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n. 12-2002 - © copyright.

TAR PUGLIA-BARI, SEZ. I – Sentenza 16 dicembre 2002 n. 5637 Pres. Ferrari, Est. Spagnoletti – Comune San Marco in Lamis (Avv. E. Follieri) c. Regione Puglia (Avv.ti P. Quinto, L. Ancora, F. Paparella) e A.U.S.L. FG/1 (n.c.) - (respinge).

1. Giustizia amministrativa - Legittimazione attiva - Dei Comuni - Nel caso di impugnazione del piano regionale di riordino rete ospedaliera - Sussiste - Ragioni.

2. Sanità pubblica - Servizio sanitario regionale - Piano regionale di riordino rete ospedaliera - Natura - Atto programmatorio e di organizzazione, di carattere generale con efficacia provvedimentale e non atto regolamentare

3. Sanità pubblica - Servizio sanitario regionale - Piano regionale di riordino rete ospedaliera - Approvazione - Regione Puglia - Competenza - Giunta o Consiglio regionale - Giunta regionale in ogni caso.

1. I Comuni, in quanto coinvolti nella programmazione sanitaria regionale in via diretta (per le aziende sanitarie locali di ambito comunale o infracomunale) o in via indiretta, per il tramite della Conferenza dei Sindaci (per le aziende sanitarie locali di ambito sovracomunale), sono portatori di un interesse qualificato in ordine al processo di programmazione sanitaria regionale ed hanno perciò piena legittimazione ad impugnare atti della programmazione sanitaria regionale, se del caso anche per far valere la lesione dell’interesse istituzionale alla partecipazione al procedimento di cui sia titolare la conferenza dei sindaci (1).

I Comuni, che sono titolari di un interesse istituzionale qualificato in ordine alla programmazione sanitaria regionale anche nella qualità di enti esponenziali degli interessi generali della comunità locale, tra i quali rientra l’interesse alla più efficiente ed efficace organizzazione dei servizi sanitari, hanno piena legittimazione ad impugnare atti della programmazione sanitaria regionale che incidano sulle strutture sanitarie ubicate nel proprio territorio (2).

2. Il piano regionale di riordino della rete ospedaliera non è atto normativo regolamentare ma atto programmatorio e di organizzazione con contenuti ed efficacia provvedimentale (3).

3. L’approvazione del piano regionale di riordino della rete ospedaliera rientra, nella Regione Puglia, in ogni caso nella competenza della Giunta regionale, sia che lo si consideri come un atto programmatorio e di organizzazione - in relazione alla espressa attribuzione di competenza contenuta nel piano sanitario regionale 2002-2004 - sia che lo si qualifichi come atto regolamentare; nel secondo caso, infatti, gli argomenti desumibili dal tenore letterale dell’art. 121 comma 2 Cost. novellato dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, dai lavori preparatori della legge costituzionale e dalla stessa ratio della novella, orientata ad una più netta separazione di funzioni tra i consigli regionali, come assemblee legislative, e giunte regionali, come organi esecutivi, di governo e indirizzo politico, inclinano ad affermare che, sino a quando non siano adottate altre soluzioni nei "nuovi" Statuti regionali la competenza all’approvazione dei regolamenti regionali spetta alle giunte regionali (4).

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 settembre 1990, n. 630

(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2281, che conferma T.A.R. Veneto, 12 aprile 2000, n. 922; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 13 maggio 2002, n. 2287 e Sez. I, 21 febbraio 2001, n. 472 e 26 aprile 1993, n. 39

(3) Non constano precedenti in termini.

(4) Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter, 26 novembre 2002, n. 6552 sulla competenza delle giunte regionali in ordine all’approvazione di atti regionali regolamentari; contra, nel senso di una perdurante competenza consiliare, vedi T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 28 febbraio 2002, n. 838.

 

 

per l’annullamento

- della deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 1987 del 2 agosto 2002, pubblicata sul B.U.R.P. n. 104 suppl. del 9 agosto 2002, recante approvazione definitiva del piano di riordino della rete ospedaliera (impugnata col ricorso);

- della deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 1086 del 26 luglio 2002, recante adozione del progetto di prima rimodulazione del piano di riordino della rete ospedaliera (impugnata col ricorso);

- di tutti gli atti comunque connessi, ed in particolare dei rilievi contenuti nei quadri delle dotazioni dei presidi e stabilimenti ospedalieri pubblici, le analisi dei ricoveri relativi al 2001 e gli indici di attività, costituenti parte del piano (impugnati col ricorso);

- della deliberazione della Giunta Regionale della Puglia n. 1429 del 30 settembre 2002 recante affinamenti e adeguamenti al piano di riordino della rete ospedaliera (impugnata coi motivi aggiunti)

(omissis)

F A T T O

Con ricorso notificato l’8 ottobre 2002 e depositato in Segreteria l’11 ottobre 2002, il Comune di San Marco in Lamis (Fg), in persona del Sindaco pro-tempore, autorizzato a promuovere il giudizio con deliberazione di Giunta municipale n. 180 del 1° ottobre 2002, immediatamente esecutiva, ha impugnato le deliberazioni della Giunta regionale della Puglia del 26 luglio 2002, n. 1086 e dell’8 agosto 2002, n. 1987, rispettivamente recanti approvazione del progetto di prima rimodulazione e approvazione definitiva del piano di riordino della rete ospedaliera.

Gli atti gravati, ed i relativi allegati, per quanto qui interessa, prevedono che l’attuale ospedale civile “Umberto I” di San Marco in Lamis -riclassificato come stabilimento ospedaliero costituente, con gli stabilimenti ospedalieri di San Severo e Torremaggiore, il presidio ospedaliero “San Severo-Torremaggiore-San Marco” afferente alla Azienda Unità Sanitaria Locale Foggia/1- sia costituito da:

- quattro unità operative senza posti letto (punto di primo intervento; patologia clinica; radiodiagnostica; malattie metaboliche e diabetologia);

- tre unità operative con posti letto (medicina interna: 42 posti letto; psichiatria: 15 posti letto; lungodegenza: 48 posti letto).

Nella precedente strutturazione, invece, l’ospedale “Umberto I”, costituente presidio ospedaliero autonomo, annoverava, quanto alle unità operative di cura e degenza:

- chirurgia generale: 40 posti letto;

- medicina generale: 50 posti letto;

- ostetricia e ginecologia: 25 posti letto;

- pediatria: 25 posti letto;

- psichiatria: 11 posti letto.

Avverso gli atti impugnati, il Comune di San Marco in Lamis, che agisce nel dichiarato “…specifico interesse…di mantenere operativo e funzionante il presidio ospedaliero ‘Umberto I’…con le unità operative di Chirurgia, Ginecologia-Ostetricia e Pediatria di cui è prevista la soppressione”, ha dedotto le seguenti censure:

1) Violazione dell’art. 121 Cost, legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 ed art. 53 dello Statuto regionale pugliese

L’approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera esula dalla competenza della Giunta regionale -affermata nelle deliberazioni impugnate anche in relazione al richiamo dell’art. 121 Cost. nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 1 del 22 novembre 1999- e rientra in quella del Consiglio regionale.

L’intervenuta modifica del secondo comma dell’art. 121 Cost., che ha eliminato il riferimento alle potestà regolamentari dei consigli regionali, non implica l’immediata devoluzione della competenza regolamentare alle giunte in difetto di specifica attribuzione da parte di leggi e/o degli statuti regionali, dovendo trovare ancora applicazione l’art. 53 dello statuto regionale pugliese che assegna in via esclusiva al Consiglio regionale l’esercizio delle competenze anche regolamentari (come già previste dal previgente secondo comma dell’art. 121 Cost.).

2) Violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modifiche e delle norme di partecipazione di cui alla legge n. 241 del 1990

In relazione alla portata ed agli effetti del piano di riordino della rete ospedaliera, doveva essere acquisito il parere della conferenza dei sindaci dell’unità sanitaria locale di riferimento (A.U.S.L. FG/1) ai sensi delle disposizioni di cui alla rubrica, che avrebbe potuto porre in luce elementi di peculiare rilievo (presenza nell’ospedale di nuova sala operatoria, non ancora inaugurata e costata circa 2 miliardi delle vecchie lire; attrezzature e professionalità esistenti nel nosocomio; situazione orografica di San Marco in Lamis e comuni montani garganici, etc.)

3) Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errore e travisamento dei fatti. Violazione dell’art. 2 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, della legge 18 luglio 1996, n. 382, della legge 16 novembre 2001, n. 405 e dei principi stabiliti nel piano di riordino

I parametri considerati per il dimensionamento degli stabilimenti e presidi ospedalieri, peraltro basati sul solo anno 2001 e senza considerazione delle negative ricadute del blocco delle assunzioni del personale sanitario disposto dalle leggi regionali n. 28 del 2000 e n. 32 del 2001, sono errati perché fondati non già sui posti letto effettivamente esistenti sebbene su quelli formalmente attivati, con conseguente falsa rappresentazione del tasso di utilizzazione dei posti letto.

In specie, per l’unità operativa di chirurgia generale dell’ospedale “Umberto I” il tasso di occupazione, se riferito ai posti letto effettivamente attivati (25 su 40), è ben superiore al limite minimo del 75% ed a quello valutato dalla Regione (pari appena al 50,49% ma in contemplazione di 40 posti letto), circostanza nota ed oggetto di richiesta di riduzione dei posti letto (note del Dirigente di II livello dell’unità operativa del 26 febbraio e del 12 ottobre 2001 indirizzate al direttore generale dell’A.U.S.L. FG/1).

Né si è considerato che dal 1999 al 2001 per la stessa unità operativa sono stati ridotti del 20% i ricoveri inappropriati e la stessa degenza media “anche per patologie serie”, con un peso medio di 0,90 (afferente alla complessità delle prestazioni) adeguato alle direttive regionali.

Analogo discorso “…sarebbe da fare per le U.O. di Ostetricia e Ginecologia e di Pediatria…”.

3) Eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, contraddittorietà con i principi stabiliti nel piano di riordino. Violazione legge 31 gennaio 1994, n. 97

In ogni caso, per altri nosocomi (Spinazzola, Trani, Fasano, Conversano, Nardò, Ceglie, Monopoli, Putignano, Copertino, Cerignola, Manfredonia) si è derogato alla rigida applicazione degli indicatori previsti nel piano, mentre non si è considerata analoga possibilità di deroga per l’ospedale “Umberto I” di San Marco in Lamis, pur in presenza della sua peculiare collocazione geografica, in area montana interna al Parco Nazionale del Gargano, che lo pone al servizio di altri comuni garganici (Apricena, Rignano Garganico, Torremaggiore) e foggiani (San Severo, San Giovanni Rotondo, quest’ultimo per gli interventi di minore complessità e specializzazione rispetto a quelli praticati nella “Casa Sollievo della Sofferenza”).

5) Eccesso di potere per irrazionalità manifesta e sviamento

In effetti, le modifiche introdotte all’organizzazione dell’ospedale, basate su una non “attendibile” distinzione tra ospedali medici e ospedali chirurgici, preludono con ogni probabilità alla chiusura del nosocomio, ridotto “sostanzialmente” ad un poliambulatorio, con evidenti diseconomie gestionali per i servizi generali.

6) Eccesso di potere per violazione del diritto alla salute dei cittadini, difetto di coordinamento, irrazionalità manifesta

La riorganizzazione della rete ospedaliera presupponeva il riordino dell’ambito sanitario territoriale e del distretto socio-sanitario.

Con motivi aggiunti notificati il 6-8 novembre 2002 e depositati in Segreteria l’11 novembre 2002, il Comune di San Marco in Lamis ha impugnato la deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002, recante “II rimodulazione del piano di riordino della rete ospedaliera”, adottata a seguito di consultazioni coi rappresentanti delle comunità locali, con la quale, a modifica dei precedenti assetti organizzativi, è stato previsto per lo stabilimento ospedaliero di San Marco in Lamis, l’istituzione di quattro posti letto di day hospital di pediatria e la possibilità di attivazione, nell’ambito dell’unità operativa di medicina interna, di sezioni specialistiche di cardiologia, oncologia e gastroenterologia.

Con unico motivo, sono state dedotte le seguenti ulteriori censure:

7) Violazione dell’art. 3 legge n. 241 del 1990. Difetto di motivazione. Eccesso di potere, Violazione dei principi sulla partecipazione

L’atto deliberativo gravato non ha considerato la mozione approvata con deliberazione n. 49 del 21 agosto 2002, in esito al consiglio comunale monotematico svoltosi con l’intervento dello stesso Presidente della Giunta regionale, né ha motivato sulle ragioni per le quali la medesima è stata disattesa.

La Regione Puglia, con la memoria di costituzione in giudizio depositata il 4 novembre 2002, ha, a sua volta, dedotto:

a) l’inammissibilità del ricorso in relazione alla carenza di legittimazione attiva del Comune ricorrente sotto duplice profilo:

a.1) perché, salve le attribuzioni della conferenza dei sindaci, le amministrazioni comunali non sono attributarie di competenze “…in materia di tutela della salute”;

a.2) perché, data la fruizione dei servizi ospedalieri già attivati da parte di collettività ben più ampie di quella del comune ricorrente, quest’ultimo non potrebbe nemmeno ritenersi legittimato quale ente esponenziale;

b) l’inammissibilità del ricorso in ragione dell’omessa impugnativa del piano sanitario regionale, approvato con deliberazione di Giunta regionale n. 2087 del 27 dicembre 2001, recante i criteri per l’adozione del piano di riordino della rete ospedaliera;

c) l’infondatezza del ricorso nel merito:

c.1) quanto alle censure dedotte col primo motivo, perché:

c.1.1) da un lato, deve revocarsi in dubbio che il piano di riordino della rete ospedaliera costituisca atto regolamentare, trattandosi piuttosto di atto generale di natura provvedimentale con specifiche disposizioni organizzative;

c.1.2) sotto altro profilo, la novella costituzionale dell’art. 121 comma 2 Cost. deve ritenersi abrogativa del disposto dell’art. 53 dello Statuto regionale pugliese, laddove assegna al Consiglio regionale l’emanazione dei regolamenti ma sul presupposto dell’attribuzione di competenza della disposizione costituzionale nel testo antevigente; né può obliterarsi che l’art. 41 comma 2 lett. l) dello Statuto assegna una competenza generale residuale alla Giunta regionale in ordine a tutte le altre attribuzioni e funzioni amministrative non specificamente demandate al Consiglio;

c.2) quanto al secondo motivo, perché l’intervento della conferenza dei sindaci è correlabile soltanto all’adozione di altri strumenti di programmazione (ed in particolare del piano attuativo locale, di competenza delle AA.UU.SS.LL., come momento esecutivo del piano sanitario regionale); in ogni caso è stata assicurata, ancorché non prevista né obbligatoria, una fase di consultazione di enti e soggetti esponenziali delle comunità locali e di altre categorie interessate (Sezione pugliese dell’A.N.C.I., organizzazioni sindacali, ordini dei medici, etc.) nella fase intermedia tra l’adozione della deliberazione di prima rimodulazione e quella di approvazione in via definitiva del piano di riordino ospedaliero;

c.3) quanto al terzo motivo:

c.3.1) perché le censure svolte impingono profili di merito delle scelte organizzative riservate alla Regione Puglia in materia di riordino della rete ospedaliera, e come tali si sottraggono al sindacato giurisdizionale di legittimità;

c.3.2) perché i dati considerati sono quelli ufficiali attinenti al numero di posti letto istituiti, come comunicati dalle stesse AA.UU.SS.LL. attraverso i c.d. modelli HSP (gli unici rilevanti in difetto di riduzione autorizzata dei posti letto); d’altro canto l’esistenza di posti letto disattivati in via di fatto denota l’utilizzazione parziale dell’unità operativa e il connesso dispendio di risorse nel quadro di una razionale utilizzazione; senza tacere che la riduzione dei posti letto al di sotto del limite minimo individuato dal piano sanitario regionale (per le unità chirurgiche, fra le altre, almeno 32) comporta la soppressione dell’unità operativa, e nella specie, quindi non poteva conservarsi l’unità di chirurgia generale in cui erano attivati appena 24 posti letto, con appena venti degenze giornaliere (inferiori al minimo previsto di ventiquattro degenze) e con livelli di inappropriatezza dei ricoveri pari al 35%, oltre ad altre inappropriatezze costituite dai ricoveri ripetuti (pari all’1,4%), dai ricoveri brevi c.d. eventi sentinella (pari al 5,6%) e dall’indice degli interventi chirurgici praticati (pari ad appena il 38,3%), dall’organico inadeguato del personale, dal c.d. case mix, o indice di complessità delle prestazioni, pari allo 0,89 e quindi inferiore a quello medio regionale pari a 1: dati da cui si arguisce che su cento ricoverati nell’unità addirittura sessantadue non accusavano patologie chirurgiche; considerazioni analoghe valgono per le unità operative di ostetricia-ginecologia e pediatria, con percentuali di utilizzo dei posti letto pari rispettivamente al 33,6% e al 33,5%;

C.3.3) perché le deroghe riguardano situazioni incomparabili, trattandosi di stabilimenti ospedalieri di città di ben altra consistenza demografica (Molfetta, Trani, Fasano, Manfredonia, Cerignola) o interessate da utenza extraregionale (Spinazzola);

c.3.4) perché soltanto pochi abitanti delle cittadine garganiche viciniori utilizzano l’ospedale di San Marco in Lamis (per Sannicandro il 24,7%, per Apricena il 15%, per Rignano garganico il 36,5%, per Vico del Gargano e Rodi garganico il 5-6%) e gli stessi abitanti di San Marco in Lamis si indirizzano al proprio ospedale solo nella percentuale del 54,7%;

c.3.5) perché il piano prevede un’articolazione di strutture diversificate per funzioni e caratteristiche (stabilimenti con unità operative chirurgiche e mediche, con sole unità mediche ma con posti di day surgery e day hospital) secondo un modello di integrazione finalizzato a ottimizzare le risorse e ridurre gli sprechi;

c.3.6) perché è stata già prevista l’attivazione delle attività distrettuali (poliambulatori, rsa, distretti socio-sanitari).

