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n. 5-1999 - © copyright.

T.A.R. PIEMONTE, SEZ. II - Sentenza 6 maggio 1999, n. 240 - Pres. Montini, Est. Caso - Comitato "No alla discarica" (Avv.ti Ferrari, Comba e Bosco) c. Consorzio alessandrino per la raccolta, trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Avv. Santilli).

Giustizia amministrativa – Legittimazione a ricorrere – Interessi diffusi - Comitato – Fattispecie.

Giustizia amministrativa – Legittimazione a ricorrere – Persone fisiche – Localizzazione discarica – Fattispecie.

Giustizia amministrativa – Legittimazione a ricorrere – Partecipazione al procedimento amministrativo - Insussistenza.

Giustizia amministrativa – Localizzazione discariche – Sindacato giurisdizionale - Limiti.

Procedimento amministrativo – Partecipazione al procedimento – Contenuto.

Un comitato costituito con lo scopo temporalmente limitato di impedire la realizzazione nel territorio comunale di una discarica consortile, di cui fanno parte cittadini che si riconoscono negli obiettivi e nelle finalità del medesimo rappresenta una forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, caratterizzata dalla proiezione degli interessi di fatto dei soggetti che ne sono parte (non qualificati dalla previa titolarità di una posizione soggettiva giuridicamente protetta), e quindi strumentale all’esercizio di una sorta di azione popolare, non ammessa dal vigente ordinamento, in quanto priva del carattere di ente esponenziale portatore in via continuativa di interessi diffusi radicati nel territorio, e altresì sprovvista della legittimazione che deriva dalla individuazione ministeriale ex art. 13 della legge n. 349 del 1986.

Quanto, invece, alle persone fisiche ricorrenti, la legittimazione ad insorgere avverso atti di localizzazione e di approvazione di impianti per il trattamento e lo smaltimento di rifiuti presuppone che l’interessato precisi il concreto pregiudizio che ne deriva alla propria sfera giuridica, pregiudizio che non è evincibile dalla mera appartenenza al territorio comunale, dovendo invece ricollegarsi a situazioni ben determinate (quale ad esempio la circostanza che la localizzazione dell’impianto riduca il valore economico del fondo o dell’abitazione ubicati nelle sue immediate vicinanze, oppure la circostanza che le prescrizioni dettate dall’Autorità competente - per quanto attiene alle modalità di gestione dell’impianto - siano inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle vicinanze della discarica) sì da poter riconoscere al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero a chi vive e lavora in prossimità della discarica, un interesse qualificato e differenziato a ricorrere per denunciare l’illegittimità delle relative determinazioni.

La facoltà di intervenire nel procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 241 del 1990, non è di per sé fonte di legittimazione a ricorrere, non potendo questa prescindere da un interesse sostanziale individualizzato e qualificato.

La scelta delle aree per la localizzazione di opere pubbliche non è sindacabile nel merito, essendo riservato alla discrezionalità della pubblica Amministrazione l’apprezzamento della rispondenza delle aree alle esigenze pubbliche connesse alle opere medesime, sicché il sindacato giurisdizionale non può che limitarsi alla congruità e ragionevolezza delle motivazioni che sorreggono le scelte operate.

L’intervento nel procedimento amministrativo dei soggetti portatori di interessi diffusi costituitisi in associazioni o comitati (art. 9 della legge n. 241/90) si realizza sia consentendo loro di prendere visione degli atti del procedimento, sia ammettendoli alla presentazione di memorie scritte e documenti, che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare (art. 10). Nella fattispecie, quindi, l’essere state acquisite agli atti dell’Assemblea del Consorzio le osservazioni del comitato "No alla discarica", in vista del loro vaglio, e l’essere state esse poi oggetto di discussione ha garantito l’adeguata tutela degli interessi partecipativi del comitato, senza al contempo rendere necessaria una specifica e ulteriore motivazione sul punto, emergendo dagli atti del procedimento le valutazioni tecniche ed amministrative che hanno determinato la scelta finale dell’ente.

