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Giurisprudenza
n. 4-1999 - © copyright.

T.A.R. PIEMONTE, SEZ. II - Sentenza 22 aprile 1999, n. 218 - Pres. Montini, Est. Massari - Inglese (Avv. Zuccarello) c. Azienda ospedaliera C.T.O.-C.R.F. MARIA ADELAIDE (n.c.) ed altri.

Silenzio della P.A. - Silenzio rifiuto - Sentenza e decisione - Contenuto - Affermazione in positivo relativa ad un preteso provvedimento satisfattivo dell’interesse fatto valere nel procedimento.

Pubblico impiego - Inquadramento - Azioni di accertamento - Improponibilità.

Pubblico impiego - Inquadramento - Posizione soggettiva del dipendente - Interesse legittimo.

Giustizia amministrativa - Giudicato amministrativo - Pubblico impiego - Inquadramento - Estensione agli estranei alla lite - Obbligo della P.A. - Esclusione.

 Il giudizio sulla legittimità del silenzio rifiuto deve intendersi volto, ove possibile, a stabilire la fondatezza della pretesa sostanziale dedotta con la conseguenza che l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere non va pronunciato in astratto, ma in relazione alla domanda, perché quella che viene chiesta al giudice non è una pronuncia di qualsiasi contenuto, bensì una affermazione in positivo relativa ad un preteso provvedimento che sia satisfattivo dell’interesse fatto valere nel procedimento (1).

In materia di inquadramento di pubblici dipendenti, non sono proponibili azioni di accertamento, ma solo di impugnazione degli atti autoritativi di assegnazione della qualifica funzionale e del corrispondente livello retributivo, in quanto la posizione del dipendente non è quella di titolare di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo che egli è legittimato a far valere insorgendo tempestivamente, nel rispetto dei termini decadenziali, contro l’atto autoritativo che gli attribuisca una posizione di status e retributiva inferiore a quella che ritiene spettargli (2).

Non sussiste, da parte della pubblica amministrazione, un obbligo di procedere all’estensione di benefici derivanti da un giudicato favorevole ad un proprio dipendente anche nei riguardi degli altri impiegati rimasti estranei al relativo giudizio, per quanto attiene alle pretese di inquadramenti e di trattamenti economici superiori (3).

La P.A., allorché in sede giurisdizionale sia stata accertata la fondatezza della domanda di taluni dipendenti diretta ad ottenere un diverso e migliore inquadramento giuridico ed economico, è, in linea di principio, libera di scegliere se ampliare o meno gli effetti del giudicato amministrativo, potendo accertare se sussista o meno la convenienza nei vari casi di estendere gli effetti della massima da applicarsi, sempre che ciò possa farsi senza ledere i principi di imparzialità e buon andamento o eventuali diritti di terzi e valutando anche se ciò risulti compatibile con le proprie risorse finanziarie (4).

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(1) Cons. Stato, sez. VI, 19.2.1993, n. 170; id. 23.1.1990, n. 126; TAR Lazio, sez. I, 17.4.1997, n. 596.

(2) Cons. Stato, sez. V, 6.2.1984, n. 108; id. sez. IV, 27.1.1993, n. 104.

(3) Cons. Stato, sez. V, 30.11.1997, n. 1224.

(4) Cons. Stato, sez. V, 21.9.1996, n. 1146; id. sez. V, 29.5.1995, n. 841; TAR Marche, 19.5.1997, n. 389.

 

 

DIRITTO : Con il ricorso in esame viene domandato a questo giudice di dichiarare l’illegittimità del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione sanitaria nei confronti dell’istanza e poi della diffida ritualmente notificata dalla ricorrente e volta ad ottenere l’estensione soggettiva in proprio favore del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR Piemonte n. 137/85, in ordine al ricorso presentato da altri dipendenti delle medesime Amministrazioni che si troverebbero nelle medesime condizioni di fatto e diritto della odierna richiedente.

Peraltro, secondo i principi consolidati in materia, il giudizio sulla legittimità del silenzio rifiuto deve intendersi volto, ove possibile, a stabilire la fondatezza della pretesa sostanziale dedotta con la conseguenza che l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere non va pronunciato in astratto, ma in relazione alla domanda, perché quella che viene chiesta al giudice non è una pronuncia di qualsiasi contenuto, bensì una affermazione in positivo relativa ad un preteso provvedimento che sia satisfattivo dell’interesse fatto valere nel procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 19.2.1993, n. 170; id. 23.1.1990, n. 126; TAR Lazio, sez. I, 17.4.1997, n. 596).