Con memoria difensiva depositata il 9 novembre 2002, il Comune ricorrente ha replicato alle avverse eccezioni e ribadito e ulteriormente illustrato le censure dedotte in ricorso.

All’udienza pubblica del 20 novembre 2002, fissata nella Camera di Consiglio del 6 novembre 2002 di discussione dell’istanza incidentale di sospensione, a seguito di rinuncia concorde delle parti ai termini dilatori per la trattazione, il ricorso è stato discusso e riservato per la decisione.

D I R I T T O

1.) Il Tribunale deve esaminare, in limine, le eccezioni pregiudiziali spiegate dai difensori della Regione Puglia, in quanto potenzialmente idonee a definire il giudizio.

1.1) La prima, e più radicale, eccezione attiene alla contestata legittimazione attiva dell’Amministrazione comunale ricorrente, sotto il profilo della carenza di una posizione istituzionale qualificata e differenziata sia con riferimento ai procedimenti riguardanti la programmazione sanitaria regionale (ove si eccettuino le competenze della conferenza dei sindaci e dei presidenti delle circoscrizioni) sia con riguardo all’ambito di interessi collettivi di cui il Comune ricorrente si fa portatore quale ente esponenziale della comunità locale, siccome eccedente quello proprio della comunità sammarchese e coinvolgente quello dei comuni, viciniori e non, dai quali proviene l’utenza dei servizi attivati nel nosocomio cittadino.

A tali rilievi il Comune ricorrente, nella memoria difensiva depositata il 9 novembre 2002, ha replicato che la propria posizione legittimante riviene proprio dalla qualità di ente esponenziale degli interessi generali della comunità locale, tra i quali assume indubbia consistenza quello alla conservazione della consistenza organizzativo-funzionale di strutture sanitarie locali che assicurino la più tempestiva ed efficace risposta alle esigenze di tutela del diritto alla salute della comunità rappresentata, anche in considerazione della relativa lontananza e della difficoltà di rapido ricovero presso altre strutture sanitarie, ed invocando a sostegno recente orientamento del giudice amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2281, che conferma T.A.R. Veneto, 12 aprile 2000, n. 922).

1.1.1) Osserva il Tribunale che l’eccezione, seppure suggestiva e finemente articolata, è destituita di fondamento giuridico.

1.1.1.1) Sotto un primo profilo, non può dubitarsi che i Comuni siano soggetti istituzionali direttamente o indirettamente partecipi della programmazione sanitaria generale, in senso ampio.

Già l’art. 55 comma 3 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (istitutiva del servizio sanitario nazionale) stabiliva che le Giunte regionali, nel predisporre i piani sanitari regionali triennali (come momento e strumento di attuazione dei piani sanitari nazionali triennali) adottassero “…la procedura prevista nei rispettivi statuti per quanto attiene alla consultazione degli enti locali e delle altre istituzioni e organizzazioni interessate”.

L’art. 1 comma 13 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 299 -nel definire il piano sanitario regionale come “…piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale” - ha ribadito che le regioni “…adottano o adeguano i Piani sanitari regionali prevedendo forme di partecipazione delle autonomie locali, ai sensi dell’art. 2 comma 2-bis, nonché delle formazioni sociali private non aventi scopo di lucro, impegnate nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture accreditate dal Servizio sanitario nazionale” .

Ma già l’art. 3 comma 14 del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall’art. 4 del d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, aveva stabilito forme di partecipazione differenziata degli enti locali minori alla programmazione sanitaria regionale, nelle sue articolazioni sub-regionali e locali (nei comuni coincidenti con l’ambito territoriale dell’unità sanitaria locale, ed al fine di “…corrispondere alle esigenze della popolazione”, è affidato al Sindaco di definire le linee di indirizzo per l’impostazione programmatica dell’attività, esaminare il bilancio pluriennale di previsione e quello di esercizio, rimettere alla regione le relative osservazioni, verificare l’andamento dell’attività e contribuire alla definizione dei piani programmatici, trasmettendo le proprie valutazioni e proposte al direttore generale dell’u.s.l. e alla regione; tali attribuzioni in caso di u.s.l. sovracomunali o infracomunali sono assegnate invece ad apposito organismo, la Conferenza dei sindaci e/o dei presidenti delle circoscrizioni di riferimento territoriale, tramite propria rappresentanza, e con modalità di esercizio demandate alla normativa regionale).

Ed ancora il comma 2 bis dell’art. 2 del d.lgs. n. 502 del 1992, come introdotto dall’art. 2 del d.lgs. n. 299 del 1999, ha istituito un ulteriore organo collegiale, denominato Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, composto fra gli altri dal Sindaco del comune in caso di a.u.s.l. di ambito interamente comunale, dal Presidente della Conferenza dei sindaci per le a.u.s.l. sovracomunali e dal Sindaco o dai Presidenti di circoscrizione per le a.u.s.l. infracomunali,, oltre che da rappresentanti delle associazioni regionali delle autonomie locali, con funzioni di consulenza obbligatoria sul progetto di piano sanitario regionale e di partecipazione alla verifica degli strumenti di pianificazione sottostanti (piani attuativi locali); mentre il successivo comma 2 quinquies, del pari introdotto dall’art. 2 del d.lgs. n. 299 del 1999, ha demandato alla normativa regionale di fissare i rapporti tra programmazione regionale e programmazione attuativa locale, ivi comprese “…le modalità della partecipazione degli enti locali interessati”.

Orbene, la Regione Puglia, con disposizioni dettate in attuazione delle previsioni dell’art. 3 comma 14 del d.lgs. n. 502 del 1992, ha disciplinato con la legge 28 dicembre 1994, n. 36 attribuzioni, finalità, contenuti e procedimento di formazione del piano sanitario, prevedendo sin dall’art. 4 comma 4 la trasmissione della proposta del piano sanitario regionale “…alle Università e ai Comuni” per l’acquisizione delle relative osservazioni, ed ha ribadito all’art. 7 comma 1 che i comuni “…partecipano in via consultiva al processo di programmazione regionale”, ed in particolare formulano pareri sul piano sanitario regionale, con previsione evidentemente transitoria giacché le medesime attribuzioni sono assegnate, ai sensi del successivo comma 4, previa emanazione di apposito regolamento tipo di competenza della Giunta regionale per regolarne gli aspetti organizzativi e funzionali, alla Conferenza dei sindaci o dei presidenti delle circoscrizioni (rispettivamente per le aa.uu.ss.ll. di ambito sovracomunale o infracomunale) o al Sindaco (per le a.u.s.l. di ambito comunale).

Ed ancora l’art. 3 comma 1 della legge regionale 30 dicembre 1994, n. 38 stabilisce che i piani generali delle singole aa.uu.ss.ll. attuativi del piano sanitario regionale e i piani di settore devono tener conto dei piani di zona “…approvati dal Comune, dalla Conferenza dei Sindaci o dai Presidenti delle circoscrizioni di riferimento territoriale”, ed i primi devono essere trasmessi, secondo i casi al Sindaco (a.u.s.l. di ambito comunale), alla Conferenza dei Sindaci (a.u.s.l. di ambito sovracomunale) e alla rappresentanza dei Presidenti di circoscrizione (a.u.s.l. di ambito infracomunale) che possono esprimere le proprie osservazioni alla Giunta regionale e alla a.u.sl. interessata.

Dal rapido excursus normativo che precede, si evince dunque che le Amministrazioni comunali, o in via diretta (per le aa.uu.ss.ll. di ambito coincidente con quello del comune o di ambito infracomunale) o in via indiretta, per il tramite della Conferenza dei Sindaci (per le aa.uu.ss.ll. di ambito sovracomunale) sono portatori di interessi istituzionali qualificati di tipo partecipativo in ordine al processo di programmazione sanitaria regionale.

Non può dunque revocarsi in dubbio che, ancorché tale profilo non sia stato posto in luce in ricorso in modo chiaro ed esplicito, esse abbiano piena legittimazione attiva in ordine all’impugnativa di atti della programmazione sanitaria regionale anche, e soprattutto, in quanto facciano valere la supposta lesione dell’interesse istituzionale alla partecipazione al procedimento relativo all’adozione dei suddetti atti.

Altra questione, che attiene all’esame del ricorso nel merito, e che si esaminerà infra, è quella relativa alla effettiva lesione del detto interesse nel caso di specie, in rapporto alla denunciata lacuna procedimentale relativa all’omessa acquisizione del parere della Conferenza dei Sindaci rispetto ad atto diverso dal piano sanitario regionale.

1.1.1.2) Sotto altro profilo, e come logico e ulteriore corollario della positiva ricognizione della sussistenza del segnalato interesse istituzionale qualificato in ordine al processo di programmazione sanitaria regionale, non può dubitarsi che le Amministrazioni comunali, in quanto enti esponenziali degli interessi generali della comunità locale, e quindi, tra di essi, anche di quelli attinenti ad una organizzazione sanitaria in grado di garantire, al livello migliore di efficacia ed effettività, il diritto alla salute della popolazione insediata nel territorio comunale, abbiano piena legittimazione processuale in ordine all’impugnativa degli atti della programmazione sanitaria regionale che incidano sugli assetti organizzativi delle strutture sanitarie allocate nel territorio comunale, senza che possa assumere alcun rilievo ostativo la circostanza che tali strutture servano anche la popolazione di altri comuni, essi pure semmai legittimati a proporre a loro volta l’impugnativa.

1.1.1.3) Le osservazioni che precedono sono, peraltro, confortate dagli orientamenti generali e specifici della giurisprudenza amministrativa.

Così, ad esempio, sul tema specifico, questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che:

- Il Comune in quanto ente esponenziale degli interessi generali della collettività tra i quali è da ritenersi ricompreso quello all’erogazione -anche sotto il profilo strettamente burocratico- del servizio pubblico relativo all’amministrazione del servizio “sanità pubblica” nel senso più consono agli interessi della collettività (e quindi a vedersi allocare nel proprio territorio la sede definitiva della ASL con conseguenti vantaggi per i cittadini utenti)” è legittimato ad impugnare un provvedimento regionale di organizzazione sanitaria, costituito nella specie dall’allocazione della sede dell’A.U.S.L. in altro ambito territoriale (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. 2, 13 maggio 2002, n. 2287);

- “Il Comune, come ente portatore di interessi pubblici della collettività, ha interesse ad impugnare un atto di riorganizzazione di un servizio sanitario, inteso però quale mero interesse alla partecipazione al procedimento con proposte e valutazioni, non anche quale interesse cui si correli l’obbligo di interpellare l’amministrazione comunale sulle scelte organizzative e tantomeno di conformarsi alle sue direttive, ovvero di acquisirne pareri o atti di assenso” (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. 1, 21 febbraio 2001, n. 472).

- “In forza delle attribuzioni del Comune in materia sanitaria a norma dell’art. 13 secondo comma l. 23 dicembre 1978 n. 833, l’Ente locale deve ritenersi legittimato ad impugnare un atto regionale che incida direttamente sull’interesse della comunità, indipendentemente dalla legittimazione attiva eventualmente spettante nei confronti del medesimo atto all’Unità sanitaria locale lesa dal provvedimento” (T.A.R. Puglia, Bari, 26 aprile 1993, n. 39: la fattispecie atteneva alla assegnazione di quota di riparto del Fondo sanitario nazionale:).

Sempre sul tema specifico, si è ritenuto che:

- “Il Comune è legittimato ad impugnare provvedimenti di riorganizzazione sanitaria lesivi degli interessi dei cittadini della comunità locale di cui è ente esponenziale, e anche dei soggetti che vi dimorano anche temporaneamente, ed anche di comunità montana i cui appartenenti gravitano su struttura sanitaria soppressa ed è portatore di interesse diretto e attuale all’annullamento di tali provvedimenti” (T.A.R. Veneto, 12 aprile 2000, n. 922, confermata dalla decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2281, richiamata dal Comune di San Marco in Lamis ricorrente).

Sul piano più generale, poi, è stato posto in luce che:

- “Il Comune è legittimato a ricorrere in sede giurisdizionale contro atti che si assumono lesivi di situazioni sostanziali (nel caso, collocazione del territorio in un dato «ambito turistico» e localizzazione della sede dell’azienda di promozione turistica), che si ricollegano alla posizione istituzionale del Comune quale Ente pubblico territoriale, e quindi ogniqualvolta l’illegittimità dell'atto si traduca concretamente nella perdita di utilità riferibili al Comune, sia come Ente amministrativo sia come Ente esponenziale (Cons. Stato, Sez. IV, 5 settembre 1990, n. 630 ; nello stesso senso cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 30 gennaio 2001, n. 32 in fattispecie relativa a soppressione e/o ridimensionamento di istituti scolastici; vedi anche, in tema di riorganizzazione di uffici periferici statali, T.A.R. Sardegna, 10 luglio 2001, n. 778).

Alla stregua dei rilievi che precedono deve pertanto respingersi la prima e più radicale eccezione spiegata dalla Regione Puglia.

1.2) La seconda eccezione pregiudiziale proposta dai difensori della Regione Puglia attiene all’inammissibilità dell’impugnativa degli atti deliberativi di Giunta regionale relativi all’approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera in difetto della contestuale impugnazione della deliberazione di Giunta regionale n. 2087 del 27 dicembre 2001, recante l’approvazione del piano sanitario regionale per il biennio 2002-2004, posto che è da ricondurre a quest’ultimo la definizione dei criteri per il riordino della rete ospedaliera.

In replica, il Comune ricorrente, con la memoria depositata il 9 novembre 2002, ha osservato che l’omessa impugnativa del Piano sanitario regionale deriva dalla circostanza che non si “…contesta la sua legittimità sotto alcun profilo…(laddove solo del piano di riordino)…si censura la legittimità”; mentre “…non rileva che il Piano sanitario regionale fissi i criteri per il piano di riordino dal momento che la legittimità dei criteri generali non esclude che l’applicazione concreta degli stessi sia inficiata da vizi”.

1.2.1) Osserva il Tribunale che la portata dell’eccezione va delimitata alle sole censure che riguardano il profilo della competenza all’approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera (motivo sub 1), al relativo procedimento (motivi sub 2 e 6), ed al modello organizzativo individuante i tipi di strutture sanitarie in stabilimenti medico-chirurgici o solo medici (motivo sub 5), posto che le altre doglianze riguardano invece l’istruttoria (motivi sub 3 e 4) o vizi funzionali della motivazione relativa alla rimodulazione del piano dopo gli incontri con le comunità locali (motivo sub 7, aggiunto al ricorso).

1.2.2) Nei limiti dianzi indicati, l’eccezione è indubitabilmente fondata, ancorché il Tribunale non intenda sottrarsi, in funzione della loro infondatezza e per la più compiuta disamina dei profili attinenti alla legittimità degli atti regionali relativi al piano di riordino ospedaliero, suggerita dal rilievo e dalla portata dell’atto di programmazione, all’esame delle censure svolte dal Comune ricorrente, di cui si darà conto infra.

