dell’atto impugnato, per discostarsi essa dai limiti temporali stabiliti dalla legge (art. 17 del d.P.R. n. 915 del 1982 e art. 28 del d.lgs. n. 22 del 1997), oltre che per venire in tal modo attribuita ad uno strumento di gestione del territorio una determinazione che è di competenza esclusiva della Provincia, e comunque per venire condizionata l’efficacia dell’atto a valutazioni che esulano dalle attribuzioni dell’Autorità decidente.

Il Collegio ritiene fondata l’eccezione di carenza di efficacia lesiva della sfera giuridica della ricorrente (v. memoria difensiva dell’Amministrazione provinciale), nella condivisibile considerazione che la clausola censurata non reca un’automatica abbreviazione della durata dell’autorizzazione in conseguenza diretta di specifiche future prescrizioni introdotte nel "piano d’area del parco fluviale del Po". Appare insomma ragionevole intendere la disposizione come una riserva di ulteriori determinazioni sul punto, a seguito dell’adozione del piano di che trattasi – e quindi della verifica della persistente compatibilità dell’attività autorizzata con la disciplina territoriale dell’area in cui è ubicato l’impianto –; sicché la lesione della sfera giuridica della ricorrente potrà realizzarsi solo al momento dell’adozione delle eventuali nuove misure dell’Amministrazione provinciale, le quali dovranno costituire oggetto di rituale impugnativa.

Di qui l’inammissibilità della censura.

Le spese di giudizio vanno in parte compensate e in parte poste a carico dell’Amministrazione, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per il PIEMONTE, Sezione II, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:

- accoglie nei limiti di cui in motivazione il motivo sub B), e per l’effetto annulla la deliberazione prot. n. 77-48202/1997 del 27 marzo 1997, limitatamente alla prescrizione di cui al punto 5.C.19;

- respinge il motivo sub D);

- dichiara inammissibile il motivo sub E);

- dichiara improcedibili i motivi sub A) e C).

In parte compensa e in parte pone a carico dell’Amministrazione le spese di giudizio, nella misura di £. 2.000.000 (duemilioni).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

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