Tanto vale del resto ad evitare che la dichiarazione giudiziale di illegittimità del comportamento dell’Amministrazione, con riferimento alla deduzione di vizi meramente formali, lasciando salva l’ulteriore attività provvedimentale di quest’ultima, si risolva in una pronuncia sostanzialmente inidonea a consentire al ricorrente il conseguimento del petitum sostanziale per il quale il giudizio è stato instaurato.

Nel caso che ne occupa, dunque, al di là della formulazione adottata dalla ricorrente, occorrerebbe accertare la fondatezza del diritto della medesima all’inquadramento nella settima qualifica funzionale, come domandato nell’atto di diffida e messa in mora, anziché in quella formalmente assegnatale, ossia la quinta.

Posta in questi termini la favorevole delibazione della domanda attorea si presenta, peraltro, tutt’altro che agevole, atteso che, per unanime orientamento del giudice amministrativo, in materia di inquadramento di pubblici dipendenti, non sono proponibili azioni di accertamento, ma solo di impugnazione degli atti autoritativi di assegnazione della qualifica funzionale e del corrispondente livello retributivo, in quanto la posizione del dipendente non è quella di titolare di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo che egli è legittimato a far valere insorgendo tempestivamente, nel rispetto dei termini decadenziali, contro l’atto autoritativo che gli attribuisca una posizione di status e retributiva inferiore a quella che ritiene spettargli (Cons. Stato, sez. V, 6.2.1984, n. 108; id. sez. IV, 27.1.1993, n. 104).

D’altro canto, anche a prescindere dalle superiori considerazioni, nonché dalla questione della sussistenza in capo alla ricorrente dei presupposti soggettivi per l’accesso alla dedotta pretesa, occorre rilevare che, contrariamente all’assunto di parte, non sussiste, da parte della pubblica amministrazione, un obbligo di procedere all’estensione di benefici derivanti da un giudicato favorevole ad un proprio dipendente anche nei riguardi degli altri impiegati rimasti estranei al relativo giudizio, per quanto attiene alle pretese di inquadramenti e di trattamenti economici superiori (Cons. Stato, sez. V, 30.11.1997, n. 1224).

In altri termini, la P.A., allorché in sede giurisdizionale sia stata accertata la fondatezza della domanda di taluni dipendenti diretta ad ottenere un diverso e migliore inquadramento giuridico ed economico, è, in linea di principio, libera di scegliere se ampliare o meno gli effetti del giudicato amministrativo, potendo accertare se sussista o meno la convenienza nei vari casi di estendere gli effetti della massima da applicarsi, sempre che ciò possa farsi senza ledere i principi di imparzialità e buon andamento o eventuali diritti di terzi e valutando anche se ciò risulti compatibile con le proprie risorse finanziarie (Cons. Stato, sez. V, 21.9.1996, n. 1146; id. sez. V, 29.5.1995, n. 841; TAR Marche, 19.5.1997, n. 389).

Osserva altresì il Collegio che, nella specie, non viene neppure prospettato alcun vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento per avere l’Amministrazione provveduto ad estendere il giudicato in parola a soggetti che versavano in una situazione corrispondente a quella della ricorrente (Cons. Stato, sez. V, n. 841/95 cit.).

Di converso, deve invece rilevarsi che al momento della presentazione della richiesta di nuovo inquadramento in forza dell’estensione del giudicato, la normativa applicabile non era più quella invocata dalla ricorrente di cui all’art. 22 del DPR n. 13/86, bensì quella di cui all’art. 66, commi 2 e 3 del D.l.gs. n. 22 del 1993 (TAR Lazio, 14.2.1997, n. 262).

Inoltre, tanto l’art. 22 della l. 23 dicembre 1994 n. 724 che l’art. 1, comma 45, l. 28 dicembre 1995, n. 549 hanno introdotto il divieto per le amministrazioni pubbliche interessate di adottare provvedimenti di estensione del contenuto di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, ex art. 324 c.p.c., nella materia del pubblico impiego, per cui un’eventuale accoglimento della richiesta dell’odierna ricorrente si porrebbe in esplicito contrasto con tali disposizioni normative.

Ne consegue per le considerazioni svolte che il ricorso della sig.ra Inlgese non può essere accolto.

In relazione alla natura della controversia sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale per il Piemonte - 2^ Sezione - respinge il ricorso in epigrafe indicato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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