1.2.2.1) Il Piano sanitario regionale per il biennio 2002-2004, approvato con deliberazione della Giunta regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, costituisce, dichiaratamente (vedi par. 3), parte del più ampio “Piano di Salute Regionale 2002-2007”, articolato, appunto, in una prima fase, coincidente con l’adozione e attuazione del Piano sanitario regionale - P.S.R 2002-2004 (definito come “programma a medio termine, con ampia considerazione dell’integrazione socio-sanitaria”), e in una seconda fase, caratterizzata dall’adozione e attuazione del Piano socio sanitario regionale - P.S.S.R. 2005-2007 (qualificato come “piano socio sanitario regionale…con le realizzazioni di lungo periodo”, in funzione della migliore esplicazione degli aspetti dell’integrazione socio-sanitaria).

1.2.2.2) Per quanto qui interessa, il Piano, già nei suoi enunciati più generali, attinenti agli obiettivi (par. 2), indica le linee essenziali della ristrutturazione della rete ospedaliera, tra cui (corsivi e sottolineature sono dell’estensore):

- “la riconfigurazione della Rete Ospedaliera, ridisegnata nella sua architettura ed integrata nella funzionalità dai Distretti, di modo che ‘il sistema’ raggiunga un grado di efficacia dell’assistenza, coerente con gli obiettivi di ottimizzazione nell’impiego delle risorse economiche e di progressiva ed uniforme espansione delle garanzie di tutela della salute dei Cittadini”;

- “la individuazione dei posti letto “per acuti”, eccedenti rispetto all’effettivo bisogno di assistenza, stabilendo principi per la finalizzazione delle dotazioni in esubero (nell’imprescindibile obiettivo di equilibrio economico di gestione) al soddisfacimento di bisogni “non acuti”, attraverso il monitoraggio e la gestione diretta e capillare da parte dei Distretti di dette ultime tipologie assistenziali, nel rispetto dei budget loro attribuiti”;

- “l’integrazione delle responsabilità e delle funzioni ospedaliere e territoriali anche in materia di assistenza residenziale, di prevenzione e cura delle tossicodipendenze, di lungodegenza, di assistenza agli anziani ed ai disabili e domiciliare”;

con la finalità di realizzare:

 “…una organizzazione regionale «a rete», «organica», «dinamica», «unitaria» ed «efficiente» della capacità di assistenza sanitaria con crescenti livelli di integrazione e complementarietà funzionale, anche attraverso una capillare informatizzazione al fine di confermare o cambiare precocemente le scelte operative, organizzative e finanziarie”, e per quanto attiene in specie all’assistenza ospedaliera “…di ristrutturare la Rete di Ospedali, dandole una connotazione di medio - alta specializzazione al fine di migliorare l’autosufficienza della Puglia nelle capacità erogative di alta specialità, mediante potenziamento e depotenziamento di unità operative ospedaliere, dipartimentalizzazione e cooperazione anche interaziendale, con applicazione del principio di unitarietà del SSR”.

1.2.2.3) In tale quadro, sono chiaramente individuati i limiti strutturali-operativi dell’assetto organizzativo esistente e i criteri ispiratori del riordino della rete ospedaliera (par. 10.1).

Quanto ai primi (i limiti) il P.S.R. evidenzia, testualmente:

“- distribuzione disomogenea dell’offerta sul territorio regionale in senso quantitativo e per specialità;

- sperequazione tecnologica sul territorio;

- elevata mobilità sanitaria infra ed extraregionale;

-carenze e disomogeneità delle risorse umane in relazione all’assetto organizzativo esistente;

- scarsa efficienza;

- elevati livelli dei costi;

- necessità di garantire l’assistenza omogenea sul territorio regionale con riferimento ai livelli essenziali”.

In ordine ai secondi (i criteri ispiratori), essi sono così identificati:

“1) la realizzazione di un razionale e qualificato sistema di assistenza ospedaliera distribuito sul territorio nel quadro di un riequilibrio delle dotazioni sanitarie nel loro complesso;

2) la riorganizzazione delle attività interne dei presidi ospedalieri, superando la frammentazione degli stabilimenti e le situazioni ripetitive delle strutture esistenti;

3) la contestuale disattivazione, trasformazione o riconversione di parte degli attuali stabilimenti ospedalieri in strutture residenziali o in altre tipologie di strutture assistenziali;

4) l’accorpamento funzionale di strutture ospedaliere in un unico Presidio ospedaliero, ove ne ricorrano le condizioni;

5) l’unificazione dei servizi di diagnosi e cura, ove ne ricorrano le condizioni;

6) la riqualificazione dell’assistenza ospedaliera anche attraverso la dipartimentalizzazione;

7) l’attivazione di strutture costituenti centri di alta specializzazione di cui la regione è allo stato carente;

8) l’attivazione di strutture assistenziali necessarie allo svolgimento delle attività istituzionali delle Facoltà di Medicina e Chirurgia;

9) la realizzazione di piani intra-ospedalieri per un rapido adeguamento ad esigenze assistenziali connesse ad eventi calamitosi o di maxi-emergenze”.

1.2.2.4) In tale contesto vengono ribaditi i vincoli rivenienti dalla legislazione statale (di cui si dirà infra) attinenti al dimensionamento e alla distribuzione qualitativa della dotazione di posti letto (col limite massimo di 5 p.l. per 1000 abitanti, di cui 1 per la riabilitazione e lungodegenza post-acuzie, e quanto ai primi con la percentuale minima (10% della dotazione) da destinare ai ricoveri a ciclo diurno c.d. day hospital e/o day surgery).

Nell’ambito dello stesso paragrafo, importanza essenziale riveste la previsione che:

“Entro 90 giorni dall’adozione del Piano Sanitario, la Giunta adotta il Piano di riordino della rete ospedaliera e nei successivi 90 giorni, il programma straordinario di ammodernamento strutturale e tecnologico ex Art. 20 della L.67/88”.

Vi è dunque un’espressa attribuzione di competenza, rispetto alla quale, in modo del tutto consequenziale, il punto 1) del dispositivo della deliberazione di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002, di adozione definitiva a seguito di integrazioni del piano di riordino della rete ospedaliera (impugnato col ricorso in esame), dispone:

“di approvare, in esecuzione della Deliberazione di Giunta Regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, di adozione del Piano Sanitario Regionale 2002-2004, il ‘Piano di Riordino della Rete Ospedaliera’ allegato sub A) alla presente deliberazione in tutte le sue componenti…”.

1.2.2.5) Lo stesso paragrafo 10.1 del P.S.R. identifica l’organizzazione struttural-funzionale del sistema ospedaliero, della quale mette conto di riportare, in stralcio, i seguenti punti:

“I Presidi ospedalieri dell’Azienda Unità Sanitaria Locale

Gli ospedali che non sono costituiti in Azienda Ospedaliera sono Presidi ospedalieri dell’Unità Sanitaria Locale. I Presidi ospedalieri dell’Azienda USL sono integrati con i Distretti al fine di garantire la continuità assistenziale.

Il Presidio ospedaliero è costituito da uno stabilimento singolo o da più stabilimenti funzionalmente accorpati.

Le denominazioni delle unità operative sono quelle previste dal D.M. 30/01/1998 e corrispondono alla denominazione principale di ciascuna disciplina.

In ciascun Presidio ospedaliero sono presenti obbligatoriamente non più di una delle seguenti unità operative:

A) Senza posti letto:

A (a) Direzione medica di presidio ospedaliero

A (b) Direzione amministrativa di presidio ospedaliero

A (c) Anestesia e rianimazione

A (d) Medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza (con luogo di osservazione - letti tecnici)

A (e) Patologia clinica

A (f) Radiodiagnostica

A (g) Farmacia ospedaliera

B) con posti letto:

B (a) Medicina interna

B (b) Chirurgia generale

B (c) Ortopedia e traumatologia

B (d) Ginecologia e Ostetricia

B (e) Pediatria-Neonatologia

B (f) Cardiologia con UTIC

Nell’ambito del provvedimento di riordino della rete ospedaliera sarà individuato il dimensionamento massimo delle unità operative, con o senza posti letto, oltre il quale è possibile istituire una seconda unità operativa.

Delle seguenti discipline possono essere previste più di una unità operativa per il territorio corrispondente a ciascuna Azienda USL (altri erogatori compresi), ma non necessariamente in tutti i Presidi ospedalieri:

A) Senza posti letto:

A (a) Neuroradiologia

A (b) Anatomia patologica

A (c)Fisica sanitaria

A (d) Psicologia

B) con posti letto:

B (a) Anestesia e rianimazione

B (b) Lungodegenza

B (c) Riabilitazione

B (d) Psichiatria

B (e) Nefrologia

B (f) Malattie dell’apparato respiratorio

Nell’ambito territoriale di ciascuna Azienda USL sono presenti non più di una delle seguenti unità operative (configurate come strutture complesse o semplici secondo i criteri che saranno fissati nell’atto di indirizzo regionale per l’adozione dell’atto aziendale delle Aziende sanitarie):

A) Senza posti letto:

A (a) Allergologia ed immunologia clinica

A (b) Malattie metaboliche e diabetologia

A (c)Medicina nucleare

A (d) Medicina trasfusionale

A (e) Neurofisiopatologia

A (f) Scienza dell’alimentazione e dietetica

B) con posti letto:

B (a) Gastroenterologia

B (b) Geriatria

B (c)Neurologia

B (d) Oftalmologia

B (e) Otorinolaringoiatria

B (f) Urologia

Sono a valenza sovra aziendale le seguenti discipline:

A) Senza posti letto:

A (a) Angiologia

A (b) Genetica Medica

A (c)Laboratorio di genetica medica

A (d) Medicina dello sport

A (e) Medicina legale

A (f) Microbiologia e virologia

A (g) Radioterapia

B) con posti letto:

B) (a) Cardiochirurgia

B) (b) Chirurgia maxillo facciale

B (c) Chirurgia pediatrica

B (d) Chirurgia plastica e ricostruttiva

B (e) Chirurgia toracica

B (f) Chirurgia vascolare

B (g) Dermatologia e venerologia

B (h) Ematologia

B (i) Endocrinologia

B (j) Malattie infettive

B (k) Neonatologia con UTIN (terapia intensiva neonatale)

B (l) Neurochirurgia

B (m) Neuropsichiatria infantile

B (n) Odontoiatria

B (o) Oncologia

B (p) Reumatologia

B (q) Unità spinale

La dotazione minima in posti letto è di:

8 PL    per le unità operative che erogano cure intensive;

32 PL  per le unità operative di Medicina interna, Chirurgia generale, Ginecologia-Ostetricia, Ortopedia-Traumatologia e Lungodegenza post-acuzie;

15 PL  Psichiatria;

20 PL  per le unità operative afferenti alle restanti discipline”.

1.2.2.6) Ancora nel par. 10.1 del Piano sanitario regionale è dato particolare risalto alla dotazione di posti letto per riabilitazione e lungodegenza post acuzie.

Tenuto conto, infatti, che:

“Allo stato attuale la regione Puglia è assolutamente carente di posti letto destinati a riabilitazione e lungodegenza post-acuzie (e) Considerato lo standard previsto di 1 posto letto per mille abitanti è conseguenziale la realizzazione, mediante riconversione o nuova istituzione, di un congruo numero di posti letto da attivare nel triennio di validità del Piano e da portare a realizzazione entro il periodo previsto per il Piano di Salute”, con la previsione di “specifiche unità di riabilitazione intensiva destinate a pazienti che, superata la fase acuta di patologie ad alto rischio di esiti menomanti e/o disabilitanti, hanno ancora bisogno di assistenza continua” e di “specifiche unità di lungodegenza post-acuzie a carattere polivalente destinate a pazienti che, superata la fase acuta, presentano ancora aspetti clinici richiedenti assistenza non erogabile in sede extra-ospedaliera”.

1.2.3) Dalla disamina dei contenuti del P.S.R. 2002-2004, è dato dunque di evincere senza incertezze che:

- è al P.S.R. che deve ricondursi l’attribuzione diretta di competenza alla Giunta regionale in ordine all’approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera;

- sempre nel P.S.R. sono fissati gli obiettivi, i criteri ispiratori, i vincoli da osservare nel processo di ristrutturazione della rete ospedaliera, le tipologie dei presidi e stabilimenti sanitari con l’individuazione delle unità operative attivabili, i limiti dimensionali minimi delle unità operative di diagnosi e cura.

Ne consegue che le censure afferenti all’invocata incompetenza della Giunta regionale in rapporto all’approvazione del Piano di riordino della rete ospedaliera, in funzione dell’invocata competenza del Consiglio regionale, andavano appuntate anzitutto nei confronti della deliberazione di Giunta regionale del 27 dicembre 2001, n. 2087 (di approvazione del piano sanitario regionale 2002-2004), costituente il primo atto concretamente ed effettivamente lesivo della supposta sfera di attribuzioni dell’organo consiliare, la cui impugnativa non poteva essere pretermessa in quanto le successive deliberazioni di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002 (di approvazione del P.R.O. dopo la prima rimodulazione), n. 1086 del 26 luglio 2002 (di adozione del progetto di prima rimodulazione) e n. 1429 del 30 settembre 2002 (di affinamento e adeguamento del P.R.O.) costituiscono, sotto tale profilo, atti applicativi della previsione contenuta nel P.S.R. e di esercizio dell’attribuzione di competenza ivi stabilita.

Considerazioni analoghe valgono per le censure riferite al modulo procedimentale prescelto per l’approvazione del piano di riordino ospedaliero, nonché al modello organizzativo individuante i tipi di strutture sanitarie in stabilimenti medico-chirurgici o solo medici, ed alle correlate indicazioni dei limiti dimensionali delle singole unità operative distinte per disciplina, e anche al rilievo assegnato alle riconversioni e alle realizzazione di più congrua dotazione di posti letto di lungodegenza post-acuzie.

Infatti, è da ricondurre alla deliberazione giuntale di approvazione del P.S.R. 2002-2004 l’omessa previsione di una fase di consultazione della conferenza dei sindaci e dei presidenti delle circoscrizioni in relazione all’approvazione del piano di riordino ospedaliero; del pari le critiche e censure attinenti al modello organizzativo (e alla distinzione tra stabilimenti medico-chirurgici o solo medici) e a disattivazioni connesse con i parametri individuati dal P.S.R. (sulla base, peraltro, di disposizioni normative statali, di cui si dirà oltre), ovvero alla riconversione di congruo numero di posti letto in lungodegenza post-acuzie, andavano rivolte, anzitutto, in via diretta avverso l’atto di programmazione sanitaria generale cui sono riconducibili tali scelte di assetti organizzativi, e solo in via derivata nei confronti del piano di riordino della rete ospedaliera che di tali previsioni ha fatto applicazione nella ristrutturazione dei presidi.

Da tali rilievi consegue l’inammissibilità delle richiamate censure di cui ai motivi sub 1, 2, 5 e 6.

1.2.4) Sennonché, come già anticipato sub 1.2.2), il Tribunale non intende sottrarsi all’esame di merito anche di tali censure per una più compiuta e satisfattiva chiarificazione della insussistenza dei profili di illegittimità evocati con le dette censure, nella consapevolezza dell’incisivo rilievo che il piano di riordino della rete ospedaliera dispiega sull’intera organizzazione sanitaria regionale e sulla sfera generale degli interessi professionali, istituzionali, collettivi incisi dal suddetto atto di pianificazione.

2.) E’ opportuno premettere all’esame del ricorso nel merito, una ricostruzione, sintetica per quanto possibile, delle disposizioni normative (legislative e regolamentari) relative al rapporto tra il piano sanitario nazionale e regionale ed il piano di riordino della rete ospedaliera, nonché ai vincoli relativi alla ristrutturazione della rete ospedaliera, come integrati da una serie di indicatori o parametri orientati a definire i criteri tecnici di riarticolazione dei servizi ospedalieri sul territorio, anche e soprattutto con riferimento al dimensionamento ed all’assortimento della dotazione di posti letto sia sotto il profilo generale della loro quantificazione sulla scala regionale, sia sotto il profilo particolare della loro distribuzione tra le unità operative di specialità dei vari presidi e stabilimenti ospedalieri.

2.1) Com’è noto, l’art. 53 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (istitutiva del servizio sanitario nazionale) ha introdotto quale strumento fondamentale di programmazione sanitaria il Piano sanitario nazionale, inteso a definire “Le linee generali di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività istituzionali del Servizio sanitario nazionale…in conformità agli obiettivi della programmazione socio-economica nazionale e tenuta presente l’esigenza di superare le condizioni di arretratezza socio-sanitaria che esistono nel Paese, particolarmente nelle regioni meridionali” (comma 1).