 

 

F A T T O

Il Comitato ricorrente e taluni soggetti qualificatisi proprietari e residenti nell’area interessata alla localizzazione di una discarica di r.s.u., lamentando l’illegittimità delle determinazioni assunte dal Consorzio alessandrino per la raccolta, trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - che individuava il sito di Mugarone-Bassignana per l’espletamento degli studi tecnici inerenti la c.d. fase C (delib. n. 28 del 30/9/93) -, hanno adito questo Tribunale (ricorso n. 422/94). Deducono:

1) Eccesso di potere sotto molteplici profili. Irragionevole ed insufficiente motivazione. Contraddittorietà con precedenti manifestazioni e violazione di parametri autoprefissi.

La scelta del sito di Mugarone-Bassignana è errata sotto molteplici profili. Non si è tenuto conto del contesto ambientale in cui la discarica dovrebbe essere realizzata (nelle vicinanze di tre paesi, nei pressi di un pozzo comunale e del Rio Morana, in una zona priva di fonti di inquinamento e tradizionalmente residenziale e meta di villeggiatura, ad alto contenuto sportivo e ricreativo), né sono stati compiutamente rispettati i criteri predeterminati dallo stesso Consorzio (si è ignorato che nell’ambito della fascia di rispetto di 1 km è ubicato il pozzo comunale di Mugarone e che l’area è classificata di I categoria al catasto agricolo, si è contraddittoriamente assegnata importanza "residuale" al fattore "distanza dagli insediamenti abitativi" rispetto al fattore "aspetti economici" e comunque è stata erroneamente calcolata la distanza del sito da Mugarone, si è sottovalutato il peso di taluni "fattori di impatto", quali il "fattore economico", il "fattore ventosità", il "fattore viabilità").

2) Violazione e falsa applicazione di molteplici norme (artt. 1 e 6 d.P.R. 915/82, art. 4 l. 319/75 e art. 2 l. 62/82, art. 24 l. 366/41 e leggi regg. 46/75 e 61/80, d.P.C.M. 27/7/84 e art. 4 d.P.R. 91/88, art. 1 lett. c l. 431/85 e artt. 1 e 24-26 l. 36/94, legge reg. 28/90, artt. 3, 32 e 97 Cost.).

La scelta operata si pone altresì in contrasto con la normativa indicata in epigrafe. Si è ignorata l’esigenza di tutela del diritto alla salute e di protezione dell’ambiente e degli equilibri socio-economici del territorio, non tenendosi conto della distanza minima di sicurezza dai centri abitati (1000 metri) e del vincolo assoluto di inedificabilità nella fascia di 150 metri dai corsi d’acqua pubblici, nonché della natura di "area protetta" riconosciuta alla zona limitrofa al sito.

Concludono quindi i ricorrenti per l’annullamento dell’atto impugnato.

Si è costituito in giudizio il Consorzio alessandrino, opponendosi all’accoglimento del gravame.

L’istanza cautelare veniva respinta dal Tribunale alla Camera di Consiglio del 21 gennaio 1998 con ordinanza n. 33/98.

Avendo poi il Consorzio alessandrino deliberato l’approvazione della fase C e definitivamente localizzato la discarica nel sito di Mugarone-Bassignana (delib. n. 4 del 17 febbraio 1995), il Comitato ricorrente e alcuni soggetti qualificatisi proprietari e residenti hanno proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, e quindi, a seguito dell’opposizione dei Comuni di Pecetto di Valenza e di Rivarone, hanno depositato presso questo Tribunale atto di costituzione in giudizio, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 1199/71 (ricorso n. 1755/95). Ripropongono le medesime censure formulate con il primo motivo del precedente ricorso, rilevando inoltre come nella fase C siano state ridotte le dimensioni della discarica (da 150.000 mq. a 85.000 mq.), il che avrebbe dovuto determinare però l’esclusione del sito per essere state violate le dimensioni minime fissate nelle fasi A e B; ripropongono inoltre le medesime censure del secondo motivo del precedente ricorso. Deducono poi:

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 9 della legge n. 241/90. Eccesso di potere per motivazione insufficiente, perplessità, assenza di istruttoria.

Omettendo di valutare la documentazione prodotta dal Comitato ricorrente, l’Amministrazione si è sottratta ai propri doveri di istruttoria, e ciò ha impedito anche una compiuta motivazione della scelta operata. Ne è derivata anche una palese violazione dell’art. 9 della legge n. 241 del 1990.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 dello Statuto del Consorzio, degli artt. 25 e 60 della legge n. 142/90, del r.d. n. 148/15.

