TAR PUGLIA, SEZ II - Sentenza 29 marzo 2001 n. 841 - Pres. Perrelli, Est. Abbruzzese - E. Petraroli (Avv.to P. Lorusso) c. Comune di Ostuni (n.c.), Regione Puglia (n.c.) e Sezione provinciale di controllo sugli atti degli enti locali di Brindisi (n.c.)
Esecuzione del giudicato - Ex art. 10 c. 1 L. 205/00 - Sentenza di primo grado non sospesa dal Giudice di appello - Previa notifica di atto di diffida all'Amministrazione - Necessità.
L’equiparazione ai fini procedurali (sancita dall'art. 10, comma primo della L. 205/00, che ha modificato l'art. 33 L. n. 1034/1981, 1° e 10° comma) tra l’esecuzione delle sentenze di primo grado non sospese dal Giudice di appello e l’ottemperanza al giudicato, fa conseguire, per ragioni di coerenza formale oltre che sostanziale, l’onere per i richiedenti l’esecuzione di osservare la procedura specificamente prevista per l’ottemperanza, ivi compresa la previa notificazione all'Amministrazione di un atto di diffida ad adempiere con l'assegnazione di un termine non inferiore a trenta giorni, ai sensi dell'art. 90 Reg. Proc. Cons. di Stato del 1907.
FATTO E DIRITTO
Con atto notificato e depositato rispettivamente il 5/8 ed il 17 febbraio 2001 Petraroli Emilio chiede darsi esecuzione alla sentenza n.4892 del TAR Puglia di Bari, sez.II, depositata in data 20.12.2000, con la quale era stata annullata la deliberazione di Giunta Municipale del Comune di Ostuni n.1530 del 13.11.1985, recante revoca parziale della Deliberazione di G.M. n.541/1985:
Premette il ricorrente di avere, con ricorso n.1252 del 1986, impugnato la delibera di G.M .n.1530 del 13.11.1985 recante revoca parziale della deliberazione di G.M. n.541/1985 con la quale gli era stata attribuita l’indennità di dirigenza di cui all’art.26 del D.P.R. n.347/1983;
che con sentenza n..4892/2000 il TAR aveva accolto il ricorso e annullato il provvedimento impugnato con assunto conseguente riconoscimento del diritto del ricorrente a conseguire l’indennità di dirigenza di cui all’art.26 del D.P.R. n.347/1983 a far tempo dal 18.5.1985, cioè dalla data di adozione della delibera di G.M. n.541/1985 con cui gli era stata riconosciuta, oltre interessi, svalutazione nonché risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti e subendi anche per l’irrimediabile pregiudizio alla possibilità di progressione in carriera;
che la predetta sentenza veniva comunicata in forma amministrativa e successivamente notificata dal procuratore del ricorrente unitamente al ricorso per l’esecuzione;
che il Comune di Ostuni rimaneva inerte; tanto premesso deduceva in diritto:
Violazione di legge: art.33 L.n.1034/1981, 1° e 10° comma, così come modificato dall’art.10, comma 1, della L.205/2000: per il combinato disposto delle norme indicate le sentenze dei TT.AA.RR. sono esecutive per cui il TAR competente esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato di cui all’art.27, primo comma, numero 4 del T.U. Consiglio di Stato approvato con R.D.n.1054/1924 e successive modifiche.
Chiedeva dunque l’emanazione di ogni opportuno provvedimento che desse concreta esecuzione alla sentenza, ivi compresa la nomina del Commissario ad acta, con ogni conseguenza di legge.
Le Amministrazioni intimate non si costituivano in giudizio.
All’esito della camera di consiglio dell’1 marzo 2001, il Collegio riservava la decisione.
Osserva preliminarmente il Collegio che la richiesta in esame deve inquadrarsi nella previsione normativa di cui all’art.10, primo comma, della legge 205/2000, che ha aggiunto all’art.33 della legge sui TAR (n.1034/1971) il seguente significativo comma: "Per l’esecuzione delle sentenza non sospese dal Consiglio di Stato il tribunale amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza di cui all’art.27, primo comma, n.4), del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con R.D.26 giugno 1924, n.1154, e successive modificazioni".
Il riportato art.10 recepisce dunque l’indirizzo giurisprudenziale sull’applicabilità del giudizio di ottemperanza rispetto a sentenze esecutive, non passate in giudicato, contrariamente sostenuto, nella previgente disciplina, da Ad.Plenaria, 19.5.1997, n.9, e Cons. di Stato, sez.IV, 20.4.1999, n.673, con l’avallo della Corte Costituzionale (Sentenza del 12.12.1998. n.406), che aveva ritenuto non contrario ai principi costituzionali il sostanziale rinvio di ogni questione di esecuzione al passaggio in giudicato delle sentenze; una limitata esecutività delle stesse era invece limitata ai soli profili interinali inerenti la cautela e compatibili con la provvisorietà della pronuncia.
L’art.10 dunque parifica invece ai fini procedurali l’esecuzione delle sentenze di primo grado non sospese dal Giudice di appello all’ottemperanza al giudicato disciplinata dall’art.27, n.4 T.U.C.d.S.
Deve dunque premettersi che l’ambito oggettivo di applicazione del procedimento de quo investe le sentenze dei TAR "non sospese dal Consiglio di Stato" e cioè le sentenze che, pur appellate, non siano state oggetto di sospensiva da parte del Giudice di appello o per le quali, proposta la relativa istanza, la stessa sia stata respinta.