Il piano, predisposto dal Governo su proposta del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale (ora la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome) e sottoposto al Parlamento ai fini della sua approvazione con atto non legislativo (commi 2 e 3), è accompagnato da disegno di legge “…contenente sia le disposizioni precettive ai fini della applicazione del piano sanitario nazionale, sia le norme per il finanziamento pluriennale del servizio sanitario nazionale, rapportate alla durata del piano stesso, con specifica indicazione degli importi da assegnare al fondo sanitario nazionale ai sensi dell’articolo 51 della presente legge e dei criteri di ripartizione alle regioni” (comma 4)

Il piano, che ha durata triennale ed è modificabile con le stesse procedure previste per la sua formazione (comma 7) definisce, tra l’altro, per quanto qui interessa e rileva (comma 10):

“a) b) omissis

c) gli indici e gli standards nazionali da assumere per la ripartizione del fondo sanitario nazionale tra le regioni, al fine di realizzare in tutto il territorio nazionale un’equilibrata organizzazione dei servizi prevedendo in particolare gli indici nazionale e regionali relativi ai posti letto e la ripartizione quantitativa degli stessi…Il piano prevede inoltre la sospensione di ogni investimento (se non per completamenti e ristrutturazioni dimostrate assolutamente urgenti ed indispensabili) nelle regioni la cui dotazione di posti letto e di altri presidi e strutture sanitarie raggiunge o supera i suddetti indici;

d) omissis

e) i criteri e gli indirizzi ai quali deve riferirsi la legislazione regionale per la organizzazione dei servizi fondamentali previsti dalla presente legge e per gli organici del personale addetto al servizio sanitario nazionale;

f), g), h), i), l) omissis”.

Il successivo art. 55 della legge n. 833 del 1978 ha disposto che le Regioni provvedano “all’attuazione del servizio sanitario nazionale in base ai piani sanitari triennali, coincidenti con il triennio del piano sanitario nazionale, finalizzati alla eliminazione degli squilibri esistenti nei servizi e nelle prestazioni nel territorio regionale” (comma 1), uniformati a contenuti e indirizzi del piano sanitario nazionale e predisposti dalla giunta regionale “secondo la procedura prevista nei rispettivi statuti per quanto attiene alla consultazione degli enti locali e delle altre istituzioni ed organizzazioni interessate.” (comma 2).

I piani sanitari regionali, sempre in base all’art. 55 comma 2, dovevano essere approvati con legge regionale e, in forza del successivo comma 3, ai medesimi dovevano uniformarsi gli atti e provvedimenti emanati dalle regioni.

2.1.1) Disposizioni innovative sui contenuti del piano sanitario nazionale e dei piani regionali sono state però introdotte dall’art. 1 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, recante “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419, che ha sostituito l’art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.

Tale disposizione, dopo aver demandato al piano sanitario nazionale la definizione dei “…livelli essenziali e uniformi di assistenza…nel rispetto dei princìpi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonchè dell’economicità nell’impiego delle risorse” (comma 2), “…contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economico-finanziaria” (comma 3), e assicurando il coinvolgimento delle regioni nella predisposizione del piano (comma 4), e aver definito ambiti e limiti dei c.d. l.e.a. (comma 6); ha ridefinito i contenuti del piano sanitario nazionale, come di seguito indicati al comma 10:

“a) le aree prioritarie di intervento, anche ai fini di una progressiva riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali nei confronti della salute;

b) i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validità del Piano;

c) la quota capitaria di finanziamento per ciascun anno di validità del Piano e la sua disaggregazione per livelli di assistenza;

d) gli indirizzi finalizzati a orientare il Servizio sanitario nazionale verso il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza, anche attraverso la realizzazione di progetti di interesse sovraregionale;

e) i progetti-obiettivo, da realizzare anche mediante l’integrazione funzionale e operativa dei servizi sanitari e dei servizi socioassistenziali degli enti locali;

f) le finalità generali e i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria, prevedendo altresì il relativo programma di ricerca;

g) le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi alla formazione continua del personale, nonchè al fabbisogno e alla valorizzazione delle risorse umane;

h) le linee guida e i relativi percorsi diagnostico-terapeutici allo scopo di favorire, all’interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza;

i) i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli previsti”.

Il comma 13 dell’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, come introdotto dall’art. 1 del d.lgs. n. 299 del 1999, ha ridefinito il piano sanitario regionale come “…piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale”.

Scomparso il riferimento all’adozione con legge regionale, è stato invece previsto il coinvolgimento, nella predisposizione del piano sanitario regionale, delle autonomie locali, delle formazioni sociali private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale (comma 13: su tali profili, ed in particolare sulla partecipazione delle autonomie locali attraverso l’istituzione delle conferenze permanenti per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale e delle conferenze dei sindaci e dei presidenti di circoscrizione, nonché sulla loro attuazione nella legislazione regionale pugliese e sugli strumenti attuativi della programmazione sanitaria regionale, si rinvia al paragrafo 1.1.1.1) che precede).

2.1.2) Mette qui conto rilevare che il legislatore nazionale, in progresso di tempo, ha dedicato diretta e crescente attenzione alla individuazione di specifici limiti dimensionali e indici di utilizzazione delle strutture sanitarie ospedaliere, in funzione, evidentemente, della loro sempre maggiore incidenza sulla spesa pubblica sanitaria in un contesto caratterizzato, secondo la comune esperienza, dalla “polverizzazione” delle strutture sanitarie pubbliche e, quindi, dalla presenza di unità operative (o per usare l’ormai desueta e superata terminologia della legge 12 febbraio 1968, n. 132, di sezioni e divisioni) esponenti bassi indici di ricovero e di prestazioni.

2.1.2.1) Infatti, già con l’art. 10 della l. 23 ottobre 1985, n. 595, recante “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88, erano state dettate “disposizioni particolari in materia di organizzazione degli ospedali”, in base alle quali:

- i piani sanitari regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano dovevano contenere (comma 1) “…indicazioni vincolanti finalizzate alla utilizzazione ottimale dei servizi e dei posti letto in conformità ai seguenti parametri tendenziali:

a) dotazione media dei posti letto nell’ambito della regione o provincia autonoma del 6,5 per mille abitanti, di cui almeno l’1 per mille riservato alla riabilitazione…;

b) tasso medio di spedalizzazione: 160 per mille;

c) tasso minimo di utilizzazione dei posti letto compreso tra il 70 e il 75 per cento;

d) durata media della degenza: undici giorni.”

Il comma 2 dell’art. 10 imponeva poi a regioni e province autonome di provvedere a:

“a) la ristrutturazione, nel triennio 1986-88…delle degenze ospedaliere in aree funzionali omogenee afferenti alle attività di medicina, di chirurgia e di specialità, che, pur articolate in divisioni, sezioni e servizi speciali di diagnosi e cura, anche a carattere pluridisciplinare, siano dimensionate in rapporto alle esigenze assistenziali…;

b) la soppressione, l’accorpamento e la trasformazione in servizi speciali di diagnosi e cura…delle divisioni o sezioni autonome con tasso di utilizzazione dei posti letto, con esclusione di quelli adibiti a ricoveri diurni, mediamente inferiori al 50 per cento nel triennio 1982-84…;

c) omissis”

Il comma 6 dell’art. 10 stabiliva, infine, che gli spazi liberati per effetto delle operazioni di soppressione, accorpamento e trasformazione fossero destinati con priorità all’apertura di “…specifiche sezioni di degenza per la riabilitazione di malati lungo-degenti e ad alto rischio invalidante (e) ad attività di spedalizzazione a ciclo diurno”.

Tali previsioni erano ribadite, ponendo a carico delle uu.ss.ll. specifici adempimenti, dall’art. 2 del d.l. 8 febbraio 1988, n. 27 recante “Misure urgenti per le dotazioni organiche del personale degli ospedali e per la razionalizzazione della spesa sanitaria”, convertito nella legge 8 aprile 1988, n. 109.

2.1.2.2) Intanto, con il d.m. 13 settembre 1988, intitolato alla “Determinazione degli standards del personale ospedaliero” erano state dettate ulteriori disposizioni per la rideterminazione dei posti letto.

L’art. 1 del d.m., infatti, fermi i “…parametri tendenziali della legge 23 ottobre 1985, n. 595, richiamati dalla legge 8 aprile 1988, n. 109…” (dotazione di posti letto non eccedente il 6,5 per mille abitanti, di cui almeno l’1 per mille riservato alla riabilitazione; tasso medio di spedalizzazione non superiore a 160 per mille; tasso minimo di utilizzazione dei posti letto compreso tra il 70 e il 75 per cento), aveva stabilito termini precisi ai fini della formulazione da parte delle uu.ss.ll. di proposte, indirizzate alle regioni e alle province autonome, per “…la riorganizzazione dei presidi ospedalieri” con conseguente rideterminazione degli organici del personale, fissando termini perentori alle stesse regioni e province autonome per provvedervi anche in assenza di proposte delle uu.ss.ll., salvo esercizio in via sostitutiva del potere, e con l’obbligo di “…programmare la disattivazione, entro il termine massimo di due anni, dei presidi con meno di centoventi posti letto, tenuto conto che al di sotto di tale limite l’attività ospedaliera, con riferimento agli standards stabiliti dal presente decreto, risulta economicamente improduttiva e funzionalmente carente”, con possibilità di riconversione dei “presidi disattivati…in strutture di riabilitazione o in residenze sanitarie assistenziali per anziani e disabili non autosufficienti…o in poliambulatori o in presidi sanitari interdistrettuali operanti a ciclo diurno”, e con esclusione della disattivazione dei detti presidi solo “…in zone particolarmente disagiate, obiettivamente verificabili sulla base di indicatori di accessibilità…”.

Nel provvedimento di riorganizzazione dei presidi ospedalieri, sempre ai sensi dell’art. 1 del d.m. in esame, dovevano essere individuate le strutture da disattivare parzialmente, per “…ricondurne il livello di produttività entro i valori parametrici prescritti”, quelle “…che debbono essere totalmente disattivate, concentrandone l’attività presso altro presidio ospedaliero, in quanto presentano valori di utilizzazione tanto bassi da pregiudicare non solo la conduzione economica delle strutture stesse, ma anche la stessa funzionalità sanitaria per i cittadini che debbono servirsene”, quelle da attivare “…relative a specialità non presenti nell’ambito regionale, o presenti in misura inadeguata…”, nonché gli spazi da destinare “...alle attività assistenziali a ciclo diurno, favorendone l’aggregazione alle unità operative di degenza e considerando i posti letto di ospedale diurno come posti letto equivalenti a quelli di degenza ai fini del rispetto dei parametri di dotazione previsti dalla legge 23 ottobre 1985, n. 595”.

L’art. 3 del d.m. definiva poi le “unità operative di degenza” quali moduli organizzativi costituenti ad un tempo “…la soglia minima al di sotto della quale la gestione dell’unità operativa diviene antieconomica ed è, quindi, opportuno che sia riveduta e ottimizzata, ed una indicazione parametrica per la determinazione della dotazione organica del personale delle divisioni, sezioni o servizi”.

Per quanto qui rileva, in ordine alle indicazioni dimensionali delle unità operative, deve rammentarsi che esse sono state così individuate:

- 8 posti letto per unità di terapia intensiva e subintensiva (grandi ustionati; terapia intensiva cardiologica; terapia intensiva neonatale; terapia intensiva post-trapianto; attività dialitica ospedaliera);

- 20 posti letto per unità di specialità ad elevata assistenza (cardiochirurgia; ematologia con trapianto; nefrologia con trapianto ed emodialisi; neurochirurgia; neonatologia; malattie infettive; psichiatria, salvo un minimo di 16 p.l.; unità spinali);

- 20 posti letto per le specialità a media assistenza (cardiologia; chirurgia maxillo facciale; chirurgia pediatrica; chirurgia plastica; chirurgia toracica; chirurgia vascolare; ematologia; nefrologia; neurologia; neuropsichiatria infantile; oncologia; pediatria; urologia pediatrica);

- 32 posti letto per le specialità di base (chirurgia generale e astanteria; medicina generale e astanteria; ortopedia e traumatologia; ostetricia e ginecologia);

- 32 posti letto per la lungodegenza relativa alla fase di convalescenza, di primo trattamento di rieducazione funzionale o di fase terminale.

2.1.2.3) L’art. 4 comma 3 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante “Disposizioni in materia di finanza pubblica” (legge finanziaria 1992) rideterminava gli standards di cui alla legge 23 ottobre 1985, n. 595 (tasso di utilizzazione dei posti letto “…non inferiore al 75 per cento in media annua…”; “…dotazione complessiva di 6 posti-letto per mille abitanti, di cui lo 0,5 per mille riservato alla riabilitazione o alla lungodegenza post-acuzie…”) ribadendo il tasso di spedalizzazione del 160 per mille e l’esigenza di riconversione degli ospedali “…che non raggiungono lo standard minimo di 120 posti-letto” e l’obbligo delle regioni di provvedere con apposito “atto programmatorio…(relativo tra l’altro alla eventuale declaratoria di decadenza delle convenzioni in atto per la specialistica esterna e le case di cura convenzionate) a ristrutturare la rete ospedaliera operando le trasformazioni di destinazione, gli accorpamenti e le disattivazioni necessari per conseguire il raggiungimento dei parametri sopra indicati, fermo restando che il finanziamento del livello assistenziale corrispondente terrà conto solo dei posti-letto e del tasso di utilizzazione prescritti”.

2.1.2.4) Con altra disposizione, evidentemente intesa all’apprestamento delle più urgenti misure per il contenimento della spesa sanitaria ospedaliera, l’art. 3 comma 9 della legge 23 dicembre 1994, n. 794, recante “Misure di razionalizzazione di finanza pubblica” (legge finanziaria 1995), imponeva alle regioni di definire, mediante aggiornamenti dei rispettivi piani sanitari regionali, “…il tasso minimo di occupazione dei posti letto per singole tipologie di reparto”, con obbligo dei direttori generali delle aziende ospedaliere o delle unità sanitarie locali di ridurre i posti letto in dotazione ove eccedenti il 5% rispetto al tasso regionale così definito, con connessa riduzione degli organici e attivazione della mobilità del personale.

2.1.2.5) Con l’art. 2 comma 5 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” (legge finanziaria 1996), come sostituito dall’art. 1 del d.l. 17 maggio 1996, n. 280, convertito con modificazioni nella legge 18 luglio 1996, n. 382, veniva nuovamente ribadito l’obbligo delle regioni di provvedere “…entro il 31 dicembre 1996, con apposito atto programmatorio di carattere generale anche a stralcio del piano sanitario regionale,a ristrutturare la rete ospedaliera…”, tenendo fermo il tasso di utilizzazione dei posti letto “…non inferiore al 75 per cento in media annua”, ma modificando la dotazione media di posti letto (da 6 a “…5,5 posti letto per mille abitanti, di cui l’1 per mille riservato alla riabilitazione ed alla lungodegenza post-acuzie), fermo il tasso di spedalizzazione del 160 per mille.

La disposizione prevedeva che la regioni procedessero “…alla ristrutturazione della rete ospedaliera operando le trasformazioni di destinazione, gli accorpamenti, le riconversioni e le disattivazioni necessari, con criteri di economicità ed efficienza di gestione…” e completassero la ristrutturazione della rete ospedaliera “…entro il 31 dicembre 1999”, con organizzazione di tipo dipartimentale “…al fine di consentire a servizi affini e complementari di operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo delle risorse finanziarie”.

Scompariva, dunque, il vincolo relativo alla disattivazione degli ospedali con meno di 120 posti letto, mentre veniva chiarito come il provvedimento di ristrutturazione della rete ospedaliera avesse valenza di specifico atto programmatorio adottato anche a stralcio del piano sanitario regionale (e quindi tendenzialmente anche al di fuori delle procedure previste per l’approvazione di quest’ultimo).

2.1.2.6) Con l’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante “ Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” (legge finanziaria 1997), venivano indicati obiettivi intermedi da perseguire direttamente e obbligatoriamente dalle aziende ospedaliere e dalle aziende sanitarie locali con provvedimenti dei relativi direttori generali.

A questi ultimi veniva imposto l’obiettivo di procedere “nell’ambito della ristrutturazione della rete ospedaliera…non oltre il 30 giugno 1997, alla riduzione del numero dei posti letto nelle singole unità operative ospedaliere che nell’ultimo triennio hanno mediamente registrato un tasso di occupazione inferiore al 75 per cento, fatta eccezione per la terapia intensiva, la rianimazione, le malattie infettive, le attività di trapianto di organi e di midollo osseo nonché le unità spinali, in misura tale da assicurare il rispetto di detto tasso di occupazione”, ed in ogni caso di ridurre i posti letto in misura non inferiore al 20% per ciascuna unità operativa ospedaliera, con obbligo di rideterminare, di conseguenza, le dotazioni organiche, salva la possibilità per le regioni di fissare “…un tasso di occupazione dei posti letto superiore al 75 per cento destinando una quota parte dei risparmi derivanti dalla conseguente riduzione dei posti letto all'assistenza domiciliare a favore di portatori di handicap gravi, di patologie cronico-degenerative in stato avanzato o terminale nonché degli anziani non autosufficienti”, oppure di stabilire “…un tasso di occupazione di posti letto inferiore al 75 per cento negli ospedali situati nelle isole minori e nelle zone montane particolarmente disagiate”.