L’art. 8 dello Statuto del Consorzio prevede che le deliberazioni dell’Assemblea debbano conseguire la maggioranza assoluta "dei voti", e ciò non può non essere inteso che come maggioranza dei "voti assegnati"; pertanto è insufficiente la maggioranza di 13 voti favorevoli per ritenere correttamente assunta la deliberazione di che trattasi, essendo 43 i membri complessivi dell’organo collegiale, ed essendo comunque 31 i membri nella specie presenti (9 contrari e 9 astenuti), sicché in ogni caso difetterebbe la maggioranza dei votanti. Né va ignorato che il sopraggiunto art. 25 della legge n. 142 del 1990 assegna a ciascun componente dell’assemblea consortile una responsabilità pari alla quota di partecipazione.

Concludono quindi i ricorrenti per l’annullamento dell’atto impugnato.

Si sono costituiti in giudizio il Consorzio alessandrino e il Comune di Alessandria, opponendosi all’accoglimento del gravame.

L’istanza cautelare veniva respinta dal Tribunale alla Camera di Consiglio del 21 gennaio 1998 con ordinanza n. 34/98.

All’udienza del 17 febbraio 1999, ascoltati i rappresentanti delle parti costituite, i ricorsi sono stati assegnati in decisione.

D I R I T T O

Impugnano i ricorrenti le deliberazioni con cui, ai fini della individuazione di un sito idoneo alla realizzazione di una discarica di I categoria, il "Consorzio alessandrino per la raccolta, trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani" ha prima disposto l’esecuzione di tutte le necessarie indagini tecniche presso l’area di Mugarone-Bassignana (ricorso n. 422/94) e poi ha definitivamente prescelto tale località (ricorso n. 1755/95).

Per evidenti motivi di connessione i due ricorsi possono essere riuniti ai fini di un’unica decisione.

Una prima questione attiene alla legittimazione ad agire in giudizio dei ricorrenti, avendo provveduto all’impugnativa delle determinazioni consorziali il comitato "No alla discarica" ed alcune persone fisiche, queste ultime nella dedotta qualità di proprietari e residenti nel territorio interessato all’impianto.

Quanto al comitato, osserva il Collegio che esso è stato costituito con lo "scopo di impedire la realizzazione nel territorio comunale di Bassignana e precipuamente in Mugarone di una discarica consortile, nel sito individuato dal progetto del Consorzio Alessandrino per la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti urbani" (art. 1 dell’atto istitutivo), che esso "resterà in funzione esclusivamente sino al conseguimento dello scopo per cui è sorto" (art. 3) e che ne fanno parte i "cittadini che si riconoscono negli obiettivi e nelle finalità di cui all’articolo 1" (art. 4). Si tratta, allora, di una forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, caratterizzata dalla proiezione degli interessi di fatto dei soggetti che ne sono parte (non qualificati dalla previa titolarità di una posizione soggettiva giuridicamente protetta), e quindi - come ha rilevato la giurisprudenza (v. TAR Toscana, Sez. II, 5 febbraio 1998 n. 145) - strumentale all’esercizio di una sorta di azione popolare, non ammessa dal vigente ordinamento (l’art. 7 della legge n. 142 del 1990 ne prevede l’esercizio da parte dei "soli" elettori del Comune che abbia titolo ad adire il giudice amministrativo), in quanto priva del carattere di ente esponenziale portatore in via continuativa di interessi diffusi radicati nel territorio, e altresì sprovvista della legittimazione che deriva dalla individuazione ministeriale ex art. 13 della legge n. 349 del 1986 (v. TAR Piemonte, Sez. I, 11 luglio 1988 n. 296). Dal che l’inammissibilità della domanda giudiziale proposta, tenuto anche conto che la facoltà di intervenire nel procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 241 del 1990, non è di per sé fonte di legittimazione a ricorrere, non potendo questa prescindere da un interesse sostanziale individualizzato e qualificato (v. TAR Umbria 19 agosto 1996 n. 304).