La prevista esecutività delle sentenze di I grado comporta dunque il dovere per la P.A di adeguarsi, in via temporanea e precaria in relazione all’esito del giudizio di appello ed al passaggio in giudicato della sentenza anche se con il rischio della caducazione degli atti medio tempore adottati (cfr.TAR Lazio, sez.II-bis, 8 febbraio 2001, n.1015).
Il Giudice di primo grado dispone attualmente degli stessi poteri già riconosciutigli in sede di giudizio di ottemperanza per assicurare l’effettiva esecuzione delle proprie sentenze non sospese dal Giudice d’appello con l’implicito corollario che l’Amministrazione soccombente in prime cure ha l’obbligo di dare adempimento alle sentenze stesse conformandosi alle statuizioni in esse contenute onde assicurare ai ricorrenti vittoriosi quello stesso vantaggio di cui avrebbero disposto per effetto del passaggio in giudicato delle sentenze medesime.
Analogamente al giudizio di ottemperanza, il giudizio di esecuzione è inteso dunque ad accertare se la P.A. soccombente abbia o meno esattamente eseguito la sentenza o se abbia emanato atti elusivi di quest'ultima come tali non satisfattivi dell'interesse in concreto azionato (cfr.Tar Lazio, cit.).
E’ dunque chiara la funzione del giudizio de quo.
Quanto al procedimento da seguire, sul quale la norma è silente, ritiene il Collegio che il contenuto della domanda e l’oggetto del giudizio impongano il rispetto della formalità della previa notifica all’Amministrazione di un atto di diffida ad adempiere con l’assegnazione di un termine non inferiore a trenta giorni ai sensi dell’art.90 Reg.Proc. Cons. di Stato del 1907, posto che tale diffida adempie alla funzione di evidenziare all’Amministrazione la volontà del ricorrente vittorioso di agire per ottenere l’esecuzione della sentenza, così consentendole di disporre di un adeguato spatium deliberandi per valutare tutti gli aspetti della situazione.
Deve osservarsi in particolare che tale adempimento, previsto a pena di inammissibilità nel giudizio di ottemperanza, sembra tanto più necessario in quanto venga richiesta, come appunto nel caso che ne occupa, l’esecuzione di una sentenza ancora non coperta da giudicato.
In proposito, reputa il Collegio che l’equiparazione normativamente prevista ai fini procedurali tra l’esecuzione delle sentenze di primo grado non sospese dal Giudice di appello e l’ottemperanza al giudicato comporti il superamento della nozione formale di esecutività con i limiti finora indicati dalla giurisprudenza in punto di conseguenti obblighi per l’Amministrazione (ritenuti finora di tipo meramente conservativo, e dunque sostanzialmente incidenti in via interinale sul profilo cautelare della tutela), nella direzione dell’assimilazione tra esecutività ed effettività, già normativamente sancita per il processo civile (che pure presenta profili di indiscutibile differenza funzionale rispetto al giudizio amministrativo); la predetta equiparazione fa conseguire, per ragioni di coerenza formale oltre che sostanziale, l’onere per i richiedenti l’esecuzione di osservare la procedura specificamente prevista per l’ottemperanza.
Ed infatti, l’obbligo per l’Amministrazione di conformarsi al decisum del Giudice va coattivamente imposto solo ove sia sperimentata negativamente la esecuzione spontanea conseguente all’intimazione ad adempiere in un termine di norma non inferiore a 30 giorni, che, analogamente alla funzione assolta dal precetto nel processo civile di esecuzione, ha la funzione di avvertire l'altra parte dell’intenzione di valersi del giudicato o del provvedimento comunque esecutivo e di farlo eseguire.
Sotto diverso profilo, ritiene il Collegio che non possa in alcun modo assimilarsi al caso di specie il procedimento applicato per l’esecuzione delle pronunce cautelari, per la quale non è di norma richiesta alcuna diffida; la diversa funzione del procedimento, che appunto incide su profili che prescindono evidentemente dalla volontà di conformarsi della parte soccombente nella fase cautelare, e l’ovvio rilievo che ogni ritardo (ivi compresa la concessione del termine per l’adeguamento spontaneo) è, per definizione, pregiudizievole ove si tratti di cautela, giustificano compiutamente le ritenute diversità procedurali; peraltro, non a caso la legge 205/2000 distingue le due ipotesi anche sul piano lessicale, parlando opportunamente di "attuazione" (e non di "esecuzione") della tutela cautelare.
Passando all’esame del caso di specie, osserva il Tribunale che la sentenza risulta notificata al Comune di Ostuni, nei confronti del quale è chiesta l’esecuzione de qua, in data 7 febbraio 2001, pressoché contestualmente alla notifica del ricorso per esecuzione, senza previa notifica di alcun atto di diffida e, per quanto riguarda i profili sostanziali, senza che al Comune sia stato concesso un congruo spatium deliberandi per assumere le proprie determinazioni in ordine alla prospettata esecuzione coattiva.
La mancanza dell’incombente richiesto, per le ragioni sopra esposte, rende inammissibile il ricorso in esame.
Nulla sulle spese stante la mancata costituzione dell’Ente intimato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione II, pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo dichiara inammissibile.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio dell’1 marzo 2001, con l’intervento dei Magistrati:
Michele PERRELLI - Presidente
Pietro MOREA - Componente
Maria ABBRUZZESE - Componente est.
Depositata il 29 marzo 2001