La disposizione imponeva inoltre alle regioni, sempre nell’ambito della ristrutturazione della rete ospedaliera, e nello stesso termine del 30 giugno 1997, di “…incrementare i posti letto equivalenti di assistenza ospedaliera diurnafino ad una dotazione media regionale non inferiore al 10 per cento dei posti letto della dotazione standard per acuti prevista dalla normativa vigente”.

2.1.2.7) Va ricordato, peraltro, che con il d.l. 17 maggio 1996, n. 280 (“Disposizioni urgenti nel settore sanitario”) convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 1996, n. 382, dopo aver dettato, al comma 2 quater dell’art. 1, disposizioni per la mobilità del personale in esubero a seguito della ristrutturazione della rete ospedaliera, era prevista la decurtazione delle quote del fondo sanitario nazionale nei confronti delle regioni che entro il 31 dicembre 1996 non avessero ancora adottato “l’atto programmatorio” di ristrutturazione della rete ospedaliera (in misura pari al 2% della quota da ripartire dall’anno 1997, e nella misura da stabilire con la legge finanziaria del 2000 nell’ipotesi di perdurante inerzia oltre la data del 31 dicembre 1999, ai sensi del successivo comma 2 quinquies).
2.1.2.8) Sempre nell’ambito delle disposizioni di specifico interesse, deve rammentarsi che l’art. 3 comma 4 del d.l. 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni nella legge 16 novembre 2001, n. 405 (recante “Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria”) ha modificato la percentuale delle dotazioni medie di posti letto, stabilendo che:

Nell’ambito della ristrutturazione della rete ospedaliera prevista dall'articolo 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e successive modificazioni, le regioni adottano lo standard di dotazione media di 5 posti letto per mille abitanti di cui l'1 per mille riservato alla riabilitazione ed alla lungodegenza post-acuzie…”.

La disposizione ha, poi, previsto il riassorbimento degli esuberi di personale conseguenti alla ristrutturazione “…nell’ambito delle strutture realizzate in sede di riconversione di quelle dismesse, per assicurare la sostituzione del personale cessato dal servizio nell’ambito della stessa azienda e per realizzare servizi medici ed infermieristici domiciliari per malati cronici e terminali”, salva l’applicazione delle disposizioni in materia di mobilità collettiva e di gestione del personale in disponibilità di cui agli artt. 33 e 34 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

2.2.1.9) Per completare il quadro sommario della normativa statale di riferimento, occorre far menzione anche del d.m. 12 dicembre 2001 recante “Sistema di garanzie per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria”, che ha fissato un “insieme minimo di indicatori e di parametri di riferimento finalizzato al monitoraggio del rispetto, in ciascuna regione, dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza nonché dei vincoli di bilancio delle Regioni a statuto ordinario” (art. 1 comma 1), articolati in:

“a) indicatori: informazioni selezionate allo scopo di conoscere fenomeni di interesse, misurandone i cambiamenti e, conseguentemente, contribuendo ad orientare i processi decisionali dei diversi livelli istituzionali;

b) dati di base: dati elementari utilizzati in forma aggregata per la costruzione degli indicatori. Comprendono dati correnti già parte dei vigenti flussi informativi e dati raccolti ad hoc, rilevati e trasmessi con la specifica finalità di predisporre idonei indicatori in aree di valutazione in cui siano carenti i dati correnti;

c) parametri di riferimento: valori numerici espressi come misure di posizione o di dispersione, con i quali confrontare il valore numerico dell'indicatore; sono individuati sulla base dei valori nazionali o di indicazioni ed esperienze internazionali o di indicazioni normative e programmatorie;

d) criteri di selezione: criteri in base ai quali l'indicatore viene inserito nell'insieme minimo; sono rappresentati dalla validità, utilità, misurabilità e capacità discriminante;

e) classificazione: raggruppamento degli indicatori sulla base dei livelli uniformi ed essenziali di assistenza;

f) standardizzazione: aggiustamento del dato grezzo sulla base di variabili che ne condizionano i risultati; la più comune forma di standardizzazione è effettuata per le caratteristiche della popolazione di riferimento (sesso e struttura per età);

g) qualità dei dati di base: insieme della caratteristiche che rendono valido e affidabile un dato; comprende la correttezza, la completezza, l'accuratezza e la precisione;

h) rappresentazione dei dati: modalità statistiche che misurano la tendenza e la dispersione dei dati;

i) validazione dei dati: approvazione definitiva, convalida e riconoscimento ufficiale dei dati di base a seguito dei meccanismi di controllo e della valutazione della qualità dei dati”.

L’art. 4 del d.m. precisa che la raccolta dei dati di base “…segue le modalità vigenti esistenti nell’ambito del sistema informativo sanitario…(mentre)…La rilevazione dei dati non attualmente disponibili viene effettuata ad hoc dalle aziende sanitarie ed ospedaliere e da queste trasmesse alle Regioni”.

Tra gli indicatori di specifico interesse per l’assistenza ospedaliera, l’allegato 3 al d.m. enumera i seguenti:

- Tasso standardizzato di ospedalizzazione per degenza ordinaria e per day hospital;

- Indice di attrazione;

- Indice di fuga;

- Posti letto per 1.000 abitanti;

- Giornate di degenza (ordinaria e di day hospital) sulla popolazione residente pesata;

- Costo percentuale del livello di assistenza ospedaliera;

- Costo pro-capite dell'assistenza ospedaliera;

- Incidenza percentuale del costo del personale ospedaliero sul costo totale del personale;

- Incidenza percentuale del costo del personale ospedaliero sul costo del livello di assistenza ospedaliera;

- Percentuale di dimessi da reparti chirurgici con DRG medici;

- Percentuale di parti cesarei;

- Peso medio del ricovero degli anziani;

- Peso medio del ricovero dei bambini;

- Tasso di utilizzo;

- Degenza media standardizzata per case-mix;

- Percentuale di ricoveri brevi;

- Percentuale di ricoveri lunghi;

- Tasso di ospedalizzazione (nella popolazione anziana) per particolari procedure chirurgiche: cataratta, sostituzione dell'anca e by-pass coronario e angioplastica.

L’allegato 4 al d.m. precisa poi che i dati vanno desunti da quelli trasmessi al Sistema informativo sanitario, i ricoveri vanno intesi come “…i dimessi rilevati attraverso le schede di dimissione ospedaliera” (S.D.O.), le tipologie di assistenza considerate sono gli “acuti” (in cui rientrano tutti i casi trattati, ad eccezione di quelli afferenti alle unità spinali, al recupero e riabilitazione funzionale, alla neuroriabilitazione, a ipotesi residuali manicomiali, alla lungodegenza), la “riabilitazione” e la “lungodegenza”.

2.2.3) La legislazione regionale pugliese, per quanto consta, non ha dettato specifiche disposizioni in ordine ai contenuti del piano di ristrutturazione (o riordino) della rete ospedaliera, aggiornate ai parametri di riferimento come modificati e integrati dalla normativa statale dianzi esaminata (dalla percentuale di dotazione media dei posti letto -da ultimo fissata al 5 per mille, di cui l’1 per mille riservato alla riabilitazione e alla lungodegenza; al tasso di spedalizzazione -fissato a 160 posti letto per mille abitanti; al tasso di occupazione dei posti letto -non inferiore al 75 per cento; al numero dei posti letto di assistenza ospedaliera diurna -day hospital o day surgery: pari al 10% della dotazione di posti letto per acuti; agli standards dimensionali minimi delle varie unità operative; ai dati di base, indicatori e parametri di riferimento, come testé richiamati).

Si comprende quindi come non abbia avuto alcuna attuazione il piano di riordino ospedaliero approvato con deliberazione di Consiglio regionale n. 379 del 2 e 3 febbraio 1999, sulla base dell’art. 32 della legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36 (peraltro non invocata dal comune ricorrente), in funzione della sua rapida obsolescenza a fronte della richiamata variazione dei parametri di riferimento dinanzi ricordata.

3.) Così delineato il quadro di riferimento normativo, può dunque passarsi all’esame delle censure svolte dal Comune ricorrente.

3.1) Con il primo motivo, è stata dedotta l’incompetenza della Giunta regionale in funzione dell’affermata competenza del Consiglio regionale, sul presupposto che:

- il piano di ristrutturazione della rete ospedaliera costituisca atto di natura regolamentare;

- la novella dell’art. 121 comma 2 Cost. (come introdotta dall’art. 1 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1), consistente nell’espunzione dalle competenze dei consigli regionali del riferimento all’esercizio delle potestà “regolamentari”, non implichi immediata devoluzione della suddetta competenza alle giunte regionali, in difetto di apposita previsione statutaria o legislativa regionale, dovendosi tuttora applicare l’art. 53 dello Statuto regionale della Puglia, approvato con le legge 22 maggio 1971, n. 349.

 a tenore del quale:

“Le potestà legislative e regolamentari, attribuite alla Regione dal comma secondo dell'articolo 121 della Costituzione, sono esercitate esclusivamente dal Consiglio”.

La difesa della Regione Puglia, in replica, rileva:

- che il piano di ristrutturazione della rete ospedaliera non è atto regolamentare, sebbene atto generale di natura provvedimentale con specifiche disposizioni organizzative;

- in ogni caso la novella dell’art. 121 comma 2 Cost. dispiegherebbe efficacia abrogativa dell’art. 53 dello Statuto, per la parte riferita all’attribuzione di competenza esclusiva consiliare in ordine alla potestà regolamentare, tenuto conto, altresì, che l’art. 41 comma 2 lettera l) assegna alla Giunta una competenza generale residuale, nel senso che ad essa è demandato di :

“l) esercitare tutte le altre attribuzioni e funzioni amministrative che dalla Costituzione, dal presente Statuto o dalle leggi non sono demandate alla competenza del Consiglio regionale”.

Osserva il Tribunale che la censura d’incompetenza, come dedotta nel primo motivo di ricorso, è destituita di giuridico fondamento, sotto un duplice profilo.

3.1.1.) Per un primo aspetto, per quanto suggestiva appaia la prospettazione del Comune ricorrente (in qualche modo legittimata dal richiamo alquanto ambiguo, nel preambolo della deliberazione di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002, alla competenza giuntale “…in considerazione del suo contenuto e della sua natura ed in quanto attuativo del suo prededente atto approvato con Deliberazione 27 dicembre 2001, n. 2087 a norma dell’Art. 121 Cost. e della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1), deve recisamente escludersi che il piano di ristrutturazione della rete ospedaliera costituisca atto di natura regolamentare.

Un duplice ordine di ragioni, generali e particolari, consentono di affermare che, al contrario, il piano è atto programmatorio e di organizzazione, di carattere generale e di chiara efficacia provvedimentale.

3.1.1.a) La identificazione della natura regolamentare di un atto amministrativo postula che nel medesimo possa effettivamente ravvisarsi l’esercizio di una potestà normativa dell’amministrazione che si connoti nell’adozione di una disciplina, di rango secondario rispetto a fonte normativa legislativa sovraordinata, in funzione di una specifica norma attributiva del potere regolamentare, intesa a regolare, con i caratteri tipici delle norme giuridiche (generalità e astrattezza) rapporti giuridici che la norma primaria demanda alla disciplina secondaria (regolamenti liberi o delegati) o altrimenti intesa a integrare e completare la disciplina di rango legislativo (regolamenti di esecuzione).

La particolarità dei regolamenti regionali era costituita, sino alla novella dell’art. 121 comma 2 Cost. di cui all’art. 1 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, dalla devoluzione della competenza alla loro emanazione ai consigli regionali (per le regioni a statuto ordinario) pur trattandosi di atti normativi tipici del potere esecutivo che, nell’ordinamento statale, rientrano nella sfera di attribuzioni normative tipica del Governo; ciò che dava luogo ad un fenomeno di concentrazione delle potestà legislative e regolamentari in capo ai consigli.

Al di là di questo aspetto circoscritto, relativo alla competenza, non è dubbio che i caratteri essenziali e tipici degli atti regolamentari regionali fossero gli stessi di quelli emanati dal Governo, come dianzi sinteticamente delineati.

Orbene, sembra più che arduo impossibile ravvisare nel piano di ristrutturazione della rete ospedaliera gli elementi identificativi propri di una fonte normativa secondaria.

Esso non disciplina, in via generale ed astratta, e nemmeno in via di integrazione e completamento, rapporti giuridici e non introduce norme innovative dell’ordinamento giuridico generale o settoriale; non prevede, ad esempio, nuove figure istituzionali diverse da quelle contemplate dalle fonti legislative statali e dalla normativa regionale attuativa (Aziende Unità Sanitarie Locali; Aziende Ospedaliero-Universitarie; Direttori generali; Direttori sanitari e amministrativi, etc.).

Al contrario, il piano, dopo aver enunciato i suoi presupposti normativi, i criteri ispiratori, gli obiettivi, le diverse formule organizzatorie dei presidi ospedalieri, i limiti dimensionali minimi delle unità operative, gli indicatori e parametri in base ai quali si provvede alla rideterminazione del numero di posti letto e alla loro redistribuzione tra le varie specialità (come delineati peraltro in larga misura già dal piano sanitario regionale nonché dalla normativa statale esaminata nei paragrafi che precedono) opera scelte concrete attinenti all’assetto organizzativo delle aziende ospedaliero-universitarie e delle aziende sanitarie locali, con la specifica individuazione degli accorpamenti in unico presidio di stabilimenti ospedalieri e delle dotazioni di posti letto distinte per specialità.

Si tratta quindi di un atto di organizzazione generale con contenuti puntuali, e quindi, come esattamente osservato dai difensori della Regione Puglia, non già di un atto normativo a efficacia regolamentare sebbene di un atto amministrativo (generale) a efficacia provvedimentale.

3.1.1.b) D’altro canto, una testuale ed espressa conferma della natura provvedimentale del piano di ristrutturazione della rete ospedaliera si ricava dalle indicazioni normative contenute nella legislazione statale di riferimento.

Come si è segnalato supra, sin dall’art. 4 comma 3 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 alle regioni è stato fatto obbligo di “…ristrutturare la rete ospedaliera operando le trasformazioni di destinazione, gli accorpamenti e le disattivazioni necessari per conseguire il raggiungimento dei parametri sopra indicati…”, mediante “atto programmatorio”.

E il successivo art. 2 comma 5 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, come sostituito dall’art. 1 del d.l. 17 maggio 1996, n. 280, convertito con modificazioni nella legge 18 luglio 1996, n. 382, ha ribadito l’obbligo delle regioni di provvedere “…a ristrutturare la rete ospedaliera…” attraverso “…apposito atto programmatorio di carattere generale anche a stralcio del piano sanitario regionale”.

Al suddetto “atto programmatorio” si è riferito, poi, anche il d.l. 17 maggio 1996, n. 280 convertito, con modificazioni, nella legge 18 luglio 1996, n. 382.

Lo stesso art. 32 della legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36, citata sub 2.2.3) -ma non invocato dal comune ricorrente- affidava bensì al consiglio regionale l’approvazione della “riorganizzazione della rete ospedaliera” anche a stralcio del piano sanitario regionale, ma non contiene indicazione alcuna circa la natura regolamentare del provvedimento e tantomeno prevede che esso si perfezionasse (come invece per tutti i regolamenti regionali secondo la disciplina antevigente alla novella dell’art. 121 comma 2 Cost.) mediante promulgazione da parte del Presidente della Giunta Regionale (ai sensi dell’art. 51 lett. b) dello Statuto regionale pugliese).

Né può omettersi di rilevare che nemmeno il piano sanitario regionale (di cui il piano di ristrutturazione della rete ospedaliera costituisce “stralcio”) ha natura regolamentare o è promulgato con decreto del Presidente della Giunta Regionale, secondo la disciplina di cui alla citata legge regionale n. 36 del 1994.

Tale natura non riveste , d’altronde, nemmeno il piano sanitario nazionale, che è approvato “con atto non legislativo”, secondo la specifica indicazione dell’art. 53 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

In effetti, tutti gli strumenti della programmazione sanitaria regionale rivestono natura di atti generali di organizzazione; ed anzi l’art. 4 della legge regionale 4 maggio 1999, n. 17, nel prevedere che:

 “Gli atti e i provvedimenti dirigenziali e di Giunta regionale, anche di carattere programmatorio comunque incidenti sul sistema sanitario pugliese, oltre che indicare gli adempimenti contabili di cui alla legge regionale 30 maggio 1977, n. 17 e successive modificazioni e integrazioni, devono altresì contenere l’espressa dichiarazione dei responsabili del procedimento amministrativo, che le spese derivanti dagli stessi atti sono contenute nei limiti del fondo sanitario regionale ovvero delle ulteriori correlate assegnazioni statali a destinazione vincolata e che non producono oneri aggiuntivi rispetto alle predette assegnazioni”

indica chiaramente che gli atti della programmazione sanitaria costituiscono provvedimenti in senso proprio.