Quanto, invece, alle persone fisiche ricorrenti, va richiamato quell’indirizzo giurisprudenziale per il quale la legittimazione ad insorgere avverso atti di localizzazione e di approvazione di impianti per il trattamento e lo smaltimento di rifiuti presuppone che l’interessato precisi il concreto pregiudizio che ne deriva alla propria sfera giuridica, pregiudizio che non è evincibile dalla mera appartenenza al territorio comunale, dovendo invece ricollegarsi a situazioni ben determinate, quale ad esempio la circostanza che la localizzazione dell’impianto riduca il valore economico del fondo o dell’abitazione ubicati nelle sue immediate vicinanze, oppure la circostanza che le prescrizioni dettate dall’Autorità competente - per quanto attiene alle modalità di gestione dell’impianto - siano inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle vicinanze della discarica, sì da poter riconoscere al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero a chi vive e lavora in prossimità della discarica, un interesse qualificato e differenziato a ricorrere per denunciare l’illegittimità delle relative determinazioni (v. Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 1991 n. 257; TAR Piemonte, Sez. II, 15 gennaio 1996 e 23 giugno 1997 n. 355). Di qui la legittimazione a ricorrere dei proprietari di terreni confinanti con l’area ove l’impianto viene localizzato, nonché dei residenti in zone limitrofe alla stessa area (v. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 7 luglio 1997 n. 479 e TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 6 febbraio 1998 n. 189; v. anche Cons. Stato, Sez. V, 8 febbraio 1997 n. 139), essendo in re ipsa il danno che deriva loro da una illegittima attivazione di un impianto di trattamento o smaltimento dei rifiuti, mentre la legittimazione può essere estesa anche agli altri soggetti residenti o proprietari di fondi nel territorio comunale, solo nel caso in cui gli stessi forniscano elementi utili a vagliare in concreto se il pregiudizio che si assume derivare dalla localizzazione e dall’esercizio dell’impianto sia tale da riverberare i suoi effetti anche su di loro, benché non vivano od operino nelle immediate vicinanze dell’impianto, e tuttavia dimostrino di subire danno diretto dall’attività di smaltimento dei rifiuti (in ossequio al principio per cui il soggetto che agisce in giudizio deve sempre specificare l’interesse sostanziale di cui asserisce essere titolare e che assume essere stato illegittimamente leso dal provvedimento impugnato; v. Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 1995 n. 754). Ora, tenuto conto di tali criteri, emerge nella fattispecie che il sig. Edoardo Lenti è proprietario di appezzamenti di terreno inclusi nell’area interessata alla discarica (e come tale è stato destinatario dell’avviso di deposito del "piano di espropriazione e di occupazione d’urgenza"; v. doc. 21 di parte ricorrente), e che tali sono anche i sigg. Valerio Lenti (fgl. 10, part. 267 e 286) e Giuseppe Lenti (fgl. 10, part. 183), come si rileva dalla documentazione prodotta dai ricorrenti (doc. 7), ed ancora risultano proprietari di abitazioni ubicate nelle immediate vicinanze del sito, in frazione Mugarone, il sig. Gabba e il sig. Rigone (v. documentazione allegata al ricorso n. 1428/98, richiamata nella memoria del 3 febbraio 1999, e relativa a gravame andato in decisione nel corso della medesima udienza pubblica); alcun elemento utile, invece, è stato fornito per i sigg. Sampietro, Malvezzi, Fracchia, Bolognini e Ricagno, da ritenere quindi carenti di legitimatio ad causam.

Si possono ora affrontare le questioni di merito.

Ai fini della individuazione dell’area, il Consorzio articolava la procedura di scelta in tre fasi, caratterizzate dal progressivo esame delle varie opzioni offerte dal territorio consortile, secondo parametri di carattere urbanistico, socio-economico, naturalistico-ambientale e fisico, in modo da restringere gradualmente la rosa dei siti idonei, e quindi effettuare una ponderata scelta finale. Nella prima fase (c.d. "A"), in particolare, identificati taluni indici rivelatori della inopportunità di una localizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti (sussistenza di vincoli paesaggistici e ambientali, di corsi d’acqua superficiali, di pozzi "idropotabili", di vie di comunicazione stradale o ferroviaria, ecc.), venivano selezionati nove comprensori potenzialmente idonei, anche alla luce di quanto previsto dal "piano regionale per l’organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti". Successivamente si procedeva ad un ulteriore confronto tra tali aree (fase "B"), tenendo conto di nuovi parametri di valutazione, ovvero degli "aspetti economici legati al servizio di smaltimento dei rifiuti", dei "vincoli imposti dalla presenza di insediamenti abitativi", dei "vincoli relativi all’ambiente, considerato in tutti i suoi aspetti", della "analisi quantitativa di compatibilità ambientale"; e al termine di tale fase, esclusi cinque siti, veniva redatta una graduatoria di idoneità dei restanti quattro siti, esprimendo in termini numerici l’incidenza dell’impatto ambientale della discarica su ognuna delle aree considerate, secondo una scala di valori (compresa tra 0 e 3) per ognuno dei fattori utilizzati. La fase "C", infine, era caratterizzata da più approfondite indagini tecniche relativamente al sito di Mugarone, preferito agli altri, al fine di vagliare la compatibilità ambientale della discarica.

