TAR PUGLIA, SEDE DI BARI, SEZ II - Sentenza 28 marzo 2001 n. 808 - Pres. Perrelli, Est. Ungari - Ditta Sisto Isabella (Avv.to R. de' Robertis) c. Comune di Bari (Avv.to R. Verna) e Ditta Vito Capuccio (n.c.).
Autorizzazione e concessione - Autorizzazione commerciale - Articoli funerali - Motivazione - Ragioni di pubblico interesse - Evitare il c.d. sciacallaggio - Non occorre.
Autorizzazione e concessione - Autorizzazione commerciale - Vendita al minuto di prodotti funebri - Anelasticità della domanda - Non sussiste.
Il rilascio di nuova autorizzazione commerciale nel settore degli articoli funerali, non richiede alcuna motivazione in ordine alla sussistenza di ragioni di pubblico interesse favorevoli od ostative al rilascio, dovendo il Comune limitarsi a verificare la rispondenza alla pianificazione di settore, in attuazione degli artt. 24 e 43 L. 426/1971. (1) L'esigenza di evitare il c.d. sciacallaggio a danno delle famiglie dei defunti, per la presenza di un'esuberante offerta, non può giustificare una ulteriore limitazione della libertà di commercio, quale aspetto della libertà di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41 Cost.
Per l'attività di vendita al minuto di prodotti funebri ricompressi nella tabella XIV (diversa da quella di gestione del servizio di pompe funebri con relativa vendita di arredi funebri) non può parlarsi di domanda a carattere rigido (anelastica) considerato che essa, essendo connessa alla "pietas" nei confronti di persone defunte, non solo di recente ma anche di quelle la cui morte risalga a molto tempo prima, tende per sua natura ad incrementarsi con l'accumularsi degli eventi esiziali. (2)
----------------------
(1) Cfr. Cons. Stato, V, 6/6/1996 n. 659; 18/10/1996 n. 1244).
(2) In tal senso, TAR Piemonte, I, 17/3/1994 n. 115; TAR Lombardia, MI, III, 28/7/1998 n. 1942; Cons. Stato, V, 26/5/1997 n. 551; 7/10/1996 n. 1191; 23/3/1985 n. 173; 15/1/1987 n. 1; 27/11/1987 n. 742.
FATTO E D I R I T T O
1. La Ditta ricorrente, operante nel settore delle onoranze funebri, ha impugnato l’autorizzazione n. 2495 rilasciata in data 14/11/1995 alla Ditta Vito Cappuccio dal Comune di Bari per la vendita di articoli funebri (tab. merceologica XIV), chiedendone l’annullamento. Deduce a tal fine tre motivi di censura: 1) violazione ed errata applicazione della legge 426/1971, eccesso di potere per difetto di istruttoria, nonché sviamento di potere, in quanto, in mancanza di un piano di sviluppo ed adeguamento della rete commerciale, è stato omessa ogni valutazione attinente alla compatibilità della nuova autorizzazione con l’equilibrio del mercato –tenuto conto delle caratteristiche di anelasticità della domanda nel settore-, né è stato acquisito il parere della Commissione comunale per il commercio di cui all’art. 38, comma 2, del D.M. 375/1988; 2) violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, in quanto difetta una congrua motivazione che, in relazione alle condizioni ambientali, illustri le ragioni che giustificano l’ingresso nel settore di nuovi operatori; 3) eccesso di potere per omessa o erronea valutazione dei presupposti e dell’interesse pubblico, nonché sviamento di potere, in quanto è stata omessa la valutazione degli elementi (entità della popolazione, media annua dei decessi, numero degli operatori) che, in base alla giurisprudenza, consentono di stabilire se il rilascio di una nuova autorizzazione possa turbare o meno l’interesse pubblico per eccessiva concorrenza; inoltre, eccesso di potere per contraddittorietà con precedente provvedimento, in quanto, in occasione del rilascio di una precedente autorizzazione nel 1994, il Comune aveva assunto l’impegno a "programmare l’attività per consentire una modesta concorrenza, pure nella anelasticità della domanda", mentre ha poi rilasciato tra il 1995 ed il 1996 ben quattro autorizzazioni (tra cui quella impugnata).
Il Comune di Bari si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.
2. Il ricorso è infondato e dev’essere respinto.
2.1. Con riferimento alle censure incentrate nella denuncia, sotto i diversi profili indicati, delle insufficienti istruttoria e motivazione sottese al provvedimento, in relazione alle peculiarità del settore interessato, va anzitutto sottolineato che l’autorizzazione commerciale impugnata (rilasciata in vigenza della legge 426/1971, del D.M. 375/1988 e del dPR 384/1994) concerne la mera vendita di articoli funebri (tabella merceologica XIV).