3.1.2) Sotto altro profilo, ove anche si ammettesse che il piano di ristrutturazione della rete ospedaliera abbia natura di atto regolamentare, comunque non potrebbe sostenersi la perdurante competenza dei consigli regionali in ordine all’esercizio della potestà regolamentare a seguito della novella dell’art. 121 Cost. introdotta dall’art. 1 della legge regionale 22 novembre 1999, n. 1.

Com’è noto, nel nuovo testo dell’art. 121 comma 2 Cost. sono state espunte le parole “e regolamentari”, di tal ché esso risulta ora così formulato:

“Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può fare proposte di legge alle Camere”.

Parallelamente, il comma 4 dell’art. 121 è stato sostituito, per quanto qui interessa, nel senso che:

“Il Presidente della Giunta…promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali…”.

Orbene, è noto che la questione circa l’efficacia della soppressione della competenza regolamentare dei consigli regionali (se essa comporti l’immediata devoluzione del potere regolamentare alle giunte oppure consenta l’ultrattività della competenza consiliare sino all’emanazione di nuove disposizioni degli statuti regionali) è ampiamente dibattuta.

La soppressione dell’inciso “e regolamentari” fu introdotta con apposito emendamento, non figurando nelle originarie proposte di legge costituzionale sull’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni, su iniziativa di alcune regioni (Lombardia, Toscana, Emilia Romagna).

Nel dibattito alla 1^ Commissione (Affari costituzionali) del Senato, fu chiaramente posto in luce sia dal Ministro per le riforme istituzionali dell’epoca sia dal sen. Rotelli proponente (seduta del 22 giugno 1999), che l’emendamento era orientato appunto a sottrarre ai consigli regionali la competenza in ordine agli atti regolamentari in funzione dell’attribuzione della relativa potestà alle giunte.

Deve poi rammentarsi che sia nel parere del Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 15 marzo 2000, sia nella seduta della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome del 16 marzo 2000, si è senz’altro ritenuto che la novella dell’art. 121 comma 2 Cost. implicasse la devoluzione della competenza regolamentare alle giunte in funzione di una loro più marcata qualificazione come organo esecutivo in parallelismo col Governo.

D’altra parte, come posto in luce anche da autorevole dottrina, gli stessi lavori preparatori dell’Assemblea Costituente dimostrerebbero che l’intento del Costituente era nel senso di attribuire ai consigli regionali essenzialmente l’esercizio del potere regolamentare connesso alla competenza legislativa regionale attuativa, non anche quello connesso all’emanazione delle leggi regionali nella sfera della competenza concorrente.

La stessa dottrina pone poi in luce l’assenza di disposizioni transitorie al riguardo e, soprattutto, la testuale indicazione circa la emanazione (e non più la promulgazione) dei regolamenti da parte del Presidente della Giunta Regionale, come ulteriori argomenti dai quali è dato desumere l’immediata devoluzione del potere regolamentare alle giunte regionali, posto che solo con la promulgazione (e non anche con l’emanazione) è resa evidente l’estraneità di tale organo al procedimento di formazione dell’atto normativo.

La giurisprudenza (in disparte la sostanziale irrilevanza dell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 87 del 21-30 marzo 2001, invocata dal Comune ricorrente, che non prende alcuna chiara posizione sulla questione, essendo incentrata su inammissibilità di questione di legittimità costituzionale di una legge regionale veneta) è divisa.

La pur argomentata sentenza (del pari invocata dal Comune ricorrente) del T.A.R. Lombardia Milano, Sez. 3^, 28 febbraio 2002, n. 838 -la cui efficacia esecutiva è stata sospesa con ordinanza del Consiglio di Stato Sez. IV, 9 aprile 2002, n. 1359 anche con riferimento al merito- si fonda essenzialmente sul rilievo della mancata positiva attribuzione del potere regolamentare alle giunte.

Di segno diametralmente opposto è altra più recente sentenza (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. 3 ter, 26 novembre 2002, n. 6552) che osserva come la soppressione dell’inciso, in quanto relativo a norma sulla competenza e quindi di immediata applicabilità, congiunta al riferimento alla emanazione dei regolamenti e inserita nel contesto della nuova forma di governo regionale, deponga senz’altro per l’immediata devoluzione del potere alle giunte.

Osserva questo Tribunale che, in effetti, tanto gli argomenti desumibili dal tenore letterale dell’art. 121 comma 2 Cost. novellato (soppressione dell’inciso “e regolamentari”; riferimento alla emanazione dei regolamenti contrapposta alla promulgazione delle leggi regionali), quanto quelli ricavabili dai lavori preparatori della legge costituzionale e dalla stessa ratio della novella, intesa ad una più evidente e netta separazione di funzioni tra i consigli regionali, come assemblee legislative, e giunte regionali, come organi esecutivi, di governo e indirizzo politico, inclinano a ritenere che, salva diverse e diversificate soluzioni adottabili in sede di emanazione dei “nuovi” Statuti regionali (che ben potrebbero riallocare tale competenza, in tutto o in parte, in capo ai consigli) allo stato, ed in assenza di nuove disposizioni statutarie di segno contrario, la competenza all’approvazione dei regolamenti regionali non possa che ricondursi alla sfera di attribuzioni delle giunte regionali.

Né può valere il richiamo del Comune ricorrente al “vecchio” testo dell’art. 53 dello Statuto regionale pugliese che testualmente assegna l’esercizio esclusivo al Consiglio regionale delle potestà legislativa e regolamentare ma in quanto e per come “…attribuite alla Regione dal comma secondo dell’articolo 121 della Costituzione…”.

La disposizione ha, in altri termini, espressamente ricollegato l’attribuzione di competenza al dettato costituzionale, attraverso un rinvio alla disposizione costituzionale come norma attributiva della competenza; sicché venuta meno tale attribuzione di competenza per quanto concerne i regolamenti, è evidente che essa non può autonomamente fondare una sorta di competenza “prorogata” in capo al Consiglio regionale.

Quindi, anche a tacere dell’esistenza di altra disposizione statutaria generale, l’art. 41 lett. l) invocato dalla difesa della Regione Puglia, circa la competenza generale residuale della Giunta regionale in ordine all’esercizio di “…tutte le altre attribuzioni e funzioni amministrative che dalla Costituzione, dal presente Statuto o dalle leggi non sono demandate alla competenza del Consiglio regionale”, deve concludersi nel senso che, almeno sin tanto che non intervengano nuove disposizioni statutarie (o, ancorché ne sia dubbia la sufficienza, nuove disposizioni legislative regionali) che disciplinino diversamente la materia, la competenza all’emanazione dei regolamenti regionali va imputata alle giunte regionali.

Le osservazioni che precedono confermano, dunque, l’infondatezza delle censure dedotte col primo motivo del ricorso in epigrafe.

3.2) Le censure di cui al secondo motivo del ricorso in epigrafe sono, invece, incentrate sul rilievo di vizio procedimentale (e quindi funzionale) connesso alla mancata acquisizione del parere della conferenza dei sindaci dell’azienda unità sanitaria locale di riferimento (A.U.S.L. FG/1), di ambito sovracomunale, e più in generale della pretermissione di ogni fase partecipativa, come prevista dalla legge n. 241 del 1990, col connesso rilievo della carente istruttoria su alcuni specifici elementi di rilievo (presenza nell’ospedale “Umberto I” di nuova sala operatoria non ancora inaugurata, delle professionalità attinenti alle unità operative di cui è prevista la soppressione, omessa considerazione della situazione orografica di San Marco in Lamis e dei comuni montani garganici viciniori).

In replica, la Regione Puglia ha dedotto che il parere della conferenza dei sindaci è contemplato per altri atti della programmazione sanitaria regionale (ed in specie per i piani attuativi locali adottati dalle singole AA.UU.SS.LL. come strumenti esecutivi del piano sanitario regionale), mentre comunque è stato assicurato un momento procedimentale partecipativo, ancorché non previsto e nella fase intermedia tra la deliberazione di prima rimodulazione e l’approvazione definitiva del P.R.O., attraverso la consultazione di enti e soggetti esponenziali di comunità locali e altre categorie interessate.

Il Tribunale rileva che le doglianze esposte dal Comune di San Marco in Lamis sono destituite di giuridico fondamento.

3.2.1) Sotto un primo profilo non può non rimarcarsi (vedi retro sub 1.2.3) pagg. 29-30) che le censure afferenti il procedimento di formazione del piano di ristrutturazione della rete ospedaliera andavano rivolte, anzitutto, nei confronti della deliberazione di Giunta regionale n. 2087 del 27 dicembre 2001, di approvazione del piano sanitario regionale 2002-2004, poiché è a quest’ultimo, che ha individuato criteri e modalità di approvazione del P.R.O., che deve ricondursi l’omessa previsione di una fase partecipativa coinvolgente le comunità locali.

3.2.2) Peraltro la partecipazione istituzionale delle comunità locali (anche attraverso la conferenza dei sindaci e presidenti delle circoscrizioni) non è affatto prevista dalla legislazione statale e regionale con riferimento all’approvazione del piano di ristrutturazione della rete ospedaliera.

Si è già rilevato che già con l’art. 2 comma 5 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, come sostituito dall’art. 1 del d.l. 17 maggio 1996, n. 280, convertito con modificazioni nella legge 18 luglio 1996, n. 382, alle regioni è stato imposto l’obbligo di procedere alla ristrutturazione della rete ospedaliera “…con apposito atto programmatorio di carattere generale anche a stralcio del piano sanitario regionale”.

D’altro canto l’art. 32 della legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36, ancorché precedente ed emanata in funzione delle previsioni di cui all’art. 4 comma 3 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, relative alla ristrutturazione della rete ospedaliera con apposito “atto programmatorio”, aveva previsto l’approvazione della riorganizzazione della rete ospedaliera “…anche a stralcio del piano sanitario regionale”.

E’, dunque, evidente che l’affidamento della ristrutturazione della rete ospedaliera ad apposito atto, diverso e distinto dal piano sanitario regionale, ed anzi adottato “a stralcio” di quest’ultimo, in difetto di indicazioni circa le modalità procedimentali della sua formazione e approvazione (salvo quelle contenute nel Piano sanitario regionale 2002-2004), non consente di ritenere applicabili le disposizioni concernenti il piano sanitario regionale relative alla partecipazione in funzione consultiva degli enti locali.

Ed in effetti, secondo quanto già ampiamente illustrato retro sub 1.1.1.1), la partecipazione delle comunità locali alla programmazione sanitaria regionale si riferisce:

a) al piano sanitario regionale: art. 2 comma 2 bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come introdotto dall’art. 2 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 299, in ordine alla consulenza obbligatoria sul progetto di piano da parte della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria (composta, fra gli altri, dal Sindaco del Comune per le aa.ua.ss.ll. di ambito comunale, dal Presidente della Conferenza dei Sindaci per le aa.uu.ss.ll. sovracomunali e dai Presidenti di circoscrizione per le aa.uu.ss.ll. infracomunali); art. 7 comma 4 della legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36 circa l’acquisizione del parere sul piano sanitario regionale della Conferenza dei Sindaci o dei Presidenti delle circoscrizioni;

b) ai piani generali attuativi delle singole aa.uu.ss.ll. e ai piani di settore: art. 3 commi 1 e 4 della legge regionale 30 dicembre 1994, n. 38, ricordando che essi devono tener conto dei piani di zona “…approvati dal Comune, dalla Conferenza dei Sindaci o dai Presidenti delle circoscrizioni di riferimento territoriale”, ed i primi devono essere trasmessi, secondo i casi al Sindaco (a.u.s.l. di ambito comunale), alla Conferenza dei Sindaci (a.u.s.l. di ambito sovracomunale) e alla rappresentanza dei Presidenti di circoscrizione (a.u.s.l. di ambito infracomunale) che possono esprimere le proprie osservazioni alla Giunta regionale e alla a.u.s.l. interessata.

3.2.3) Né, per sostenere l’obbligo di introdurre una fase partecipativa nel procedimento di approvazione del P.R.O., possono utilmente invocarsi le disposizioni generali della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Non può sfuggire, infatti, che i procedimenti relativi alla programmazione sanitaria (nazionale e regionale) sono disciplinati in modo specifico anche per quanto attiene alla partecipazione degli enti locali alla formazione degli strumenti programmatori, onde in applicazione del principio generale della lex specialis non potrebbe richiamarsi in via di analogia la disciplina generale del procedimento, nemmeno per i piani (come il P.R.O.) per cui (salve le previsioni, non aggiornate dell’art. 32 della legge regionale n. 36 del 1994 e quelle del piano sanitario regionale 2002-2004) non è contemplata la partecipazione istituzionale delle comunità locali, atteso che essa è invece garantita per il piano sanitario regionale di cui il piano di ristrutturazione della rete ospedaliera costituisce strumento attuativo.

3.3) Le censure svolte nel terzo motivo del ricorso in epigrafe si appuntano sulla pretesa carente istruttoria che ha preceduto l’approvazione del P.R.O..

In particolare il Comune ricorrente, premesso che si sarebbero considerati i soli dati afferenti il 2001, lamenta:

- che si sia tenuto conto dei posti letto formalmente e non di quelli effettivamente attivati (ad esempio, per l’unità operativa di chirurgia generale dell’ospedale “Umberto I” di San Marco in Lamis, di 40 posti letto a fronte di soli 25 posti letto, in relazione ai quali era stata sollecitata la riduzione della dotazione dell’unità);

- che, correlativamente, si sia computato il tasso di occupazione sui posti letto solo formalmente attivati, per tale ragione risultato inferiore al 75%, laddove, considerando i posti letto effettivamente attivati, esso sarebbe superiore al limite minimo dianzi indicato;

- che non si sia attribuito rilievo ai progressi registrati nel triennio 1999-2001 nelle percentuali dei ricoveri inappropriati (ridotti del 20%) e della durata della degenza media, nonché di un peso medio (c.d. case mix) di 0,90, sostanzialmente allineato alle direttive regionali;

- che considerazioni analoghe varrebbero per le unità operative di Ostetricia e Ginecologia e Pediatria.

La Regione Puglia, nelle sue repliche difensive, ha a sua volta dedotto, in sintesi:

- che le censure impingono profili di merito delle scelte organizzative in materia di riordino della rete ospedaliera, come tali sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità;

- che doveva necessariamente tenersi conto dei dati ufficiali attinenti al numero di posti letto istituiti, come comunicati dalle stesse AA.UU.SS.LL. attraverso i c.d. modelli HSP (gli unici rilevanti in difetto di riduzione autorizzata dei posti letto);

- che l’esistenza di posti letto disattivati in via di fatto denota l’utilizzazione parziale dell’unità operativa e il connesso dispendio di risorse nel quadro di una razionale utilizzazione;

- che la riduzione dei posti letto al di sotto del limite minimo individuato dal piano sanitario regionale (per le unità chirurgiche, fra le altre, almeno 32) comporta la soppressione dell’unità operativa, e nella specie, quindi non poteva conservarsi l’unità di chirurgia generale in cui erano attivati appena 24 posti letto, con appena venti degenze giornaliere (inferiori al minimo previsto di ventiquattro degenze) e con livelli di inappropriatezza dei ricoveri pari al 35%, oltre ad altre inappropriatezze costituite dai ricoveri ripetuti (pari all’1,4%), dai ricoveri brevi c.d. eventi sentinella (pari al 5,6%) e dall’indice degli interventi chirurgici praticati (pari ad appena il 38,3%), dall’organico inadeguato del personale, dal c.d. case mix, o indice di complessità delle prestazioni, pari allo 0,89 e quindi inferiore a quello medio regionale pari a 1: dati da cui si arguisce che su cento ricoverati nell’unità addirittura sessantadue non accusavano patologie chirurgiche;  

- che considerazioni analoghe valgono per le unità operative di ostetricia-ginecologia e pediatria, con percentuali di utilizzo dei posti letto pari rispettivamente al 33,6% e al 33,5%.

Il Tribunale non può esimersi dal rilevare l’infondatezza anche delle censure esposte nel terzo motivo di ricorso.