Ora, come è noto, la scelta delle aree per la localizzazione di opere pubbliche non è sindacabile nel merito, essendo riservato alla discrezionalità della pubblica Amministrazione l’apprezzamento della rispondenza delle aree alle esigenze pubbliche connesse alle opere medesime, sicché il sindacato giurisdizionale non può che limitarsi alla congruità e ragionevolezza delle motivazioni che sorreggono le scelte operate (v. TAR Toscana, Sez. I, 7 maggio 1990 n. 436). Di qui l’inammissibilità delle censure fondate sulla presunta alterazione dell’equilibrio ambientale e sociale dell’area prescelta per la realizzazione della discarica, in quanto - se svincolate dai parametri di legge o dai criteri autolimitativi predeterminati dall’Amministrazione o dalle ragioni da questa poste a base delle determinazioni assunte - si traducono in doglianze che investono il merito delle valutazioni effettuate dal soggetto pubblico, al fine di sostituirvisi nell’esercizio delle funzioni di sua esclusiva pertinenza, e in quanto tali non sono conoscibili dal giudice amministrativo. Possono invece essere vagliate le censure che deducono la violazione di norme di legge o l’inosservanza delle regole di condotta prefissate dalla stessa Amministrazione procedente o l’evidente irrazionalità delle decisioni assunte.

Con riferimento alla selezione operata nella fase "A", i ricorrenti lamentano che il sito di Mugarone-Bassignana è stato incluso tra i nove comprensori ammessi, benché nell’ambito dei "fattori escludenti" fossero stati espressamente previsti sia la presenza di pozzi ad uso "idropotabile" nel raggio di 1 km (a 400 metri è ubicato il pozzo comunale di Mugarone) sia il rilevante "pregio agricolo" del suolo (la zona è classificata di I categoria al catasto agricolo). Ma, quanto al primo aspetto, i ricorrenti ammettono (v. memoria del 3 febbraio 1999, pag. 3) che fino al 1994 il pozzo era inattivo, in quanto "riserva del pozzo principale", e che solo successivamente è stato ripristinato, sicché al momento della verifica operata dall’Amministrazione il suo impiego era solo potenziale, tanto da potersene ragionevolmente prescindere; né, d’altra parte, il sopraggiunto pieno utilizzo del pozzo rendeva doveroso un ripensamento delle scelte iniziali, dovendosi considerare che la "zona di rispetto" era fissata dalla legge in 200 metri (v. art. 6 del d.P.R. n. 236 del 1988), e che il più ampio limite fissato dall’Amministrazione assumeva il carattere di un indice meramente preferenziale, significativo all’atto dell’originaria selezione, ma poi rimesso al prudente apprezzamento dell’ente. Quanto, invece, al secondo aspetto, i criteri fissati dal Consorzio implicavano che l’elevata potenzialità agricola dei suoli fosse vagliata alla luce della "carta regionale della capacità d’uso dei suoli e delle loro limitazioni" (v. relazione tecnica della fase "A"; doc. 11, allegato al ricorso n. 1428/98), sicché è inconferente il richiamo operato dai ricorrenti al catasto agricolo e alla classificazione ivi operata, anche perché alcuna specifica censura è stata dedotta avverso il criterio impiegato dall’Amministrazione.