2.1.2. Il Collegio è consapevole dell'orientamento giurisprudenziale (formatosi in relazione all’applicazione della legge 426/1971) invocato dalla ricorrente, secondo il quale, in considerazione dei caratteri di anelasticità della domanda e delle implicazioni di natura extraeconomica che caratterizzano il settore delle attività funerarie, l’Amministrazione sarebbe tenuta a valutare le condizioni ambientali (tra cui, preminenti: media dei decessi annui, numero delle imprese già operanti, esistenza di presidi ospedalieri nel territorio comunale, servizi offerti da imprese operanti in comuni viciniori), al fine di evitare che un'esuberanza di offerta determini il c.d. sciacallaggio a danno delle famiglie dei defunti, ed a motivare conseguentemente in ordine alle ragioni che consentono oppure impediscono il rilascio di una nuova autorizzazione (cfr. Cons. St., V, 4/12/1989 n. 791; 21/2/1987 n. 116; TAR Lazio, II, 8/10/1987 n. 1614; TAR Lazio, Latina, 27/9/1990 n 791; TAR Veneto, II, 11/7/1992 n. 600).
Tuttavia, è dell'avviso che detto orientamento non possa essere condiviso, nemmeno sulla base del quadro normativo previgente al d.lgs. 114/1998 e rilevante ai fini della decisione del presente ricorso.
Occorre anzitutto considerare che la libertà di commercio è un aspetto della libertà di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41 Cost., e che può subire limitazioni solo quando la sua esplicazione arrechi pregiudizio all'utilità sociale, e cioè unicamente per preminenti motivi di pubblico interesse individuabili non nella tutela di posizioni corporative dei commercianti, ma nelle specifiche esigenze dei consumatori e nella stabilità di equilibrio dell'apparato distributivo (cfr. Cons. St., V, 1/10/1986 n. 479; 16/11/1976 n. 1364; 11/4/1975 n. 504).
Gli artt. 24 e 43 della legge 426/1971 ponevano, quale unico limite generale al rilascio di nuove autorizzazioni attinente ad esigenze di carattere commerciale, il rispetto delle previsioni del piano di sviluppo ed adeguamento della rete di vendita (ovvero, nella fase transitoria, dei relativi criteri ispiratori), di cui ai precedenti artt. 11 e 12.
Ne consegue che il rilascio di una nuova autorizzazione commerciale, una volta verificata la conformità al piano -e fatti salvi ulteriori eventuali fattori preclusivi di carattere igienico-sanitario o urbanistico-edilizio- non doveva essere supportata da alcuna motivazione in ordine alla sussistenza di ragioni di pubblico interesse.
Si è talvolta affermato, però, che detto principio soffrisse eccezione in presenza di settori caratterizzati da una domanda rigida. In particolare, come esposto, nel settore degli articoli funerari, sussisterebbe l'esigenza di evitare il c.d. sciacallaggio a danno delle famiglie dei defunti.
Ad avviso del Collegio, la preoccupazione -indubbiamente apprezzabile- di difendere la sfera intima ed il naturale riserbo dei congiunti dei defunti nel delicato momento della dipartita dei loro cari, di fronte alle possibili aggressioni commerciali indotte dalla competizione commerciale, non può giustificare una limitazione della libera concorrenza, che può e deve svolgersi senza limiti ulteriori rispetto a quelli eventualmente derivanti dalla pianificazione di settore.
Ciò, in primo luogo, perchè la fissazione di un rapporto tra decessi e numero di operatori, ipoteticamente idoneo a garantire l'equilibrio economico delle imprese, non è realmente idoneo ad evitare gli effetti indesiderati sopra menzionati. Nulla infatti assicura che gli operatori rispettino le quote di mercato acquisite; anzi, in assenza di una disciplina tariffaria imposta dai pubblici poteri, la logica del mercato fa sì che gli operatori tendano ad aumentare il profitto acquisendo maggiori fette di mercato. Ed il ricorso a forme di pressione moralmente indebite -per i modi, i tempi ed i luoghi in cui si manifestano- anche se non necessariamente illecite, può diventare uno degli strumenti del confronto concorrenziale.
Si rivela così del tutto astratta la possibilità di garantire la stabilità del mercato attraverso il controllo del numero degli operatori.
Ma anche qualora fosse ipotizzabile il rispetto, per tacito accordo, delle posizioni acquisite, ciò si risolverebbe in un danno certo per i clienti.