3.3.1) Va senz’altro disattesa l’eccezione pregiudiziale spiegata dai difensori della Regione Puglia in ordine all’ammissibilità delle censure dianzi richiamate, posto che esse non impingono affatto il merito della scelta programmatoria espressa con l’approvazione del P.R.O., non risolvendosi in rilievi critici sull’opportunità delle determinazioni relative alla strutturazione dello stabilimento ospedaliero di San Marco in Lamis (già presidio autonomo), sebbene in argomentate osservazioni sulla pertinenza e congruità dei parametri assunti a riferimento della prevista disattivazione delle unità operative di Chirurgia generale, Ostetricia e Ginecologia e Pediatria.

3.3.1.1) Ciò posto occorre ribadire che i parametri di riferimento per la ristrutturazione della rete ospedaliera pugliese sono quelli, già ampiamente esaminati nei paragrafi sub 1.2.2.2, 1.2.2.3, 1.2.2.4., 1.2.2.5, 1.2.2.6 (rispettivamente: linee essenziali della ristrutturazione; limiti dell’assetto organizzativo esistente e criteri ispiratori del riordino; dimensionamento e distribuzione qualitativa della dotazione dei posti letto, in coerenza con i vincoli rivenienti da atti normativi statali, legislativi e regolamentari; organizzazione strutturale e funzionale del sistema ospedaliero, col dimensionamento minimo delle varie unità operative in applicazione delle indicazioni del d.m 13 settembre 1988), nonché nei successivi paragrafi 2.1.2.2, 2.1.2.5, 2.1.2.8 e 2.1.2.9 (rispettivamente: dotazioni standard di posti letto per le varie unità operative, di cui al d.m. 13 settembre 1988; riserva di almeno il 10% della dotazione per acuti all’assistenza ospedaliera diurna; standard di 5 posti letto per 1000 abitanti, di cui l’1 per mille riservati alla riabilitazione e lungodegenza post-acuzie, nel rispetto del tasso di spedalizzazione del 160 per mille; indicatori e parametri di riferimento, con specificazione delle modalità di rilevazione dei dati, con particolare riguardo a quelli ivi indicati, e a quelli risultanti dalla scheda di dimissione ospedaliera).

3.3.1.2) Orbene, con riferimento alle censure, per dir così, generali attinenti alle modalità di rilevazione dei dati, è agevole osservare che:

- generica e priva di supporto normativo è la doglianza che siano stati considerati i soli dati relativi al 2001; qualora essa alludesse all’indicazione contenuta nell’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, non può sfuggire che la disposizione indicava un obiettivo transitorio e intermedio ai direttori generali delle AA.UU.SS.LL. di riduzione dei posti letto nelle singole unità operative che nell’ultimo triennio avessero registrato in tasso di occupazione medio inferiore al 75%.; tale indicazione temporale non è stata poi riproposta negli atti normativi statali successivi, né nel Piano sanitario regionale 2002-2004, e in ogni caso, essendo dettata in funzione di obiettivo circoscritto, non può assumersi come parametro generale ai fini delle ben più complesse valutazioni relative alla ristrutturazione della rete ospedaliera;

- del tutto insostenibile è l’assunto che dovesse tenersi conto dei soli posti letto effettivamente attivati e non già di quelli comunque ricompresi nella dotazione dei posti letto, come risultante per atti formali, tenuto conto che il piano di ristrutturazione della rete ospedaliera doveva rapportarsi a dati certi come desunti da atti ufficiali (modelli HSP, schede di dimissione ospedaliera) comunicati dalle AA.UU.SS.LL. e inseriti nel sistema informativo sanitario.

D’altra parte, proprio per l’unità operativa di Chirurgia Generale (l’unica per la quale il Comune ricorrente svolge considerazioni puntuali) la considerazione dei posti letto effettivamente attivati, comportando una dotazione ben inferiore allo standard minimo (27 posti letto che in base ai giorni di degenza standardizzati si riducono a 23 posti letto a fronte dello standard minimo di 32 posti letto), implicherebbe in ogni caso la disattivazione, onde è dubbio lo stesso interesse alla censura.

3.3.1.3) Quanto poi alla coerenza della scelta di disattivare l’unità operativa di Chirurgia generale in rapporto ai parametri e indicatori da considerare ai fini della ristrutturazione della rete ospedaliera, essa è agevolmente ricavabile dal quadro riepilogativo a pag. 129 dell’allegato A.3 alla deliberazione di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002, dalla quale si ricava che nella detta unità operativa:

- i posti letto stimati con indice (o tasso) di occupazione pari al 75% sono 27, con numero di presenze giornaliere pari a 20, indice di occupazione pari al 50,49%, indice di turnazione pari a 5,1, di rotazione pari a 35,7, degenza media di 5,16 giorni, peso medio (case mix) di 0,90, ma in effetti, in base ai giorni di degenza standardizzati i posti letto con indice di occupazione pari al 75% scendono a 23, con riduzione di oltre mille unità dei giorni di degenza.

Orbene, tenuto conto dei limiti dimensionali minimi, come fissati dal d.m. 13 settembre 1988 e dal Piano sanitario regionale 2002-2004, per tale tipo di unità operativa (almeno 32 posti letto), del tasso di occupazione (50,49%) ben inferiore a quello minimo prescritto (75%), del case mix inferiore a quello medio regionale (pari a 1), la scelta di disattivare l’unità operativa appare pienamente coerente coi vincoli rivenienti dalla normativa, legislativa e regolamentare, statale e dal Piano sanitario regionale (si ribadisce, non impugnato, e comunque allineato alle previsioni della normativa statale).

Né possono assumere bilanciante o addirittura assorbente rilievo gli altri indicatori invocati dal Comune ricorrente (riduzione percentuali ricoveri inappropriati), che rispecchiano l’adeguamento a direttive generali (cfr. art. 21 della legge regionale 22 dicembre 2000, n. 28) connesse a meri obiettivi di contenimento della spesa sanitaria per il 2001 e sanzionati, in caso di inosservanza, con la decurtazione della remunerazione dei soggetti erogatori.

Del tutto generiche, e come tali inammissibili, sono poi le stesse doglianze in quanto riferite alle unità operative di Ostetricia e Ginecologia e Pediatria.

In ogni caso, sempre secondo il quadro riepilogativo a pag. 129 dell’allegato A.3, risultano:

- per Ostetricia e Ginecologia appena 11 posti letto stimati con indice di occupazione al 75%, con 8 presenze medie giornaliere, un tasso di occupazione pari appena al 33,78%, indice di turnazione del 7,6, di rotazione del 31,6, case mix pari a 0,70.

- per Pediatria appena 11 posti letto stimati con indice di occupazione al 75%, con 8 presenze medie giornaliere, un tasso di occupazione pari appena al 33,70%, indice di turnazione del 7,5, di rotazione del 32,5, case mix pari a 0,65.

Al contrario, e coerentemente, risultano mantenute le unità operative di Medicina Generale e Psichiatria, le quali presentano:

- Medicina Generale: 44 posti letto stimati con indice di occupazione al 75%, che si riducono a 36 in base ai giorni di degenza standardizzati, ma pur sempre superiori ai limiti dimensionali minimi (32 posti letto), 33 presenze giornaliere, un tasso di occupazione comunque pari al 66,35%, un indice di turnazione del 3,8 e di rotazione del 32,3, un case mix di 1,06 superiore alla media regionale di 1;

- Psichiatria: 12 posti letto stimati con indice di occupazione al 75%, (addirittura uno in più rispetto ai posti letto comunicati col modello HSP), sia pur ridotti a 11 in base ai giorni di degenza standardizzati, con 9 presenze giornaliere, un tasso di occupazione pari addirittura al 79,35%, indice di turnazione di 2,9 e di rotazione di 26,1, un case mix di 1,13 superiore alla media regionale di 1.

A fronte di tali dati, quindi, del tutto logica, razionale e coerente coi parametri di riferimento appare:

- la disattivazione delle unità operative di Chirurgia Generale, Ostetricia e Ginecologia e Pediatria (sia pure col successivo recupero, per effetto degli affinamenti introdotti con la deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002, di 4 posti letto di day hospital di Pediatria);

- la conservazione delle unità operative di Medicina Generale (con assegnazione di 42 posti letto, e cioè di appena 2 unità in meno rispetto ai posti letto stimati con i.o. al 75%, ma con 6 unità in più rispetto ai posti letto in base ai giorni di degenza standardizzata) e di Psichiatria (con incremento di 3 posti letto sulla dotazione originaria e di 4 sui posti letto stimati con i.o. al 75% anche considerati i giorni di degenza standardizzati, chiaramente connesso sia con l’elevato indice di occupazione sia col l’elevato case mix).

Coerente con le linee guida e i criteri generali d’impostazione del P.R.O., come desumibili dalla normativa statale, legislativa e regolamentare, e dal Piano sanitario regionale 2002-2004 è, poi, altresì, l’istituzione dell’unità operativa di lungodegenza con 48 posti letto (ovvia risultante della riconversione dei posti letto delle unità operative disattivate).

Alla stregua delle osservazioni che precedono, pertanto, risulta confermata l’infondatezza delle censure dedotte col terzo motivo del ricorso in epigrafe.

3.4) Con le censure di cui al quarto motivo del ricorso il epigrafe, il Comune di San Marco in Lamis lamenta profili funzionali di eccesso di potere in relazione a presunta disparità di trattamento e difetto di istruttoria, inverate:

- dall’aver consentito la conservazione di unità operative in deroga ai parametri del P.R.O. in alcuni ospedali (Spinazzola, Trani, Fasano, Conversano, Nardò, Ceglie, Monopoli, Putignano, Copertino, Cerignola, Manfredonia);

- di non aver considerato analoga possibilità per l’ospedale “Umberto I” pure in presenza della peculiare collocazione geografica e orografica del nosocomio, situato in comune montano del Gargano all’interno del Parco Nazionale ed al servizio di altri comuni garganici (Apricena, Rignano Garganico, Torremaggiore) e foggiani (San Severo, San Giovanni Rotondo per gli interventi di minore complessità).

In replica, la Regione Puglia ha dedotto:

- che le c.d. deroghe riguardano realtà locali incomparabili a quella di San Marco in Lamis, perché riferite a nosocomi ubicati in città di ben altra consistenza demografica o interessate (Spinazzola) da utenza extraregionale (proveniente in particolare dalla confinante Basilicata);

- che, in effetti, sono assai basse le percentuali di utenza del nosocomio sammarchese provenienti dalle indicate cittadine garganiche, e addirittura nemmeno rimarchevoli quelle dell’utenza dello stesso comune di San Marco in Lamis.

Anche tali censure risultano destituite di giuridico fondamento.

3.4.1) In generale, non può omettersi di rilevare la genericità delle suddette censure, non essendo nemmeno precisato per quali specifiche unità operative dei nosocomi citati e sotto quali profili sia stata introdotta deroga ai parametri di riferimento.

Il Comune ricorrente si limita a rinviare alle pag. 9-10 della relazione informativa allegata alla deliberazione di Giunta regionale n. 1086 del 26 luglio 2002 (allegato A.1), recante adozione del progetto di prima rimodulazione del piano, che si riferiscono alla possibilità di deroga alle dimensioni “massime” delle unità operative -oltre 63 posti letto per quelle con dotazione minima di 32 e 39 per le altre- e alla possibilità di “articolazioni interne” alle strutture complesse in stabilimenti caratterizzati da “…domanda da soddisfare, idoneità delle strutture, collegamenti difficoltosi…condizioni concorrenti quali: utenza extraregionale frontaliera…, città caratterizzate da numerosità elevata di popolazione e corrispondente fabbisogno, assicurazione del ciclo diagnostico-terapeutico-riabilitativo, assicurazione della disciplina medica in alcuni stabilimenti di riferimento chirurgico”.

Né è dimostrata, ciò che solo sorreggerebbe la fondatezza della censura di disparità di trattamento, una sostanziale sovrapponibilità delle caratteristiche strutturali-funzionali degli stabilimenti ospedalieri indicati, asseritamene “favoriti”, rispetto a quello di San Marco in Lamis.

In altri termini, è lecito dubitare dell’ammissibilità della censura sia sotto il profilo della sua assoluta genericità che sotto quello della carenza d’interesse (in quanto, se non risulta dimostrata la comparabilità delle situazioni, evidentemente nessun interesse può sorreggere censure afferenti ad altri stabilimenti ospedalieri).

3.4.2) Ad ogni buon conto, un sia pur sintetico esame dei quadri riepilogativi di cui agli allegati A.2 e A.3 alla deliberazione di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002 (rispettivamente concernenti le dotazioni rideterminate di presidi e stabilimenti ospedalieri e gli indici di attività degli stessi, considerati al fine della ristrutturazione della rete ospedaliera) evidenzia come, in effetti, nessuna delle segnalate situazioni sia comparabile a quella di San Marco in Lamis.

3.4.2.1) - Stabilimento ospedaliero di Spinazzola

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 62,91% della chirurgia generale al 73,75% dell’ortopedia e traumatologia), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,80 (chirurgia) a un massimo dell’1,12 (ortopedia).

Il piano prevede tre articolazioni di unica unità operativa (ovviamente mista, medico-chirurgica) con 13 posti letto di medicina interna, 10 di chirurgia generale e 14 di ortopedia e traumatologia, per un totale di 37 posti letto superiore alla dotazione minima di 32 posti letto (oltre a 15 posti letto di psichiatria e 32 di lungodegenza).

3.4.2.2) - Stabilimento ospedaliero di Trani

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 232,53% della ostetricia e ginecologia al 74,69% della cardiologia, con un 78,78% della chirurgia generale), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,33 (pediatria) a un massimo del 5,01 (urologia).

Il piano prevede tre articolazioni di unica unità operativa (ovviamente mista, medico-chirurgica) con 10 posti letto di medicina interna, 10 di chirurgia generale e 20 di ginecologia e ostetricia, per un totale di 40 posti letto, superiore alla dotazione minima di 32 posti letto (oltre a 20 posti letto ciascuno per gastroenterologia, geriatria ed ematologia e 32 di lungodegenza).

3.4.2.3) - Stabilimento ospedaliero di Fasano

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 102,00% della pediatria al 55,54% della chirurgia generale), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,54 (pediatria) a un massimo dello 0,99 (medicina generale).

Il piano prevede quattro unità operative (medicina generale: 32 posti letto; malattie dell’apparato respiratorio: 25 posti letto; riabilitazione respiratoria: 20 posti letto; lungodegenza: 32 posti letto), 4 posti letto di day surgery per la chirurgia generale (elevati a 10 con gli affinamenti di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002) e 4 posti letto di day hospital per la pediatria (poi accorpati con la stessa deliberazione citata a quelli dello stabilimento di Ostuni e sdoppiati in due unità operative da 20 posti letto), nonché 5 posti letto di day surgery di ortopedia e traumatologia (istituiti sempre con la predetta deliberazione).

3.4.2.4) - Stabilimento ospedaliero di Ceglie Messapica

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 107,53% della psichiatria al 85,82% della chirurgia generale, col minimo del 33.53% della ostetricia e ginecologia e percentuali pari allo 0% per il nido), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,73 (ostetricia e ginecologia) a un massimo dello 1,27 (lungodegenza).

Il piano prevede tre unità operative (ortopedia e traumatologia: 20 posti letto, cui sono aggregati 4 posti letto di day surgery di chirurgia generale; psichiatria: 15 posti letto; lungodegenza: 39 posti letto).

Con gli affinamenti di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002, lo stabilimento è stato accorpato funzionalmente al presidio di Francavilla Fontana e scorporato dal presidio di Ostuni-Fasano.

3.4.2.5) - Stabilimento ospedaliero di Conversano

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 105,71% della pediatria al 80,65% della chirurgia generale, col minimo del 56,18% della ortopedia e traumatologia), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,48 (pediatria) a un massimo dello 1,14 (psichiatria).

Il piano prevede tre articolazioni di unica unità operativa (ovviamente mista, medico-chirurgica) con 22 posti letto di medicina interna, 10 di chirurgia generale e 13 di ortopedia e traumatologia, per un totale di 43 posti letto, superiore alla dotazione minima di 32 posti letto (oltre a 15 posti letto di psichiatria, 20 posti letto di geriatria e 32 di lungodegenza).

Con gli affinamenti di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002, sono stati aggregati alla medicina interna 4 posti di day hospital di pediatria ed alla chirurgia 4 posti di day surgery di oftalmologia e 3 posti di day surgery di otorinolaringoiatria.

3.4.2.6) - Stabilimento ospedaliero di Monopoli

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 86,41% della ortopedia e traumatologia al 74,07% della chirurgia generale, col minimo del 56,66% della ostetricia e ginecologia), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,67 (pediatria) a un massimo dello 1,17 (medicina generale).