Con riferimento alla selezione operata nella fase "B", i ricorrenti lamentano ancora un ingiustificato maggior rilievo assegnato al fattore "aspetti economici" rispetto al fattore "distanza dagli insediamenti abitativi", e comunque un errato calcolo del percorso necessario a trasportare i rifiuti al sito di Mugarone e un’errata determinazione della distanza di detto sito dall’agglomerato urbano, nonché ancora un’illogica applicazione dei c.d. "fattori di impatto". Tuttavia, la scelta di escludere innanzi tutto i siti che risultavano più distanti dai centri di maggior produzione dei rifiuti, rispondendo all’obiettivo di ridurre i costi di gestione del servizio e di contenere gli effetti negativi sull’ambiente (v. pag. 7 della relazione tecnica; doc. 2 del Consorzio), non appare illogica, né è comunque risultata preclusiva della necessità di garantire un’adeguata "distanza minima … nei confronti di abitazioni isolate o gruppi di case", posto che proprio in relazione a tale profilo è stato successivamente estromesso il sito di Mantelle (v. pag. 8 della relazione tecnica). Né appare significativa la circostanza che, al fine di determinare il numero di chilometri che separava il sito di Mugarone dalle città di Alessandria e di Valenza, di queste ultime sia stato preso in considerazione il confine del territorio comunale anziché il "centro abitato", perché anche a ritenere più corretto il criterio seguito dai ricorrenti si tratterebbe comunque di un errore comune a tutti i siti, sicché non si ha motivo di ritenere sostanzialmente alterata la valutazione comparativa effettuata dal Consorzio. Quanto, poi, alla distanza dagli insediamenti abitativi, riconoscono i ricorrenti che al termine della fase "C" l’area occupata dalla discarica risulta ubicata a più di 500 metri da Mugarone, ovvero nei limiti di sicurezza predeterminati dal Consorzio, atteso del resto che, a seguito del d.P.R. n. 915 del 1982, è venuto meno il preesistente limite di 1000 metri fissato dall’art. 24 della legge n. 366 del 1941 (v. TAR Toscana, Sez. I, 6 giugno 1989 n. 410); è pur vero che il Consorzio aveva stabilito una superficie minima di 150.000 mq., e che il successivo ridimensionamento della discarica da realizzare nell’area di Mugarone, consentendo il rispetto del margine di distanza dall’agglomerato urbano, ha finito per ridurne la superficie al di sotto del limite originariamente fissato, ma è anche vero che quel limite rappresentava un parametro meramente orientativo in ordine alla selezione delle aree più idonee, e non poteva certo costituire un vincolo per le successive scelte del Consorzio circa le effettive dimensioni della discarica, né d’altronde appare rilevante la circostanza che proprio in relazione al difetto della necessaria superficie di destinazione dell’impianto era stata a suo tempo esclusa la località di Mantelle, non avendo i ricorrenti fornito alcun principio di prova della concreta idoneità di detta area ad ospitare una discarica delle stesse dimensioni di quelle poi stabilite per il sito di Mugarone, sì da risultare la doglianza quanto meno generica. Quanto, infine, alle modalità di valutazione dei "fattori di impatto" e alla stessa individuazione di tali fattori, osserva il Collegio che le determinazioni censurate costituiscono tipica espressione di discrezionalità tecnica, non sindacabile in sede di giudizio di legittimità se non sotto il profilo della evidente arbitrarietà e illogicità delle scelte operate; ma nella circostanza non emergono elementi utili in tal senso, avendo il Consorzio considerato un insieme di fattori sufficientemente idoneo a delineare un quadro significativo di ogni sito, per poi effettuare indagini più approfondite - nell’ambito della fase "C" - limitatamente al sito prescelto, mentre per il resto le censure dedotte si risolvono in critiche che attengono al merito delle valutazioni compiute dal Consorzio. Non è del resto censurabile la decisione di preferire il sito di Mugarone a quello di Castelceriolo, perché appare ragionevole l’invocato "criterio di rotazione" tra più aree, quando l’una è già interessata ad altro impianto di smaltimento dei rifiuti (il sito di Castelceriolo), al fine di limitare gli effetti negativi sulla popolazione.