Infatti, l'unica possibilità di incrementare i risultati economici sarebbe legata all'aumento dei prezzi, ed il carattere non aperto del mercato favorirebbe l'attuazione di un accordo generale tra gli operatori.
Per contro, il Collegio ritiene che, data la anelasticità della domanda, l'apertura del mercato a nuovi operatori non potesse (e non possa) che determinare benefici economici ai clienti, attraverso il miglioramento della qualità dell’offerta e la riduzione dei prezzi, o quanto meno rendendo di più difficile riuscita un accordo al rialzo.
D'altro canto, appare ipotesi assolutamente remota in un sistema economico sviluppato ed interrelato come quello del nostro paese, quella di un eccesso di concorrenza tale da determinare la crisi simultanea e l'uscita dal mercato di una parte cospicua degli operatori, e la conseguente difficoltà di funzionamento del servizio.
In conclusione, il Collegio ritiene che il rilascio di un'autorizzazione alla vendita di articoli funerari, al pari delle altre autorizzazioni, non consentisse alcuna valutazione discrezionale sulle ragioni di pubblico interesse favorevoli al (ovvero ostative del) rilascio, dovendo il Comune limitarsi a verificare la rispondenza alle disposizioni della legge 426/1971 e del piano (cfr. Cons. Stato, V, 6/6/1996 n. 659; 18/10/1996 n. 1244).
2.1.3. Peraltro, anche nella prospettiva in cui si muove l'orientamento giurisprudenziale invocato dalle ricorrenti, va osservato che, in casi come quello in esame, viene meno addirittura il basilare presupposto logico del carattere rigido della domanda.
Va infatti considerato che il servizio di onoranze funebri è un'attività complessa, nella quale la fornitura di beni (cofani, articoli funerari, corone e confezioni di fiori non freschi) necessita di autorizzazione amministrativa, mentre l'attività di intermediazione per il disbrigo delle pratiche relative al decesso, al trasporto della salma e ad altre incombenze per conto dei famigliari del defunto richiede anche il possesso della licenza ai sensi dell’art. 115 del T.U.L.P.S.
L'autorizzazione impugnata riguarda soltanto la vendita al minuto di generi ricompresi nella tabella XIV, e non la gestione del servizio di pompe funebri con relativa vendita di arredi funebri. Per tale attività di vendita, non sembra potersi parlare di domanda anelastica, considerato che essa, essendo connessa alla "pietas" nei confronti di persone defunte, non solo di recente ma anche di quelle la cui morte risalga a molto tempo prima, tende per sua natura ad incrementarsi con l'accumularsi degli eventi esiziali (in tal senso, TAR Piemonte, I, 17/3/1994 n. 115; TAR Lombardia, MI, III, 28/7/1998 n. 1942; Cons. Stato, V, 26/5/1997 n. 551; 7/10/1996 n. 1191; 23/3/1985 n. 173; 15/1/1987 n. 1; 27/11/1987 n. 742). Di modo che sarebbe comunque illogico ed incongruo applicare le surriportate argomentazioni concernenti le attività collegate ai decessi in una determinata zona, che sono pertinenti all’agenzia di pompe funebri, anche alla vendita di articoli funerari (in tal senso, TAR Lazio, II-ter, 4/11/1998 n. 1813).
2.2. Sotto un ulteriore profilo –in relazione alle censure di contraddittorietà-occorre poi sottolineare come il rilascio dell’autorizzazione impugnata, non solo non contraddica, ma appaia coerente con la linea "programmatica" di consentire una "modesta concorrenza" precedentemente manifestata dal Comune di Bari.
2.3. Infine, va rilevato come la necessità, ai sensi dell’art. 24 della legge 426/1971, di acquisire preliminarmente al rilascio dell’autorizzazione il parere della Commissione comunale per il commercio di cui agli artt. 15 e 16 della stessa legge, fosse venuta meno per effetto dell’art. 3, comma 3, del D.P.R. 384/1994.
3. Conclusivamente, tutti i profili di censura desumibili dal ricorso si rivelano infondati. Il ricorso deve pertanto essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari - Sezione II – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Condanna la Ditta ricorrente al pagamento in favore del Comune di Bari della somma di lire 2.000.000 (duemilioni), per spese, competenze ed onorari di causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio dell’11 gennaio 2001, con l’intervento dei Magistrati:
Avv. Michele Perrelli Presidente
Dott. Vito Mangialardi Componente
Dott. Pierfrancesco Ungari Componente – est.
Depositata il 28 marzo 2001