Il piano prevede una articolazione di unica unità operativa (ovviamente mista, medico-chirurgica) con 10 posti letto di medicina interna e 24 di chirurgia generale, per un totale di 34 posti letto, superiore alla dotazione minima di 32 posti letto, oltre 32 posti letto ciascuno per la ortopedia e traumatologia e la ostetricia e ginecologia, 20 posti letto ciascuno per la pediatria, la neurologia, la otorinolaringoiatria e l’urologia, la medicina fisica e riabilitazione e la riabilitazione respiratoria, 12 posti letto per la cardiologia, 8 posti letto ciascuno per la rianimazione e l’unità di terapia intensiva coronaria e 32 posti letto per la lungodegenza.

3.4.2.7) – Stabilimento ospedaliero di Putignano

Le unità operative in precedenza attivate erano ripartite in due presidi ospedalieri (Ospedale “S. Maria degli Angeli’ e Ospedale”San Michele in Monte Laureto’), che per quelle omologhe a quelle già operanti nel nosocomio sammarchese denotano tassi di occupazione ben più elevati (variabili dal 89,73% della ortopedia e traumatologia al 70,28% della pediatria, col minimo del 17,19% della pediatria), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,59 (pediatria) a un massimo dello 1,31 (nefrologia); nel primo dei due ospedali citati operavano poche unità operative (geriatria, neurologia, pneumologia) con indici di occupazione variabili dal 65,62% (neurologia) al 55,17% (pneumologia), con case misx pure variabili dal minimo di 1,23 (neurologia) al massimo di 1,39 (geriatria).

Il piano –riguardante giova ribadirlo l’accorpamento di due ospedali in unico stabilimento ospedaliero- prevede una articolazione di unica unità operativa (ovviamente mista, medico-chirurgica) con 8 posti letto di medicina interna e 32 di chirurgia generale, per un totale di 40 posti letto, superiore alla dotazione minima di 32 posti letto, oltre 37 posti letto per la ortopedia e traumatologia, 41 per la ostetricia e ginecologia, 16 per la pediatria, 12 per la cardiologia, 20 per le malattie dell’apparato respiratorio, 25 per la neurologia, 8 per l’anestesia e rianimazione e 32 per la lungodegenza.

3.4.2.8) - Stabilimento ospedaliero di Nardò

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 111,35% della ortopedia e traumatologia al 59,93% della chirurgia generale, col minimo del 56,38% della ostetricia e ginecologia), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,49 (pediatria) a un massimo dello 1,14 (medicina generale).

Il piano prevede una articolazione di unica unità operativa (ovviamente mista, medico-chirurgica) con 32 posti letto di medicina interna, 13 di chirurgia generale e 23 di ortopedia e traumatologia, per un totale di 68 posti letto, superiore alla dotazione minima di 32 posti letto, oltre 20 posti di geriatria e 70 per la lungodegenza.

3.4.2.9) – Stabilimento ospedaliero di Copertino

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 106,21% della urologia al 77,30% della chirurgia generale, col minimo del 52,53% della otorinolaringoiatria), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,46 (pediatria) a un massimo dello 1,38 (chirurgia generale).

Il piano prevede una articolazione di unica unità operativa (ovviamente mista, medico-chirurgica) con 10 posti letto di medicina interna e 32 di chirurgia generale, per un totale di 42 posti letto, superiore alla dotazione minima di 32 posti letto, oltre 32 posti di ortopedia e traumatologia, 42 posti di ostetricia e ginecologia, 30 posti di pediatria, 20 posti ciascuno per geriatria e urologia, 13 posti di cardiologia, 11 posti di terapia intensiva coronarica, 32 posti per la lungodegenza.

3.4.2.10) – Stabilimento ospedaliero di Cerignola

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 194,59% della unità coronarica al 80,10% della chirurgia generale, col minimo del 44,97% della pediatria), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,57 (pediatria) a un massimo dello 1,11 (unità coronarica).

Il piano prevede distinte unità operative, tutte dimensionate in base ai limiti minimi prescritti: 32 posti ciascuno per medicina interna, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, ginecologia e ostetricia; 20 posti ciascuno per pediatria, nefrologia, neurologia, oftalmologia, otorinolaringoiatria, urologia e riabilitazione cardiologia; 12 posti per la cardiologia; 8 posti ciascuno per l’unità di terapia intensiva coronarica e l’unità di terapia intensiva neonatale; 32 posti per la lungodegenza.

3.4.2.11) - Stabilimento ospedaliero di Manfredonia

Le unità operative in precedenza attivate denotano tassi di occupazione ben più elevati di quelli dell’ospedale sammarchese (variabili dal 80,95% della èsichiatria al 75,52% della chirurgia generale, col minimo del 57,71% della ortopedia e traumatologia), con case mix pure variabili da un minimo dello 0,56 (pediatria) a un massimo dello 1,13 (psichiatria).

Il piano prevede distinte unità operative, tutte dimensionate in base ai limiti minimi prescritti: 32 posti ciascuno per medicina interna, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, ginecologia e ostetricia; 20 posti ciascuno per pediatria e gastroenterologia; 12 posti per la cardiologia; 15 posti per la psichiatria; 8 posti di terapia intensiva coronaria; 54 posti di lungodegenza.

3.4.3) Dalla disamina delle singole situazioni organizzative evocate dal Comune di San Marco in Lamis, e sempre in disparte l’assoluta genericità delle censure, si evince dunque che non sussiste affatto la lamentata disparità di trattamento posto che, come evidenziato, le realtà ospedaliere innanzi illustrate presentano indici di occupazione e di case mix diversificati e superiori a quelli delle omologhe unità operative del nosocomio sammarchese.

Né può sottacersi che le “deroghe”, ove attuate (con la conservazione di unità operative, e più spesso di articolazioni di unità operative, con indici inferiori a quelli minimi, ma comunque superiori a quelli dell’Ospedale ‘Umberto I’ di San Marco in Lamis), rispecchiano i criteri enunciati della relazione informativa di cui all’allegato A.1 alla deliberazione di Giunta regionale di approvazione del P.R.O. perché:

- quanto allo stabilimento ospedaliero di Spinazzola, esso è ubicato in area ai confini con la Basilicata e quindi interessato da flussi di utenza extraregionale;

- quanto agli altri stabilimenti (Trani, Fasano, Ceglie Messapica, Conversano, Monopoli, Putignano, Nardò, Copertino, Cerignola, Manfredonia) essi sono ubicati in cittadine medio-grandi, di consistenza demografica ben superiore, com’è notorio, a quella di San Marco in Lamis.

Circa l’omessa considerazione delle caratteristiche geografiche e orografiche del sito di localizzazione dello stabilimento di San Marco in Lamis, nessun elemento di riscontro è stato fornito dal Comune ricorrente in ordine alla sua effettiva inerenza a bisogni assistenziali essenziali del più vasto contesto dei Comuni garganici e foggiani viciniori e alle solo denunciate difficoltà di collegamento con gli altri stabilimenti ospedalieri del presidio.

Le osservazioni che precedono confermano l’infondatezza delle censure dedotte col quarto motivo del ricorso in epigrafe.

3.5) Le censure svolte nel quinto motivo del ricorso in epigrafe si appuntano sulla istituzione di stabilimenti ospedalieri solo medici ed altri medico-chirurgici, con scelta organizzatoria definita “inattendibile” e tale da preludere, in difetto dell’integrazione tra prestazioni mediche e prestazioni chirurgiche, alla chiusura del nosocomio sammarchese, ovvero alla sua riduzione a semplice “poliambulatorio” con evidenti diseconomie per i conservati costi gestionali per i servizi generali.

La Regione Puglia, in replica, rileva che il P.R.O. introduce una articolazione di strutture diversificate per funzioni e caratteristiche, destinate a integrarsi in funzione della ottimizzazione dell’utilizzazione delle risorse e della riduzione degli sprechi, con connessi positivi riflessi anche sulla spesa pubblica sanitaria ospedaliera.

3.5.1) In linea preliminare, non è inutile rimarcare quanto già osservato retro sub 1.2.3, in ordine all’inammissibilità della censura perché intesa, anzitutto, a contestare il modello organizzativo e le tipologie di strutture come individuate nel Piano sanitario regionale 2002-2004, approvato con deliberazione di Giunta regionale n. 2087 del 27 dicembre 2001, non impugnata dal Comune ricorrente.

3.5.2) Nel merito, comunque, le doglianze sono destituite di fondamento giuridico.

Giova rammentare che la nozione di “stabilimento ospedaliero” compare sin dall’art. 17 comma 1 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, a denotare quelle “…strutture delle unità sanitarie locali, dotate dei requisiti minimi di cui all’articolo 19, primo comma, della L. 12 febbraio 1968, n. 132”.

Nella successiva evoluzione, con l’art. 4 comma 9 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall’art. 5 del d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, viene chiarito che:

“Gli ospedali che non siano costituiti in azienda ospedaliera conservano la natura di presidi dell’unità sanitaria locale. Nelle unità sanitarie locali nelle quali sono presenti più ospedali, questi possono essere accorpati ai fini funzionali”.

La normativa statale in tema di ristrutturazione della rete ospedaliera (esaminata amplius nei paragrafi 2.1.2.1. e ss.) ha costantemente posto l’accento sulla possibilità di procedere a “soppressioni”, “accorpamenti”, “trasformazioni”, “disattivazioni”, “trasformazioni di destinazione”, “riconversioni”.

Non può dunque dubitarsi che il Piano sanitario regionale 2002-2004 fosse pienamente abilitato, nel dettare i criteri per la ristrutturazione della rete ospedaliera, ad individuare un modello organizzativo che, in presenza di una pluralità di ospedali, ed a fini di razionalizzazione dell’organizzazione sanitaria territoriale e di conseguimento di economie gestionali, in funzione dei parametri e indicatori di cui alla normativa statale, legislativa e regolamentare, e dello stesso programma sanitario in esame, prevedesse accorpamenti in unico presidio ospedaliero di ospedali già costituenti distinti presidi, ricondotti alla figura organizzatoria (come si è visto contemplata sin dalla legge n. 833 del 1978) dello stabilimento ospedaliero.

Nel quadro di ragionevole esercizio di discrezionalità della predetta scelta, non appare poi affatto irrazionale la distinzione tra stabilimenti ospedalieri con unità operative solo mediche e stabilimenti con unità anche chirurgiche, posto che essa deve comunque inquadrarsi in un contesto di integrazione tra gli stabilimenti ospedalieri di un medesimo presidio nel quale è comunque assicurata la presenza di unità operative di chirurgia generale.

Né risulta sorretto da qualsivoglia concreto elemento il timore, palesato dal Comune ricorrente, circa la “riduzione” del nosocomio sammarchese a mero “poliambulatorio” (struttura sanitaria invero ben diversa da unità operative con posti letto ancorché nella sola disciplina di medicina interna, psichiatria e lungodegenza), vieppiù smentita dagli “affinamenti” di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002, con i quali allo stabilimento ospedaliero sammarchese sono stati assegnati altri 4 posti letto di day hospital di pediatria ed è stata prevista l’attivabilità nell’unità operativa di medicina interna di sezioni specialistiche di cardiologia, oncologia e gastroenterologia.

Ancor meno fondati su elementi obiettivi e razionali risultano i timori che la ristrutturazione del nosocomio preluda addirittura ad una sua chiusura.

Alla stregua delle osservazioni che precedono è, dunque, confermata l’infondatezza delle censure svolte col quinto motivo del ricorso in epigrafe.

3.6) Le censure svolte nel sesto motivo del ricorso in epigrafe si compendiano nel vizio procedimentale relativo alla pretesa pretermissione del riordino dell’ambito sanitario territoriale e del distretto socio-sanitario alla ristrutturazione della rete ospedaliera.

I difensori della Regione Puglia evidenziano l’infondatezza della doglianza rammentando che è stata già prevista l’attivazione delle attività distrettuali (poliambulatori, r.s.a., distretti socio-sanitari).

Anche tale censura è destituita di fondamento giuridico.

3.6.1) In linea preliminare, non è inutile rimarcare quanto già osservato retro sub 1.2.3, in ordine all’inammissibilità della censura perché intesa, anzitutto, a contestare il procedimento di formazione e approvazione del Piano di ristrutturazione della rete ospedaliera (e le sue lacune), come individuato nel Piano sanitario regionale 2002-2004, approvato con deliberazione di Giunta regionale n. 2087 del 27 dicembre 2001, non impugnata dal Comune ricorrente

3.6.2) Quanto al merito della censura, poi, non può omettersi di rilevare che:

- la normativa statale, legislativa e regolamentare, (esaminata amplius nei paragrafi 2.1.2.1. e ss.), ha espressamente previsto e consentito la ristrutturazione della rete ospedaliera con atto programmatorio a stralcio del piano sanitario regionale, e quindi a prescindere dalla puntuale attuazione delle parti del p.s.r. relative all’articolazione territoriale in distretti socio-sanitari e all’avvio delle strutture sanitarie territoriali extraospedaliere;

- in ogni caso, con la deliberazione di Giunta regionale n. 1161 dell’8 agosto 2002 è stata approvata l’articolazione della rete distrettuale delle AA.UU.SS.LL, con deroga, rispetto alle dimensioni demografiche (fissate tra i 60.000 e i 100.000 abitanti) proprio in favore dell’area garganica, nella quale proprio il Comune di San Marco in Lamis è stato individuato come sede del distretto n. 2 dell’A.U.S.L. Foggia/1 (del quale fanno parte anche i Comuni di San Giovanni Rotondo e Rignano Garganico).

3.7) Non hanno, da ultimo, maggior pregio le censure svolte nel settino motivo (aggiunto al ricorso), riferite alla deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002, imperniate sul rilievo dell’omessa considerazione della mozione approvata dal consiglio comunale di San Marco in Lamis con deliberazione n. 49 del 21 agosto 2002, in esito a consiglio comunale monotematico svoltosi con l’intervento del Presidente della Giunta regionale, e sulla carente motivazione in ordine alle ragioni per le quali la mozione è stata disattesa.

La suddetta mozione, imperniata su rilievi analoghi a quelli svolti in ricorso circa l’omessa considerazione delle peculiarità del nosocomio sammarchese e i presunti effetti negativi sul piano funzionale, gestionale ed economico della disattivazione delle unità operative di chirurgia generale, ostetricia e ginecologia e pediatria, sollecitava “…il mantenimento dell’attuale struttura ospedaliera (reparti esistenti) nella sua essenza anche con la riduzione dei posti letto che concorrerebbe alla riduzione della spesa” (oltre alla revisione dei distretti nelle aree montane e alla richiesta di ulteriore incontro).

Orbene, tale istanza è stata esaminata (cumulativamente a quelle di altre amministrazioni comunali dello stesso tenore quanto a nosocomi ubicati nei rispettivi territori), e respinta, nel preambolo dell’atto deliberativo impugnato, col rilievo che:

“Si tratta evidentemente di posizioni di difesa acritica che trovano il loro fondamento nella storia e nel legame sentimentale al proprio nosocomio. La comprensibile, ma non condivisibile, presa di posizione, ospita al suo interno due evidenti contrasti con la realtà. Il primo, riguardante la generale considerazione, sempre espressa in quei contesti, di non efficienza del sistema ospedaliero pugliese…il secondo, che rispetto ad un nosocomio ritenuto localmente, spesso, tra i migliori ed efficienti della regione, gli stessi cittadini che risiedono in quello stesso comune in caso di bisogno, disdegnano l’ospedale locale, per recarsi in presidi ritenuti più idonei (mediamente dal 35 al 60%)”.

Non può dunque sostenersi che la mozione non sia stata esaminata e motivatamente respinta.

Né la censura di cui al settimo motivo (aggiunto al ricorso) si è data carico di confutare puntualmente i rilievi dianzi richiamati.

Alla stregua delle osservazioni che precedono devono disattendersi, quindi, anche le succitate doglianze.

4.) In conclusione, il ricorso in epigrafe deve essere rigettato, siccome infondato.

5.) La novità e complessità delle questioni affrontate giustifica l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese ed onorari del giudizio, mentre non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese dell’altra parte pubblica intimata e non costituita in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sede di Bari – Sezione I, così provvede sul ricorso in epigrafe n. 1507 del 2002:

1) rigetta il ricorso;

2) dichiara compensate per intero tra le parti costituite le spese ed onorari di giudizio;

3) dichiara non luogo a provvedere in ordine alle spese ed onorari dell’altra parte pubblica intimata non costituita in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 20 novembre 2002, con l’intervento dei magistrati:

Gennaro           FERRARI                   Presidente                   

Leonardo         SPAGNOLETTI         Componente Est.

Fabio               MATTEI                     Componente

Depositata in segreteria in data 16 dicembre 2002.

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