In ordine, poi, alla pretesa inosservanza dei "principi generali" che informano la materia dello smaltimento dei rifiuti, le doglianze si rivelano generiche, perché viene contestata la localizzazione dell’impianto senza precisare quali omissioni o irregolarità siano in concreto imputabili all’Amministrazione. Per il resto, ribadito che il limite minimo di distanza dai centri abitati - fissato in 1000 metri dall’art. 24 della legge n. 366 del 1941 - non opera nei casi interessati alla sopraggiunta disciplina di cui al d.P.R. n. 915 del 1982 e alla conseguente deliberazione in data 27 luglio 1984 dell’apposito Comitato interministeriale (v. TAR Toscana, Sez. I, n. 410/89 cit.), va rilevato che l’invocato art. 2 della legge n. 62 del 1982 (di conversione del decreto-legge n. 801 del 1981) detta norme in materia di "smaltimento dei liquami e dei fanghi residuati dalle lavorazioni industriali o dai processi di depurazione", e che i ricorrenti non hanno precisato sotto quale profilo detta normativa assuma rilievo nella presente vicenda; che il richiamato d.m. 28 dicembre 1987, n. 559, in quanto detta criteri per la predisposizione da parte delle Regioni dei "piani per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani" (art. 1-ter del decreto-legge n. 361 del 1987), non trova diretta applicazione nella fattispecie; che la legge Reg. Piemonte 4 giugno 1975, n. 46 (ora abrogata dall’art. 45 della legge reg. n. 59/95), che si assume violata nella parte in cui imponeva la preliminare "verifica della direzione dei venti predominanti", recava nel "disciplinare" ad essa allegato penetranti prescrizioni sui requisiti, sulle modalità e sui criteri per l’installazione e la gestione di impianti di smaltimento dei rifiuti, all’osservanza delle quali era subordinata la concessione dei contributi finanziari regionali in favore degli enti locali che ne curassero l’esercizio, sicché detta normativa - soprattutto dopo l’emanazione di una disciplina generale in materia (d.P.R. n. 915/82) - non poteva che veder limitato il proprio ambito di operatività alla determinazione delle condizioni per l’apprestamento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione di discariche, senza assumere altresì il carattere di quadro normativo di carattere generale, e senza quindi vincolare nella fattispecie l’operato dell’Amministrazione; che le richiamate prescrizioni della delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale, in materia di progettazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, attengono ad un momento successivo alla localizzazione del sito; che la zona di rispetto di 200 metri a tutela delle risorse idriche (art. 6 del d.P.R. n. 236/88) non risulta violata, in quanto - come si è visto - il pozzo comunale di Mugarone è ubicato a distanza maggiore; che, quanto all’asserito vincolo paesaggistico ex art. 82, comma 5, lett. c), del d.P.R. n. 616 del 1977 (per la presenza del rio Morana a meno di 150 metri dal sito), va considerato che la norma assume come punti di riferimento per la misurazione le "sponde o piede degli argini", e che quindi la fascia protetta va calcolata dalla delimitazione effettiva del corso d’acqua, ossia dal ciglio di sponda oppure dal piede esterno dell’argine (v. Pret. Cremona 14 maggio 1992 n. 188), il che nella circostanza - per espressa ammissione dei ricorrenti - consente di ritenere pacificamente rispettato il limite di legge, non rilevando in alcun modo il diverso criterio del "bordo della scarpata", cui gli interessati fanno alternativamente riferimento; che, quanto all’asserita sussistenza nel territorio comunale di Bassignana di una "area protetta" ex legge Reg. Piemonte 17 aprile 1990, n. 28, emerge dalla cartografia acquisita al giudizio che il sito non vi è incluso, mentre si ignorano eventuali altre ragioni per le quali opererebbe la richiamata normativa.

Lamentano, infine, i ricorrenti che non è stato consentito al comitato "No alla discarica" di intervenire nel procedimento, in violazione dell’art. 9 della legge n. 241 del 1990, e che ciò ha determinato anche una carente istruttoria e un conseguente difetto di motivazione in ordine alle scelte finali del Consorzio; quanto, poi, alla formazione della volontà dell’Amministrazione - relativamente alla deliberazione n. 4 del 17 febbraio 1995 -, il provvedimento sarebbe stato assunto senza la prescritta maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea, e comunque senza la maggioranza dei membri presenti (dovendo gli astenuti sommarsi a coloro che hanno espresso voto contrario), oltre che in contrasto con la normativa di cui all’art. 25 della legge n. 142 del 1990, che assegna a ciascun rappresentante degli enti consorziati una responsabilità pari alla quota di partecipazione al consorzio.

Le doglianze sono infondate.

L’intervento nel procedimento amministrativo dei soggetti portatori di interessi diffusi costituitisi in associazioni o comitati (art. 9 della legge n. 241/90) si realizza sia consentendo loro di prendere visione degli atti del procedimento, sia ammettendoli alla presentazione di memorie scritte e documenti, che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare (art. 10). Nella circostanza, quindi, l’essere state acquisite agli atti dell’Assemblea del Consorzio le osservazioni del comitato "No alla discarica", in vista del loro vaglio (v. delib. n. 4/95), e l’essere state esse poi oggetto di discussione (v. verbale della seduta del 17 febbraio 1995) ha garantito l’adeguata tutela degli interessi partecipativi del comitato, senza al contempo rendere necessaria una specifica e ulteriore motivazione sul punto, emergendo dagli atti del procedimento le valutazioni tecniche ed amministrative che hanno determinato la scelta finale dell’ente (v. Cons. Stato, Sez. IV, 26 gennaio 1998 n. 66).

Per quel che concerne, poi, le modalità di assunzione della determinazione collegiale, va rilevato che, ai sensi dell’art. 8 dello Statuto del Consorzio, per la "validità della seduta è necessaria la presenza in prima convocazione della maggioranza dei membri, in seconda convocazione di almeno un terzo" e che le "deliberazioni dell’Assemblea consorziale non sono valide se non hanno conseguito la maggioranza assoluta dei voti". Appare quindi evidente che, anche alla luce del principio generale per cui, se la legge non richiede una maggioranza qualificata, una proposta si considera approvata se ha riportato la maggioranza assoluta dei voti - ovvero si sia pronunciato a favore la metà più uno dei votanti (v. Cons. Stato, Sez. V, 14 giugno 1994 n. 672) -, si doveva nella circostanza verificare il quorum funzionale avendo esclusivo riguardo ai membri presenti alla seduta (31) e non anche a quelli assegnati al collegio (43); il che del resto trova conferma nel rilievo che, a seguire la tesi dei ricorrenti, sarebbe priva di ogni significato la disposizione statutaria che, ai fini della validità della riunione, consente in "seconda convocazione" un numero di presenti (un terzo dei componenti) inferiore a quello che si assume necessario per deliberare (maggioranza assoluta dei componenti), con il paradossale risultato cioè di richiedere un quorum funzionale più elevato di quello strutturale. Quanto, invece, agli "astenuti", va richiamato il disposto dell’art. 49 del r.d. 12 febbraio 1911, n. 297, a norma del quale i "consiglieri che dichiarano di astenersi dal votare si computano nel numero necessario a rendere legale l’adunanza, ma non nel numero dei votanti", sì da rendere valida la deliberazione assunta con 13 voti favorevoli, 9 voti contrari e 9 membri astenuti - in quanto per volontà di legge questi ultimi non possono essere associati ai votanti -; e ciò anche se la richiamata disposizione è stata abrogata dall’art. 64 della legge n. 142 del 1990, godendo la stessa di una ultrattività legata al periodo transitorio di cui all’art. 59, comma 2, della medesima legge. Né, ancora, può essere invocato l’art. 25 della legge n. 142, a proposito della nuova disciplina dei consorzi, per non essere ancora intervenuta la trasformazione di cui all’art. 60.

I ricorsi, in definitiva, vanno in parte respinti e in parte dichiarati inammissibili.

Le spese di giudizio possono essere compensate, sussistendone giusti motivi.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per il PIEMONTE, Sezione II, pronunciando sui ricorsi in epigrafe, così provvede:

- dichiara inammissibile la domanda giudiziale proposta dal comitato "No alla discarica" e da Sampietro Giorgio, Malvezzi Giuseppe, Fracchia Fabio, Bolognini Alberto e Ricagno Paola;

- in parte dichiara inammissibili e in parte respinge le censure formulate dagli altri ricorrenti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Torino, nella Camera di Consiglio del 17 febbraio 1999, con l’intervento dei Signori Magistrati:

Luigi MONTINI Presidente

Italo CASO Primo Referendario, Est.

Bernardo MASSARI Referendario

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